A proposito del terrazzamento in opera poligonale di Via Mura Ciclopiche di Venafro


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«Studi Cassinati», anno 2022, n. 2
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di Maurizio Zambardi

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Risalendo lungo la Via Mura Ciclopiche di Venafro, a circa duecento metri ad est dai ruderi dell’antico teatro di epoca romana, sul lato sinistro, preannunciato da una cartellonistica pubblicitaria, si accede ad un sentiero sterrato, delimitato sul lato a valle da una staccionata in legno. Il sentiero, aperto qualche anno fa, sale gradatamente tra secolari olivi verso Monte Santa Croce, allontanandosi sempre più dall’antica città di Venafro, per poi raggiungere la strada che sale dal Campaglione verso la cavea naturale formata da Monte Corno e Monte Santa Croce. A quota 230 metri circa, e a una sessantina di metri dall’imbocco del sentiero, sulla sinistra, a pochi metri di distanza dalla staccionata in legno, fa bella mostra di sé un tratto murario in opera poligonale, della terza maniera, di epoca repubblicana. Il tratto murario, lungo una ventina di metri, diverge poco meno di 30°, in senso antiorario, dall’asse nord. L’opera muraria visibile funge da terrazzamento sud-ovest di un terrapieno che continuava in antichità, in maniera perpendicolare alla muratura in esame, anche sul versante nord-est, per una lunghezza di circa 30 metri, come tutt’ora è riscontrabile dal salto di quota del terreno. Sul versante opposto alle mura è riconoscibile anche una sistemazione del pendio funzionale al terrazzamento stesso. Della muratura in opera poligonale, il primo tratto, quello più a monte, lungo circa 9,70 metri, conserva ancora il paramento esterno originario, formato da grossi blocchi in calcare locale di forma poligonale varia, lisciati e sagomati negli spigoli in maniera da combaciare perfettamente nei punti di connessione con quelli vicini. Le misure dei blocchi variano tra i 40 cm ad oltre 1 metro. L’altezza del tratto murario varia tra i 2 metri e i 3,50, se si considera anche la parte alta rimasta in caementicium relativa all’ancoraggio retrostante l’opera poligonale.

Proseguendo oltre questo primo tratto, in direzione sud, per una lunghezza di circa 7,90 metri, scompare l’opera poligonale ma rimane visibile il nucleo in caementicium di riempimento. Tale nucleo è realizzato con scaglie di pietre, legate con malta, con misure medie che si attestano sui 10 cm di lato. La lacuna presenta, nella parte centrale bassa, una piccola cavità che si estende in profondità nel terrapieno che permette di conoscere lo spessore della muratura che, tra la parte in caementicium e i blocchi in opera poligonale, supera in tutto i 2 metri di spessore.

Dopo questo tratto lacunoso vi è un ulteriore breve tratto in opera poligonale lungo 1,70 metri e alto circa 2,00 metri. Ad ancora un metro circa dal breve tratto affiora di poco al terreno un altro blocco sagomato ad angolo retto, rimasto in sito, che consente di capire che questi doveva essere lo spigolo di chiusura a valle del terrazzamento.

Il tratto murario descritto era già noto in passato. È stato, infatti, descritto nel volume Venafro di Capini, Catalano, Morra, del 1996, pp. 16-18, Cosmo Iannone Editore. Gli autori attribuiscono il terrazzamento ad un’area santuariale, che doveva contenere in antichità edifici sacri. Viene anche riprodotta una foto dell’opera poligonale, che però risulta specchiata.

Ma quello che più interessa in questa breve comunicazione è che il tratto in questione fu fotografato alla fine del XIX secolo dal padre domenicano Peter Paul Mackey, quando, nel mese di agosto del 1897, si recò a Venafro per fotografare le murature in opera poligonale di Venafro e del suo territorio. Le foto, otto in tutto, sono conservate presso la «British School at Rome» e sono state pubblicate, previa autorizzazione scritta, dallo scrivente in: L’opera poligonale di Madonna Della Libera di Venafro, anno 2017, Volturnia Edizioni. Di queste otto foto sei riguardano le mura ciclopiche di Madonna della Libera, la settima riproduce il terrazzamento di Sant’Emidio, presso Ceppagna, mentre l’ottava foto si pensava fosse stata attribuita a Venafro per errore, non essendo stato riconosciuto alcun luogo con quelle strutture. Ora, a seguito di una pulizia dell’area da una fitta vegetazione di canne di bambù, è stato possibile, grazie al riconoscimento della tessitura muraria della parte rimasta dell’opera poligonale, poter affermare che anche l’ottava foto, è riferita a Venafro.

In pratica tutto lo spigolo del terrazzamento, che già risultava gravemente compromesso da un accentuato scollegamento con la parte retrostante del terrazzamento, ora non esiste più perché franato a valle (vedi foto). La foto di Mackey rappresenta, quindi, un importante documento per le ricerche archeologiche dell’area descritta.

Nell’area è stato osservato, a seguito di una recente aratura del terreno agricolo, cocciame vario, tra cui si segnala un orlo di grosso dolio e un frammento di tegola in pietra viva.

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