I patti della “tregua” tra Rocca d’Evandro e Montecassino: un documento locale inedito della crisi per la successione al regno di Napoli

 

Studi Cassinati, anno 2015, n. 4
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Nel VI centenario di Pirro Tomacelli abate di Montecassino (1414/1415)

di Mariano Dell’Omo

L’approfondito e dettagliatissimo saggio è frutto di una meticolosa ricerca svolta dall’archivista di Montecassino, d. Mariano Dell’Omo (OSB), relativa a un periodo tormentato in cui si evidenzia la strategica posizione di Rocca d’Evandro, punto nevralgico di passaggio tra S. Germano e Napoli.

1. Pirro Tomacelli abate (1414/1415-1437): l’adesione al partito aragonese, il rifiuto della politica pontificia filo-angioina

56-04Quanto complessa sia stata la posizione di Pirro Tomacelli, abate di Montecassino dal 1414/1415 fino al 14371, anno in cui venne definitivamente sospeso e di fatto deposto dalla carica ad opera di papa Eugenio IV, appare evidente dal fatto che se nell’ottobre del 1415 egli prendeva possesso dell’Abbazia per volontà di papa Martino V che ad essa l’aveva eletto2, già nell’agosto del 1422 lo stesso papa nominava visitatore e riformatore di Montecassino, Antonio abate di S. Lorenzo fuori le mura a Roma3, estromettendo così il Tomacelli dall’esercizio della giurisdizione cassinese almeno fino al 14254, quando il 18 dicembre di quell’anno ancora papa Colonna gliela restituiva ad esclusione di Rocca Ianula5.
Che cosa aveva provocato l’uscita di scena almeno temporanea di Pirro – evento che si sarebbe ripetuto in seguito in modo conclusivo –, in un succedersi di episodi che riflettono la crisi epocale in cui Montecassino si venne a trovare nel pieno delle lotte dinastiche che contrapponevano Angioini e Aragonesi con i relativi partiti nei confini del regno meridionale? Pirro era schierato dalla parte degli Aragonesi, quindi di quell’Alfonso figlio di Ferdinando di Castiglia poi re della corona d’Aragona, che nel 1416 era succeduto al padre in Aragona e Sicilia, e che nel 1421 la regina di Napoli Giovanna II d’Angiò-Durazzo, priva di figli, per tener testa al pretendente Luigi III d’Angiò aveva adottato quale figlio e successore al trono, aprendogli così il varco per un intervento diretto contro gli Angioini. Nondimeno nel 1423 Giovanna revocava con il beneplacito di papa Martino l’adozione, trasferendola in Luigi III d’Angiò, che l’anno successivo veniva così associato al regno. Fu soprattutto alla morte di Giovanna (1435) che il disordine, da cui il regno era già afflitto, si riacutizzò nelle lotte di successione tra Angioini e Aragonesi. Essendo morto nel novembre 1434 anche Luigi III, era entrato in lizza per la successione agli Angiò-Durazzo in Napoli suo fratello Renato, al quale si contrapponeva Alfonso V d’Aragona. Nel frattempo papa Eugenio IV, pur nutrendo sulla scia tradizionale della Sede Apostolica l’idea della subordinazione feudale del regno alla Santa Sede, e quindi pur convinto della sua pretesa sovranità sul regno, nondimeno preferì rispettare quanto aveva già deliberato il suo predecessore, ponendosi pertanto dalla parte di Renato d’Angiò: di qui gli inevitabili contrasti con l’abate Pirro che si mantenne fedele ad Alfonso, mentre all’opposto la comunità monastica si allineò dalla parte del papa a favore dell’angioino.
Di qui alcune inevitabili conseguenze: il 10 dicembre 1437 Eugenio IV sospendeva con lettera solenne il ribelle Pirro dal governo, dal regime e dall’amministrazione di Montecassino6, comunicando altresì al consiglio e all’universitas di S. Germano la sospensione di Pirro dalla carica abbaziale7, soprattutto in ragione del fatto che, dopo essere stato nominato dallo stesso papa castellano della rocca di Spoleto (28 febbraio 1434)8, ora la deteneva contro la volontà del pontefice9. Ormai la comunità monastica cassinese sarebbe rimasta a lungo priva di un effettivo abate (fino al prossimo nella persona di Antonio Carafa, 1446), essendo affidata alla responsabilità diretta di un semplice priore10 sotto la tutela del legato pontificio Giovanni Vitelleschi cardinale presbitero di S. Lorenzo in Lucina. Il 6 giugno 1438 papa Eugenio IV concedeva persino al priore e alla comunità di trasferirsi a S. Angelo in Formis presso Capua per sfuggire alle “atroci mani” («[…] ut ipsius abbatis atroces manus effugere possitis») dell’irriducibile Pirro, contro il quale essi resistevano in obbedienza a Roma, ma che a sua volta cercava di rendere ribelli nei confronti del papa, della Chiesa Romana e della Sede Apostolica paesi e terre abbaziali («[…] ex eo quia vos Pirro abbati Cassinensi contra nos et Romanam Ecclesiam expresse rebelli ac terras et loca monasterii Cassinensis rebellia a nobis fieri procuranti […] restitistis […]»11. Del resto il pericolo, almeno temuto, di vendetta era tale che papa Eugenio il 31 maggio precedente aveva concesso al priore, ai monaci, ai conversi e agli oblati l’indulgenza plenaria in articulo mortis12.
Intanto scrivendo al cardinale Vitelleschi, il 513 febbraio 1440, i monaci, nella speranza di ottenere un nuovo abate, definivano Pirro «pastorem indignissimum»14, ma non riuscirono nel loro intento di normalizzare la vita del monastero, per dirla con san Benedetto, sub regula vel abbate. L’anno dopo infatti, il 17 dicembre 1441, papa Eugenio IV affidava il governo in spiritualibus dell’abbazia cassinese a Giovanni de Primis, abate di S. Paolo fuori le mura di Roma, e quello in temporalibus ad Antonio de Rido castellano di Castel Sant’Angelo15. Se da una parte la persona del siciliano de Primis16 assicurava alla travagliata comunità di Montecassino uno spirito riformatore, dall’altra proprio il documento pontificio recante la sua nomina attesta lo stato di grave confusione, se non di vero e proprio caos in cui era venuto a trovarsi il territorio abbaziale con i relativi castelli, terre e centri abitati a causa della guerra scatenata dall’insanabile contrasto tra filo-angioini (il partito pontificio) e filo-aragonesi (il partito di Alfonso, le cui truppe occupavano tra l’altro la città di S. Germano): «Hinc est quod, cum monasterium Casinense eiusque castra, terre et loca, variis dudum guerrarum turbinibus agitata […]»17. Solo dopo il 1442, l’anno in cui, come sembra, venne a morte in Castel Sant’Angelo a Roma dov’era prigioniero l’abate Pirro18, in particolare a partire dall’anno successivo, quando si pacificarono i rapporti tra papa Eugenio e il re Alfonso d’Aragona, anche per Montecassino sembrò profilarsi l’uscita dalla condizione infelice in cui l’aveva posto il conflitto di quegli anni. In realtà dopo l’abbaziato di Antonio Carafa (1446-1454), gradito all’aragonese e accettato suo malgrado da papa Eugenio, il futuro riservava all’abbazia di S. Benedetto e al suo territorio ben cinquant’anni di governo affidato ad abati commendatari, da Ludovico Trevisan a papa Paolo II, da Giovanni d’Aragona a Giovanni de’ Medici19. Dunque un nuovo lungo periodo di crisi prima della rinascita con l’ingresso nella Congregazione di S. Giustina nel 150420.

2. Rocca d’Evandro e la sua collocazione strategica tra Montecassino e Napoli
Riccardo di S. Germano, il più grande cronista del Regno di Sicilia nell’età di Federico II, in un passo ben noto della sua Chronica riferisce come l’abate Stefano I (1215-1227) presente in Roma all’incoronazione imperiale di Federico II, su ordine del nuovo imperatore dovette cedergli Rocca d’Evandro insieme ad Atina21. Già questa decisione programmatica del sovrano svevo dà la misura del significato di Rocca d’Evandro22 nel tessuto e nell’organizzazione dei capisaldi del regno meridionale: al pari di Sessa, Teano, Mondragone, Mignano, anche su Rocca d’Evandro convergevano strade fondamentali nel passaggio da nord a sud e viceversa. Non a caso castelli e città nevralgici, nella nuova organizzazione del regno dovevano contribuire a consolidare la formazione di un demanio. Il castello di Rocca d’Evandro domina infatti la valle del Garigliano così come Atina sbarra il passo verso nord (Sora, Abruzzi, Avezzano). Tra i castelli curiali di Terra Laboris et comitatus Molisii elencati in una lista datata al 28 novembre 1269, che in ogni caso rispecchia la serie di quelli federiciani, compare anche il nostro23 insieme ad altri trenta24: tra quelli che hanno come punto di orientamento più vicino Cassino, si annoverano oltre a Rocca d’Evandro, i castra di Fontana, Pico, Aquaviva, Roccaguglielma, Rocca Ianula, Presenzano, Castrocielo.
Ugualmente significativa è l’appartenenza di Rocca d’Evandro alla lista dei cosiddetti castra exempta25, cioè quei castelli i cui castellani Federico II, in seguito alla riforma dell’apparato burocratico castellare del 123926, nominava e/o destituiva personalmente, a differenza di quelli governati da provisores castrorum, i provveditori ai castelli dotati di una propria giurisdizione.
Negli anni che qui interessano, tra il secondo e il quarto decennio del sec. XV, mentre Rocca d’Evandro è sottoposta alla sola giurisdizione spirituale di Montecassino, la sua ubicazione geo-politica nel regno restava immutata: continuava a rappresentare un punto chiave, venendosi a trovare sulla via naturale di passaggio, attraverso i monti, da S. Germano verso Napoli. Possedere Rocca d’Evandro significava dominare la valle del Garigliano. Pertanto ogni forma di accordo, ogni “tregua” stipulata con questo castello rappresentava un motivo di sollievo e lo strumento necessario ad una politica realistica in un contesto così difficile come quello della successione al regno di Napoli, che vide per più decenni contrapposti filo-angioini e filo-aragonesi.

3. I patti della “tregua”27: un episodio di politica territoriale e di pacificazione ad tempus tra l’Abbazia governata da Pirro e un centro cruciale alle porte del regno
I patti della “tregua”, che constano di nove capitoli, furono stipulati dai rappresentanti «della Rocca de Bandra» nella persona di Francesco arciprete, Fusco di Nunzio, e dei «syndici» a nome e per conto di «Iannuczo de notaro Nicola de Armingnano» luogotenente di suo fratello Antonello, capitano della detta Rocca, oltre che degli uomini e della comunità di Rocca d’Evandro e Camino, con «Simone Borsino» da Spoleto, governatore generale, capitano e vicario dell’abate di Montecassino (Tav. 1).
Come si può determinare con sicurezza che l’abate si identifichi con Pirro Tomacelli? Intanto l’esemplare consegnato al rappresentante dell’Abbazia e di cui si offre qui l’edizione è vergato in una scrittura minuscola semigotica (“semigotica delle carte”) situabile alla prima metà del sec. XV. Ma è l’elemento cronologico che dirime la questione, dal momento che nel n. 8 dei patti si legge che l’inizio della tregua decorre a partire dal 1° di marzo della quindicesima indizione: ebbene, escluso il 1407 in cui erano pacificamente re di Napoli Ladislao e abate di Montecassino Enrico Tomacelli, e considerando invece gli anni immediatamente successivi, tale indizione ricorre nel 1422, 1437, 1452. Esclusa quest’ultima data in cui ormai il regno era saldamente nelle mani di Alfonso I dal giugno 1442, restano possibili i soli 1422 e 1437. Il primo è un anno decisamente precoce per giustificare quel logoramento del tessuto di relazioni all’interno e all’esterno dei centri abitati della Terra Sancti Benedicti, determinatosi via via a causa delle incertezze circa la successione al regno, sebbene non sia da escludere del tutto, visto che nel marzo del 1422 Pirro è ancora abate a tutti gli effetti, mentre solo il 2 agosto successivo papa Martino V nomina un visitatore e riformatore di Montecassino nella persona dell’abate di S. Lorenzo fuori le mura di Roma, adducendo come motivazione il fatto che alle sue orecchie era giunta notizia, degna di fede, che il monastero cassinese pativa grave danno forse per il cattivo governo del suo abate, e che perciò intendeva provvedere velocemente in modo opportuno a nominare un visitatore e riformatore al fine di evitare scandali più gravi, e così tutelare la pacifica vita dei monaci e dei sudditi del monastero28. Dunque una decisione, quella del papa, assunta in via preventiva, prima che la situazione potesse precipitare e il danno espandersi a macchia d’olio non solo tra i monaci, com’era già avvenuto, ma anche tra gli abitanti delle terre circostanti. A quella data quindi è il solo monastero che desta preoccupazione al papa.
In realtà, come già sopra sottolineato, già il 18 dicembre 1425 Martino V reintegrava Pirro nella sua giurisdizione, ad eccezione di Rocca Ianula29: è da questo momento che il destino di Pirro abate si va ad intrecciare con quello di rettore della città e del ducato di Spoleto oltre che castellano della rocca della stessa città per nomina pontificia del 28 febbraio 143430. È emblematico a tal proposito che dopo la definitiva sospensione dalla carica abbaziale decisa il 10 dicembre 1437, gli viene anche ingiunto di lasciare la rocca di Spoleto, e promesso che verrà liberato da ogni conseguenza dannosa purché ottemperi a quanto richiesto (18 marzo 1438)31. Tra il 1425 e il 1437 pertanto la situazione era sicuramente precipitata: le lotte tra il partito angioino e quello aragonese si erano infatti esacerbate dopo la decisione di Giovanna II in favore di Luigi III d’Angiò (1423), e in particolare dopo la morte di quest’ultimo (1434) e della regina (1435), allorché entrò in campo l’angioino Renato contro l’aragonese Alfonso. Pirro era schierato dalla parte dell’aragonese nella sua duplice veste di abate di Montecassino e rettore di Spoleto, un abbinamento esplosivo agli occhi della Sede Apostolica filo-angioina, in quanto metteva a rischio direttamente la stabilità del Patrimonio di S. Pietro nel quale rientrava il dominio diretto sul ducato di Spoleto. Del resto le scelte di campo dell’abate crearono scompiglio, incertezze e gravi pericoli anche tra i centri abitati dell’abbazia cassinese, sia a nord che a sud di Montecassino. È in questo confuso orizzonte che ben si inseriscono i patti della tregua tra Montecassino e Rocca d’Evandro, mentre era ormai diffuso il conflitto tra i due partiti, e di conseguenza si assisteva al degrado delle relazioni tra gli abitanti del territorio: a tali contrasti essi intendevano porre un possibile, limitato ma concreto argine.
D’altra parte anche il fatto che rappresentante dell’abate nella stipulazione dei patti sia un governatore e capitano originario di Spoleto, induce a ritenere plausibilmente che l’abate Pirro lo abbia scelto proprio quando era nel pieno delle sue funzioni di rettore e castellano di Spoleto, quindi fra il 1434 e il 1437. Ma c’è infine un ulteriore dato che consolida l’ipotesi che i patti siano stati stipulati nel 1437: il fatto che tra le sottoscrizioni autografe in calce agli accordi (Tav. 2) si trovi quella (la quarta dall’alto) di un «Petrus Franchus», lo stesso soggetto senza dubbio (per ragioni paleografiche) che si sottoscrive (anche con un medesimo signum crucis – croce greca potenziata) in qualità di teste in un atto di alienazione di una casa ubicata in Rocca d’Evandro, ivi datato il 31 agosto 1431, ind. IX: «+ Ego qui supra Petrus Franchus ad hoc testis interfui et me subscripsi» (Montecassino, Archivio dell’Abbazia, caps. CXXXV [già XL], fasc. I, n. 6), allorché signori di Rocca d’Evandro erano Cola Orsini e Maria Marzano conti di Manoppello.
Quali obblighi prevedevano i patti per le due parti che li avevano stipulati?
• Sin dall’esordio si sottolinea la certezza dei patti stessi, la cui violazione dall’una e dall’altra parte comporta infatti la pena del pagamento di duecento once oltre che la riparazione del danno che ne derivasse.
• Nel primo punto si stabilisce che ogni eventuale rottura della tregua debba essere preannunziata dalla parte interessata quattro giorni prima, con apposita lettera inviata tramite un messo speciale.
• La tregua, che si applica a tutti coloro che abitano o dimorano rispettivamente nell’Abbazia e in Rocca d’Evandro e Camino, comporta la libera circolazione di giorno e di notte nei rispettivi luoghi per tutto il periodo di durata dei patti (n. 2).
• Ciascuna delle parti inoltre si impegna a non accogliere entro i propri confini chi li attraversasse al fine di recare offesa o provocare danno all’una o all’altra, ed ancora a comunicarsi reciprocamente e preventivamente notizia del pericolo di offesa o danno nel caso che l’una o l’altra ne venisse a conoscenza (n. 3).
• Circa la libera circolazione assicurata rispettivamente a quelli che abitano nell’Abbazia e agli uomini della Rocca e di Camino, si prescrive che agli uni e agli altri è lecito attraversare i rispettivi territori sia all’andata che al ritorno (n. 4).
• Qualora poi l’Abbazia subisse incursioni e danni da parte di invasori esterni e questi con il loro bottino tentassero di attraversare il territorio della Rocca, gli uomini di quest’ultima sono tenuti a impedirlo e a far restituire quanto indebitamente sottratto; ugualmente a ciò sono tenuti gli abitanti dell’Abbazia nei confronti di quelli della Rocca e di Camino (n. 5).
• I terreni che rientrano nei confini territoriali dell’una e dell’altra parte sono liberi e sicuri a tal punto che in essi è fatto divieto di recare offesa a chiunque, sia pure estraneo, li attraversasse; diversamente se l’una o l’altra parte avesse recato offesa o fatto prigioniero qualcuno al di fuori dei confini del territorio di entrambe, esse possono liberamente con il proprio bottino di persone o di cose attraversare le pubbliche strade e i detti terreni (n. 6).
• Infine nel caso in cui soggetti estranei attraversassero i terreni dell’una parte al fine di offendere l’altra, ciascuna delle parti che hanno stipulato i patti della tregua può impunemente recare offesa a detti estranei all’interno dei terreni di pertinenza dell’una o dell’altra (n. 7).
Tra tanti sconvolgimenti e conflitti i patti della tregua tra Rocca d’Evandro e l’abbazia di Montecassino recavano dunque un principio di stabilità e di equilibrio a vantaggio degli abitanti dei rispettivi territori, sebbene si possa ritenere che ben presto, specialmente dopo la sospensione di Pirro dalla carica abbaziale decisa proprio sul finire del 1437, tutto dové essere nuovamente messo in discussione. Nondimeno il realismo politico-militare che questi patti testimoniano, riflette un aspetto positivo del governo di un controverso abate di Montecassino nel passaggio dal medioevo all’età moderna.

4. Il testo
Montecassino, Archivio dell’Abbazia, caps. CXXIX, fasc. XIV.
Un bifolio cartaceo scritto – di mano del sec. XV (prima metà) –, sulle prime tre facciate; sulla quarta in alto, una nota archivistica di mano del sec. XVI: «In Vantra. Diferentie tra el m(onasteri)o et q(ue)lli de la Rocha di Vantra».

[f. 1r]
Questi so li pacti della securitate et treuga habiti et | firmati per mani de dompno Francisco archiprevete et Fuscho | Nunctii et syndici della Rocca de Bandra promectenti per loro | et nomine et pro parte de Iannuczo de notaro Nicola de Armingnano | locumtenente de Antonello sou fratello capit(ani)o della dicta Rocca | et pro parte della universitate et homini de ipsa Rocca et de Camino | collo nobile et egregio doctore de lege missere Simone | Bo(r)sino da Spoliti generale gubernatore capitanio et vicario | per parte de monsengnore lu abbate de tucta la soa abbadia | de Monte Casino. Li quali pacti in genere et in spetie dall’una | parte ad l’altra et e contra se promecterao de observare alla pena | de ducento unce pro parte et della restauratione de omne dampno | spesa et interesse che ne sequisse per questo, s(econd)o li capituli et | particularitati infrascripte.
<1> In primo che questa securitate et treuga sia ferma et durabile ad arbitrio | et beneplacito dell’una parte et dell’altra et quando per voluntate de una | delle parti o per commandamento delli singnori superiori bisongnasse | la dicta treuga rompere, che per quactro dý nanti che se facza offesa | alcuna, se dega singnificare et fare ad sapere ad l’altra parte per lictera | et nunctio spetiale.
<2> Item che questa securitate et treuga se intenda infra tucti li homini della | Abbadia et receptanti in ipsa et tucti li homini et persone della dicta Rocca | de Bandra et de Camino et receptanti in ipse, che omne persona pocza | libera et securamente andare stare et praticare sou terreno de dì et de | nocte senza offensione alcuna reale o personale inferenda dall’una parte | ad l’altra et dal’altra ad l’una durante lu benplacito supradicto.
<3> Item che nulla delle parti receptarao quilli che andassero ad dampnificare | et offendere l’una parte et l’altra et quando ne havissero conscientia et | sapissero che per altre genti se devesse fare offesa puplica o privata, de singni|ficarelo et farelo ad sentire l’una parte ad l’altra i(m)mediate et nanti che | la dicta offesa venga ad executione.

[f. 1v]
<4> Item che sia licito ad quilli della Abbadia et receptanti in ipsa andare, passare | et tornare per le strate et vie puplice dello territorio della dicta Rocca et de Camino | senza offensione et lesione alcuna inferenda ad quilli che passassero. Et e converso | li homini della Rocca et de Camino et(a) receptanti in ipse, poczano gire et tornare per ly | territorii della Abbadia.
<5> Item che se in casu che per altre genti se corresse o offendesse nella Abbadia | et quilli che havissero offiso tornassero per loro pertinentie et territorio con presoni | o preda, che quilli della Rocca syano tenuti iuxta lo loro potere nolli lassare | passare et portare li dicti presoni o preda et de fareli restituyre et liberare | quello che portassero. Et e converso siano tenuti li homini della Abbadia a quilli | della Rocca et de Camino.
<6> Item che li terreni dell’una parte et l’altra syano franchi et securi et che se non | dega né pocza offenderese in ipsi terreni ad li altri inimici et extranie | personi che se retrovassero in ipsi. Vero che se l’una parte o l’altra havissero | offiso et facti presoni o preda de fore le pertinentie et territorii delli | dicti lochi dell’una parte et l’altra, che poczano impune passare per le strate | et vie pupliche et per li dicti terreni colli dicti presoni, preda et roba.
<7> Item che se altre extranie genti passassero per li terreni dell’una delle parti | per offendere ad l’altra parte, che poczano et sia licito all’una parte et ad | l’altra le dicte extranie genti essere inpune offese dall’altra parte | in nelli terreni dell’una parte et l’altra.
<8> Item che la dicta treuga se intenda essere comenzata(b) et principiata | dallo primo dì del presente mese de marzo della quintadecima indictione | et dure durante lu beneplacito dell’una parte et de l’altra, s(econd)o è dicto de sopra.
<9> Item che della dicta treuga et pacti ne syano facti duy consimili | scripture roborate con subscriptioni dell’una parte et dell’altra, delle quali | ad omne una delle parti ne rimanga una per certitudine, securitate | et cautela delli pacti supradicti et observationi de ipsi.

[f. 2r]
+ Ego Iohanucius notarii Nicolai de Albiniano lucum tenens(c) predicta fateor | et me subscripsi.
+ Ego dompnus Francisscus archipresbiter(d) Rocce Bantra predicta fateor et me subscripsi.
+ Ego Antonius Girolli sindicus Rocce Bantre predicta fateor et me subscripsi.
+ Ego Petrus Franchus sindicus predicta fateor et me subscripsi.
+ Ego Antonius Francus predicta(d) fateor et me subscripsi.
+ Ego Nicolaus Conpangnonus de dicta Rocca predicta fateor et signum crucis feci.
+ Ego Antonius de Colecta de dicta Rocca predicta fateor et signum crucis feci.
+ Ego Petrus de Niczola de dicta Rocca predicta fateor et signum crucis feci.
+ Ego Benedictus notarii Zoppi de dicta Rocca predicta(e) fateor et signum crucis feci.
+ Ego Pascuarius Fer(r)a(r)us de dicta Rocca predicta fateor et signum crucis feci.
+ Ego Angelus de Stanclo de dicta Rocca(f) predicta fateor et signum crucis feci.
——————
In calce all’ultimo signum manus si trovano apposti due piccoli sigilli di cera sotto carta, aderenti.

+ Ego Antonellus de Albiano capi(tani)us predicte Rocce Bantre et eius districtus, predicta capitula | treugam et pacta in eis contenta confirmo, ratifico et accepto et ipsa abservare et observari facere | promicto et pro fide et certitudine promissionis mee manu mea subscripsi et meo nicio niciavi32.
——————
In calce a quest’ultima sottoscrizione si trova apposto un piccolo sigillo di cera sotto carta, aderente.

+ Ego dompnus Francisscus archipresbiter(d) Rocce Bantre confiteor(g) et me subscripsi.
+ Ego Fuscus de Rocca Bantra sindicus ad predictam causam fateor et me supscripsi.
+ Ego Antonius Francus de Rocca Bantra sindicus fateor et me supscripsi.
+ Ego Antonius Colecta de Rocca Bantra sindicus fateor et sindum(h) cruci feci.

——————
(a) et] corr. su p       (b) comenzata] nel testo conenzata       (c) tenens] nel testo tenes per mancanza del segno abbr.       (d) -p- con asta tagliata da lineetta invece che con quest’ultima soprascritta       (e) predicta] nel testo pdicta per mancanza del segno abbr.       (f) segue ripetuto Rocca       (g) confiteor] nel testo cofiteor per mancanza del segno abbr.       (h) sindum] Così nel testo

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1 Su di lui cfr. T. Leccisotti, Aspetti della crisi dell’età moderna a Montecassino, in Montecassino nel Quattrocento. Studi e documenti sull’abbazia cassinese e la “Terra S. Benedicti” nella crisi del passaggio all’età moderna, a cura di M. Dell’Omo, Montecassino 1992 (Miscellanea Cassinese, 66. Monastica, XII), pp. 15-114. Altre notizie e dati indiretti in due saggi dedicati a Lucio da Visso segretario di Pirro: P. Scarcia Piacentini, Un fantasma umbro-marchigiano del ‘400: Lucio di Visso, «Res Publica Litterarum», 5 (1982), pp. 233-252; Ead., Lettere da uno sconosciuto: L’epistolario di Lucio da Visso (Vat. Lat. 2906; Vat. Lat. 5127; Casanat. 294), in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XIII, Città del Vaticano 2006 (Studi e Testi, 433), pp. 519-557.
2 Cfr. T. Leccisotti, Aspetti … cit., pp. 105-106, n. XLI.
3 Cfr. ivi, pp. 50-51, n. I.
4  All’abate Antonio di S. Lorenzo si succederanno presto altri di nomina pontificia: il visitatore e riformatore Domenico d’Anglona vescovo di Sutri (27 agosto 1423) e l’amministratore Pietro d’Agello (14 febbraio 1424), quest’ultimo «propter absentiam dilecti filii Pirri moderni abbatis ipsius monasterii agentis presentialiter in remotis»: cfr. ivi, rispettivamente pp. 55-56, n. VI, 62-64, n. XI, in particolare 62.
5 Cfr. ivi, pp. 76-77, n. XVIII.
6  Cfr. Abbazia di Montecassino. I Regesti dell’Archivio, I, a cura di T. Leccisotti, Roma 1964 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, 54), p. 150, n. 88. Da notare che nella nota di cancelleria sotto la plica a destra, relativa al segretario, si legge il nome autografo del celebre umanista Poggio Bracciolini («Poggius»), che dell’abate Pirro negli anni precedenti era stato corrispondente per motivi legati alla scoperta di manoscritti nella biblioteca cassinese: cfr. F. Lo Monaco, Note su codici cassinesi tra Quattro e Cinquecento, in Montecassino nel Quattrocento, p. 336.
7  T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 86, n. XXVI.
8  Ivi, p. 83, n. XXIII.
9  Ivi, p. 86, n. XXVI: «Quoniam dilectum filium Pirrum abbatem monasterii Cassinensis suis culpis et demeritis exigentibus et precipue quia arcem nostram Spoletanam, cuius illum feceramus castellanum credentes ipsum filium obedientie et fidelitatis futurum, contra voluntatem nostram tenere et occupare presumit ac illam, licet sepis requisitus, restituere recusat in nostrum et Sedis Apostolice vilipendium et contemptum, omni gubernatione, regimine et administratione dicti monasterii ac iurium et pertinentiarum ipsius duximus auctoritate apostolica suspendendum […]».
10  Il 9 dicembre 1437 Eugenio IV rivolgendosi al priore e alla comunità notifica di aver sospeso l’abate Pirro dal governo del monastero e quindi ingiunge loro di non prestargli più obbedienza, affidando nel contempo al solo priore la responsabilità del governo in spiritualibus: cfr. Regesti, I, p. 67, n. 48.
11  T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 107, n. XLII; inoltre Regesti, I, p. 81, n. 24.
12  Cfr. Regesti, I, p. 80, n. 21.
13  T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 29 nota 38, sulla base anche di E. Gattola, Historia abbatiae Cassinensis per saeculorum seriem distributa, Venetiis 1733, p. 605, invece di «v» legge “x”, quindi decimo e non quinto, ma in realtà in Montecassino, Archivio dell’Abbazia, Registrum Conventus, f. 4v, si legge «v», con il tratto obliquo a sinistra e quello di destra che si appoggia su di esso in forma di occhiello; diversamente se si trattasse di “x”, il tratto di destra dopo aver intersecato quello di sinistra scenderebbe decisamente al di sotto del rigo. Del resto non a caso la lettera trascritta subito di seguito, inviata dal priore e dalla comunità a papa Eugenio IV, è datata da Montecassino al 6 di febbraio del 1440: Registrum Conventus, f. 5r (cfr. Gattola, Historia, p. 603).
14  La lettera si legge nel Registrum Conventus, f. 110r-v: ed. in T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 30 nota 38.
15  Cfr. ivi, pp. 99-100, n. XXXVII.
16  Cfr. anche per altri riferimenti bibliografici G. Spinelli, Episcoporum Casinensium seu Congregationis S. Justinae de Padua series chronologica. I. Ab anno 1437 usque ad annum 1604, «Benedictina», 52 (2005), p. 81.
17  T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 99, n. XXXVII. Ben più ampia e drammatica è la descrizione del territorio cassinese che si legge nella lettera del Vitelleschi datata il 17 agosto 1439 (cfr. ivi, p. 30 nota 38), indirizzata al priore, alla comunità e al capitolo del monastero cassinese, inserta in quella di papa Eugenio IV del 1° agosto 1440 con la quale questi confermava le facoltà concesse all’ormai defunto cardinale (cfr. Regesti, I, p. 22, n. 33): «Constat nanque firme nobis quia mense iam sextodecimo abbatiam hostes occupant, terras et castra incendunt et devastant, vos et monasterium obsident […]» (ho tratto il testo direttamente dall’inserto nell’originale: Archivio dell’Abbazia, caps. I, n. 33; cfr. anche, ma con qualche differenza, T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 30 nota 38).
18  Per la prigionia in Castel Sant’Angelo cfr. N. Picozzi, Gli abati commendatari di Montecassino (1454-1504), in Montecassino nel Quattrocento, p. 122; Piacentini, L’epistolario, p. 525. Sulla data della morte di Pirro, se io stesso ho condiviso l’anno 1442 (cfr. M. Dell’Omo, Montecassino. Un’abbazia nella storia, Montecassino-Cinisello Balsamo 1999 [Biblioteca della Miscellanea Cassinese, 6], p. 64), ho invece arrestato al 1437 l’effettivo periodo di governo abbaziale (cfr. ivi, Appendice. I. Serie cronologica degli abati di Montecassino, p. 303) cui invece T. Leccisotti, Montecassino, Montecassino 198310, p. 353, preferisce dare come termine il 1442, sebbene la sospensione decisa ufficialmente nel 1437 si identifichi con una vera e propria destituzione; diversamente come spiegare la già menzionata richiesta di un nuovo pastore fatta dai monaci al Vitelleschi: «sicut monasterio suo <S. Benedicti> pastorem indignissimum abstulisti, ita largiaris et dignum»?: T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 29 nota 38).
19  Cfr. nel citato Montecassino nel Quattrocento, rispettivamente i saggi di Pio Paschini, Mariano Dell’Omo, Leone Mattei-Cerasoli, Valerio M. Cattana.
20  Sul tormentato (sotto il profilo finanziario) passaggio alla Congregazione cfr. M. Dell’Omo, Documenti per il V centenario dell’unione di Montecassino alla Congregazione di S. Giustina. La fine della commenda e gli adempimenti finanziari verso il futuro papa Leone X, i vescovi Pandolfini e Serapica (1504-1532), «Benedictina», 52 (2005), pp. 277-352; più in generale Id., Montecassino nella Chiesa e nella cultura del Cinquecento, in Cinquecento monastico italiano. Atti del IX Convegno di studi storici sull’Italia benedettina San Benedetto Po (Mantova), 18-21 settembre 2008, a cura di G. Spinelli, Cesena 2013, pp. 21-70.
21  Ryccardi de Sancto Germano notarii Chronica, a cura di C. A. Garufi, Bologna 1937-19382 (Rerum Italicarum Scriptores, VII, 2), p. 83 (all’anno 1220).
22  Per un rapido orientamento sulla storia di questo centro nevralgico, per posizione geografica, della Terra Sancti Benedicti, cfr. F. Cedronio, Pochi ricordi storici sopra Rocca d’Evandro e i suoi villaggi riuniti Camino e Cucuruzzo, Cassino 1879; A. Panarello, … rocca, quae Bantra dicitur … Storia ed evoluzione del castello di Rocca d’Evandro dalle origini all’eversione della feudalità, Sessa Aurunca 2000; A. Pantoni, Rocca d’Evandro. Ricerche storiche e artistiche, a cura di F. Avagliano, Montecassino 2004 (Biblioteca del Lazio meridionale, 9).
23  Cfr. E. Sthamer, L’amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò, con prefazione a cura di H. Houben, Bari 1995 (ed. in italiano con traduzione di F. Panarelli dell’opera originale edita a Lipsia nel 1914), p. 132: «[…] in Rocca Bantre: castellanus scutifer […]».
24  Cfr. ivi, pp. 131-132.
25  Cfr. ivi, p. 129 (Federico II nomina nuovi provisores castrorum nell’intero Regno. 1239 ottobre 5 presso Milano): «Similes scripsit idem de eodem mandato ad Guilielmum filium Laurentii de Suessa statutum provisorem castrorum Terre Laboris, comitatus Molisii, Principatus et terre Beneventane. Castra exempta in eisdem iusticiariatibus sunt hec: Sorella, Rocca Arcis […], Mons Casinus, Rocca Ianula, Rocca Bantre […]».
26  Cfr. H. Houben, L’amministrazione dei castelli, in Le eredità normanno-sveve nell’età angioina. Persistenze e mutamenti nel Mezzogiorno. Atti delle quindicesime giornate normanno-sveve, Bari, 22-25 ottobre 2002, a cura di G. Musca, Bari 2004, pp. 219-234.
27 Quanto fosse rilevante anche dal solo punto di vista morale il significato e il rispetto della “tregua” emerge da una delle più antiche testimonianze di volgare italiano, una formula di confessione latino-volgare risalente a circa il 1090, conservata in un manoscritto proveniente da S. Eutizio di Norcia, oggi Roma, Biblioteca Vallicelliana, B 63, ff. 232r-233r, dove si legge l’espressione: «Me accuso de la sancta treva, k’io noll’observai siccomo promisi»: cfr. A. Monteverdi, Prime testimonianze di lingua e di poesia volgare in Umbria, in Id., Cento e Duecento. Nuovi saggi su lingua e letteratura italiana dei primi secoli, Roma 1971, p. 197; J. B. Solodow, Latin Alive. The Survival of Latin in English and the Romance Languages, Cambridge 2010, p. 295.
28  Cfr. T. Leccisotti, Aspetti … cit., p. 50, n. I: «Sane ad nostrum nuper auditum non absque multo dolore mentis nostre fida digne relatione pervenit quod predictum monasterium detrimenta gravia patitur, forsitan malo regimine abbatis eiusdem, et, nisi de oportuno remedio celeriter provideatur, periculo subiaceat scandali gravioris quod omnino intendimus removere et ipsius ac monachorum vitam in ipso degentium taliter reformare ut quieti et paci ipsorum et omnium subditorum ac ipsius monasterii conveniet dignitati […]».
29  Cfr. ivi, pp. 76-77, n. XVIII.
30  Cfr. ivi, pp. 81-83, nn. XXII-XXIII.
31  Cfr. ivi, p. 87, n. XXVII.
32 Per altri casi in cui ho riscontrato la formula «nicio niciavi» (dove «nicium» è sinonimo di sigillo), cfr. C. Perugini – J. Martínez Gázquez, Testamento de Doña Juana III Reina de Nápoles, «Boletín de la Real Academia de Buenas Letras de Barcelona», 43 (1991-1992), pp. 81-114 (anche http://www.raco.cat/index.php/BoletinRABL/article/view /195551/270080): ivi uno dei testimoni così si sottoscrive nell’atto testamentario: «Ego notarius Joannes de Parvis de Neapoli testis interfui filo ligavi e nicio niciavi» (ivi, p. 95). Inoltre, sulla base di G. Cioffari, Le tasse dei Calitrani nel Quattrocento. Nuovi documenti, «Il Calitrano. Periodico quadrimestrale di ambiente, dialetto, storia e tradizioni», 27, n. 34 n. s. (gennaio-aprile2007), pp. 5-7 (www.ilcalitrano.it), in qualche documento tratto dal Cedolario conservato nell’Archivio di Stato di Napoli (Museo 99 A 84), relativo al periodo 1435-1446, si rileva la stessa formula, come ad esempio al 1° ottobre 1443: «Unde ad cautela predicte universitatis et hominum dicte terre Caletri et regie curie certitudinem subscripsi hanc apodixam manu mea propria et niciavi nycio meo. Duc. XXXVI» (p. 7); e ancora il 29 marzo 1444: «Ydeo ad cautela de lo dicto sindico et universitate de Calitri aio facta questa presente apodixa de mia mano propria et sigillata del mio niczo. Duc. XXX» (p. 7). Infine in una nota settecentesca del Codex Diplomaticus Casinensis, vol. VIII, f. 589v (Montecassino, Archivio dell’Abbazia), apposta a fianco della trascrizione di un documento del 9 aprile 1431 (Montecassino, Archivio dell’Abbazia, caps. CXXXV [già XL], fasc. I, n. 7), si legge: «+ Not. Nitium idem ac pendens sigillum».

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