Malattie infettive a Sant’Elia Fiumerapido

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«Studi Cassinati», anno 2020, n. 1-2
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di Giovanni Petrucci

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Santo Helya viveva fin dal suo sorgere in uno stato continuo di insicurezza. Molto spesso la precarietà della vita dipendeva dalle carestie, dai terremoti e dalle epidemie che improvvisamente si propagavano. In verità tutte queste calamità interessavano non solo il nostro abitato, ma tutta la Terra di S. Benedetto.

Il diffondersi delle malattie in Sant’Elia era dipendente da problemi di carattere igienico-sanitario che avevano origini ataviche.

In tutto il castrum, fino agli anni 1930, mancava la rete fognante e gli scarichi venivano riversati ad una certa ora, di buon mattino, all’esterno delle case, lungo le strette. C’era chi ricordava l’abitudine di vuotare i pitali dalle finestre1, quando ancora era buio.

Questa situazione era comune a tante popolazioni vicine di questa nostra Terra.

In molti paesi «sui monti al contrario i luoghi abitati non erano che tanti stagni di aria senza ventilazione e senza luce, ove la mancanza di acqua aggiungeva il sudiciume esalante prodotti di putrefazione animale […] Un’alternativa opposta si osserva per i luoghi che conservano i fomiti del miasma putrido, perché nelle case poco aerate, sprovviste di acqua e spesso infeste da sudiciume, si formano quelli, che io dissi stagni di aria»2.

Il cap. Zanzi, che comandava «una compagnia del 44o Reggimento Fanteria distaccata a Isola Liri […] rimase colpito dalla sbrigativa quanto disgustosa consuetudine della plebe cittadina isolana di svuotare gli orinali facendone precipitare il contenuto dalle finestre direttamente sul selciato dei vicoli»3.

A lato di ogni casa erano la stalla per l’asino e il porcile col truogolo; il maiale non mancava in nessuna famiglia. Spesso dal centro abitato questo si portava nella campagna, dove, come si rileva negli Statuti, era libero di vagare. Sotto il vano della scala era la «spalluccia» per le galline, che beccavano liberamente per le strette ed entravano nelle abitazioni. Chi ne era privo, ricorreva «agliu uarieglio», una sorta di gabbia mobile di vimini che si teneva davanti a casa; a forma di tronco di cono, alto non meno di un metro, con apertura in alto per afferrarle facilmente.

L’acqua per uso domestico veniva attinta alla Fontana, che si trovava e si trova nella parte bassa del paese e di sicuro non era immune da inquinamento, come è risultato da recenti analisi. Vi si accedeva dalla stretta di Santa Maria Nova, attraverso la Portella, e diverse rampe di scale. Tutta la popolazione aveva residenza nel centro in abitazioni malsane. Le case erano addossate le une alle altre e separate dalle caratteristiche «strette», di appena qualche metro, ed erano prive di servizi igienici e dell’indispensabile esposizione alla luce del sole. «Quanto ad abitato dunque S. Elia non è troppo felice, perché la sua periferia essendo ristretta, le case vi sono ammonticchiate; il numero di esse non è proporzionato a quello degli abitanti; e le famiglie vi stanno affastellate, arrecandosi nocumento le une alle altre col fumo e le esalazioni»4. Sullo spinoso problema della mancanza di igiene nel paese aveva scritto una relazione Francescoantonio Fionda nel 1816, riportata in una nota seguente.

Per questi motivi spesse volte nel castrum si abbattevano malattie perniciose, che ritornavano ciclicamente.

– Nel 1348 si diffuse una terribile malattia infettiva e contagiosa, dovuta ad un microrganismo particolare, la Pasteurella Pestis, la famosa peste nera, così chiamata per i fenomeni emorragici sottocutanei: «scoppiata in Egitto ed in Siria, varcò l’Italia e devastò l’Europa col nome di morte nera». Pervase tutta Terra di S. Benedetto e toccò anche Sancto Helia. «In questa occasione, mentre qui si trascorreva nello stravizzo, volendo godere la vita che fuggiva, o si cercava stordirsi nelle pubbliche sciagure, come gli amici di Boccaccio, dandosi a momentanei diletti; altrove si prorompeva in eccessi di devozione, e turbe di flagellanti correvano per città e campagne, battendosi a sangue, e cantando salmi e litanie in veste bianca, coperti di cappuccio. Allora si moltiplicarono per tutto le Confraternite che visitavano le Chiese ed accompagnavano il santo Viatico, e furono diffuse dai Santi Vincenzo Ferreri e Bernardino da Siena»5. La Chiesa di Ognissanti, nei locali adiacenti, ospitò spesse volte gli appestati.

– Nel 1522 su Sant’Elia si abbatté nuovamente una peste calamitosa e l’affittuario della Cartiera, mastro Battista da Foligno, che pure aveva consegnato in tale anno al Monastero di Montecassino un certo quantitativo di carta, ebbe per quelli successivi uno speciale bonifico «per tempo perzo per la peste», in quanto i pochi operai occupati si ammalavano o morivano. Sicché «questa malattia infierì così violentemente nella zona da paralizzare anche la modesta attività del piccolo opificio»6. Nel Gattola non vi sono accenni a tale evento; al tempo dell’Abate d. Justinus Harbes è detto: «Narrat deinde magnis voraginibus hausta in fundaminibus conficiendis coementa omnia, quae universae ecclesiae aedificandae fuissent fatis»7.

– Nel 16208 nella Terra di San Benedetto si propagò forse la difterite, gulae morbus, malattia infettiva acuta, epidemica, contagiosa, causata dal bacillo di Löffler. Era scoppiata due anni prima a Napoli. Il medico Giovanni Battista Carnevale pubblicò un libro, il cui titolo è emblematico: De epidemico strangulatorio affectu … Nel mese di novembre sempre del 1620 solo in San Germano causò la morte di duecento bambini.

– Nel 1630 giunse anche nelle nostre contrade la peste di manzoniana memoria: il flagello fece molte vittime e nell’Abbazia non si tenne nemmeno il Capitolo Generale9. L’abate prese accurati provvedimenti contro di essa, cercando di arrecare sollievo come si poteva alla popolazione.

– Nel 1656 una nuova calamità proveniente dalla capitale: «[…] la pestilenza […] sviluppata in Napoli, la ridusse in un cimitero, con la morte di circa 400 mila de’ suoi cittadini, ed invadendo tutte le province, tranne la Puglia e le Calabrie; in meno di sei mesi portò dappertutto desolazione ed sterminio […]»10 in tutto il Regno e specialmente nel Cassinate: a San Vittore morirono 86 persone, a San Pietro Infine 56, a Vallerotonda 500, a Pescocostanzo 1300; non abbiamo cifre per Sant’Elia, ma anche qui le vittime dovettero essere assai numerose11.

– Negli anni ad iniziare dal 1785 a finire oltre il 1880 ci furono diverse epidemie catastrofiche in moltissimi paesi di Terra di Lavoro ed anche a Sant’Elia: la difterite, il vaiolo, la malaria.

– Nel 1816 il medico condotto Niccolò De Aurelij in una dettagliata relazione comunicava le preoccupanti condizioni di vita in cui erano gli ammalati e lo stato di estrema miseria in cui versavano gli indigenti, bisognosi di cure. Evidenziava a tale proposito la necessità di reperire i fondi per l’acquisto dei medicinali indispensabili per le cure e nel contempo di alleggerire le famiglie dalla pressione fiscale, in quanto spesso, a causa delle condizioni climatiche avverse, i raccolti erano insufficienti. A questo proposito suggeriva al decurionato di migliorare il fondo delle strade della campagna, perché i contadini potessero avere facilità di accesso ai campi.

– Nello stesso anno il sindaco Francescoantonio Fionda descriveva i provvedimenti urgenti che aveva preso per frenare il dilagare della peste: aveva curato la manutenzione e la pulizia delle strade, controllato le derrate alimentari in entrata nel paese, ridotto gli oneri della tassazione alle famiglie povere e bisognose e si augurava e pregava «Iddio di allontanare il contagio da questo sventuratissimo Regno […]»12.

– La malaria era stato un problema serio, specialmente per i terreni situati nella parte bassa, troppo vicini al paese e si prevedeva il manifestarsi di gravi epidemie; per questo motivo i tentativi del Governo borbonico di impiantare risaie dove il Rapido poteva coprire i campi con le sue acque vennero sempre osteggiati energicamente dagli abati di Montecassino: con la sentenza del 13 marzo 1713 veniva vietata la coltivazione del riso in tali terreni13. Il Riga attribuiva la diffusione della malaria proprio al ristagno delle acque in seguito agli straripamenti principalmente del Rapido. Le febbri intermittenti si ripeterono dal 1821 al 1826 e costrinsero il governo borbonico ad inviare disposizioni perché si sorvegliassero i fiumi e si evitassero impaludamenti nei terreni.

– Nel 1837 a S. Elia giunse il colera «e ne caddero vittime una decina di persone. Essendovi tornato più fiero nel 1854, ne perirono circa sessanta, numero in proporzioni assai minore di quello degli uomini spenti dallo stesso terribile morbo in altri paesi convicini»14.

– Un nuovo contagio della malaria si verificò nel 1840 nel Cassinate ed i forestieri evitavano di pernottare nella città per tema di essere contagiati.

«Negli anni 1861-62-63 si ebbe a deplorare altra epidemia; ma a dire il vero, e pel numero degli attaccati e per quello delle vittime, non tanto terribile quanto le altre. Nell’agosto dell’ultimo anno la 15a Compagnia del 59° Fanteria, qui (a Sant’Elia) distaccata a causa del brigantaggio, ebbe, come i borghesi, a soffrire per la malaria. Restò vittima di perniciosa emorragica il soldato Pio Sebastiano Ferraris»15.

Sorte non dissimile subirono i soldati di stanza a Cassino; anzi qui il numero dei morti fu maggiore; gli ospedali militari di Caserta e quello provvisorio di Pontecorvo si trovavano in difficoltà nel ricevere i malati.

«Tristemente celebri furono quelle del 1879-80-81. Nel primo degli anni indicati il campo che si doveva tenere nella valle del Liri per le grandi manovre, si dovette levare, perché dei militari furono colpiti da febbri periodiche il 30 %. La mortalità giunse ad un grado giammai veduto; in S. Angelo in Theodice le febbri fecero vera strage: distrussero intiere famiglie, intieri parentadi; molte case restarono chiuse. A Caira villaggio di 900 abitanti ne morirono 300»16.

Nel contempo la situazione a S. Elia, sia per il clima piuttosto buono, sia per la presenza del valentissimo medico, Antonio Riga, non era molto grave: la percentuale delle morti si aggirava infatti intorno al 5,40%, mentre a Cassino era del 13%, anche se la malattia colpiva i tre quarti degli abitanti17.

L’unico che si interessò in quelle circostanze in difesa delle popolazioni dei paesi limitrofi a Sant’Elia fu il prof. Achille Spatuzzi18, che con le sue lettere pubblicate su «Il Pungolo» di Napoli fece conoscere la tragedia di Terra di Lavoro in tutta l’Italia. In seguito a questo grido di allarme il «Governo nominò una Commissione Igienica composta dai chiarissimi proff. dell’Università di Roma Luigi Galassi e Francesco Scalzi, i quali accompagnati dal Prof. Spatuzzi e dagli onorevoli deputati Visocchi e Grossi, consigliere provinciale De Monaco, dal sindaco di Cassino Benedetto Nicoletti con il consigliere De Luca, dal sindaco del comune di S. Elia Fiumerapido, Lanni, dal suo Segretario Frey, dall’Ingegnere D’Elia e dallo scrivente medico Comunale di S. Elia, si recarono nel villaggio di Caira per osservare le condizioni igieniche di quella contrada»19.

«Paragonando la media della mortalità d’Italia con quella del bacino di S. Elia nell’anno 1881, si ha che per la prima la media è del 27,7 per ogni mille abitanti, e per la seconda del 47,7»20.

«Or ecco il numero degli infermi di febbri miasmatiche dell’ultimo decennio, curati da me, senza porre a calcolo quei che lo furono dal medico comunale di campagna, o da altri, o che si curarono da loro stessi:

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Anno/Attaccati Anno/Attaccati Anno/Attaccati Anno/Attaccati
1873 = 167 1874 = 209 1875 = 209 1876 = 106
1877 = 84 1878 = 129 1879 = 1143 1880 = 713
1881 = 424 1882 = 151»21.

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In verità l’on. Salvatore Morelli, del collegio di Sessa Aurunca, il 28 febbraio 1880 inviò una interrogazione per conoscere se il Ministero dei Lavori Pubblici era disposto ad effettuare una opportuna bonifica oltre che nell’agro sessano, anche in Terra di Lavoro; l’on. Alfonso Visocchi, del collegio di Cassino, evidenziava con dovizia di particolari l’incresciosa situazione dei paesi; altrettanto denunziava l’on. Federico Grossi del collegio di Pontecorvo22.

Certamente è significativo il particolare secondo il quale nel 1879 furono contagiate 1.143 persone, secondo i dati riportati in tabella, ma certamente, tenendo presenti le osservazioni del Riga, esse furono di maggior numero, cioè quasi la metà dell’intera popolazione.

Altre infezioni, ben più gravi, come colera, vaiolo e difterite avevano arrecato spavento nella popolazione locale.

Il vaiolo era infettivo acuto, contagioso ed epidemico, di natura virale, mortale in buona percentuale, caratterizzato da un tipico esantema vescicolo-pustoloso; la difterite, anch’essa infettiva, epidemica e contagiosa, coinvolgeva le mucose della gola e l’apparato respiratorio; il colera, epidemico, si trasmetteva con l’acqua e gli alimenti ed era principalmente caratterizzato da diarrea, vomito, ipotermia.

La rapida diffusione di tali malattie era dovuta anche alle inaccettabili condizioni igieniche sia delle campagne, sia del centro, contro le quali combatteva con tutti i mezzi il medico Antonio Riga23. Durante il propagarsi dell’infezione del vaiolo nella frazione di Prepoie di S. Elia, egli annotava: «ebbi a constatare che la popolazione viveva in capanne strette e basse e senza alcun pavimento: e ricordo che nell’epidemia del vaiuolo del 1887 nel giorno 15 aprile osservai la giovane G. D. C. affetta dallo stesso in una di tali capanne, la quale non aveva l’aia di cinque metri quadrati, né l’altezza di quattro. L’inferma giaceva su di un misero giaciglio e nella stessa capanna dormivano tutti i componenti la famiglia»24.

Un triste ricordo lasciò il colera del 1848, per il numero dei colpiti; anche questa volta, esattamente dopo cinque secoli, si ricorse alla Chiesa di Ognissanti che fu ridotta «in ospedale colerico […]. Però una chiesolina antichissima denominata Ognissanti, ove, fino a che non furono costruiti i cimiteri, si erano seppelliti i cadaveri dei poveri, si volle ridurre a Ospedale colerico nel 1848 […]»25.

Per fortuna non si lamentarono gravi danni: «Nel 1887, durante un’epidemia di colera nella vicinissima Cassino, capoluogo di Mandamento, ove molti Santeliani giornalmente si recano, si ebbero a deplorare unicamente tre soli casi di detto morbo […]. Vi sono state dal 1869 in poi varie epidemie di vaiuolo, e molte di difterite, ma il numero dei malati e dei deceduti per le indicate ed altre epidemie di morbi infettivi è stato minore a quello dei comuni limitrofi, attaccati contemporaneamente dalle stesse malattie»26.

Ancora oggi si racconta che i morti causati da queste epidemie venivano portati ad «Ognissanti»: prima lasciati cadere dalla botola del pavimento della Chiesa, poi ammucchiati in un locale attiguo27.

L’opera di risanamento cominciò nel decennio 1872-188128: furono presi accurati provvedimenti per la pulizia, fu costruito il mattatoio pubblico, venne coperto il «fosso» che riversava le sue acque in piazza Mercato, vennero demolite Porta Napoli e le case antigieniche dell’interno dell’abitato.

Trascorse però un cinquantennio nel disinteresse generale ed essa fu ripresa dal podestà Carlo Pirolli agli inizi della sua nomina, nell’aprile del 1927, con «la sistemazione di alcune fogne all’interno del paese»29, la pulizia con la nomina di uno spazzino, di modo che tutte le strade e specialmente il “largario” antistante la Chiesa di S. Sebastiano non fossero più depositi in abbandono di immondizie, lavori per il cimitero di Valleluce e del centro, «dal terremoto del 13 gennaio 1915 lasciato nel più deplorevole abbandono». Più tardi dopo la costruzione dell’acquedotto comunale Bonomo, il giardiniere comunale, passava due volte al giorno dalle “due colonne” a Fuorisancataldo per lavare le strade e le “strette”. Le «prese», ancora posizionate in alcuni punti, ne sono testimonianza.

Ma la redenzione salutare ci fu alla fine di settembre 1935 quando fu inaugurato l’acquedotto e quando terminarono i lavori della copertura a cemento del fondo delle «strette» con la completa costruzione delle fogne.

Andrea Polini, acerrimo antifascista, che aveva il laboratorio di falegnameria nella Cortiglia, vide pulita la piazzetta il giovedì e sempre pulita nei giorni seguenti. Allora capì e si affacciò alla porta gridando a tutti, verso don Carlino:

– «Sia benedetta tua madre che ti ha fatto!»30.

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NOTE

1 E. Frey, I servizi pubblici, p. 11: «Il riprovevole ed inveterato abuso, che qui si commetteva da alcuni cittadini di spandere le acque luride, le orine, le immondezze, ed anche qualche volta delle materie fecali sulle pubbliche strade e specialmente nei vicoli …».

2 F. Di Giorgio, Uomini della storia Achille Spatuzzi. Saggi di Topografia e Statistica medico-storica, Centro Documentazione e Studi Cassinati-Onlus, Cassino 2018, pp. 118-136.

3 M. Ferri, D. Celestino, Il brigante Chiavone, Sora 1994, p. 32.

4 M. Lanni, Sant’Elia sul Rapido, Monografia, Napoli 1873, p. 50.

5 Ivi, pp. 35-36.

6 A.F. Gasparinetti, La Cartiera di Montecassino a S. Elia Fiumerapido, Milano 1956, p. 22.

7 E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis per saeculorum seriem distribuita, in due parti, Venetiis 1733, II, p. 631.

8 Ivi, p. 746: «Anno 1620, gulae morbo, qui diu Neapoli an. 1618, grassaverat, ducentum infantes mortui apud S. Germanum a mense Novembri ad duos insequentes; atque an. 1523 idem morbus multorum interitu invaluit in oppido Pesculi Constantii, ut ex epistola constat …».

9 Libro Mastro del 1630 della Cartèra.

10 M. Lanni, Sant’Elia … cit., p. 42.

11 Le notizie sono riprese dal E. Gattola, Historia Abbatiae … cit, sempre a p. 745.

12 Archivio di Stato di Caserta, Prefettura, II serie, busta n. 892. Si riporta uno stralcio della lettera:

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                                                                                                       «S. Elia 17 del 1816
All’Ill.mo Signor Maresciallo di Campo
ed Intendente della Provincia di Terra di Lavoro.

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Signore

     E giorno e notte io non invigilo ad altra cosa più, che a promuovere con uguaglianza d’animo i pronti ripari, onde non restar sorpreso dagli assalti di un flagello, che da tutte le parti ci minaccia ….

     Tutti ho posto in opera i mezzi che sono in mio potere. Una Guardia di sicurezza interna ha posto al coverto l’immissione di tutte le merci suscettibili d’infezione. Ho fatto diligentemente spazzare le strade all’interno del paese; ho proibito che nessun residuo organico, o dei cadaveri degli animali rimanchino esposti all’aria sulle strade; ho ordinato al primo Eletto che scrupolosamente invigili sulla qualità dei cibi, e precisamente sulla carne, che si vende nel pubblico; ho data istantanea conoscenza ai medici locali della di Lei circolare de’11 andante e delle annesse istruzioni, affinché si conformino a quanto si trova nelle medesime saggiamente provveduto, e finalmente non mancherò di fare quanto la prudenza e le circostanze attuali mi sapran suggerire. Ma ciò non basta per preservare dal contagio, che Iddio allontani da questo sventuratissimo Regno ….

     Una pubblica carestia ed una ben scarsa raccolta di ogni genere ha defraudata la speranza dei poveri agricoltori. Sono già otto anni che le olive, principale prodotto del nostro tenimento, non producono più frutto, e la carestia è tanto generale, che un Paese non ha modo di supplire al bisogno dell’altro. Manca assolutamente il grano, il granone, le biade, il vino e tutti gli altri generi di prima necessità. Questi non sono difetti assoluti dei terreni. Tutto imputiamo ai venti australi, alla ruggine, alle erbe spontanee, alla desolatrice gragnuola, che pel corso di due anni ha devastato tutte le nostre campagne, o per meglio dire alla mano di Dio, che si è aggravata sopra di noi. Li due Comuni di S. Biase, o sia Saracinsco, Vallerotonda, sino a questo momento hanno campato di patate, e da oggi innanzi la misera gente dovrà pascersi di radici dell’erbe. Sant’Elia non potrà sostenersi coi propri prodotti al di là di un mese. La classe degli artisti, e dei contadini già patisce gran fame.

     Gli articoli dello Stato discusso di questo Stabilimento di pubblica Beneficenza, destinato al sollievo dei poveri, sono già esauriti, ed altro non vi rimane, che la sensibilità di questi pochi proprietari.

     Aggiunto a questa terribile sciagura la malintesa forma delle piccole case della gente meschina, ove trovansi molti individui aggruppati. La sudicezza, un’aria corrotta, e le nocive impressioni dell’atmosfera, da cui risultano spesso tante complicate infermità, a vantaggio delle quali nessuna cautela, o preservativo può mettersi in uso, per soddisfare le imposte, che risultano dai quadri nel presente foglio alligati; e perciò ragionevolmente conchiudo, che queste sono tutte cause spopolatrici, e che nel corso di quest’anno, o non si potranno in verun conto pagare le contribuzioni, o se la Popolazione otterrà gli aiuti del Cielo per liberarsi dal contagio della peste, non potrà sicuramente sfuggire i mali che seco porta la fame.

     A poter prevenire intanto questo mio ben fondato timore, io altri mezzi non saprei escogitare, che creare una Deputazione sanitaria, mettere a disposizione della medesima […].

                                               [Il Sindaco del Comune di Sant’Elia]  Francescoantonio Fionda».

13 T. Vizzaccaro, Il Circondario di Sora all’Unificazione del Regno (1877), Casamari 1970, p. 77.

14 M. Lanni, Sant’Elia … cit., p. 88.

15 Riga A., Cenni sulla malaria nel Comune di S. Elia sul Rapido, Napoli 1884, p. 8 e ssg. Ringraziamo dopo tanti anni la professoressa Wilma Riga, discendente dello studioso, che ci permise di leggere il libro.

16 Ivi, p. 9.

17 Archivio di Stato di Caserta, Prefettura, II serie, busta n. 892. Si riportano alcuni stralci di una relazione del medico Antonio Riga, interessante per conoscere le effettive condizioni della popolazione di S. Elia e lo stato di prostrazione diffuso, inviata al sindaco il 24 settembre 1883, avente per oggetto Condizioni della pubblica salute a causa dell’epidemia di febbri miasmatiche-palustri: «Ho fatto tenere il rapporto giornaliero del numero degli attaccati dall’epidemia … Per quanto riguarda poi l’altro dato … Le fo noto che, salvo non più di trenta o quaranta individui appartenenti ad agiate e civili famiglie, i restanti attaccati recidivano continuamente, malgrado la mia insistenza, affinché si attengano alle norme igieniche e farmaceutiche da me credute necessarie … È impossibile fare l’elenco degli attaccati e poscia dei morti dallo sviluppo della malattia a tutt’oggi … La S. V. sa che è tale e tanta la fatica dei Sanitari di questa infelice contrada ed in questi tristi giorni, che coloro che hanno volontà di compiere con scrupolo la loro missione hanno appena il tempo non dico di scrivere una lettera, ma di consumare il pasto. Inoltre è impossibile precisare il numero degli attaccati, perché molti del popolo minuto, in ispecie della gente di campagna, son pieni di pregiudizi intorno alla malattia, ai medici ed ai farmachi, cosicché si contentano piuttosto morire, anziché ricorrere all’opera dei primi e far uso degli ultimi. È impossibile pure precisare il numero degli attaccati dal principio dell’epidemia fino ad oggi, perché molti, e particolarmente le persone intelligenti e proprietarie, si son curati da loro stessi, conoscendo lo specifico di tale malattia essere il chinino. Per conoscere il numero effettivo degli attaccati, io credo che i Sindaci dovrebbero fare il censimento coll’esaminare famiglia per famiglia il numero di coloro che hanno sofferto, o attualmente soffrono la malattia dominante; ed ho la certezza, se così si facesse, che ne risulterebbe un numero spaventevole, cioè il minor numero sarebbe almeno dei tre quinti della popolazione di ogni Comune.

     Ma ora domando a me stesso: a che possono servire queste notizie statistiche, ora specialmente che l’Amministrazione Comunale per le condizioni finanziarie in cui versa, non può ulteriormente sovvenire i poveri che sono stati o sono attualmente attaccati dalla febbre? So bene che la statistica ha per iscopo studiare … Allorquando, come nel caso nostro, si vogliono conoscere le cifre degli infermi, senza dare opportuni, reali e materiali provvedimenti, io non so a quale scopo si voglia avere tale conoscenza: al più sarà … un gittare la polvere agli occhi … E dico questo, perché tanto la Provincia, quanto il Governo (ai quali purtroppo son note le miserrime condizioni di questi sventurati paesi) nulla fanno per venire efficacemente in loro soccorso. Ed in vero ho avuto notizia che la Provincia abbia deliberato cinquemila lire di chinino per gli infermi poveri. La nostra Provincia conta seicentomila abitanti circa … darebbe a ciascuno pochi centesimi! Quale amara derisione e feroce insulto!

     Ed il Governo che fa? Dorme sonni tranquilli e certo non ha tempo da porre pensiero ad una Provincia di secondo o terzo ordine ed ai tanti microscopici paesi che la compongono.

     Signor Sindaco, se io avessi la grande fortuna e l’alto onore di poter parlare familiarmente all’Illustre patriota Sig. Villa, ora Ministro dell’Interno, gli direi così alla buona queste poche parole:

     Eccellenza, son certo che Ella abbia conoscenza che in questo beatissimo Regno d’Italia esiste una Provincia detta Terra di Lavoro, ma dubito che abbia quella di un paesucolo chiamato Sant’Elia Fiumerapido. Son sicurissimo però che entrambi sono conosciuti dai vostri colleghi, il Ministro delle Finanze e il Ministro della Guerra! … per le dirotte acque dell’ultimo inverno ebbe danni incalcolabili … ora è toccata la sventura di essere vittima della febbre miasmatica e non gli si presta nessun soccorso: si cercano solamente le notizie statistiche.

     … Succedono le inondazioni del Po e le eruzioni dell’Etna … il Governo fa mostra di uno zelo non mai abbastanza lodato; si deliberano e si spendono milioni per riparare ai danni arrecati alle proprietà dall’acqua e dal fuoco … Ma che si far per la infelice Campania Felice, ridotta a lagrimevole condizione dall’epidemia? … Eppure anche noi siamo Italiani, e anche noi paghiamo le nostre brave tasse … anche il Comune di S. Elia e questa Provincia danno il loro contingente all’Esercito Nazionale … Trattateci almeno da cani … Negli anni avvenire quale quantità di soldati ed in quale condizione di salute possono fornire questi Comuni, vittime della infezione palustre?

     … Signor Sindaco … nulla temo perché sono indipendente da tutti … La S. V. inoltre perdonerà la franca parola, la quale è figlia della contemplazione … di tanti dolori, strazi e miserie di questa infelicissima popolazione … considerare la rovina che verrà al nostro paese in questo momento che il Comune e la Congrega di Carità sono obbligati a far sosta per assoluta deficienza di mezzi a quei soccorsi fin qui elargiti agli infermi poveri; specialmente ora che si avvicina l’inverno e la carestia per mancanza di lavoro, o, qualora anche questo si trovasse, per la cattiva salute a causa dell’attuale epidemia e per il deficiente e quasi nullo raccolto, freddo, miseria, fame, malattia e morte: ecco lo spaventevole avvenire che ci aspetta! … Iddio … mi fa vivere in un tempo di libertà e tra libero popolo e sotto la Casa gloriosa di Savoia, di modo che anch’io, goccia perduta nell’Oceano, posso dire una franca, onesta e libera parola intorno ai pericoli grandi e grandissimi.

     Per l’assistenza degli infermi ho passato una giornata faticosissima, ed ora ho rubato poche ore al mio riposo …

                                                                                              Suo devotissimo, Antonio Riga».

18 F. Di Giorgio, Uomini della storia … cit.

19 Riga A., Cenni sulla malaria … cit., p. 10.

20 Ivi, p. 11.

21 Ivi, p. 8.

22 M. Paolozzi, Valle del Liri, il flagello della malaria negli anni 1879-80, in «L’Inchiesta», a. V, n. 19, 10 maggio 1998, p. 11.

23 Interessanti le Brevissime Istruzioni Popolari del 1887 dello stesso dott. Antonio Riga, da diffondere, durante il propagarsi del colera nella vicina Cassino, nella popolazione e da leggere e spiegare dai parroci in chiesa e dagli insegnanti nelle scuole pubbliche e private.

24 Riga A., Cenni sulla malaria … cit., p. 8.

25 Ivi, p. 18.

26 Ivi, p. 5.

27 Intorno agli anni 1946, quando un santeliano comunemente chiamato “Sergente” acquistò dal Comune i locali, per diversi giorni fu costretto a liberarlo dagli scheletri ammucchiati, portandoli al Cimitero.

28 E. Frey, I servizi pubblici … cit.,  pp. 49-50: «A) Si è stabilito fuori l’abitato un pubblico mattatoio, ove tutti i beccai sono obbligati recarsi per l’uccisione egli animali …; B) Venne nominato uno spazzino fisso …; C) si migliorarono i corsi luridi di alcune strade secondarie; D) Si fecero eseguire con tutto rigore le disposizioni del Regolamento di Polizia Urbana, circa la nettezza delle stalle e dei cortili; E) Si fecero allontanare dalle vicinanze del paese i depositi del letame, ed i fossi per la macerazione della canapa furono portati alla distanza prescritta nei regolamenti; G) Si migliorarono le condizioni igieniche della campagne con l’arginazione del fiume Rapido a spese degli interessati Provincia e Comune; H) Si demolì l’arco della porta Napoli, rendendo molto ariosa la strada principale; I) Si coprì il gran fosso al Largo Mercato, di cui il dottor Riga faceva calde raccomandazioni; L) Si fecero anche pratiche per lo sgombro degli abitanti dalle case poco igieniche; M) Ed infine si migliorò positivamente il servizio della vaccinazione […]. Oltre le epidemie citate dal prefato prof. Riga nella sua relazione, cioè morbillo nel 1872, angina difterica nel 1873, tosse convulsiva, febbre puerperale e morbillo nel 1874, angina difterica nel 1875, parotite, morbillo e polmonite nel 1876, dermo ed il cotifo nel 1877, seguito dell’epidemia istessa nel 1878, e febbri miasmatiche nel 1879, che malauguratamente continuò nel 1880 e 1881, si ebbero due casi di vaiuolo a deplorare in questo Comune, uno nell’Agosto e l’altro nell’Ottobre del passato 1881 con esito favorevole, e la Commissione locale di sanità, giusta il disposto della legge, emise gli opportuni provvedimenti per impedire lo sviluppo della malattia …».

29 Relazione del Podestà nel primo anno d’amministrazione, S.T.E.M, Cassino 1928, pp. 16, 17, 25.

30 Notizie riferite dal figlio di Andrea Polini, dott. Antonio.

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