Porta San Biagio di S. Elia Fiumerapido


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«Studi Cassinati», anno 2018, n. 4
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di Giovanni Petrucci

Porta Napoli accrebbe la sua importanza con la costruzione della nuova strada che univa il castrum Sancto Helia a Casinum in quanto lo metteva in comunicazione con la capitale dei secoli passati.
Si apriva a sud, sotto una casa tra il Palazzo Carinola e la Chiesa di S. Biagio a navata unica. Alla sua sinistra, dopo il campanile e la prima torre, si iniziava la via che porta appunto il nome di Via delle Torri.
Era La Porta1 per antonomasia che dava su Piazza Mercato; in qualche documento era chiamata Porta Grande, o Porta Napoli; originariamente Porta S. Biasio, perché attaccata alla Chiesa omonima2.
Dopo il 1916 la piazza fu intitolata al pittore, sindaco e consigliere provinciale, Enrico Risi, ma tutti continuano a chiamarla Fuori la Porta, proprio perché era fuori il perimetro del centro abitato.
Si presentava maestosa ed austera: «aveva una certa imponenza architettonica»3 e contrassegnava l’entrata del paese.
1 Petrucci_1Questo risulta evidente dai resti pervenuti fino a noi e sistemati in un prato in declivio sulla Villa Comunale. Trova altresì riscontro nei disegni eseguiti non a visione diretta, ma a volo d’uccello, in incisioni conservate negli archivi storici di Montecassino. La porta doveva quindi simboleggiare un elemento di importanza primaria per il castrum.
L’incisione della prima metà del secolo XVII di P. D. Marco Antonio Scipione Piacentino descrive la chiesa di S. Biagio, la seconda di S. Elia dopo la prima distrutta dai Saraceni, con accenni a mura merlate e porte di abitazioni a piano terra, ciascuna con due finestre; una di esse è più ampia delle altre.

1 Petrucci2

Incisione di P. D. Marco Antonio Scipione Piacentino del XVII secolo.

Nella Tavola dei Possedimenti della Diocesi del Sacro Monastero si rileva con molta chiarezza la parte superiore dell’arco di una porta più grande delle altre con un’abitazione e due piccole finestre nel muro sovrastante; nella legenda della fascia inferiore sono elencate 72 località all’intorno del Sacro Monte: S. Elias S. C. porta il numero 61.
Nella Descrizione dei confini tra Sant’Elia e Vallerotonda di Innocenzo Lobelli del 1715 abbiamo la stessa visione: una strada termina proprio dinanzi alla porta, sulla quale si leva una struttura con due aperture.
Il disegno acquerellato di Marcello Guglielmelli (1715-1717) è più preciso e aderente alla realtà: si nota una «porta merlata d’accesso»4 più distaccata dalle mura di cinta e nei pressi, la Chiesa di S. Biagio.

1 Petrucci3

In alto: disegno acquarellato di Marcello Guglielmelli (1715-1717). In basso: disegno tratto dall’opera di Erasmo Gattola del 1734.

Indica, nell’immaginario dei secoli passati, il caratteristico accesso al castrum, soprattutto per chi proveniva da località situate all’intorno.
Nel disegno dell’opera monumentale del Gattola del 1734 sono tratteggiate, in una costruzione molto bassa, la porta centrale e le due finestre; le altre dimore laterali ripetono lo stesso schema.
Non abbiamo testimonianze sull’anno della costruzione; ma dal bugnato, dallo stile e dall’arco riteniamo che doveva essere del Quattrocento o Cinquecento; esisteva nel 1743, come dalla descrizione del «Reale Assenso» di Carlo III di Borbone, riportata nella nota precedente. Non siamo in grado di affermare che le citazioni dei Regesti, risalenti al 1273, si riferiscano a quella in parola o ad una similare, diversa nelle misure e nella conformazione.
1 Petrucci4Conosciamo invece l’anno della sua demolizione, che avvenne, come si leggerà più avanti, poco dopo il mese di aprile 1878.
Dalle pietre che sono poste sulla Villa Comunale si rileva che misurava m. 3,50 di luce e m. 6 in altezza; l’arco, con la chiave di volta altrove delineata, sembra a tutto sesto, in quanto la curva d’intradosso è una semicirconferenza quasi perfetta, con il raggio di circa m. 1,80; gli stipiti di pietra calcarea che la delimitano ai due lati verticali erano movimentati da piccole bugne, terminanti con cornici ben lavorate; poggiavano su basamenti quadrati di cm. 60 x 60 e terminavano in alto con rettangoli aventi funzione di capitelli, arricchiti di disegni semplici ed eleganti. Ne manca uno alla sommità di sinistra.
La più interessante, la chiave di volta, tagliata alla base, fa bella mostra ancora al termine della scala che porta ai due piani del Palazzo Comunale. Nella parte alta, in una voluta ben modellata, è riprodotta la mano benedicente, simbolo fino al Settecento inoltrato del Comune di Sant’Elia.

Porta San Biagio (elaborazione Giovanni Petrucci).

Porta San Biagio (elaborazione Giovanni Petrucci).

Il Lanni l’avrà vista ed è molto chiaro nella sua descrizione: era «grandiosa, e costruita di travertino lavorato a scarpello. Nella chiave dell’arco v’è scolpito lo stemma della Terra, consistente in un braccio con tre dita elevate in atto di benedire, in un disco sormontato da una corona. E al di sotto della volta accanto l’arco v’è in affresco l’effigie di S. Elia Profeta confortato dall’Angelo, che sotto l’ombra di un ginepro gli porge un pane; dal che i Santeliani traggono buon augurio dell’abbondanza de’ viveri del loro paese. Questo dipinto si vuole di Giuseppe Figliolini di S. Elia»5.
Secondo quanto riferivano gli anziani, dinanzi ad essa nei secoli passati era un notevole dislivello: il piano dell’attuale piazza E. Risi si estendeva fino all’entrata del palazzo Picano; in altri termini, era più basso di quello di piazza A. Riga; il che potrebbe intuirsi anche da una vecchia cartolina del paese.
Era sovrastata da un’abitazione, di cui abbiamo una sicura testimonianza del segretario comunale del tempo.
«M’intratterrò a parlare, egli dice, sopra alcuni fatti che si sono compiuti nel decennio, e che maggiormente ritornano ad onore della nostra Amministrazione comunale:

 

  1. h) Si demolì l’arco della Porta Napoli, rendendo molto ariosa la strada principale; […]
  2. l) Si fecero anche pratiche per lo sgombro degli abitanti dalle case poco igieniche […].

Per misure d’igiene e per vedute edilizie, da tanti anni veniva reclamata la demolizione dell’arco della porta di Napoli, al quale sovrastava un casamento della signora Arpino. Si fecero delle attive e premurose pratiche per la cessione bonaria; il che si ottenne mercé il pagamento di L. 2125,00, in cinque rate annuali di L. 425,00, l’ultima delle quali, come dal deliberato del 24 luglio 1877, venne pagata nel passato anno 1881.

La chiave di volta di Porta San Biagio.

La chiave di volta di Porta San Biagio.

A convalidare maggiormente la necessità e l’utilità della spesa di sopra, la Commissione sanitaria ed il Consiglio edilizio, dietro le relazioni fatte dal dottore Riga e dall’ingegnere d’Elia, questi in seno al Consiglio edilizio, e l’altro della Commissione sanitaria, fecero voti al Consiglio comunale, perché deliberasse l’abbattimento dell’arco della porta di Napoli.
Il Consiglio comunale, come sopra si è detto, nel 24 luglio 1877, deliberò l’acquisto della casa della signora Arpino, sovrapposta all’arco, e dopo il R. Decreto del 18 aprile 1878, che autorizzava il Comune all’acquisto, l’arco e casa vennero demoliti»6.
Cara chiave, ti ricordiamo con tanto piacere; eri dinanzi all’asilo infantile e noi bambini ti eravamo affezionati perché ti cavalcavamo dandoti bacchettate ai lati per farti correre nella nostra fantasia più sveltamente! Ora non le senti più, non partecipi ai nostri giuochi: sei immobile come un monumento!

 

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NOTE

1 M. Lanni, Sant’Elia sul Rapido monografia, Napoli 1873, pp. 48-49: «Ha tre porte: una verso mezzogiorno, detta antonomasticamente la Porta, o porta di Napoli. È dessa grandiosa, ed è costruita di travertino lavorato a scarpello […]. L’altra porta guarda il settentrione, e chiamasi di S. Cataldo, o di Abruzzo, la quale, essendo angusta d’assai, come tutte le porte dei castelli del medio evo, privava in parte molte case del paese e di luce e di aria. Quindi fu abbattuta nel 1866; e fu provvido consiglio, ché la pubblica igiene avrà assai a vantaggiarsene. La terza è rivolta a nord-ovest dirimpetto la chiesa maggiore, ed appellasi Portella». Precisiamo che la seconda era arretrata di una decina di metri e lo spiazzo antistante, ora occupato dall’alto palazzo chiamato del cav. Lotti, era molto più ampio. La casa attuale, alla sinistra uscendo da Via Angelo Santilli, ha la stessa impostazione architettonica dell’altra di un tempo, rimasta inglobata nella nuova costruzione: il che si evince dai ruderi ancora esistenti in un locale con apertura in Via Ripe.

2 Regesti Bernardi I Abbatis Casinensis fragmenta, ed. A. Caplet, Roma 1890, p. 145, d. n. 363: «universitas S Eliae apud portam S. Blasii congregata …» e p. 192, d. n. 438, «Gentilis de Leone S. Germani iudex … notarius et subscripti testes litterati declarant … ante portam S. Blasii … ». Cfr. cap. 22 ed altri dello Statuto del 1559: «fuora la porta di S. Biasio …». F. Avagliano, S. Elia Fiumerapido a metà del 700, Reale Assenso del 1743 in «Lazio Sud» n. 8, 1982, p. 11: «La Terra di S. Elia […] sta in luogo piano, non è murata, ed ha due porte; una nomata di Santo Biagio, e l’altra di S. Cataldo. In quella di S. Biagio vi è ornato di pietra viva, e sopra l’impresa della Terra e nella lammia da dentro ritrovasi dipinto S. Elia a fresco, per le quali si dà l’entrato in detta Terra con sue commode strade in piano e tutte seliciate… ».

3 A. Pantoni, «Bollettino Diocesano», XXI, II, 1966, p. 4.

4 Archivio Storico di Montecassino, La Terra S. Benedicti nei disegni ad acquerello di Marcello Guglielmelli (1715-1717), Montecassino, 1994, p. 37: «La carta mostra la rosa dei venti ad otto direzioni: T (tramontana), G (grecale), L (levante), S (scirocco), O (ostro), B -sic- (libeccio), P (ponente) e M (maestrale)». L’orientamento è con l’est verso l’alto, ma deve essere corretto ruotando la rosa dei venti di 90° in senso orario. La rappresentazione può dividersi in due settori: una parte settentrionale, montuosa, e una meridionale, pianeggiante. Il centro abitato, chiamato nel disegno «Terra di S.to Elia», è raffigurato con un addensamento di casette e con una porta merlata d’accesso. Il territorio è ricchissimo di acque per la presenza di diversi fiumi, tra cui il maggiore è il Rapido, indicato nella carta con l’idronimo di «Acqua Viva»; un idronimo ancor oggi presente è quello di «Acqua Nera». Il disegnatore non manca di indicare una serie di mulini, posti a nord del centro abitato («Molino di Vallerotonda» e «Molino Vecchio del Rapido»), ed alcune cartiere (una testimonianza è data dal toponimo «Cartera», posto nel settore nord-occidentale dell’abitato, con alcuni edifici tra corsi d’acqua). Poco più in basso il disegno riporta un ponte che scavalca l’«Acqua Viva». Lungo il corso del Rapido sono ancora segnati altri affluenti di destra. Interessanti risultati ha prodotto l’analisi di alcuni toponimi riportati nel disegno, dei quali si è tentata l’interpretazione: il toponimo «Calvilli» (da «Calva»), presente nella zona superiore della tavola, indica un’area disboscata; sempre in alto, l’indicazione del toponimo «Gallo» da «Gualdo», mostra la presenza di un bosco; «Gualdo reo» potrebbe individuare sia un sentiero in zona selvosa, sia un bosco; il termine «Defensa», in aree montane, starebbe ad indicare, più che terreni prativi, le aree a bosco di appartenenza laica ed ecclesiastica, in cui era vietato il taglio degli alberi ed il pascolo. Infine il fitonimo «Cerasola», derivato da «Ceraso», indica un ciliegeto.

5 M. Lanni, Sant’Elia sul Rapido … cit., p. 48. L’affresco si ispirava all’episodio narrato nel primo libro dei Re (I Re, 19, 4-8): «In quel tempo, Elia si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire, disse: “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri”. Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco un angelo lo toccò e gli disse: “Alzati e mangia!”. Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi. Venne di nuovo l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: “Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino”. Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb».

6 E. Frey, Relazione al Consiglio Comunale.

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