L’epidemia di colera del 1893 a Cassino tra ispezioni, inondazioni e scioglimento dell’Amministrazione Iucci*

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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 1-2
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di Gaetano de Angelis-Curtis

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Stanislao Iucci
Stanislao Iucci

Il cholera morbus o colera asiatico raggiunse per la prima volta l’Europa nel corso del 1830 nell’ambito della seconda pandemia originatasi nel Bengala. Da quel momento e per tutto l’Ottocento il morbo dilagò ciclicamente nel vecchio continente funestandolo particolarmente negli anni 1841-1856, 1865-1874, 1884-1886, 1892-1895, mentre, in particolare, l’Italia fu interessata da sei pandemie, di cui la prima attestatasi tra il 1835 e il 1837 con alte percentuali di decessi. In quegli anni il colera ebbe un forte incidenza di diffusione tra la popolazione in quanto, al momento della sua comparsa, erano del tutto sconosciute le cause al pari degli agenti eziologici responsabili della malattia. Questi ultimi, per la verità, vennero individuati da Filippo Pacini1 nel 1854, ma i suoi studi non furono presi in considerazione per cui bisognò attendere quelli di Robert Koch del 1884. Invece nel 1865 Arnaldo Cantani, clinico medico, sulla base delle sue analisi sul colera asiatico, aveva avanzato delle proposte terapeutiche ma anche i rimedi prospettati passarono quasi inosservati in Italia e all’estero nonostante numerose fossero state le sue pubblicazioni sull’argomento2.

Anche la popolazione di Cassino e del cassinate in genere fu ciclicamente funestata dal colera con grave apprensione dal punto di vista sanitario e con ripercussioni anche sull’andamento delle Amministrazioni cittadine e dell’ordine pubblico. Nella città di Cassino il colera si palesò per la prima volta nel 18373. Le soluzioni adottate nell’immediato dalle autorità sanitarie del tempo non riuscirono a tamponare o a limitare la diffusione della malattia. Ecco che allora la popolazione, flagellata da un morbo di cui si sapeva ben poco ma che mieteva molte vittime, decise di far ricorso a forme di stampo religioso. Così fu presa la statua in legno della Madonna dell’Assunta (risalente al XVII-XVIII secolo), in restauro in quei momenti a opera di Francesco Petronzio4. Il 9 luglio 18375 quel venerato simulacro fu portato in processione per le vie dell’allora S. Germano al fine di chiedere la protezione e l’intercessione della Madonna. L’epidemia cessò immediatamente e da quel momento l’Assunta è divenuta un «segno particolarissimo della devozione sempre viva nel popolo di Cassino»6. A distanza di circa mezzo secolo un altro momento miracoloso segnò, di nuovo, la protezione dell’Assunta nei confronti degli abitanti di Cassino, quando la città fu nuovamente in preda del colera nel 18877.

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L’EPIDEMIA COLERICA E GLI ESPOSTI AMMINISTRATIVI

Quindi il morbo tornò a riaffacciarsi a Cassino nel corso del 1893 e, in tale occasione, gli aspetti prettamente sanitari si andarono a innestare su questioni relative all’andamento dell’Amministrazione locale. Infatti in seguito all’invio alle autorità superiori di controllo, prefettura di Caserta e ministero dell’Interno, di alcuni esposti che prendevano avvio dalle cattive condizioni igieniche in cui si trovava la Cassino del tempo per giungere a evidenziare la situazione di deficit economico del Comune, furono avviate due distinte ispezioni amministrative. Una prima fu effettuata nel corso dell’estate dal sottoprefetto di Sora, Decio Tabanelli8, mentre l’altra, condotta dal cav. Luigi Bianchi, funzionario del ministero dell’Interno, fu svolta nel tardo autunno9.

In sostanza negli esposti si lamentava che il pesante passivo accumulatosi nel corso negli anni non aveva permesso all’Amministrazione cittadina di poter intervenire nel modo più opportuno al momento del diffondersi dell’infezione colerica essendo il Comune sprovvisto di mezzi finanziari sufficienti ad adottare quelle misure igienico-sanitarie necessarie ad arginare il dilagarsi del morbo. Le cause della mancata adozione di efficaci provvedimenti venivano fatte risalire alla cattiva gestione dell’Amministrazione comunale capeggiata dal sindaco Stanislao Iucci10 che da un decennio governava la città.

A muovere tali forti critiche era stato «tal» Ettore Ranaldi11 che nell’estate 1893, mentre in città infieriva il colera, aveva provveduto ad approntare due esposti. Il primo, datato 17 agosto 1893 e protocollato il 20 successivo al n. 30696, era indirizzato al prefetto della provincia, mentre il secondo, simile, datato 21 agosto, inviato al ministro degli Interni e protocollato il 23 al n. 45312, fu pubblicato anche nel n. 24 del giornale il «Mattino»12. In essi si sollecitavano le autorità tutorie a porre in atto azioni di controllo sul Comune di Cassino che appariva amministrato, a giudizio dell’estensore, «da individui interessati a sostenersi a vicenda, i quali alla legge [avevano] stabilito il loro arbitrio». Ranaldi richiamava l’attenzione delle autorità superiori in quanto ravvisava delle gravi responsabilità civili e penali sull’operato del governo locale di Stanislao Iucci sia in merito a questioni più propriamente connesse alla gestione della cosa pubblica, che avevano finito per spingere il Comune «nella più desolante rovina», sia dal punto di vista della scarsa igiene in cui veniva mantenuta la città ridotta a una «pubblica cloaca» a causa dell’«insipienza» e dell’«accidia» degli amministratori. Se anticamente Cassino era «decantata … per la bontà e limpidezza delle sue acque», le analisi chimiche fatte eseguire dal dott. Luigi Pagliani13 qualche tempo prima avevano «trovato che le fonti [erano] tutte inquinate». Al pari le «deiezioni infettive» venivano gettate «impunemente sulle pubbliche vie e nelle saracinesche delle strade» senza che nessuno intervenisse. L’Amministrazione cittadina aveva speso L. 800 per dei lavori di incanalamento delle acque di rifiuto di una fontana, oltretutto eseguiti senza progetto, né autorizzazione, né appalto pubblico. Al pari aveva speso L. 5.000 per la realizzazione di un lavatoio che si approvvigionava dell’acqua di un mulino posto a quota superiore. Tuttavia quell’acqua risultava «inquinata perché proveniente dalle fogne del carcere e dall’altre della città». Inoltre quando nel corso del 1893 a Cassino si era venuto a palesare nuovamente il colera, il ministero dell’Interno aveva provveduto all’erogazione di una somma di L. 2.400 al fine di soccorrere la città «nella grave sventura che l’[aveva] colpita» ma quelle risorse economiche erano state «sperperate» e «sciupate» per cui il lazzaretto risultava sfornito di qualsiasi attrezzatura come «d’[e]nteroclisma e privo financo di una caffettiera per fare le decozioni»14. Ettore Ranaldi citava pure il caso di un carabiniere che, contagiato dal colera, fu trasportato al lazzaretto ma «a questo infelice per capezzale dovettero mettere la giubba»15. In un’altra occasione era state portate al lazzaretto due detenute. Una delle due donne aveva con sé una figlioletta di venti mesi e nello stesso letto avevano posto la madre «moribonda» e la figlia. Parimenti il trasporto dei colerosi al lazzaretto avveniva utilizzando delle carrozze normalmente adibite al pubblico servizio senza che fossero praticate le «debite disinfezioni». Inoltre le strade cittadine venivano spazzate senza essere annaffiate sollevando molta polvere che la sera risultava «del tutto dannosa pel fetore che esala[va] dal sottosuolo». Inoltre Ranaldi evidenziava i comportamenti del sindaco e di quattro dei sei assessori, i quali mentre in città infieriva il morbo, «pernotta[vano] in campagna», mentre invece gli altri due componenti della Giunta, «essendo farmacisti non s’occupa[vano] d’altro che della loro azienda farmaceutica». In sostanza lamentava che in città il colera continuava a mietere vittime ma nessuno si preoccupava di provvedere alla rimozione delle cause d’infezione e di contagio.

Immediatamente dopo aver ricevuto l’istanza di Ettore Ranaldi, il prefetto della provincia di Terra di Lavoro, Felice Segre, la inoltrò al sottoprefetto di Sora, Decio Tabanelli, il quale prontamente si recò a Cassino per svolgere un’inchiesta sulle condizioni igienico-sanitarie nonché sull’Amministrazione comunale. Come si evince dalla dettagliata relazione che predispose in data primo settembre 1893, il sottoprefetto si era portato a Cassino negli ultimi giorni di fine agosto, giungendovi «senza preavviso». Nel Palazzo municipale aveva trovato il sindaco e alcuni assessori (Antonio Merola, Pietro Pedron e Gaetano Notarmarco) ai quali chiese di essere accompagnato a visitare la «cucina economica» che erogava giornalmente 200 pasti offrendo il pasto gratuitamente a 125 persone mentre altre 75 pagavano 25 centesimi. Assaporò il brodo, si accertò della qualità della carne e delle razioni di pane trovando tutto «pulito e sano» e funzionante «perfettamente». Quindi si apprestò a verificare le condizioni igieniche dei quattro lazzaretti funzionanti in città. Uno di essi, il cui allestimento era stato dovuto alle disposizioni impartire dal prefetto della provincia quando era iniziata l’infezione colerica, lo trovò «chiuso per mancanza di ammalati» ma pronto per ogni evenienza. Nell’altro operante in città, dove prestavano «ammirevole servizio le Suore di Carità», vi trovò un solo coleroso. Si trattava della guardia carceraria Carlo Genovese che cercò «di confortare, ma invano perché agonizzante». Ad assisterlo c’era la «desolata» moglie venuta da Rossano Calabro16. Tutte e due le strutture erano entrate in funzione «in tempo relativamente brevissimo» all’apparire dei primi casi di colera e dopo i primi momenti di confusione avevano cominciato a funzionare regolarmente ed erano state rifornite dal Municipio di coperte e biancheria. Gli altri due lazzaretti erano stati allestiti all’interno del carcere di cui uno destinato alle donne, che trovò vuoto «godendo tutte le detenute buona salute», e uno agli uomini dove erano ricoverati due colerosi «amorosamente assistiti da una guardia carceraria e da un detenuto spontaneamente offertosi per infermiere», per sorveglianza e per custodia dei malati «di giorno e di notte». Inoltre nell’ispezione condotta presso la casa circondariale trovò tutto «regolarissimo» essendo stati «disinfettati i cessi, costruito un lavatoio, sistemata una tina per la preliminare disinfezione degli oggetti d’uso sporco mercé una soluzione forte di sublimato». Anche nello «spedale civico» erano state adottate opportune misure igieniche. Così, ad esempio, uno spazio era stato isolato e riservato ai colerosi dimessi dai lazzaretti e poi trasferiti in osservazione all’ospedale dove restavano fino a completa guarigione. Si soffermò anche a interrogare i convalescenti e gli ammalati di colera. Trovò una situazione di «ordine» e «regolarità» che giudicò «ammirevol[e]». Pure la Congrega di Carità di Cassino si era attivata in aiuto degli ammalati. Anzi il suo presidente cav. Pasquale Grosso17, che era stato attaccato «in forma leggiera» dal morbo, appena ne fu guarito, «nonostante la grave età di circa 70 anni», aveva continuato «a visitare lazzaretti ed Ospedale coadiuvato dagli altri componenti». Inoltre era stato istituito un Comitato della salute pubblica formato da «volenterosi giovani». Fra essi il sottoprefetto citava il pretore, riferendosi probabilmente a Ottavio Penta18 e il vice pretore, avv. Bernardo Belli con quest’ultimo che aveva fatto adottare le «sagge misure» all’ospedale. Anche la vendita di prodotti alimentari nelle pubbliche vie, soprattutto della frutta, era stata adeguatamente regolamentata da ordinanze del sindaco. Pure i medici di Cassino non si erano risparmiati nella loro opera «né di giorno né di notte», in particolare l’ufficiale sanitario, dott. Achille Tari, cui incombeva l’ufficio della «chiusura dei pozzi» e della loro sorveglianza giornaliera in quanto c’era sempre chi tentava di riaprirli. Allo stesso modo i Carabinieri avevano provveduto ad accompagnare l’ufficiale sanitario nelle sue visite e ispezioni. Inoltre delle cinque farmacie operanti in città era stato disposto dalle autorità che nel corso della notte una restasse sempre aperta19. Pure l’abate di Montecassino, d. Nicola d’Orgermont, aveva giornalmente offerto, «con carità evangelica», la sua opera «soccorrendo i bisognosi», «confortando i colerosi» che egli aveva personalmente visitato nei lazzaretti al pari degli ammalati ricoverati nell’ospedale. In merito alle accuse avanzate nell’esposto, e cioè che gli assessori avevano abbandonato la città ritirandosi con le rispettive famiglie in paesi e località limitrofe, dopo aver conferito con il procuratore del Tribunale e altre persone «spassionate» aveva potuto appurare che all’apparire del colera l’assessore all’annona Pasquale Pegazzani, si era rifugiato a Picinisco, che l’assessore Francesco Buonanno, il quale aveva perso due figli nell’epidemia colerica del 1887, si era stabilito a San Vittore del Lazio, che i due assessori Gaetano Notarmarco e Saverio Del Foco, entrambi farmacisti, erano rimasti in città «per accudire alle loro professionali faccende», che gli altri due assessori, Antonio Merola e Pietro Pedron, erano andati ad abitare in case ubicate in campagna a meno di mezz’ora dal centro cittadino così come il sindaco aveva portato la sua famiglia in un «villino di sua proprietà distante non più di 20 minuti dal centro» ma tutti e tre raggiungevano le loro dimore a «sera dopo avere di giorno accudito in Cassino alle proprie faccende ed adempiuto ai loro doveri»20. Infine la notizia della carrozza utilizzata per il trasporto dei colerosi senza misure sanitarie risultava una «gratuita affermazione di maligni» in quanto quella adibita a tale scopo era stata «addirittura tolta dal pubblico servizio» per ordine dell’Amministrazione comunale e utilizzata esclusivamente per il servizio agli ammalati.

Il sottoprefetto si preoccupò anche di verificare le questioni connesse con quelle opere pubbliche realizzate per il contenimento della diffusione del morbo nel corso dell’epidemia di colera del 1887 e su tale aspetto sembra smontare o ridimensionare le accuse in quanto alcuni addebiti evidenziati da Ettore Ranaldi non trovavano riscontro perché gli interventi del Comune erano stati eseguiti in ottemperanza alle disposizioni emanate dalle autorità superiori. Ad esempio risultavano false le asserzioni che i lavori per l’incanalamento delle acque di rifiuto della Fontana Rosa erano stati fatti eseguire «senza progetto, autorizzazione, asta» e con una progettazione approvata dopo la realizzazione, poiché era stato il prefetto della provincia ad autorizzare l’appalto a trattativa privata. Così se risultava vero che il pubblico lavatoio era stato realizzato senza progetto e relativo preventivo di spesa, il sottoprefetto chiariva che il lavoro era stato eseguito in ottemperanza alle disposizioni d’urgenza emanate dal sanitario dott. Achille Spatuzzi e dall’ingegnere del Genio Civile, Gaveglia, i quali, portatisi a Cassino nel corso dell’epidemia colerica del 1887, avevano scelto loro il luogo dove costruire il lavatoio. Tuttavia con l’andar del tempo tale sito si era rivelato «antigienico» ed era divenuto «impossibile» in quanto «bagnato da acque inquinate» provenienti da fogne pubbliche e private perché nel corso degli anni era stata rilasciata una concessione governativa di utilizzazione dell’acqua a favore del mulino Bindi. Inoltre in seguito alle disposizioni d’urgenza emanate nel 1887 sembrava che i costi di realizzazione dovessero andare a carico del Governo nazionale, cosa che non avvenne per cui all’Amministrazione comunale non restò che deliberare il pagamento all’appaltatore di L. 5.716,25 più gli interessi pari a L. 628,25 imputando tale spesa sul prestito di L. 20.000 ottenuto dal Comune per la realizzazione di opere di risanamento.

In merito alle questioni strettamente sanitarie, il sottoprefetto Tabanelli attestava che a inizio di settembre 1893 l’epidemia colerica poteva ritenersi cessata a Cassino anche in seguito alle prescrizioni fatte adottare negli anni precedenti dai «prof. Pagliani e Inghilleri». A fine della sua relazione il funzionario di Sora sollecitava il prefetto a voler offrire una qualche forma di riconoscimento a chi si era prodigato a Cassino a favore degli ammalati. In sostanza chiedeva una «parola d’incoraggiamento» al cav. Pasquale Grosso, un «encomio» alla guardia carceraria che aveva assistito i colerosi detenuti, una «qualche considerazione pel condannato che spontaneamente» aveva fatto da infermiere, e, soprattutto, che venisse elargito un «compenso» al delegato di P.S., sig. Luigi Fiore, il quale era stato «superiore ad ogni elogio» per aver soccorso la moglie della guardia carceraria, «sprovvista di tutto».

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COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI E INONDAZIONE

Quando l’epidemia scomparve definitivamente, fu chiamato a Cassino l’abate d. Gaetano Bernardi21 per la celebrazione di «solenni suffragi per i morti di colera». Il 7 novembre il prelato benedettino tenne nella Chiesa Madre una «festa di Carità», come egli stesso la definì, e nel corso di quella «santa e solenne commemorazione dei … poveri morti, miseramente rapiti all’amore [dei propri cari] dal terribil flagello che li percosse» dichiarò che «cotesta prova dei flagelli di Dio, voi, o Cassinati l’avete sostenuta con invitta pazienza e con sentimento di cristiana pietà sino alla fine»22.

Poco dopo un altro momento di grave difficoltà interessò la città in seguito allo straripamento del fiume Rapido. A partire dalla mattina del 12 novembre e per oltre ventiquattro ore continuò incessantemente a piovere, finché a mezzogiorno del giorno 13, Cassino fu inondata dalle acque. Già nel corso dell’estate precedente si erano avute abbondanti piogge che avevano provocato la caduta di «grossi macigni» dai monti circostanti il vallone di S. Silvestro nonché la distruzione di un ponte sulla via di Caira con conseguente formazione lungo il letto del fiume Rapido (Caùto) di una barriera naturale. Così quando a novembre arrivarono «con impetuosa velocità» le acque piovane «torbide e limacciose» che trascinavano «ciottoli e pietre di una certa grossezza, tronchi d’albero divelti», con uno spettacolo «imponente e sarebbe forse anche bello, se non fosse talvolta fatale», esse non trovarono sfogo nell’alveo del fiume per cui, dopo aver abbattuto alcuni muri di cinta, si gettarono all’interno della città «provocando gravissimi danni e perfino vittime umane». Un’enorme quantità di acqua inondò la parte bassa della città. Il notaio Filippo Matronola23, che aveva il suo studio al pian terreno dello stabile del Palazzo badiale, fu sorpreso dalla repentinità e dalla veemenza dell’inondazione. Costretto a rifugiarsi sui mobili dell’ufficio, fu salvato da alcuni uomini che lo legarono e lo issarono al primo piano dello stabile dove aveva sede il Tribunale. Negozi, cantine, botteghe furono invasi dall’acqua che raggiunse un’«altezza di due metri» nella «piazzetta tra le case de Feo-Nicoletti-Marino». In tale slargo, infatti, le acque non erano riuscite a defluire in quanto tra le case della piazzetta si erano venuti a trovare due carri lì parcheggiati, così gli sterpi e lo strame impigliatisi ai raggi delle ruote formarono una barriera che aveva finito per ostruire il passaggio. Quindi un «povero cenciaiuolo di Sora» si avventurò a nuoto in quella enorme pozza al fine di rimuovere i «limacciosi materiali». Con «infinita fatica», aiutato «con funi e pali dalla gente che era alle finestre», riuscì ad aprire un varco da cui le acque poterono iniziare a defluire24. Alla fine l’inondazione provocò molti danni materiali e, soprattutto, la morte di cinque persone, tra cui due bambini25.

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INDAGINE AMMINISTRATIVA E ISPEZIONE MINISTERIALE

Oltre alle questioni sanitarie connesse con la diffusione del colera, Ettore Ranaldi aveva provveduto a riportare nei suoi esposti una serie di accuse sulla cattiva gestione amministrativa ed economico-finanziaria attuata nel corso dell’ultimo decennio dall’Amministrazione Iucci e che, a giudizio dell’estensore, aveva causato una forte esposizione debitoria del Comune. Gli esposti riportano un elenco di lavori pubblici fatti eseguire con procedure di realizzazione nelle quali venivano ravvisate irregolarità amministrative e interessi privati. A parere dell’autore degli esposti, il sindaco e la Giunta avevano fatto eseguire le opere anche in assenza delle autorizzazioni delle autorità competenti, avevano appaltato i lavori utilizzando artifici tecnici, a trattativa privata e non attraverso gli ‘incanti’, cioè a base d’asta, allo scopo di favorire determinati impresari amici o parenti così come progettazione e collaudo tecnico dei lavori erano stati affidati a professionisti facenti parte della cerchia della parentela o delle amicizie del sindaco. Infine i costi delle opere erano sempre sensibilmente lievitati rispetto a quelli previsti dal progetto originario.

Così il sottoprefetto Tabanelli, dopo aver rassicurato i suoi superiori, con la relazione datata primo settembre 1893, sulle condizioni sanitarie di Cassino, il 17 settembre successivo stese un secondo, lungo e circostanziato rapporto, corredato da vari allegati, relativamente alle altre accuse, quelle di natura amministrativa ed economico-finanziaria, rivolte all’Amministrazione Iucci da parte di Ettore Ranaldi. Tuttavia, per approfondire l’indagine amministrativa che stava svolgendo, riteneva di dover acquisire ulteriori elementi per cui il primo novembre 1893 comunicò al prefetto che al più presto si sarebbe recato di nuovo a Cassino. Invece il funzionario di Caserta gli impose di sospendere la «gita» fino a nuove istruzioni in quanto in città si trovava, per lo stesso scopo, un ispettore generale del ministero dell’Interno. Evidentemente la gravità della situazione economica descritta aveva indotto gli uffici di controllo sugli enti locali di Roma a far svolgere una ispezione ministeriale, ponendo di fatto termine all’inchiesta del sottoprefetto Tabanelli. Infatti il ministero dell’Interno nominò un ispettore, il cav. Luigi Bianchi, che svolse la sua indagine nell’arco di due settimane comprese tra il 28 ottobre e l’11 novembre 1893. All’ispettore, la Cassino che si avviava verso la fine del secolo, sede di Tribunale, di carceri, capoluogo di mandamento, centro agricolo e commerciale, importante snodo viario e ferroviario, con un clima eccessivamente umido, appariva una cittadina dalle «discrete» condizioni economiche generali, anche se prostrata dall’epidemia di colera dell’estate precedente e dall’inondazione, dovuta allo straripamento del fiume Rapido, verificatasi il 13 novembre26.

I rilievi mossi da Ettore Ranaldi furono oggetto di approfondite ricerche svolte presso l’Archivio comunale e presso quello della Prefettura di Caserta, sia da parte del sottoprefetto di Sora, Decio Tabanelli, sia da parte del cav. Bianchi i quali esaminarono attentamente la documentazione circa la situazione patrimoniale del Comune e i bilanci, verificarono i libri contabili e gli atti amministrativi, nonché eseguirono controlli negli uffici municipali e nel carcere della cittadina27. Tutti e due i funzionari approntarono minuziose e lunghe relazioni nelle quali riferirono puntualmente sui vari ‘addebiti’ riportando dettagliatamente cifre, dati, verbali, nomi, fatti, circostanze rilevabili dalla documentazione ufficiale che avevano esaminato in merito alla realizzazione di un articolato complesso di lavori pubblici fatti eseguire dall’Amministrazione Iucci:

– lavori di «rattoppo del basolato di corso Vittorio Emanuele e via Varrone» appaltati per L. 57.000 e poi pagati L. 91.000 «senza giustificazione» per la maggiore spesa e senza che il Consiglio comunale fosse stato mai convocato per approvare il collaudo;

– lavori di sistemazione e realizzazione di strade pubbliche interne ed esterne (Peschiera S. Rocco-Formella-Principe Umberto-Corso Vittorio Emanuele-Marco Varrone-Campo dei Fiori-S. Andrea) il cui costo effettivo era risultato superiore di quasi L. 6.000 rispetto al progetto d’appalto;

– lavori di rifacimento dei marciapiedi della strada della stazione appaltati per L. 25.000 e poi collaudati per L. 40.000;

– lavori per il Palazzo municipale appaltati inizialmente per L. 24.000 (ripartiti tra spese per opere di costruzione, circa L. 13.000, e spese per la realizzazione delle decorazioni e l’acquisto dell’arredamento della nuova sede comunale). I lavori furono poi collaudati per L. 44.208. Poco prima dell’insediamento di Stanislao Iucci a sindaco, il Consiglio comunale aveva espresso l’esigenza di dotarsi di una nuova sede municipale. Venne presentato un primo progetto che prevedeva il completamento del fabbricato sovrapposto al vestibolo del teatro Manzoni, ma esso fu scartato poiché giudicato troppo oneroso. Venne perciò approvato un secondo progetto, più limitato, che comportava anche l’alienazione del vecchio edificio. Mentre era in corso la costruzione dell’edificio la nuova Amministrazione ravvisò e operò dei cambiamenti, delle varianti in corso d’opera si direbbe oggi, che fecero raddoppiare il costo finale. Il Consiglio di prefettura di Caserta ritenne che la procedura utilizzata dalla Giunta municipale avesse violato le disposizioni legislative vigenti. Poiché però i lavori suppletivi erano stati effettivamente eseguiti, come poté constatare un’ispezione dell’ingegnere capo del Genio civile, l’Organo provinciale di controllo ammonì la stessa Amministrazione comunale ma ritenne comunque di ammettere gli atti a sanatoria. La spesa effettuata per le decorazioni dell’edificio e della sala consiliare (con esecuzione di un disegno commissionato al pittore Domenico Lanni) e per l’arredamento fu giudicata uno «sperpero» di denaro pubblico (la sola scrivania del sindaco era costata L. 500), soprattutto in considerazione «dell’abbandono d’ogni servizio» pubblico. Lo stesso prefetto di Caserta giudicò «scandaloso» il lusso dell’arredamento. La relazione dell’ispettore Bianchi riporta anche la descrizione di alcuni arredi: «… nel Gabinetto del Sindaco sono due mobili in palissandro. La sala consigliare è fatta cogli stalli ad imitazione dei cori dei cronici. Se non lusso v’è certamente un’abbondanza che l’Amministrazione Comunale stima giustificata per la sede in Cassino del Tribunale e della Corte d’Assise»;

– lavori di costruzione di un «corridoio a ridosso del palazzo delle scuole» per un costo di L. 6.000. Per la realizzazione dell’opera il Comune aveva ottenuto un prestito pari a L. 3.000 e che dunque si era rilevato inferiore alla spesa sostenuta. Allora la copertura finanziaria fu trovata stornando i fondi di parte di un prestito contratto al fine di realizzare opere di risanamento e così il cimitero della frazione di S. Angelo «rimase incompleto» così come furono realizzate solo tre delle «quattro latrine progettate» (due a monte e una a valle della città) «con grave danno per la pubblica igiene». Inoltre era stato chiesto e ottenuto un ulteriore prestito di L. 30.000, concesso dalla Cassa Depositi e Prestiti a mezzo del ministero della Pubblica Istruzione, destinato all’ampliamento e restauro di tutto l’edificio scolastico28.

Inoltre nel corso dell’ispezione condotta dal cav. Bianchi era stato accertato un «ammanco di cassa» pari a L. 1.700. Oltre alle elevate spese affrontate per la realizzazione di opere pubbliche, influivano negativamente sul bilancio comunale la mancata riscossione di parte delle tasse e dei dazi a opera dell’esattore comunale (ad esempio sui ruoli dei possessori e utilizzatori di terre del demanio, degli appalti daziari su olio e zolfo le cui tariffe erano state ridotte perché, secondo le accuse contenute negli esposti, un consigliere comunale era un venditore all’ingrosso di oli e un altro negoziante di zolfi) così come il ruolo delle strade obbligatorie rendeva un terzo del dovuto non avendo l’Amministrazione provveduto «a fari i conti con l’Esattore». Inoltre i cittadini di Cassino erano soggetti solo al pagamento del dazio consumo e della tassa sul bestiame, né mai gli amministratori locali, nonostante fossero stati sollecitati dalle autorità, avevano provveduto a far ricorso all’applicazione della «tassa sul focatico, né a quella di esercizi e rivendite, né a quella del valore locativo». Solo dopo l’ispezione erano stati elevati «al massimo i centesimi addizionali e gravato il paese della tassa sulle farine».

In sostanza il bilancio comunale per il 1893, a fronte di un’entrata complessiva di L. 159.000, si chiudeva con un passivo pari a L. 61.700 (oltre all’ammanco di cassa era dovuti dei pagamenti per L. 15.000 a Daniele Macari, L. 9.000 ad Antonio de Luca, L. 16.000 a Silvestro Vallerotonda, L. 4.000 all’appaltatore del risanamento, L. 6.000 al fornitore della mobilia, L. 6.000 all’abate di Montecassino, L. 4.000 all’asilo infantile), più la corresponsione dei debiti contratti con la Cassa Depositi e Prestiti e gli interessi del 5 e mezzo o del 6% dovuti agli appaltatori per i lavori già eseguiti. Inoltre a tali somme andavano aggiunte anche le spese sostenute «pel colera e per l’alluvione», ma che non sarebbero risultate eccessive, e poi anche un debito emerso dopo l’inchiesta nei confronti del sig. Ciolfi di L. 5.000 «per carte e stampe».

Nella sua relazione il sottoprefetto Tabanelli scriveva che non si poteva fare «a meno di stringere dolorosamente il cuore» alla vista «del denaro di contribuenti profuso a piene mani» come stavano a dimostrare, ad esempio, le spese per «ornare» il palazzo municipale, il teatro e la Sala del consiglio con un «lusso» costato «somme ingenti» per lavori «sovente fatti senza preventiva autorizzazione di progetti» e poi «collaudati compiacentemente ed approvati tardivamente per sanatoria», mentre le condizioni igieniche della città, specialmente dei luoghi lontano dal centro e delle vicine frazioni erano stati lasciati in uno «stato di grave trascuranza» a «scapito della pubblica salute». Nell’evidenziare la posizione debitoria del Comune, di cui ne sottolineava la «gravità», si rendeva «necessario ed urgente», a suo giudizio, un «radicale rimedio». Giunse a definire la situazione di deficit come una «valanga» in procinto di «strangolare la finanza del Comune» che per essere arrestata avrebbe avuto bisogno di un’Amministrazione dotata di «ferma volontà» e di «coraggio», capace, cioè, di «affrontare le impopolari conseguenze di un bilancio serio» e «corrispondente al vero»29.

Anche per l’ispettore Bianchi, che pure giudicava la situazione finanziaria non così grave come rappresentata nell’esposto, la gestione del Comune doveva esser svolta da un’altra Amministrazione «più perita, più oculata ed osservante della legalità». Era necessario, cioè, un governo locale che si adoperasse per migliorare i servizi pubblici, particolarmente quelli igienici, che predisponesse un progetto articolato degli interventi e delle opere da realizzare, corredato da un piano finanziario adeguato. In sostanza, a giudizio del funzionario, la giunta Iucci aveva concluso il suo ciclo. Infatti essa si era dimostrata «imprevidente, mancante di energia, scarsa di competenza, inosservante della legalità, male accorta del buon interesse del comune» così come stavano a dimostrare la documentazione degli atti dei lavori e la diffusione dell’epidemia di colera. In conclusione l’ispettore ministeriale, considerato che in quei frangenti il sindaco era dimissionario e nella Giunta municipale mancava unicità d’intenti, chiedeva un «monito severo», un intervento «senza esitazione alcuna» da parte del governo, per cui proponeva lo scioglimento del Consiglio comunale30. Anche il nuovo prefetto di Caserta, Angelo Acanfora-Garolla, da poco insediatosi nella nuova «residenza», in un rapporto del 18 dicembre, concordava con la «elaborata relazione del cav. Bianchi», poiché gli amministratori comunali di Cassino, nei quali era consolidato il «cattivo sistema di tirare innanzi senza chiari e fermi criteri, ma solo a forza di espedienti», anche nel momento in cui erano stati «incalzati da inchieste e da una continua ingerenza governativa», perseveravano nell’applicazione del loro metodo politico come appariva dimostrato dall’emissione di «provvedimenti diretti a vivere, come si dice, alla giornata». Dunque mostrandosi concorde con l’«estrema misura proposta dal cav. Bianchi», anch’egli chiedeva l’emissione urgente di un Regio Decreto di scioglimento, fiducioso che una nuova Amministrazione sarebbe stata in grado di «apprezzare e fare suoi gli atti» dell’ispettore Bianchi.

Tuttavia i funzionari del ministero dell’Interno, se da un lato riconoscevano la gravità della situazione, dall’altro non ritenevano che il provvedimento più utile fosse quello di procedere all’immediata cessazione dell’attività del governo cittadino, anche per non aggravare le già «dissestate» finanze comunali. Dunque a loro giudizio la «negligenza del consiglio» poteva essere «paralizzata ed annullata» facendo ricorso ai normali poteri d’ufficio di cui erano dotate le Prefetture e le Giunte provinciali amministrative. Così il 7 febbraio 1894 venne comunicato ufficialmente al prefetto che il ministero avrebbe preso in considerazione la proposta di scioglimento del Consiglio comunale solo nel caso in cui i provvedimenti adottati dagli uffici governativi locali fossero risultati «insufficienti». In sostanza il ministero dell’Interno mostrava di non gradire la cessazione anticipata della legislatura consiliare con commissariamento e nuove elezioni, ma di preferire che il Consiglio comunale di Cassino trovasse al proprio interno la possibilità di giungere alla costituzione di un nuovo governo cittadino, di una nuova Amministrazione formata da altri interpreti.

Dopo aver appreso, evidentemente, quale fosse l’orientamento e l’intendimento delle autorità ministeriali, Ettore Ranaldi tornò a criticare l’operato del Governo Iucci con l’invio, il 9 marzo 1894, di un nuovo esposto indirizzato al direttore generale dell’Amministrazione civile, comm. Ferri Luzzi (preso in carica dal ministero dell’Interno il 22 marzo successivo con protocollo n. 36429). Ranaldi richiamava, in sintesi, i risultati dell’inchiesta svolta dal cav. Bianchi, aggiungendo che l’Amministrazione comunale, nonostante il forte deficit con cui si era chiuso l’esercizio finanziario, invece di provvedere a sfoltire i capitoli delle spese facoltative e di proporre radicali provvedimenti per il risanamento del bilancio, aveva approvato una delibera di contrazione di un ulteriore prestito con la Cassa depositi e prestiti «per la somma di L. 30.000». E se anche quest’ultimo Ente, pur «derogando ai suoi regolamenti», avesse provveduto all’erogazione del nuovo mutuo, tale assegnazione finanziaria, da un lato non sarebbe stata sufficiente «a coprire l’enorme passivo», mentre, dall’altro, avrebbe segnato un «altro disastro per la stremata finanza comunale». Chiedeva, dunque, che gli amministratori locali fossero ritenuti «responsabili del denaro speso per opere pubbliche illegalmente fatte eseguire» anche «senza progetti, senza subasta … senza un regolare collaudo» con alcune di esse progettate dal fratello del sindaco e collaudate dal suocero31.

A risolvere la questione fu il Consiglio comunale di Cassino che sul finire del 1894 accettò le dimissioni di Stanislao Iucci, il quale concludeva in tal modo la sua decennale esperienza di primo cittadino. Fu sostituito dapprima dal barone Francesco Buonanno, rimasto in carica per poco più di un anno, e poi, dopo una breve esperienza dell’avvocato Pietro Pedron in qualità di facente funzioni, da Loreto Lena32 che fu sindaco nel quinquennio 1896-1900.

Stanislao Iucci continuò a occuparsi delle vicende amministrative di Cassino in qualità di consigliere comunale ancora a lungo. Per circa un quarto di secolo lo si ritrova ancora tra i banchi del Consiglio comunale di Cassino nell’Amministrazione Lena, e, dopo il commissariamento, in quella di Antonio Martire (1901-1910), e in quella di Caio Fuzio Pinchera (1910-1920).

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* Rielaborazione e approfondimento di tempi già trattati nell’articolo di G. de Angelis-Curtis, Un ceto di notabili tra amministrazione e gruppi di interesse: i sindaci del cassinate alla fine dell’Ottocento (1870-1900), in S. Casmirri (a cura di), Le élites italiane prima e dopo l’Unità: formazione e vita civile, Caramanica ed., Marina di Minturno 2000, pp. 267-285.

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NOTE

1 Filippo Pacini, docente di Anatomia all’Università di Pisa e poi all’Istituto di Studi Superiori di Firenze, fece studi di istologia e ricerche sulla patologia del colera e per primo, nel 1854, vide e disegnò il vibrione anche se non venne preso in considerazione dalla comunità scientifica del tempo. Lo stesso vibrione venne nuovamente descritto nel 1884 da Robert Koch come l’agente patogeno del colera.

2 Scriveva Arnaldo Cantani (1837-1893) che la «causa del colera non è certamente una sostanza chimica attossicante, perché i veleni chimici non producono un’incubazione, né spiegherebbero il modo di diffondersi della malattia. Essa è certamente un microparassita, che ormai sembra da Koch con sicurezza dimostrato nei bacilli virgoliformi da lui scoperti». Quindi nel corso della grande epidemia di colera a Napoli del 1884 ebbe modo di veder confermate le sue teorie sulla natura del morbo e soprattutto avere riscontri sperimentali della validità del suo protocollo di cura utilizzato su un grande numero di casi già nello stato culminante del periodo algido (G. Dall’Olio, Epidemia di colera asiatico del 1886 a Venezia. Esperienze di cura con l’ipodermoclisi, in «La rivista italiana della medicina di laboratorio», vol. 5, n. 3-S1, 2009, pp. 227-232).

3 Le fonti bibliografiche locali rimandano, tutte o quasi, all’infierire in città di un’epidemia di peste. Tuttavia si deve far riferimento, più verosimilmente, al colera.

4 Francesco Petronzio di Gregorio e Fioralba Aloisio, scultore «nativo di S. Germano» forse nel 1778, coniugato con Rosa Pia e in seconde nozze con Alessandra Monti, morì il 6 agosto 1847. Oltre che come restauratore della statua dell’Assunta e realizzatore degli angeli originali che la adornavano, è ricordato come autore di vari opere lignee: la Madonna bianca di Canneto a Settefrati (1842), una culla bianca con Maria Bambina e due angeli a Vallerotonda e un S. Luigi Gonzaga a Cervaro (1840), nonché affrescò la volta della Biblioteca di Montecassino (1825) coadiuvato dal figlio Ferdinando Giuseppe (M. Sbardella, I Petronzio, scultori d’arte, in «Studi Cassinati», a. XVIII, n. 3, aprile-settembre 2018, pp. 165-174).

5 Su tali questioni cfr., fra l’altro, G. de Angelis-Curtis, La statua della Madonna dell’Assunta di Cassino, il suo recupero miracoloso nel 1944 e d. Francesco Varone, in «Studi Cassinati», a. XIX, n. 3, luglio-settembre 2019, pp. 221-237.

6 In definitiva la statua desta ammirazione in tutti per la sua «bellezza», per il suo «valore e pregio artistico; ma in maniera molto più grande [per] il suo valore religioso» (A. Pantoni, La Vergine SS. Assunta, in Maria SS. Assunta patrona della città di Cassino, a cura del Comitato Festeggiamenti 1984, ora in E. Pistilli, Le chiese di Cassino. Origini e vicende, Cdsc-Onlus, Cassino 2007).

7 Alcune fonti bibliografiche pongono, concordemente, l’evento al 1882. Tuttavia nella seconda metà dell’Ottocento le epidemie coleriche si palesarono quasi ogni anno, con pochi casi registrati dalle autorità sanitarie del tempo, ma talvolta, come nel 1867, 1887 e 1893, le infezioni si diffondevano con maggiore recrudescenza falcidiando la popolazione. A Cassino il morbo si palesò il 28 agosto 1887 e terminò il 31 ottobre (cfr. A. Mangiante, Il colera del 1887 a Cassino. Un ricordo del sottotenente dei Carabinieri Vittorio Emanuelli, in «Studi Cassinati», a. XII, n. 2, aprile-giugno 2012, pp. 151-154).

8 Archivio di Stato di Caserta, Prefettura-Gabinetto, Amministrazione comunale di Cassino, b. 105, f. 1150.

9 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Comuni, Cassino, b. 132.

10 Stanislao Iucci, nato a Cassino l’11 ottobre 1841, era il figlio secondogenito di Federico (avvocato, fervente patriota, garibaldino, sindaco di Cassino dal 1834 e il 1836 e consigliere provinciale di Terra di Lavoro dal 1861 al 1867). In gioventù Stanislao e i suoi fratelli (Giovanni, Alfredo e Aurelio), avevano avuto come precettore Francesco Labriola, padre del filosofo Antonio. Il 7 settembre 1863 conseguì il grado accademico di «Belle lettere». Fu prima consigliere comunale e poi fu sindaco di Cassino per un decennio nel periodo 1883-1894, oltre che presidente dell’Ospedale. Sposò Maria Schelembrid da cui ebbe almeno due figli: Guido (magistrato) e Aurelio (avv. militare).

11 Ettore Ranaldi, avvocato, viceconciliatore, fu presidente del Circolo democratico nonché componente, con funzioni di segretario, dell’Ufficio di presidenza del «Comizio elettorale» costituito per le elezioni politiche nazionali del 29 novembre 1882.

12 Ettore Ranaldi già da qualche anno criticava fortemente a mezzo stampa l’operato della Giunta Iucci con la pubblicazione di articoli di giornale. Ad esempio su «La Luce», Organo del Circolo elettorale politico amministrativo, a. I, n. 1, Cassino 5 maggio 1888, oppure su «La Bilancia», a. I, n. 14 del 19 ottobre 1891 in cui aveva evidenziato lo «sgoverno» di quegli amministratori che «né attend[evano] al buon andamento de’ pubblici servizi né cerc[avano] il miglioramento economico e morale del paese». Anche il sottoprefetto di Sora, in una relazione del 12 febbraio 1892, scriveva che a Cassino la situazione era «abbastanza deplorevole» così come quella finanziaria del Comune «non proiett[ava] luce molto favorevole» in quanto il bilancio «non riprodurrebbe lo stato vero delle finanze municipali ed un continuo lavorio di stornire di espedienti farebbe andare innanzi la nave dell’Amministrazione» (Archivio di Stato di Caserta, Prefettura, Gabinetto, Cassino. Amministrazione comunale, b. 81, f. 902).

13 Il prof. Luigi Pagliani, piemontese (1847-1932), docente di igiene dell’Università di Torino, dopo essere stato incaricato di effettuare un’inchiesta epidemiologica nel corso dell’epidemia di colera scoppiata in Sicilia nel 1885, prospettò, come rimedio, il risanamento igienico dei Comuni. Quando poi Francesco Crispi assunse l’incarico del dicastero dell’Interno vi istituì, con Regio decreto n. 4707 del 3 luglio 1887, la Direzione generale della sanità pubblica che affidò a Pagliani il quale, «con l’autorità della sua carica e con la competenza dello scienziato», ordinò al Comune di Cassino, come «gravissimo e urgentissimo provvedimento» di risanamento ambientale, di effettuare l’«abbassamento di livello di tutte le fogne e condotti del sottosuolo, di almeno due metri» (A. Tari, Cassino e le sue acque, Stab. Vallardi, Milano 1902, p. 22).

14 Secondo il dott. Cantani (cfr. nota n. 2) le cause della morte per colera erano dovute a una grave disidratazione cui era soggetto il paziente e quindi per curare i malati di colera bisognava provvedere a compensare con efficacia le grandi perdite di liquidi tramite l’introduzione di acqua salata tiepida per via sottocutanea, evitando la pericolosa via endovenosa o l’inefficace immissione in vescica e quindi disinfettare l’intestino e il sangue nel tentativo di «uccidere il microbio choleroso», o almeno diminuirne la «vitalità», tramite delle «irrigazioni intestinali di acqua fenicata, praticata mediante l’Enteroclismo» (G. Dall’Olio, Epidemia di colera asiatico del 1886 a Venezia … cit.). Le decozioni erano i decotti preparati con la bollitura di droghe vegetali.

15 Da intendere, forse, che il locale fosse sfornito di tutto, tanto che al momento del ricovero dell’ammalato dovette essere utilizzata la sua divisa da carabiniere come cuscino.

16 Attualmente popolosa frazione del Comune di Corigliano-Rossano, in provincia di Cosenza.

17 Pasquale Grosso, nato a Cassino il 3 ottobre 1825, figlio di Giuseppe Pio e Rosa Ranaldi, era stato sindaco di Cassino nel quinquennio 1866-1871.

18 Ottavio Penta fu pretore a Roccasecca dal 1885 al 1890 e nel 1892 e poi a Cassino dal 1893 al 1895.

19 All’epoca funzionavano le farmacie dei dott. Saverio Del Foco, Girolamo Matronola, Gaetano Notarmarco, Crescenzo Paglia e Carmine Valerio.

20 Anche in occasione della precedente pandemia di colera, quella del 1887, gli amministratori comunali furono accusati di essersi fatti prendere dalla «paura» che aveva «invaso gli animi delle autorità Municipali, sicché fu quasi una fuga generale, mentre i soli che restarono al loro posto adempiendo al loro dovere furono due assessori» e cioè Agostino Marini e Pietro Fiorentini con quest’ultimo che «tornò al suo posto sfidando il pericolo, e provvedendo coll’opera sua a lenire ogni maggiore sventura» («La Luce», Organo del Circolo elettorale politico amministrativo, a. I, n. 1, Cassino 5 maggio 1888).

21 Don Gaetano Bernardi, nato a Caramanico Terme (Chieti) il primo novembre 1827, fu docente di letteratura a Sulmona e a Napoli. Coadiuvò il cardinale Dusmet nella fondazione del nuovo collegio S. Anselmo in Roma, di cui fu il primo abate, mentre nel 1894 fu nominato abate presidente della Congregazione Cassinese. Si spense a Montecassino il 7 febbraio 1895. Pubblicò il volume Avviamento all’arte del dire (1a edizione Tip. Montecassino 1869, cui seguirono varie altre edizioni) adottato come testo per le classi superiori del Ginnasio.

22 Cfr. Sermone dell’abate d. Gaetano Bernardi letto in Cassino il 7 novembre 1893 nei solenni suffragi per i morti del colera, p. 4.

23 Filippo Matronola era nato a Cassino l’11 marzo 1841 e aveva conseguito il titolo accademico in legge il 28 maggio 1862.

24 A. Tari, Cassino e le sue acque, Stab. Vallardi, Milano 1902, pp. 19, 28-29.

25 T. Vizzaccaro, Cassino dall’Ottocento al Novecento, S.E.L. Ed., Roma 1977, p. 240.

26 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Comuni, Cassino, b. 132. Il cav. Luigi Bianchi non dovette assistere allo straripamento del fiume Rapido per questioni di ore. Egli, infatti, come scrisse nella sua dettagliata relazione, lasciò Cassino, diretto a Roma, «la sera dell’11 novembre … coll’ultimo treno», mentre la pioggia iniziò a cadere a partire dalla mattina del giorno successivo. Il funzionario dovette essere informato della tragica situazione venutasi a determinare e nell’apprestarsi a redigere la sua relazione, datata 22 novembre 1893, accennò anche all’episodio.

27 Il sottoprefetto Tabanelli poté constatare che la tenuta dei libri contabili e degli atti in genere lasciava «molto a desiderare» così come nell’Archivio comunale i registri dell’anagrafe presentavano «varie irregolarità» al pari di quelli delle deliberazioni (Archivio di Stato di Caserta, Prefettura-Gabinetto, Amministrazione comunale di Cassino, b. 105, f. 1150). Invece l’ispettore Bianchi poté constatare che una sezione dell’Archivio comunale era stata impiantata in un palco del Teatro Manzoni (Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Comuni, Cassino, b. 132).

28 In sostanza, lamentava Ranaldi, la costruzione dello stabile per il Ginnasio inferiore, definito come «larva» e dove insegnavano «professori semplicemente tollerati», aveva comportato una spesa in pochi anni di L. 80.000 «senza utilità di sorta» perché le famiglie di Cassino continuavano a scegliere, per la frequenza dei propri figli le scuole di Montecassino, Arpino o Sessa Aurunca. Già qualche anno prima Ettore Ranaldi aveva pubblicato nel periodico «Terra di Lavoro», a. I, n. 11, S. Maria Capua Vetere, 10 dicembre 1887, un articolo, dal titolo Da Cassino, in cui criticava l’operato dell’Amministrazione di Cassino in generale e le spese per il Ginnasio in particolare.

29 Archivio di Stato di Caserta, Prefettura-Gabinetto, Amministrazione comunale di Cassino, b. 105, f. 1150.

30 Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Comuni, Cassino, b. 132.

31 Archivio di Stato di Caserta, Prefettura-Gabinetto, Amministrazione comunale di Cassino, b. 105, f. 1150.

32 Loreto Lena, nato a Cassino il 16 settembre 1837, avvocato, consigliere comunale fin dal 1861 poi assessore nella Giunta Nicoletti, fu anche consigliere provinciale di Terra di Lavoro dal 1870 al 1885.

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