Bonifacio da San Germano sacerdote cappuccino (1564-1639), al secolo Antonio Patino


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Studi Cassinati, anno 2002, n. 3/4

di Emilio Pistilli

Nel primo volume dei Notamenti1 dei frati Cappuccini della provincia di S. Angelo in Puglia (1613-1649) abbiamo notizia di un cittadino di S. Germano (l’odierna Cassino) fattosi frate nello stesso ordine con il nome di Bonifacio da S. Germano. Siamo tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento ed il giovane è Antonio, rampollo della facoltosa famiglia Patino, sangermanese.
Il cognome Patino ormai è scomparso da Cassino per lasciare il posto a Patini, probabile genitivo patronimico del precedente; nei secoli scorsi tale cognome era presente in entrambe le forme, ma la forma “singolare” pare precedente e più diffusa dell’altra2. Un blasone seicentesco della famiglia Patino è conservato presso il museo archeologico nazionale di Cassino ed è proveniente dalle rovine postbelliche della città3.
Il padre Pellegrino da Forlì, nei suoi Annali dei frati minori4, ci fornisce una biografia del giovane, tratta da raccolte biografiche anteriori e dai citati Notamenti, vol. terzo.
Antonio Patino nacque in S. Germano nel 1564. Fu avviato agli studi forensi a Napoli. Aveva quasi ultimato gli studi quando avvertì prepotente la vocazione religiosa. La sua decisione di abbandonare la strada intrapresa, con buone prospettive di brillante carriera, fu ovviamente osteggiata dalla famiglia, che riponeva in lui grandi speranze.
Il biografo, nel riferire dell’avversione della famiglia, manifestata con una serie di lettere e di promesse di sistemazione sociale consona al proprio rango, accenna a “gravissime discordie civili” e “gravissime nemicitie” che interessavano in quel tempo la famiglia, che addirittura era “coll’armi nella mani”5. Antonio a quel tempo aveva circa 23 anni, dunque si era attorno al 1587. Purtroppo le cronache del tempo sono molto scarne e non ci hanno tramandato notizia di disordini, in quel periodo, in S. Germano, anche se le controversie, talvolta violente, per l’acquisizione o conservazione di prerogative specifiche di carattere istituzionale da parte di organi amministrativi cittadini nei confronti dell’abbazia erano piuttosto frequenti: rivendicazioni di diritti, accuse di soprusi, rifiuto di pagare balzelli all’autorità abbaziale, titolare della giurisdizione civile, oltre che religiosa6.

La provincia dei Cappuccini di S. Angelo (Foggia) nel 1649

C’è traccia di tumulti che sarebbero avvenuti, però, circa tredici anni prima, nel 1574, ai tempi dell’abate Sangrino7: una vera e propria rivolta contro il palazzo badiale, capeggiata dal capitano di S. Germano Johannes de Orive, avrebbe portato i cittadini a circondarlo e a minacciare di bruciare tutto e tutti, anche i monaci; la rivolta sarebbe stata sedata grazie all’intervento del monaco Pio Napoletano8. È d’obbligo usare il condizionale perché la notizia, riferita da T. Vizzaccaro, non è confortata da riferimenti bibliografici di sorta, né è stato possibile riscontrarla nelle fonti coeve. Viste le lacune del resoconto si potrebbe pensare anche ad un errore di data del Vizzaccaro, ma ce lo impedisce il riferimento al Sangrino, che fu abate per la terza ed ultima volta dal 1572 al 1575.
Dobbiamo dunque dare per buona la notizia del nostro biografo che certamente l’ha tratta da informazioni di prima mano non avendo motivi per inventarsela; tuttavia è lecito supporre che, visto il tenore chiaramente agiografico del testo del nostro biografo, si siano volute ingigantire e drammatizzare le traversie che l’aspirante novizio dovette superare per dar prova della sua solida fede e vocazione. Allora è facile pensare che semplici dissidi interni della città e della famiglia Patino siano diventati “gravissime discordie civili” e “gravissime nemicitie”, magari complice, nell’esagerazione, lo stesso padre di Antonio, che aveva interesse a far “ravvedere” il figlio dal suo proposito.
Per converso è da osservare che le fonti coeve in nostro possesso sono tutte di matrice benedettina e non molto interesse avevano ad evidenziare e tramandare episodi di intolleranza cittadina nei confronti dell’autorità abbaziale o gravi discordie tra famiglie che sfuggivano all’ordine imposto dalla stessa autorità.
Ma torniamo al nostro Antonio. Dopo un periodo di travagliata riflessione – stette tre mesi senza rivolgere parola ad alcuno, se non per mera necessità –, con il conforto del fratello maggiore (“di natura assai fiero che pizzicava del crudele”) con il quale divideva la stanza, prese la decisione definitiva. Si rivolse al monastero dei conventuali in S. Lorenzo a Napoli; da quelli fu indirizzato, non senza che prima cercassero di dissuaderlo, all’ordine dei Cappuccini. Dunque lasciò il convento di S. Lorenzo e si recò “al luogo della Concettione”, sempre a Napoli. Qui ebbe delle difficoltà ad essere accolto perché il Capitolo dei Cappuccini avevano già chiuso l’ingresso ad altri novizi. Gli capitò di incontrare un frate del suo paese che, visto l’abbattimento del giovane, gli suggerì di provare ad indossare l’abito dei Cappuccini nella Provincia di S. Angelo, da cui dipendeva il convento di Venafro, distante appena dodici miglia da S. Germano. Visto che era prossimo a celebrarsi il Capitolo di Puglia, quel frate si offrì di scrivere una lettera di raccomandazione al Provinciale padre Geronimo dal Sorbo, di cui era molto amico9. “Risoluto già l’Antonio di non far più ritorno nella stanza del fratello e di servire Dio”, non perse tempo: “Si fe’ subito spedire questa lettera raccomandatizia ed, havendo seco danari e tutte le cose necessarie, si provvide di cavalcatura dal procaccio, e seco si condusse nella città di Lucera a salvamento”10.
Antonio aveva 23 anni ed appariva “ben morigerato, grave ne i portamenti, maturo di senno e molto intelligente”. Fu subito accolto da quei padri e mandato a vestire l’abito in S. Giovanni Rotondo. Il 14 maggio 1587 ricevette le vesti e gli fu imposto il nome di Bonifacio, del quale si celebrava la festa proprio in quel giorno.
Dopo l’anno di noviziato professò solennemente nelle mani del vicario di S. Giovanni Rotondo, padre Giacomo da Bergamo.
Viste le sue capacità letterarie, il padre Provinciale, Bernardino d’Asti, lo invitò con insistenza a riprendere gli studi della Logica, della Filosofia e della Teologia, sì da potersi dedicare proficuamente alla predicazione. Lo scoraggiava, però, l’idea di dover continuamente viaggiare sottraendo tempo prezioso alla preghiera. Dopo qualche incertezza, vi rinunciò definitivamente11.
Il biografo riferisce di frequenti apparizioni e premonizioni; tra queste ci fu la visione dei travagli che dovevano ancora affliggere i suoi familiari e i concittadini di S. Germano. Infatti nel suo paese d’origine perduravano le discordie e i disordini civili; da un sogno ebbe la rivelazione che causa di quelle tribolazioni era suo fratello “rissoso ed inquieto”12.
Ancora in sogno venne a sapere che suo fratello era stato tratto in arresto e torturato per i suoi misfatti. Nel frattempo fu trasferito a Venafro. Qui ebbe la visita del padre e di altri parenti, che gli confermarono l’arresto del fratello. Bonifacio esortò i familiari a deporre le armi e a cercare le riconciliazione. Al momento di separarsi, il frate scoppiò in pianto dirotto; i familiari pensarono che fosse l’emozione per la separazione, invece egli chiarì che piangeva per aver auto la rivelazione della “rovina che loro soprastava” per il rifiuto della riconciliazione; e preannunciò che “era per succedervi molto spargimento di sangue et alcuni di essi per perdervi la vita”13.
In effetti così avvenne, secondo il biografo: le fazioni cittadine si scontrarono in maniera cruenta con morti e feriti dall’una e dall’altra parte14.
Ma ancora una visione di Bonifacio preannunciò prossima la cessazione di ogni discordia tra le fazioni: “Per divina disposizione così avvenne, poiché, reconciliati miracolosamente gl’animi discordanti si stabilì la pace, si pose in perfetta unione e concordia tutta la città, e con maraviglia d’ogn’uno fu liberato da prigione il fratello di Bonifacio, che temeva d’essere giustitiato, e portò doppio contento a tutta la famiglia”15.
Ma le intemperanze del fratello rischiarono di riaccendere gli animi; senonché una “provvidenziale” malattia pose fine alla sua inquietudine facendolo trapassare “da questa all’altra vita”16.
Erano maturati intanto i tempi perché Bonifacio assumesse incarichi di maggiore responsabilità, come la guardiania e “il governo de’ conventi”. Cercò di opporvisi in ogni modo col pretesto della sua salute cagionevole. Riunitosi il Capitolo egli fu nominato Guardiano e Maestro dei novizi17. Nei nuovi incarichi fu scrupoloso ed esigente. Tuttavia il suo stato di salute era precario: soffriva di “flussioni di testa e di catarro et hora di dolori di stomaco e d’oppilazione”, inoltre aveva perso i denti; così si sottopose a diete eccessive che finirono per causare gravi danni al suo organismo. “Non solo accrebbe l’astinenze, privandosi affatto dell’uso della carne e d’ogn’altro cibo delicato, ma si pose quasi continuamente a digiunare, hor facendo questa, hor quell’altra quadragesima ad imitatione del Padre san Francesco. Anzi nell’istesso digiuno lasciò di cibarsi del pesce, in guisa che per lo spatio di vinti anni continovi non gustò boccone di carne né di pesce. Contentavasi di lautamente banchettare con una minestrina d’erbe cotte o vero di legumi e ben spesso del pan solo insuppato in un poco di brodo o con l’acqua semplice del caldaio, affine di poterlo inghiottire, mentre per la mancanza de i denti era impossibile roderlo e masticarlo”18.
Non lesinava le fatiche fisiche dedicandosi, nel tempo libero, alla cura dell’orto e alle faccende domestiche. Per sfuggire ai richiami della carne si flagellava ogni notte.
La sua morte avvenne in Torremaggiore il 24 febbraio 1639, all’età di 75 anni e 52 di professione.
Dagli Atti degli Ordini Cappuccini19 troviamo che Bonifacio da S. Germano fu Guardiano negli anni: 1602 a Larino; 1605 a S. Giovanni Rotondo; 1608 a S. Marco la Catola; 1613 a Serracapriola; 1618 a S. Giovanni Rotondo; 1625 a Vasto. Fu inoltre Definitore dal 1622 al 1626.

1 “Notamenti della Prov.ª di S. Angelo da servire per il 3° Tomo de gli Annali Latini della Religione, raccolti dalli PP. Geronimo da Napoli, e Gabrielle dalla Cirignola Predicatori Cappuccini”, Volume primo, riedito dall’Archivio Storico dei Frati Minori Cappuccini di Foggia nel I Volume “Notamenti di vita e gesti di Cappuccini della Provincia di S. Angelo, 1613-1649” a cura di M. Iasenzaniro e R. Borraccino, Foggia 1987.
2 Si veda I Regesti dell’Archivio di Montecassino, XI, Roma 1977, passim.
3 Col nuovo allestimento del museo quello stemma, ed altri simili, è rimasto celato dietro il pannello di fondo della statua detta “l’eroe di Cassino”, di recente collocazione nella struttura: per quest’ultima si veda in altra parte di questo Bollettino.
4 “Annali dell’Ordine dei frati Minori Cappuccini scritti ed illustrati …”, Vol. I, Milano 1882, pagg. 356-361; il Pellegrino trae le notizie biografiche dal manoscritto AB 70, dal f. 60r a 65r; quelle successive sono tratte dal Vol. III dei Notamenti.
5 Loc. cit., f. 60r (pag. 715 dell’edizione del 1987): “Ma se gli oppose alla gagliarda l’infernal nemico con rappresentargli i travagli della propria casa e come, essendo religioso, potuto non havrebbe porgere nell’occorrenze qualche aiuto a’ suoi parenti che si trovavano, per cagione di gravissime nemicitie e grandissime discordie civili, coll’armi nelle mani; anzi, fattone il padre e la madre del di lui buon intento consapevoli, non mancarono di combatterlo con varie e diverse lettere per disturbarlo da tal proponimento ed allettarlo all’abbracciamenti del mondo, con proporgli honorevole e commodo accasamento da par suo”.
6 Sulla giurisdizione abbaziale di Montecassino c’è l’opera monumentale di E. Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis Accessiones, Venetiis, Coleti, 1734, voll. 2: si puó utilmente consultare T. Leccisotti, La giurisdizione criminale cassinese nel ‘700 – L’ultima intestazione nello Stato di S. Germano, in “Atti dell’Accademia Pontaniana”, n.s. XI, a. acc. 1961-62, pagg. 133-157; ma anche Note sulla giurisdizione di Montecassino, voll. 2, Montecassino 1971-72, dello stesso autore.
7 Angelo IV De Faggis da Castel di Sangro.
8 T. Vizzaccaro, Cassino, breve monografia con cenni sui cittadini illustri, SEL, Roma, s. d., ma 1971, pag. 44 e sg.
11 f. 62r (pagg. 720-721).
12 f. 62v (pag. 722) : “… gli fu rivelato l’autore di quel male. Atteso che, sollevato una volta in spirito, parvegli di trovarsi dentro d’una chiesa della padria e d’haver attorno numerosa schiera de poveri a’ quali egli dispensava un gran cesto di bello e fresco pane, là dove un suo fratello, che si trovava presente, buttava sopra di quelli dell’acqua e tutti li bagnava bene. Si maravigliava egli grandemente di tal fatto, ma gli fu dato ad intendere che non tanto lui offeriva il pane de Sagrifici a Dio per salute e beneficio del popolo patrioto, quanto il fratello, rissoso ed inquieto, si sforzava d’affliggerlo e travagliarlo, altro non significando l’acqua che li travagli e tribolationi di questa vita”.
13 ff. 62v-63r (pag. 723).
14 Neppure di questa notizia, come di quelle successive fino alla morte del fratello, si ha riscontro nelle cronache di quel periodo.
15 ff. 63r-63v (pag. 725).
16 Ibid.
17 f. 64r (pag. 726).
18 Ibid. (pag. 427).
19 Acta Ordinis Capuccinorum, Tomo I, 87.

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