A 150 anni dalla morte in uno scontro a fuoco con i briganti: Il capitano Gustavo Pollone


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Studi Cassinati, anno 2016, n. 2
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di Maurizio Zambardi

Il 5 dicembre del 1866, esattamente 150 anni fa, moriva su Monte Coppa, un’altura del Massiccio di Monte Cèsima, nel territorio di Presenzano, il giovane capitano Gustavo Pollone. A ricordare il triste evento è una colonnina funeraria in marmo, tutt’ora esistente, nel Cimitero civile di Mignano, posta proprio in fondo al viale principale, entrando dal vecchio ingresso. L’epigrafe recita:

 ADDI’ 5 DICEMBRE 1866
GUSTAVO POLLONE
GIOVANE CAPITANO NEL 72° FANTERIA
CON POCHI SOLDATI SUL MONTE COPPA
SOTTO IL FUOCO DI NUMEROSI BRIGANTI
CADDE E SI UCCISE
A GLORIOSO RICORDO DI LUI
A CONFORTO DEI PARENTI LONTANI
CHE PIANGONO A PIE’ DELLE ALPI
QUESTA FUNEREA PIETRA
GLI UFFICIALI DEL REGGIMENTO
CONSACRANO

foto-04Al momento non si hanno notizie più specifiche sul capitano Pollone, però, se leggiamo con attenzione l’epigrafe, possiamo ricavare alcune informazioni e cioè che era del Nord Italia, e precisamente di qualche località «…a piè delle Alpi»; che aveva una famiglia che lo piangeva «…a conforto dei parenti lontani che piangono». Va considerato inoltre che doveva essere abbastanza stimato nell’ambito militare se gli ufficiali vollero appunto consacrargli una colonnina funeraria con epigrafe, cosa riservata a pochissimi. Ancora, dalla letture dell’epigrafe risulta che il capitano, probabilmente ferito, si sia tolto presumibilmente per non cadere vivo nelle mani dei briganti. Tuttavia (come apprendiamo dallo storico Domenico Salvatore, nel suo libro sulla storia di Mignano), da una testimonianza resa dall’ex brigante Benedetto De Luca1, che preso parte all’attacco, il capitano Pollone morì sotto i colpi dei fucili dei briganti stessi.
Secondo quanto affermò il De Luca, quel giorno la banda di Domenico Fuoco si trovava su Monte Cesima e si apprestava a marciare contro la Guardia Nazionale di San Pietro Infine, ma ben presto dovette cambiare programma perché la «Squadriglia» cambiò direzione e si diresse verso il Moscuso2, cioè verso la pianura per cui era troppo rischioso attaccarla. Allora i briganti proseguirono per Monte Coppa, un’altura di Monte Cèsima, con una marcia forzata, con l’intento di scendere verso la piana di Venafro. Nel mentre marciavano un cane a seguito della banda si mise ad abbaiare segnalando la presenza di alcuni soldati. I briganti, postisi in allerta, cercarono di raggiungere velocemente la pianura, ma a un certo punto trovarono il fuoco di sbarramento dei fucili dei soldati. Lo scontro fu quindi inevitabile. Arrivati a una cinquantina di metri di distanza, il capitano Pollone, per incitare i compagni ad avanzare, uscì fuori dal cordone, ma fu colpito da una fucilata dei briganti, rimanendo ucciso sul colpo.
Caduto il capitano il combattimento si fece più accanito fin tanto che si arrivò allo scontro corpo a corpo. Un soldato infilzò con la baionetta un brigante e questi contemporaneamente gli sparò un colpo di pistola in bocca, per cui caddero entrambi esanimi uno accanto all’altro. Anche il cane rimase ucciso da un colpo di baionetta. Domenico Salvatore, sempre nella sua pubblicazione, riporta anche delle notizie ricavate da alcuni documenti conservati nell’archivio del Comune di Mignano dai quali risultava che quel 5 dicembre 1866, su Monte Coppa vi erano più di cento briganti e che la truppa dei soldati corse il rischio di essere accerchiata, allora preferì attaccare. Dopo oltre un’ora di accanito combattimento rimasero uccisi tre militari, un soldato del 72° fanteria, un milite della squadriglia della Guardia Nazionale Mobilitata (a cui i briganti, nonostante morto, vollero strappargli il cuore), e il capitano Pollone3, il cui corpo fu recuperato solo dopo due giorni. I documenti riportano inoltre che “correva voce” che quel giorno anche i briganti uccisi fossero stati tre, tra cui il capobanda Domenico Valerio, alias Cannone, ma sul luogo dello scontro fu rinvenuto solo un anziano brigante moribondo facente parte della banda Fuoco, il cui nome era Gaetano Giura fu Giuseppe che aveva sessanta anni, era di origine di Barrea, in Abruzzo, ed era assente dal proprio comune dall’ottobre del 1860.
Non sappiamo quindi come siano andate realmente le cose, e cioè se il capitano Pollone, una volta ferito, abbia preferito darsi la morte oppure se sia caduto sotto i colpi di fucile dei briganti. Sta di fatto, comunque, che tanti bravi e valorosi giovani italiani, sia essi appartenenti all’esercito piemontese o a quello disciolto borbonico, entrambi fedeli ai propri ideali e ai propri regnanti, morirono in una guerra che potremmo giudicare “fratricida”. Una guerra causata da una eccessiva sete di potere dei sovrani e spalleggiata anche da quei nobili che, ai primi bagliori “rivoluzionari”, più che seguire i loro ideali furbamente capirono che per restare a galla dovevano comportarsi come sosteneva il principe Fabrizio Salina nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, il quale affermava infatti che: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

1 Benedetto De Luca di Angelo, nacque il 18 febbraio 1845, a Campozillone, frazione di Mignano. Era figlio di onesti contadini, che, però, vennero a mancare quando egli era ancora bambino. All’età di venti anni divenne manutengolo dei briganti che gravitavano nel mignanese, ma, a seguito di una denuncia alle autorità da parte di un suo rivale in amore, per sfuggire al Tribunale militare si arruolò nelle fila dei briganti stessi. In un primo momento fece parte della banda di Domenico Fuoco e poi di quella di Ciccone. Partecipò a molte imprese brigantesche di quel periodo. Il 21 aprile del 1868, partecipando ad uno scontro con le forze dell’ordine in località Melazzella, subì due ferite per cui, pochi giorni dopo, e precisamente il 1° maggio, fu costretto a costituirsi alle autorità di Mignano. Dopo vari processi fu condannato a ventidue anni di lavori forzati. Poi, però, a seguito di un errore giudiziario (a detta dello stesso De Luca) gli fu inflitta la pena dei «lavori forzati a vita», pena che invece doveva essere comminata a un tal Benedetto Delle Donne. Solo dopo trentotto anni, grazie alla sua buona condotta e a seguito di un atto di notorietà, riuscì ad ottenere la correzione dell’errore e con decreto Reale, datato 18 febbraio 1906, riacquistò la libertà. Morì a Campozillone il 23 dicembre del 1926, all’età di 81 anni (D. Salvatore, Notizie storiche sulla Terra di Mignano, Cassino 1939, pp. 198-201).
2 Frazione di Mignano, situata nella valle tra Monte Lungo e Monte Camino.
3 La Corte di Assise del Circondario della Provincia di Molise, con sentenza emessa in seguito di pubblico dibattimento del giorno 27 ottobre 1872, ritenne colpevole il brigante Bernardo Colamattei di Colle S. Magno degli omicidi volontari nelle persone di Pollone, Carbone e Gaglietta e lo condannò alla pena di morte (Archivio di Stato di Caserta, Processi al Brigantaggio, fasc. 700, Estratto di condanna di Colamattei Bernardo, in A. Nicosia, Brigantaggio postunitario: Le bande Colamattei e Fuoco, in «Latium», n. 5, 1988, pp. 82-83».

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