Note su G.P. Mattia (alias G.P.M. Castrucci) e sulla traditio della secentesca Descrittione del ducato di Alvito


Print Friendly, PDF & Email

.

Studi Cassinati, anno 2017, n. 1
> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf
> Scarica l’articolo in pdf
.

di Lorenzo Arnone Sipari

.

Premessa*

L’esame delle vicende storiche della Val di Comino e dei suoi centri tra Cinque e Seicento richiede la lettura critica e il confronto di tre opere descrittive coeve, sulle quali, tuttavia, mancano specifici contributi a carattere filologico, come non esistono documentate biografie dei rispettivi autori.

La prima di queste fonti, datata al 1574, è la Discrittione di Giulio Prudenzio, nipote per parte materna dellʼumanista Mario Equicola, che circolò in più redazioni manoscritte, una delle quali pubblicata nel 19081.

La seconda è una Relatione del 1595 (ma ha visto la luce soltanto nel 1997), il cui estensore, ancora anonimo, andrebbe cercato nellʼentourage del cardinale Tolomeo Gallio, cui era indirizzata e che aveva acquistato il feudo alvitano nello stesso anno2.

Ultima, dal punto di vista cronologico, si colloca la Descrittione del 1633, finora attribuita, ma soltanto sulla base dei suoi elementi testuali e peritestuali, a un medico alvitano di nome «Gio[van] Paolo Matthia Castrucci»3.

Poiché tra le segnalate descrizioni questʼultima è stata la sola a ricevere il coevo imprimatur, la stessa si è configurata per secoli come principale fonte del territorio cominese, raccogliendo una non trascurabile attenzione da parte della storiografia e della critica letteraria, in particolare per le vexatae quaestiones dellʼubicazione della Cominium sannitica citata da Tito Livio4 e delle origini familiari dellʼEquicola5.

Tale attenzione si rispecchia nella sua fortuna editoriale, giacché la pubblicistica ne ha enumerato, invero in maniera stereotipata, quattro edizioni comparse tra XVII e XIX secolo. Di esse, però, solamente tre sono certe (dʼora in poi, rispettivamente, Stampa 1633, Stampa 1686 e Stampa 1863), dovendosi dubitare dellʼeffettiva uscita dai torchi della cosiddetta “seconda edizioneˮ (Stampa 1684). Ma questo appare soltanto uno, e forse il meno rilevante, dei non pochi aspetti che scaturiscono dalla collazione delle edizioni sei-ottocentesche disponibili della Descrittione.

In questa sede, infatti, anticipando i principali esiti di quel confronto, integrato da fonti di diversa natura, si dà conto della trasmissione dellʼopera, anche per rendere più lineare la lettura della biografia del suo autore, le cui generalità, che si documentano per la prima volta, non corrispondono a quelle finora note.

 

Curatele esplicite e occulte nelle edizioni della Descrittione

Non si conoscono redazioni manoscritte della Descrittione, la cui ultima stesura, in ragione degli elementi offerti dalla lettera dedicatoria, dovette interessare il periodo tra lʼestate e il 1° dicembre 16326.

editio princeps uscì dalla tipografia romana di Francesco Corbelletti nel 1633 (in ottavo, di pp. 168), verosimilmente entro il 4 aprile7. La prima metà del frontespizio reca, dopo il titolo, la separazione in due diversi righi di quelle che si ritenevano essere le generalità dellʼautore: sopra, in capitali più grandi, «Gio: Paolo Matthia»; sotto, in egual carattere ma di dimensioni più piccole, «Castrucci, dʼAlvito». Di questi, in un ulteriore rigo, viene offerta la qualifica di «Dottor Filosofo e Medico».

Nella seconda metà del frontespizio campeggia lo stemma calcografico di pertinenza di Francesco Gallio,

Frontespizio dell’editio princeps (Biblioteca Universitaria Alessandrina - Roma su concessione del Ministero per i Beni e le attività Culturali e del Turismo, con divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi altro mezzo).

Frontespizio dell’editio princeps (Biblioteca Universitaria Alessandrina – Roma su concessione del Ministero per i Beni e le attività Culturali e del Turismo, con divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi altro mezzo).

secondo duca di Alvito (1613-1657), cui lʼopera era dedicata. Lʼelemento araldico va posto in connessione con lʼimprimatur, presente al verso dello stesso foglio, concesso dal maestro del palazzo apostolico Niccolò Riccardi, figura studiata in relazione allʼaffaire Galileo8, su richiesta del vice-gerente Antonio Tornielli, futuro vescovo di Novara, di famiglia nobile legata ai Gallio tramite i Borromeo9. Ciò sembra collocare anche la Descrittione nellʼalveo di quel controllo editoriale, parallelo e forse più capillare rispetto a quello ecclesiastico, che si andava diffondendo tra i feudatari proprio dal Seicento10.

Il testo della Stampa 1633 è formato da due parti distinte: la prima, anticipata da titolo e da sommario, tratta dei diversi centri che componevano il ducato (Alvito, San Donato, Settefrati, Picinisco, Gallinaro, Atina, Belmonte, Vicalvi, Posta, Campoli), osservandone i principali lineamenti storici, insediativo-urbanistici e socio-economici; la seconda, in cui vengono riportati nuovamente titolo e sommario, nome e qualifica dellʼautore, oltreché la corrispettiva prefazione, consiste in una digressione sullʼinflusso cosmico tanto sugli aspetti climatici peculiari dei suddetti centri quanto sulle inclinazioni dei loro abitanti. È presente, infine, una sezione autonoma (che però, nelle successive stampe, si fonderà quasi nella seconda parte), concernente la descrizione della Villa Gallio a Posta, oggi Posta Fibreno11, al termine della quale si trova lʼerrata corrige.

Dal punto di vista letterario, il peritesto e il testo si caratterizzano, come si evidenzierà nel paragrafo successivo, per il parziale camuffamento delle generalità dellʼautore, e di altri esponenti della sua famiglia, con lʼaggiunta di un cognome (Castrucci), sì, fittizio, per il caso di specie, ma presente e radicato nella comunità alvitana dellʼepoca.

La principale fonte della prima parte, che qui più interessa, non è compresa fra le auctoritates classiche, cui pure si fa frequente ricorso, né viene mai esplicitata: si tratta di un esemplare della Discrittione di Prudenzio. Divergenti nello stile, più sintetico e con un registro più elevato il nipote dellʼEquicola, più articolato e spesso prolisso lo storiografo ducale, ma speculari nellʼimpostazione, e con talune concordanze su personaggi ancora enigmatici12, fra i due descrittori si sostanzia in più dʼuna occasione una sorta di dialogo a posteriori. Così, mentre per il primo erano genericamente venuti ad assistere a un miracolo, che si sarebbe verificato nella località alvitana di S. Maria del Campo, «il tale e il Tal Papa», il secondo si spingeva a precisarne nome del pontefice («Leone Papa») e periodo (IV sec.); analogamente, al primo che affermava che tra lʼex tesoriere pontificio Bernardino Elvino e la dignità cardinalizia si era frapposta la morte, “rispondevaˮ il secondo asserendo che quella dignità gli fosse stata concessa prima della scomparsa13.

È esemplare, di questo confronto a distanza, lʼintreccio sulla storia di Atina: allʼistanza di approfondimento di Giulio Prudenzio («Sarìa da dirne pur assai, ma se ne sa poco al respecto che ne fu») fa seguito lʼautore della descrizione ducale, che dedica alle vicende di quella cittadina lo stesso spazio riservato alla storia della “capitaleˮ del feudo Gallio. Ciò acquista particolare rilevanza, perché proprio da quellʼapprofondimento, che vedeva frantumare ˗ peraltro sotto lʼegida ducale ˗ la coincidenza tra lʼAtina potens virgiliana e la moderna Atina, sarebbe scaturita la replica di un erudito conterraneo, lʼatinate Marcantonio Palombo, il cui specifico intervento, datato non oltre il 163414, documenta la circolazione dellʼeditio princeps già allʼindomani dellʼuscita dai torchi, anche a livello locale15. Del resto, per rimanere entro la metà del sec. XVII la stampa, che dovette avere una tiratura di pochi esemplari16, non sembra ricevere che un paio di attestazioni: quella dellʼabate Ciarlanti, il quale la utilizzò nel 1644, e quella dellʼantiquario francese Christophe Dupuy, che da Roma ne riferì lʼacquisto ai fratelli in una missiva del 24 ottobre 165017.

Una maggiore attenzione alla Descrittione si registra nel corso del Settecento, in particolare con eruditi e storiografi regnicoli, tra i quali Erasmo Gattola, Francesco Antonio Soria e Lorenzo Giustiniani18, i quali utilizzarono per i propri studi la Stampa 1686, uscita a Napoli, per i tipi Cavallo e Muzio (in ottavo, di pp. 144). Questa edizione si inserisce nellʼultima fase di vita di Tolomeo Gallio, secondo esponente di tal nome nella successione dinastica di un ramo ormai napoletanizzato19 e terzo duca di Alvito (1657-1687).

Il frontespizio, che riporta sullo stesso rigo “nomiˮ e presunto cognome dellʼautore, presenta sotto il titolo la dicitura «Stampata nellʼAnno 1633. e ristampata nellʼAnno 1684. con aggiunta in margine di diverse cose, di cui al presente il sudetto Stato si ritrova accresciuto» e, in fondo, il seguente legame editoriale: «In Roma, per Francesco Corbelletti 1633. & in Napoli, per Camillo Cavallo, e Michele Luigi Mutij 1686». Poiché siffatti elementi peritestuali si sono prestati a più dʼuna lettura20, non appare superfluo chiarire che una delle innovazioni di questa edizione risiede nella presenza di glosse, che aggiornano, almeno in un caso, allo stesso 168621. La seconda innovazione è nella collocazione in appendice di un adulatorio Discorso, dedicato per lʼappunto a Tolomeo II, a firma di tal «Cesare Yoli», che riconduce le origini della schiatta Gallio allʼantica gens Gallia per mezzo di una ricostruzione pseudosfragistico-genealogica22.

Ben più rilevante è la presenza nel testo di alcune interpolazioni, come tali sconosciute allʼeditio princeps, che interessano prevalentemente la storia dei casati alvitani. In particolare, si appalesano come lezioni esclusive del curatore occulto della Stampa 1686 i passi riferiti sia alle origini e ai privilegi della famiglia Ioli (si noti la variante dellʼiniziale rispetto al cognome dellʼautore del Discorso), che veniva segnalata originaria di Padova (mentre Prudenzio la sanciva di Boiano), sia alle origini e scritture della casata dei Tinti ovvero Del Tinto, nonché la sola parte riguardante il privilegio sul possesso del suffeudo «La Palombara», che sarebbe pervenuto ai Prudenzio attraverso lʼoriginaria concessione allʼEquicola23. La prima delle riferite interpolazioni, a prescindere dal ruolo avuto nella stampa dal citato Yoli, configura lʼespediente per rafforzarne il retroterra, in funzione dedicatoria, conferendo cioè una cornice introduttiva autorevole a un suddito di antica casata che si apprestava ad adulare il proprio principe.

Sta di fatto che, in quanto aderenti alla complessiva rivisitazione di unʼopera che doveva celebrare il mecenatismo compiuto da un feudatario che stava per venir meno, le accennate varianti sono indipendenti dallʼesistenza di un testimone intermedio. Si fa qui riferimento alla presunta Stampa 1684, censita en passant da cataloghi, eruditi e bibliografi, per alcuni uscita a Roma, per altri a Napoli, in ogni caso senza farne conoscere formato e pagine24.

Si tratterebbe, in sostanza, come suggeriva lʼosservato frontespizio, di una mera ristampa. Tuttavia, fa propendere avverso la sua uscita dai torchi una serie di elementi solidi, fra i quali lʼassenza di citazioni dirette e lʼambiguità frontespiziale della Stampa 1686 in rapporto allo speculare precedente registrato nellʼattività editoriale di almeno uno dei due tipografi25.

La storia della Descrittione si arricchisce, infine, della Stampa 1863, curata da Stanislao DʼAloe26 e uscita sempre a Napoli, presso la stamperia Piscopo (in sedicesimo, di pp. 200). Dedicata al canonico alvitano Michele Castrucci (1811-1895), essa si caratterizza non tanto e non solamente per una versione tipografica «scorrettissima»27, e sin dal frontespizio («quarta edizione riveduta, corbetta [sic] e di note e giunte adornata»), quanto soprattutto per la volontà di mascherare, sottoforma di edizione critica, le lacune fin qui osservate.

Nelle note biografiche introduttive, in cui si allacciano senza legami le radici familiari dellʼautore della Descrittione a una omonima schiatta del patriziato lucchese, DʼAloe tenta di suggerire di aver effettuato un confronto tra tutti i testimoni a stampa28. La sua curatela, invece, si rifà sulla sola Stampa 1686, accogliendone i passi spuri. In più, egli modifica alcune date poco aderenti alle acquisizioni storiche e al suo stesso architrave “filologicoˮ29.

In appendice è presente una Giunta di notizie dellʼeditore (nella fattispecie coincidente con il curatore), che aggiorna le vicende del territorio oramai ex feudale alla data dellʼimpressione. Chiude il volume un «Avvertimento», che si configura come addenda, probabilmente però non di mano di DʼAloe30.

Ciò che maggiormente interessa, ai fini della traditio, è che la Stampa 1863 cristallizza e consolida, anche per lʼepoca in cui è venuta alla luce, le lezioni spurie e il cognome fittizio dellʼautore ˗ che verranno maggiormente amplificati oltre un secolo dopo31 ˗, contribuendo a formare un complesso intreccio, in cui tradizione bibliografica, memorie familiari e contributi della pubblicistica si sono fusi senza soluzione di continuità32.

.

Due ritratti per «Matthiae Albetani»

Allʼimmagine dellʼautore bibliografico della descrizione del ducato di Alvito sono legati, tra XVIII e XIX secolo, due ritratti, gemmazione lʼuno dellʼaltro: il primo, una xilografia giustapposta allʼantiporta di un esemplare della Stampa 1686, lo mostra a mezzo busto, rivolto a sinistra, con volto gonfiato dallʼetà, fronte alta e capelli mossi, baffetto e pizzetto, con indosso un abito tipicamente secentesco33; il secondo, un disegno che corredava un articolo uscito anonimo, nel 1853, nel «Poliorama Pittoresco», appare la rivisitazione del precedente ritratto in chiave più edulcorata, ringiovanito nei tratti, con eguale posa, stessi abiti e medesima acconciatura34. Altrettanti ritratti, ma fra loro decisamente contrapposti, scaturiscono dagli esiti, il primo, della traditio dellʼopera e, il secondo, delle fonti archivistiche.

I principali cenni biografici dellʼautore della Descrittione risalgono a Francesco Antonio Soria, che ne scriveva nellʼultimo ventennio del XVIII secolo. Secondo il predetto sacerdote salernitano, Castrucci, che dovette ricevere la prima istruzione a Sora, da cui in seguito si sarebbe mosso alla volta di Roma, ove avrebbe conseguito la laurea in medicina intorno allʼanno 1600, sarebbe nato e morto ad Alvito, in un torno di tempo che si dipana da «circa il 1575» a «dopo il 1633»35.

Detti estremi approssimativi si sono stratificati nella letteratura relativa allʼopera, finendo, in tempi più recenti, per essere adottati a effettivi, pur senza alcun concreto supporto documentale36. Ad eccezione del riferimento alla prima formazione, che non sembra trovare precedenti (né successive) attestazioni, Soria dovette desumere le informazioni direttamente dalla Descrittione. Il suo autore, infatti, offre incidentalmente dei riferimenti personali. Tra questi, oltre allʼesplicitazione della provenienza e della professione già dal frontespizio, segnala di aver studiato medicina a Roma, dove nel 1600, ancora studente, divideva la stanza con un coetaneo alvitano, e si elenca tra i tre medici che svolgevano la professione nella cittadina ducale37. Fin qui i tratti salienti noti.

Lʼesito dellʼindagine archivistica, se da una parte conferma lʼevidenziato arco cronologico di massima, fotografa dallʼaltra il venir meno della tradizione onomastico-editoriale. Le fonti parrocchiali alvitane, che decorrono dagli anni Ottanta del sec. XVI, si presentano assai frammentarie ben oltre la metà del secolo successivo. Tuttavia, i libra dellʼantica parrocchia di S. Giovanni Battista, cui afferivano tra Cinque e Seicento le più cospicue schiatte dimoranti nella parte valliva di Alvito, mentre non accostano mai un nome (o un cognome) “Matthia” a un cognome Castrucci, registrano almeno una famiglia «Matthia» o «Mattia»38, rappresentata a cavallo di quei due secoli dal medico «Gio[v]an Paolo». Questʼultimo, per inciso, è lʼunica persona rinvenuta con quel composto onomastico e di quella professione, in epoca moderna, sia fra tutte le fonti parrocchiali alvitane, sia fra quelle coeve attinenti consultate. E come tale, sebbene non sia stato possibile rinvenirne gli atti di battesimo, matrimonio e morte, lo si ritrova attestato in diverse occasioni: nel

Atto di battesimo di Carlo Mattia, figlio di Giovan Paolo, del 18 marzo 1613 (in APA).

Atto di battesimo di Carlo Mattia, figlio di Giovan Paolo, del 18 marzo 1613 (in APA).

1594 è padrino di battesimo di Virginia Prudenzio39, figlia cadetta di Giulio, il secondo esponente noto di tal nome dopo lʼautore della Discrittione del 1574 e anchʼegli laureato in medicina40; nel 1606 è presente come testimone a un rogito notarile, che sottoscrive, relativo alla permuta di un terreno in località Castello di Alvito41; nel 1613, il 18 di marzo, precisato come «dottor medico», assiste con la moglie, Lorenza, al battesimo del figlio, Carlo Giuseppe, forse il loro primogenito42; rispettivamente nel 1616 e nel 1621, sempre con la stessa consorte si trova al fonte per il battesimo di altri due figli, Francesco e Giovan Battista43.

Dallʼ11 febbraio 1625, data in cui risulta testimone a un matrimonio44, non è dato trovarne più notizie (i libra parrocchiali presentano, tra le altre, una consistente lacuna tra il 1624 e il 1629) sino alla comparsa dellʼeditio princeps. Che il Giovan Paolo Matthia Castrucci come appare dal solo livello bibliografico, e da questo per disseminazione alla traditio dellʼopera, e il medico di casa Matthia siano la stessa persona è ormai fuori di dubbio. Unʼulteriore conferma proviene dalla fonte letteraria sul caso in esame più autorevole, sia per datazione che per ambito territoriale, vale a dire lʼHistoria di Palombo: nelle occasioni in cui il notabile di Atina ne fa espresso riferimento, e in linea con lʼesplicitazione delle altre auctoritates, lo sancisce come «Joannes Paulus Matthias» e «Matthiae Albetani»45.

Vi è di più. Al pari di Giovan Paolo, altre persone riconducibili alla schiatta Mattia sono registrate a livello editoriale con lʼaggiunta paracognominale. Va da sé che anche per esse il discorso non muti. Le fonti estranee alla consegna tràdita della Descrittione ducale ne attestano, infatti, il vero e unico cognome: così il «Lonardo Matthia Castrucci», che lʼopera, nelle diverse declinazioni a stampa, indica come colui che aveva eretto, nellʼantica chiesa di S. Giovanni Battista, la Compagnia della Concezione di Maria che marita le orfane46, nellʼatto di matrimonio della figlia è precisato senza il cognome bibliografico e, soprattutto, come appartenente alla casa «Mattia de [Base]lice»47; così «Fabiano Matthia Castrucci», segnalato dalle stampe nelle vesti di protonotario apostolico48, ha effettivamente tale carica, ma soltanto il cognome Matthia, come risulta dalla sua investitura ecclesiastica49.

Anche un quarto esponente della famiglia Mattia appare “nobilitatoˮ dalla Stampa 1633: si tratta di Carlo, figlio di Giovan Paolo, di cui si è già dato conto sopra. Egli e due suoi coetanei (Annibale Claro e Giacomo Simeone), censiti da quella edizione come i soli studenti alvitani in Napoli50, vengono però espunti dalla Stampa 1686, che predilige un più generico «numerosi studenti»51, formula a un tempo meno contraddittoria dal punto di vista cronologico, per il rilevato camuffamento onomastico, e più gratificante nellʼottica ducale.

Il dato di fatto che le fonti archivistiche non censiscano con il doppio cognome né Giovan Paolo né, soprattutto, i suoi discendenti diretti appare dirimente rispetto a unʼipotesi di aggiunta cognominale connessa a pur sempre possibili legami parentali. Ciò, del resto, vale a scansare la più astratta delle argomentazioni in contrario, quella cioè di una filiazione naturale, che può essere esclusa anche avendo riguardo al rilievo economico-sociale dellʼeffettiva famiglia dello storiografo, da quel punto di vista e in quel torno di tempo non inferiore a quelle col cognome Castrucci52. Gli atti parrocchiali qualificano Giovan Paolo come Magnificus, trattamento che accomuna, nel periodo e nel contesto parrocchiale di riferimento, membri di poche famiglie, siano esse nobilitate da privilegi trascorsi, seppur in decadenza (è il caso dei Gutter seu Guttierrez), o con esponenti appartenenti a un qualche cavalierato (Calvi e Tedeschi) e/o al ceto dei professionisti, nel campo del diritto come in quello della medicina (Brusca, Claro, Del Tinto, Mancini, Panicali, Prudenzio). In effetti, già lʼanonima ma asciutta Relatione del 1595, che almeno per i nomi sembra offrire molte più certezze delle descrizioni prudenziane e “castruccianeˮ, collocava tra i suffeudatari delle terre cominesi e tra i benestanti di Alvito diversi esponenti dal cognome Matthia53.

Gli esiti fin qui esposti, mentre rimandano a interventi di camuffamento e di nobilitazione editoriale ai quali, e a prescindere dalle volontà dellʼautore, non furono di certo estranei gli ambienti ducali, comprovano che un «Gio[van] Paolo Matthia Castrucci» come autore della Descrittione del ducato di Alvito è il frutto di una tradizione infondata, il cui termine a quo va fatto coincidere ˗ stante il perdurare della lacuna di una o più redazioni manoscritte ˗ con lʼuscita dellʼeditio princeps.

Firma autografa di Gio. Paolo Matthia (Archivio Storico Diocesano - Sora).

Firma autografa di Gio. Paolo Matthia (Archivio Storico Diocesano – Sora).

.

.

*Abbreviazioni delle fonti archivistiche: Archivio di Stato di Roma = ASR; Archivio Storico della Diocesi di Sora-Aquino-Pontecovo (fondo Archivio Diocesi di Sora) = ADSª; Idem (fondo Archivio Diocesi di Sora-Aquino-Pontecorvo) = ADSᵇ; Archivio della parrocchia di S. Simeone Profeta di Alvito (fondo San Giovanni Battista) = APA. Si ringraziano i direttori della Biblioteca Universitaria Alessandrina (Roma) e dellʼArchivio Storico Diocesano (Sora), nonché il parroco di S. Simeone Profeta (Alvito), per aver autorizzato la riproduzione delle immagini pubblicate a corredo del presente articolo.

.

Note

1 Discrittione dʼAlvito et suo Contato raccolta parte dal trovato, parte dal visto et parte dallo inteso per Giulio Prudentio dʼAlvito (1574), in D. Santoro, Pagine sparse di storia alvitana, I, Jecco, Chieti 1908, pp. 227-257 (su più testimoni circolanti: ivi, pp. 236, n. 11, e 256, n. 23). Lʼesemplare si trovava in una miscellanea di fonti, andata distrutta durante la II guerra mondiale, che faceva parte di unʼopera in 7 voll. mss. dellʼerudito Marcantonio Palombo (1570 ca-1640): cfr. C. Vircillo Franklin, Introduction, in Eadem (a cura di), The Ecclesiae Atinatis Historia of Marcantonio Palombo (Codd. Vat. lat. 15184-15186), I, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1996, p. 60. Le scarne risalenti notizie su Prudenzio (sec. XVI) sono compendiate, ora, nel Dizionario storico biografico del Lazio. Personaggi e famiglie nel Lazio (esclusa Roma) dallʼantichità al XX secolo, III, Ibimus, Roma 2011, p. 1628.

2 Relatione familiare de lo Stato dʼAlvito fatta a lʼIll.mo sig.re Card.le di Como 1595, in Il Ducato di Alvito nellʼEtà dei Gallio, II, Banca della Ciociaria, Alvito 1997, pp. 11-50. Per un inquadramento della Val di Comino durante lʼinfeudamento dei Gallio, che la possedettero dal 1595 al 1795, si rinvia ai contributi ivi, I: «Atti», pp. 13-398. Sul cardinale Tolomeo Gallio (1526 ca-1607) si veda la voce di G. Brunelli, in DBI, 1998, 51, pp. 685-690.

3 Descrittione del Ducato di Alvito nel Regno di Napoli, in Campagna Felice Divisa in due Parti. Di Gio: Paolo Matthia Castrucci, dʼAlvito Dottor Filosofo e Medico, Francesco Corbelletti, Roma 1633. Si cita dallʼesemplare conservato presso la Biblioteca Universitaria Alessandrina di Roma.

4 Per lʼampia letteratura sul tema si veda F. Senatore, Le vicende belliche del 293 a.C. e il dibattito storiografico sullʼubicazione di Cominium, appendice a Idem, Sanniti e Romani tra il Liri e il Melfa, in H. Solin (a cura di), Le epigrafi della Valle di Comino, Atti del quarto convegno epigrafico cominese, Genesi, [Cassino] 2008, pp. 184-191.

5 Tra gli altri, con particolare riferimento alla fonte in oggetto, D. Santoro, Della vita e delle opere di Mario Equicola, Jecco, Chieti 1906, pp. 7-8 e 11; S. Kolsky, Mario Equicola. The real courtier, Droz, Genève 1991, specie pp. 19-21.

6 Stampa 1633, [pp. 3-4]. La congruità della datazione sembra confermata dallʼelenco dei professionisti originari di Picinisco, in cui si fa riferimento anche a un imprecisato «medico di casa Passi[o]» (ivi, p. 80). Lʼunico di questa famiglia rinvenuto nei decreti del Collegium Urbis è un Loreto, addottoratosi proprio in quel torno di tempo: cfr. ASR, «Università», II, «Collegio medico», s. IV, «Liber Decretorum», reg. 50, f. 176r, 19 novembre 1632.

7 Il termine ad quem è desunto dalla data di morte del frate cappuccino Giovanni Battista dʼAlvito, al secolo Felice Tagone, segnalato come vivente dalla Stampa 1633 (pp. 59-60), il cui decesso è registrato, per lʼappunto, sotto il 4 aprile 1633: cfr. G. da Sorbo-C. da Napoli, Breve notamento de tutti li frati cappuccini quali sono passati da questa vita presente in questa Provincia di Napoli 1563-1653, a cura di P. Zarrella, Athena, Napoli 1995, pp. 285-286.

8 A. Eszer, Niccolò Riccardi, O.P. il “Padre Mostroˮ (1585-1639), in «Angelicum», LX (1983), n° 3, pp. 428-461.

9 A.L. Stoppa, Antonio Tornielli vescovo di Novara (1636-1650), in «Bollettino Storico per la provincia di Novara», L (1959), n° 2, pp. 184-234. Peraltro, un membro della stessa famiglia, Francesco Berardino Tornielli, è riportato come segretario del duca di Alvito nella seconda metà del Seicento (cfr. Stampa 1686, p. 138).

10 Su questi aspetti il rinvio dʼobbligo è al recente M. Infelise, I padroni dei libri. Il controllo sulla stampa nella prima età moderna, Laterza, Roma-Bari 2014.

11 Per la relativa bibliografia si veda E.M. Beranger, La villa Gallia a Posta Fibreno in unʼinedita raffigurazione degli inizi dellʼOttocento, in «Periodico della Società Storica Comense», LXII (2000), pp. 35-45.

12 È il caso, soprattutto, di un Giulio de Litteratis, citato come vescovo di Rapolla, ma sconosciuto alla cronotassi di quella Diocesi. Sugli esponenti locali della gerarchia ecclesiastica si veda V. Tavernese, I vescovi originari della Diocesi di Sora Aquino Pontecorvo, Diocesi di Sora Aquino Pontecorvo-Archivio storico, [Roccasecca] 2010.

13 Per i rispettivi passi: G. Prudenzio, Discrittione dʼAlvito … cit., pp. 229 e 231; Stampa 1633, pp. 39 e 56.

14 C. Vircillo Franklin (a cura di), The Ecclesiae Atinatis Historia … cit., p. 67

15 Non si hanno notizie, invece, di una sua circolazione alvitana. Il catalogo «Lʼavventura di Alvito. Viaggio nel tempo da J. Gutemberg alla telematica» (Banca della Ciociaria, Abbazia di Casamari, [Casamari 1993], p. 23), che censisce oltre ottocento opere conservate soprattutto in biblioteche private cominesi, dà conto della presenza in loco di diversi esemplari della sola Stampa 1686.

16 Considerata rara a poco meno di un secolo dallʼuscita (cfr. N.F. Haym, Notizia deʼ libri rari nella lingua italiana, Tonson-Watt, Londra 1726, p. 65), la Stampa 1633 fu cercata invano, tra gli altri, da T. Mommsen, CIL, X, I, Reimerum, Berolini 1883, p. 508.

17 G.V. Ciarlanti, Memorie historiche del Sannio, Cavallo, Isernia 1644, p. 469; K.W. Wolfe-P.J. Wolfe (a cura di), Humanisme et politique. Lettres romaines de Christophe Dupuy à ses frères (1650-1654), III, GNV, Tubingen 2005, p. 32.

18 E. Gattola, Ad historiam Abbatiae Cassinensis Accessiones, II, Coleti, Venetiis 1734, pp. 755-759; F.A. Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, I, Simoniana, Napoli 1781, pp. 157-158; L. Giustiniani, Dizionario geografico ragionato del Regno di Napoli, I e II, Manfredi, Napoli 1797, rispettivamente pp. 155-156 e p. 44.

19 Tolomeo II, infatti, era stato decretato cittadino napoletano da Filippo IV nel 1665: cfr. L. Santoro, Lo splendore della corte di Alvito agli albori del XVIII secolo, in Il Ducato di Alvito … cit., I, p. 56.

20 Cfr. Appendice, 1.

21 Una glossa, perdutasi nel testo dellʼultima ed. ma recuperata nei relativi addenda (Stampa 1863, [p. 202]), recita: «Della qual famiglia è stato Monsignor Arcivescovo Gio:Battista Tinti che fù creato Arcivescovo di Trani […] e morì in Napoli lʼăno passato 1685» (Stampa 1686, p. 47). Su Del Tinto (1622-1685) si veda V. Tavernese, I vescovi originari della Diocesi … cit., p. 73.

22 C. Yoli, Breve discorso dʼalcune particolari, e degne notizie per lʼEccellentissima famiglia Gallio, in Stampa 1686, pp. 138-144. Il Breve discorso è corredato dal disegno di una medaglia (ivi, p. 139), che manca alla Stampa 1863.

23 Per la collazione dei relativi frammenti cfr. Appendice, 2. Nellʼinterpolazione sulla famiglia Ioli è fusa una glossa, evidentemente perdutasi in fase di composizione, che colloca al 1587 la morte di un Lattanzio, segnalato come genitore del «vivente Cesare Ioli» (Stampa 1686, p. 47), mentre nellʼultima ed. lʼanno è anticipato al 1537 (Stampa 1863, p. 69). Lʼanaloga sorte toccata a un 1683 in riferimento al Convento di S. Francesco in Vicalvi (Stampa 1686, p. 82), convertito in 1633 sempre nellʼed. successiva (Stampa 1863, p. 112, n. 1), suggerirebbe per questʼultima un difetto del punzone. Non è così. La comparazione di tutte le date contenenti la cifra “8”, che permane altrove, riporta allʼautonomo intervento del curatore.

24 Cfr. Appendice, 1.

25 Lʼabate Galiani (Del dialetto napoletano, Mazzola-Vocola, Napoli 1779, p. 155) aveva rilevato, a proposito del Viaggio di Parnaso di Giulio Cesare Cortese, la «enorme esaggerazione [sic]» dei fratelli Muzio, i quali, nel contraffarne unʼedizione, lʼavevano qualificata come quindicesima impressione.

26 Per cenni biografici si veda U. Bile, Stanislao DʼAloe, ispettore dei monumenti. Tutela e restauro a Napoli fra il 1840 e il 1848, in M.I. Catalano-G. Prisco (a cura di), Storia del restauro dei dipinti a Napoli e nel Regno nel XIX secolo, Atti del Convegno internazionale di studi, IPZS, Roma 2003, pp. 43-47.

27 Lʼappropriata definizione è di D. Santoro, Pagine sparse … cit., p. 11, n. 2. Sulla scorta dellʼesame di tre esemplari della Stampa 1863, vanno oltretutto registrate una giustapposizione a p. 189 di un rettangolo di carta (recante la dicitura «Alvito»), che suppliva a un errore tipografico (recante «Atina») non segnalato nelle addenda, e lʼanteposizione delle pp. 103-104 alle pp. 101-102.

28 Così S. DʼAloe, Notizie della vita e dellʼoperetta di Giov: Paolo Mattia Castrucci, in Stampa 1863, p. XII: «Delle tre mentovate edizioni, neppure un solo esemplare più si conserva nelle pubbliche e nelle private biblioteche. Onde trovandosene uno nella mia biblioteca […], ho pensato ristamparlo, dopo averlo pulito deʼ moltissimi errori, occorsivi nelle due ristampe dellʼ84 e dellʼ86».

29 Cfr. supra nn. 21-23.

30 Tra le omissioni segnalate nellʼAvvertimento è contemplato il nome di Eugenio Benedetto Scaramuccia (Stampa 1863, [pp. 201-202]), vescovo di S. Severo, che tuttavia risulta già registrato nella precedente aggiunta del curatore (ivi, p. 198). Su Scaramuccia (1709-1775) si veda V. Tavernese, I vescovi originari della Diocesi … cit., p. 87.

31 La Stampa 1863 è servita, infatti, da esplicito modello per la rist. an. Forni, Sala Bolognese 1978, pp. XII-200. Non può quindi essere accolta la deduzione di Gabriele Quaranta (Bagliori dal passato: il Palazzo Gallio in Alvito e i suoi dipinti tassiani, Bardi, Roma 2003, pp. 24 e 144), che fa discendere sic et simpliciter la predetta rist. dallʼevanescente Stampa 1684.

32 In tal senso paradigmatiche: una nota di C. Vecce, Unʼapologia per lʼEquicola. Le due redazioni della Pro Gallis apologia di Mario Equicola e la traduzione francese di Michel Roté, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1990, p. 40, n. 3, con la quale, nel dar conto del vano tentativo di reperire una miscellanea di opere equicolane che, su indicazione di Domenico Santoro (Della vita e delle opere … cit., p. 110, n. 5), si trovava presso un esponente di una famiglia Castrucci, ha ipotizzato che lʼautore della Descrittione potesse essere il probabile collazionatore di quel codice; la recente voce del «Dizionario storico biografico del Lazio», cit., II, pp. 467-468, che, rifacendosi al panegirico daloeniano, riafferma lʼappartenenza di G.P.M. Castrucci a famiglia originaria di Lucca.

33 Antiporta e frontespizio dellʼesemplare sono riprodotti in appendice a «Lʼavventura di Alvito», cit., [p. 101].

34 Gio.Paolo Mattia Castrucci, in «Poliorama Pittoresco», s. II, XV (1853), n° 22, p. 176.

35 F.A. Soria, Memorie storico-critiche … cit., pp. 157-158.

36 A. Coccia, S. Francesco di Vicalvi e le sue vicende, Lazio Francescano, Roma 1969, p. 50; T. Vizzaccaro, Atina e Val di Comino, Lamberti, Cassino 1982, p. 275; «Lʼavventura di Alvito», cit., [p. 112].

37 Stampa 1633, rispettivamente pp. 58 e 60.

38 Gli atti registrano indifferentemente la variante del cognome per i medesimi membri della stessa famiglia.

39 APA, «Registro dei battezzati (1587-1641)», f. 6v, 13 novembre 1594.

40 ASR, «Università», cit., reg. 49, f. 137v, 27 giugno 1596. Mancano, invece, i verbali relativi al periodo dal settembre 1604 a tutto il 1607 (ivi, reg. 50), verosimilmente lo stesso arco di tempo che dovette interessare il conseguimento della laurea da parte di Mattia, ove si consideri lʼanno 1600, dallo stesso citato (Stampa 1633, p. 58), in relazione alla durata del percorso di studi.

41 ADSª, s. C «Patrimoni, giuspatronati, enfiteusi e permute», 9 «Iura Enphiteotica et Permutationes», inserto 31 [c. 4v].

42 APA, «Reg. dei battezzati», cit., f. 36r, 18 marzo 1613.

43 Ivi, f. 42v, 5 maggio 1616; ivi, f. 49v, 30 agosto 1621.

44 Ivi, «Registro dei matrimoni (1589-1647)», f. 34r, 11 febbraio 1625.

45 C. Vircillo Franklin (a cura di), The Ecclesiae Atinatis Historia … cit., pp. 150, 161 e 298.

46 Stampe 1633, p. 34; 1686, pp. 24-25; 1863, p. 32.

47 APA, «Reg. dei matrimoni», cit., f. 2r, 6 giugno 1593. Stando alla stessa fonte, il luogo di provenienza della casata Matthia trapiantatasi ad Alvito sarebbe Baselice, oggi in provincia di Benevento.

48 Stampe 1633, p. 60; 1686, p. 45; 1863, p. 66.

49 ADSᵇ, s. D «Governo della diocesi», sottos. I «Bollari», 3 «Bullarium et Regestum varium», ff. 141r-142v. Ma si veda anche ivi, 2 «Bullarium», inserto 3-bis [c. 1r].

50 Stampa 1633, p. 60. Anche Carlo Mattia eserciterà, come il padre, la professione di medico, e come tale è precisato in diversi atti (lo si veda ad es., nelle vesti di padrino, in APA, «Liber baptizatorum ab anno 1647 usque ad annum 1661 et ab anno 1671 usque ad annum 1701», f. 29r, 28 febbraio 1661).

51 Stampa 1686, p. 67.

52 Le frammentarie fonti parrocchiali fotografano, alla fine del ʽ500, almeno cinque distinti nuclei familiari di quel cognome.

53 Cfr. Relatione familiare, cit., pp. 21, 23 e 32.

.

.

Appendice

 

1.

SCELTA DI AUTORI E CATALOGHI CHE, TRA XVIII E XIX SEC.,

ESPLICITANO LE DIVERSE STAMPE DELLA DESCRITTIONE

 

  • Nicolas Lenglet du Fresnoy, A new method of studying history, geography and chronology with a Catalogue of the Chief Historians of all Nations, the best editions of their works, and Characters of them, II, Davis, London 1728 [ed. or. Paris 1713]1, pp. 403-405:
    «in 8vo. Roma 1633. – Napoli 1686».

.

  • Giovanni Antonio Coleti, Catalogo delle storie particolari civili ed ecclesiastiche delle città e dei luoghi d’Italia, le quali si trovano nella domestica Libreria dei fratelli Coleti in Vinegia, Coleti, [Venezia] 1779, p. 3:
    «o v’è error di stampa negli anni 1684.
    e 1686, o questa è una terza edizione».

.

  • Francesco Antonio Soria, Memorie storico-critiche degli storici napoletani, I, Simoniana, Napoli 1781, p. 157:
    «[in] 8. Roma 1633., che accresciuta di picciole cose  da altra mano fu ristamp(ata) [in] Roma 1684, e in Nap(oli) 1686».

.

  • Lorenzo Giustiniani, La biblioteca storica, e topografica del Regno di Napoli, Orsini, Napoli 1793, pp. 3-4:
    «Roma 1633. in 8. e di nuovo nel 1684.
    con aggiunte in margine, e Napoli 1686. in 8.».

.

  • Richard Colt Hoare, A catalogue of books relating to the history and topography of Italy, Bulmer and Co., London 1812, p. 70:                      
    «Roma, Napoli 1633, 1686».

.

  • Peter Lichtenthal, Manuale bibliografico del viaggiatore in Italia concernente località, storia, arti, scienze ed antiquaria, Fontana, Milano 18302, p. 188:
    «Roma, 1633 in 8. 1684 e Napoli, 1686».

.

  • Attilio Zuccagni Orlandini, Corografia fisica, storica e statistica dell’Italia e delle sue isole, XI, Firenze 1844, p. XIII:
    «Roma 1683 [sic] in 8. 1685 [sic]. Napoli 1686».

.

  • Carmelo Mancini, Appendice II, in «Giornale degli Scavi di Pompei», N.S., IV (1878), n°27, [p. 38]: «Roma 1633; Napoli 1684; 1686; 1863».

.

  • Bernardino Santoro, Poche memorie del Castello di Sant’Urbano nel Cominese, Lapi, Città di Castello 1888, p. 1, n. 1:
    «Roma 1633 Napoli 1684-1686»

.

 

1 Nella prima trad. it. (II, Coleti, Venezia 1716, p. 274) è citata soltanto la Stampa 1633.

2 Il medesimo riferimento compare anche nella III ed. (Silvestri, Milano 1844, p. 368).

.

.

.

2.

DUE FRAMMENTI SCELTI DALLA COLLAZIONE

TRA LE STAMPE 1633 E 1686 DELLA DESCRITTIONE*

Stampa 1633 (p. 62)

     […] nellʼanno del Signore 1448. Vi è anco la famiglia Prudentij molto antica, e descendente da quellʼinsigne Scrittore Mario Equicola dʼAlvito per parte di Donna. La famiglia Panicali […]

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

.

Stampa 1686 (pp. 47-48)

[…] nellʼanno del Signore 1448. La famiglia Ioli antica, e Nobile, venne da Padua, conforme un Privileggio,da me visto, fatto à Leonardo Antonio Ioli da Pietro Iohan Paolo Guantelmo Duca di Sora, e dʼAlvito nellʼAnno 1465. del macinare a meza molitura nel Molino di Carpello, e Montano dʼAlvito;Dove dice Nobilis, et strenui viri Leonardi Antonij Yoli de Padua nostri Consiliarij fidelis dilecti cum incolatum accepisset in hac nostra Terra Albeti, et Honufrius eius filius, matrimonium contraxisset cum nobili muliere Domina Lucretia Brusca etc. Della qual famiglia il padre dellʼhoggi vivente Sig. Cesare Ioli, chiamato per nome Lattantio fù Capitano dʼuna delle Galere del Papa,e morì à Genua circa lʼanno 1587. Vi è anco la famiglia Prudentij molto antica, e descendente da quellʼinsigne Scrittore Mario Equicola dʼAlvito per parte di Donna,Onde si possiede per quelli di detta famiglia un feudo chiamato la Palombara, che fù anticamente conceduto al sudetto Mario Equicola , conforme per Privileggio di concessione , che si conserva per quelli di detta famiglia da me visto . La famiglia Panicali […]

Stampa 1633 (p. 63)

     […] che fù moltʼanni Viceduca in questo Stato. La famiglia Belli è antica […]

.

Stampa 1686 (p. 48)

[…] che fù moltʼanni Viceduca in questo Stato. La famiglia Tinti antichissima in questa Terra venne da Sulmona, sicome ho riconosciuto nelle scritture di detta Casa.  La famiglia Belli è antica […]

.

* Punteggiatura, spaziatura e, là dove presente, corsivo rimangono invariati rispetto ai testi originali. Viceversa, con particolare riferimento alla Stampa 1686, è qui introdotto il grassetto per segnalare i passi oggetto di interpolazione. Si è scelto di non utilizzare, in presenza di palesi errori nel testo, i corrispondenti segni diacritici, ai fini di una miglior intelligibilità dei frammenti proposti.

 

(1370 Visualizzazioni)