«Studi Cassinati», anno 2025, n. 1
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di
Giuseppe Vendittelli

Della «Fonderia Pontificia Marinelli», il più antico stabilimento per la fabbricazione delle campane simboli di fede, di cultura, di arte e di storia, si hanno cenni storici già a partire dall’anno 1000, periodo di grande sviluppo in Italia di chiese e cattedrali per la diffusione del culto cattolico. La fonderia dei Marinelli è situata ad Agnone (oggi in provincia di Isernia), è a conduzione familiare e si caratterizza per la sua produzione artistica, mai ripetitiva, sempre con caratteristiche nuove sia intrinseche che decorative per campane di grandi e piccole dimensioni che hanno raggiunto tutti gli angoli del mondo scandendo la gioia e i dolori dell’uomo.
Nella fonderia di Agnone si lavorava a pieno ritmo ma le commesse superavano le capacità produttive dell’opificio che non riusciva pertanto a soddisfare le richieste soprattutto quelle provenienti dal Vaticano. Un’altra difficoltà era rappresentata dal trasporto delle campane fatto con carretti ma condizionato dalle strade che erano pressoché impraticabili, strette e sterrate, a cominciare da quella che da Agnone scendeva a fondovalle. Per cercare di soddisfare tutti gli ordini e velocizzare le consegne un giorno uno dei fratelli Marinelli, Nicodemo, trisavolo della signora Adalgisa Vandro, decise di andare alla ricerca di un paese dove poter impiantare un altro stabilimento per la fabbricazione delle campane, un luogo che fosse ricco di acqua e di argilla, quest’ultima necessaria per costruire le campane, e che fosse ubicato lungo assi di comunicazione. Nicodemo e un suo parente, con un calesse, attraversarono tutto il Molise fino ad arrivare al paese di San Pietro Infine e da lì continuarono il cammino sulla strada verso Cassino. Dopo pochi chilometri lo sguardo di Nicodemo si soffermò su un gruppo di case arroccate su una collina. Arrivarono al bivio e da lì salirono fino a giungere a San Vittore del Lazio, antico castello del Lazio. Girarono il paese in lungo e in largo, Nicodemo se ne innamorò subito e disse a chi lo accompagnava: «Bello! Mi piace!» anche perché il paese era ricco di acqua e argilla.

Al Comune gli indicarono un palazzo posto appena dopo l’arco a sesto acuto, oggi Piazza Fratelli Verona, attaccato a una delle 23 torri del castello medievale, edificato nel 1491 dal marchese Bartolomeo Mancini. Il palazzo era in vendita e dopo alcuni giorni, quasi senza esitare, Nicodemo Marinelli acquistò l’immobile che all’epoca era composto di trenta vani con ampie cantine e un semi-interrato molto grande adatto ad installare una fonderia per la fusione delle campane. Nella parte bassa del palazzo c’era anche un’uscita secondaria che sbucava nella via Castello, molto utile per agevolare l’uscita delle campane nuove dall’officina e portarle in piazza per poi caricarle sui carri e trasportarle a destinazione.
Dalla vecchia officina di Agnone, Nicodemo e suo fratello portarono alcune attrezzature per la fusione delle campane e in poco tempo allestirono una seconda fonderia avendo assunto anche alcuni operai del posto.

Nicodemo Marinelli si integrò molto bene a San Vittore tanto che ne fu sindaco dal 1848 al 1852 e per anni ricoprì la carica di consigliere comunale (era uno dei componenti dell’assise municipale che nella riunione dell’11 ottobre 1862, riconoscendo che «per antica tradizione il Comune veniva detto antico Castello del Lazio» deliberò all’unanimità che al nome del paese «vi venisse aggiunto il contrassegno “del Lazio” con chiamarsi cioè San Vittore del Lazio»).
Nel frattempo Nicodemo aveva provveduto a comprare anche le adiacenti case al palazzo Mancini, attualmente di proprietà dello scultore Vittorio Costantino ed Ernesto Cassone dove oggi c’è l’Ufficio Postale. Di seguito acquistò anche alcuni terreni in località «Bagni» al disopra del convento delle monache. Vi fece costruire una piccola casa, ancora esistente, dotata di un orto e di un bel giardino, con al centro un tavolo in pietra, dove spesso la famiglia Marinelli trascorreva le calde giornate estive.

Da ragazzo ricordo che Francesco Marinelli, nipote di Luigi, organizzava nella casetta, con gli amici del paese, le sfilate di Carnevale a piedi. In seguito i terreni e il palazzo vennero divisi tra gli eredi, la signora Adalgisa Vandro, figlia di una Marinelli e Francesco.
Nel corso degli anni la produzione delle campane nella fonderia di San Vittore era divenuta fiorente, riuscendo a soddisfare le commesse e consegnare celermente i manufatti.
Nei primi anni del Novecento erano i fratelli Vittore e Gaetano Marinelli che si occupavano della gestione delle fonderie di Agnone e di San Vittore del Lazio e in quest’ultima, durante la fusione delle campane, era sempre presente il nipote don Vincenzo Marinelli (27/04/1852 – 17/12/1925), allora parroco della chiesa Santa Maria della Rosa, per la tradizionale benedizione della colata di bronzo.
Poi la fonderia di San Vittore ebbe una sosta forzata a causa della Prima guerra mondiale e qualche anno dopo un grave lutto si abbatté sulla famiglia in quanto morì Vittore Marinelli. Il fratello Gaetano, ormai anche lui anziano, dovette con dispiacere e a malincuore scomporre la fonderia e trasformarla in frantoio per la molitura delle olive. Uno degli operai che ci lavorò si chiamava Michele Vittorelli che ebbe a dire: «Gaetano Marinelli era un grande uomo perbene, mi pagava sempre in moneta e mai in natura». Le macine in pietra venivano fatte girare per mezzo di una stanga di legno attaccata a un cavallo. Purtroppo il frantoio non durò a lungo.
Arrivò la Seconda guerra mondiale ed anche San Vittore come tutti gli altri paesi del Cassinate, fu occupato dai tedeschi che imposero lo sfollamento alle popolazioni locali. La famiglia Marinelli non voleva lasciare il palazzo ma fu costretta dai tedeschi quasi con la forza ad evacuare. Vennero fatti salire sull’ultimo camion che i tedeschi avevano messo a disposizione in Piazza Municipio e trasferiti prima a Fiuggi e poi a Roma dove furono ospitati da alcuni parenti.
Passato il dramma della guerra i Marinelli rientrarono a San Vittore e con tanta tristezza scoprirono che il grande palazzo era stato danneggiato dalle cannonate, ma con tanta forza di volontà che li contraddistingueva lo ricostruirono continuando, ancora oggi, a viverci insieme ai loro bellissimi ricordi senza mai dimenticare i loro parenti storici e fondatori della fonderia di campane di Agnone.

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