La cattedrale, gli edifici di culto di Gaeta e mons. Fabio Bernardo D’Onorio


Print Friendly, PDF & Email

 

Studi Cassinati, anno 2016, n. 1
> Scarica l’intero numero di «Studi Cassinati» in pdf
> Scarica l’articolo in pdf
.

Lino Sorabella,  Ecclesia Mater. La cattedrale di Gaeta, Caramanica Editore, Marina di Minturno 2014, pagg. 126,  illustr. b/n e col., f.to cm. 17×24; ISBN 978-88-7425-163-6; € 15,00.

 

15Il 27 settembre 2014, a distanza di 908 anni da quando papa Pasquale II, nel 1106, officiò i riti di dedicazione della cattedrale di Gaeta, l’arcivescovo mons. Fabio Bernardo D’Onorio ha celebrato la solenne cerimonia di riapertura al culto del restaurato duomo intitolato a Santa Maria Assunta, da sempre in «forte simbiosi con la Città, con la Comunità locale, con la sua storia, la sua cultura, la sua espressione artistica».
Proprio in occasione di tale eminente circostanza Lino Sorbella ha inteso licenziare l’interessantissimo e storicamente approfondito volume sull’Ecclesia Mater (da cui sono tratte tutte le notizie e le illustrazioni di seguito riportate).
Fabio D’Onorio, originario di Veroli, entrato a 14 anni nel monastero di Montecassino, è stato prima segretario di due grandi abati, Ildefonso Rea e Martino Matronola, finché il 25 aprile 1983 è stato eletto abate ordinario del cenobio cassinese assumendo il nome di Bernardo. Nel 2004 papa San Giovanni Paolo II lo ha elevato alla dignità episcopale.  Con la nomina ad arcivescovo di Gaeta fatta da papa Benedetto XVI, lasciò Montecassino  e si insediandiò nella nuova cattedra il 27 ottobre 2007. Nell’arco di nove anni ha svolto nella «bella terra di Gaeta» un’intensa attività pastorale, religiosa, prodigandosi fortemente pure per il recupero di numerosi edifici sacri. È stato il caso, ad esempio, della cattedrale. Fin dal suo insediamento, infatti, mons. Fabio Bernardo D’Onorio aveva dato avvio al progetto di recupero strutturale, e non solo, della cattedrale. Richiamandosi allo spirito del dettame di sant’Ignazio di Loyola, condensato nell’espressione Deformata reformare che individua lo «scopo di ogni restauro dello spirito umano alla luce della bellezza e della bontà di Dio», ha accettato l’«onore, la sfida e il desiderio» di riconsegnare a Gaeta il suo duomo. Ottenuto un finanziamento di 3.200.000 euro, in parte messi a disposizione dalla Conferenza Episcopale Italiana attraverso i fondi dell’8 per mille e in parte dalla Regione Lazio, nel 2010 sono iniziati i lavori di recupero affidati all’Impresa Sacen s.r.l. (che aveva già maturato significative esperienze avendo provveduto al restauro della Basilica superiore di S. Francesco d’Assisi fortemente lesionata dagli eventi sismici del 1997). Gli interventi hanno presentato particolari difficoltà perché si trattava di intervenire su un monumento realizzato in epoche storiche diverse e perché andava previsto sia il consolidamento strutturale dell’edificio sia il restauro del prezioso interno.
Quattro lunghi anni di complessi e delicati lavori culminati con il rito della dedicazione svolto, appunto, il 27 settembre 2014, in quella che Vittorio Sgarbi ha giudicato «Una festa … Una resurrezione». Anzi il noto critico e storico dell’arte ha voluto rendere testimonianza della preziosa opera svolta dall’arcivescovo scrivendo che «oggi Gaeta non potrebbe vantarsi di questo straordinario monumento, se non ci fosse stata la tenacia e la determinazione di Mons. Bernardo D’Onorio di fare qualcosa che un tempo Vescovi e Papi ritenevano un loro compito: perché se oggi la Chiesa è così grande lo è per i monumenti che la rappresentano».
Certo la cattedrale è stata profondamente rivista ma ogni cosa è tornata al suo antico splendore, e, continua Sgarbi, «ogni pietra è stata rimessa in evidenza e recuperati ovunque i motivi cosmateschi. Un’operazione di radiografia in vista, compiuta sulla realtà delle pietre, per evidenziare le stratificazioni sottostanti. E poi, con frammenti antichi, nuovo altare, nuovo pulpito, nuova disposizione del cero Pasquale, con il suo insolito capitello, e le lastre di scavo ed erratiche nuovamente riposizionate». Tutto è rivalorizzato anche utilizzando una nuova e più appropriata posizione. Al suo interno continua a conservare e tramandare «vestigia e significativi resti antichissimi: i sarcofagi con le reliquie dei Martiri; una selva di colonne e capitelli di riuso romano, colonne in parte riportate alla luce e le più, ancora inglobate nei pilastri; ecco il celebre Cero pasquale detto anche “Colonna istoriata” per le 48 incuneate formelle raffiguranti la vita di Gesù e di Sant’Erasmo; e poi il piccolo ambone», il lettorino, il «caratteristico pavimento cosmatesco qua e là restaurato e integrato».

L’arcidiocesi di Gaeta
Nell’ottobre 590 papa Gregorio Magno soppresse la diocesi di Minturno e il territorio fu annesso a quella di Formia. Poi nella seconda metà dell’Ottocento la sede episcopale migrò da Formia a Gaeta. Quindi il primo luglio 1818 alla diocesi di Gaeta fu accorpata quella di Fondi. Infine il 31 dicembre 1849 papa Pio IX, esule a Gaeta, elevò la sede vescovile ad arcivescovado.

La Cattedrale di Gaeta
Quando nel corso dell’Ottocento la sede episcopale fu trasferita da Formia a Gaeta, raggiunsero la nuova sede non solo notabili e istituzioni ma anche i simboli della cristianità come le reliquie dei santi Erasmo, Probo e Innocenzo fino ad allora custodite a Formia. Se di Probo e Innocenzo si hanno scarsissime notizie, secondo la tradizione il vescovo di Antiochia, Erasmo, il 2 giugno dell’anno 303 moriva a Formia, sepolto nel cimitero romano della città con la sua tomba che, ben presto, divenne luogo di culto. Il Martyrologium Romanum registra, al 2 giugno, «che Sant’Erasmo, Vescovo e Martire, sotto Diocleziano, è fustigato con piombarola, poi severamente colpito con mazze, dopo gli viene versato addosso resina, zolfo, piombo, pece, cera e olio, ma ne esce illeso; poi a Formia, sotto l’imperatore Massimiliano, con una varietà di punizioni viene torturato di nuovo, fino a che, dopo qualche tempo rende l’animo a Dio». Probabilmente nell’867 una «preziosa urna» contenente i resti dei tre martiri giunse a Gaeta proveniente da Formia. Le reliquie furono «murate segretamente in un pilastro della piccola chiesa dedicata alla Madonna, vicino al porto di Gaeta». Tuttavia già nel secolo successivo si era venuta a perdere la cognizione di dove fossero state nascoste le reliquie dei martire. Il loro fortuito rinvenimento avvenuto nel 917 e la vittoria riportata sui Saraceni nella battaglia del Garigliano del giugno 915 portarono alla decisione, da parte del vescovo di Gaeta, Bono, e del duca di Gaeta, Giovanni I Docibile, di costruire una nuova cattedrale o, più probabilmente, di ampliare quella esistente. Quindi nel 1002 il vescovo Bernardo II acquistò una abitazione nei pressi del duomo al fine di costruirvi il battistero. Il 22 gennaio 1106 papa Pasquale II, rifugiatosi a Gaeta nel corso della cosiddetta guerra delle investiture, consacrò la cattedrale di Gaeta dedicandola alla SS. Vergine Assunta e a Sant’Erasmo, forse anche a San Marciano e Probo. Così nei secoli successivi notabili gaetani si prodigarono in donazioni per l’ampliamento e l’abbellimento del sacro edificio.

L’esterno della cattedrale
All’inizio del 1903, in occasione del sedicesimo centenario del dies natalis del patrono Erasmo si giunse alla decisione di dotare la cattedrale di una facciata monumentale. I lavori ebbero inizio il 22 gennaio di quell’anno (mentre l’8 dicembre 1904 nel cinquantesimo della proclamazione del dogma dell’Immacolata, così intimamente legato a Gaeta, venne posta sulla cuspide centrale una statua in ghisa della Madonna Immacolata). Alla fine fu edificata una facciata in stile neogotico dotata di due registri sovrapposti: in basso un ampio pronao (che oggi ospita le statue in bronzo argentato dei due santi patroni, Erasmo e Marciano, e quelle di quattro leoni) sorretto da tre archi, al di sopra due bifore laterali e una trifora centrale a sua volta sormontata da un falso rosone.
Nella parte posteriore della cattedrale si trova la torre campanaria. Chiesa e campanile oggi sono in comunicazione fra loro anche se «sembra che le due costruzioni» non fossero originariamente collegate. Nel 1148 Pandolfo Palagrosio, monaco di Sant’Erasmo a Formia, donò un terreno per la costruzione del campanile. I lavori dovettero iniziare da lì a qualche tempo e furono conclusi nel 1279. Per l’edificazione vennero utilizzati materiali provenienti da edifici romani del territorio, principalmente dal mausoleo di Lucio Sempronio Atratino. Oltre a basi, capitelli e colonne trovarono riuso anche epigrafi di monumenti onorari e funerari così come il cippo collocato in una torre di avvistamento ubicata probabilmente nella plaga di Minturnae appostovi per celebrare la vittoriosa battaglia del 915 sul Garigliano contro i Saraceni. Giudicato il più bel campanile d’Italia, «opera eccezionale nel panorama architettonico medievale», è alto 57 metri ed è pianta quadrangolare. Si costituisce di un basamento con arco gotico, di tre piani, ognuno con tre bifore, e di un torrino originariamente quadrato poi modificato in ottagonale al cui interno si trova la cella campanaria. Al campanile si accede attraverso una ripida scalea. Sui due lati si trovano altrettanti sarcofagi strigilati romani: su quello di sinistra appaiono raffigurati Eros e Psiche in atto di abbracciarsi, su quello di destra due teste di leone. Al di sopra di ogni sarcofago si trova un bassorilievo raffigurante un episodio della vita del profeta Giona: a sinistra mentre viene inghiottito dalla balena, a destra quando viene sputato. La scalea si chiude con un catino absidale da cui si accede ad un vano di collegamento con la cattedrale.

L’interno della cattedrale
La controfacciata mostra un’opera del maestro veneziano Carlo Saraceni, il Martirio di Sant’Erasmo. Quindi, nella navata centrale, fa da guida uno splendido pavimento cosmatesco. All’inizio di quel “tappeto” è stata posta una lapide con la scritta: «VENERANDVM HOC TEMPLVM PER SAECVLA LAESVM / AD PRISTINAM GLORIA DECOREMQUE RESTITUTUM ET DICATUM / Die XXVII Sept. Anno Domini MMXIV. La veneranda Chiesa, deteriorata attraverso i secoli, è stata restaurata e dedicata il giorno 27 settembre dell’Anno del Signore 2014». Lungo la navata, ai lati, si trova una serie di pilastri formati da due o tre colonne apposte come consolidamento della struttura edilizia avvenuto a più riprese nel corso dei secoli. Infatti tutto il territorio è stato interessato più volte, ad esempio, da spaventosi terremoti. Quello del primo giugno 1231 devastò per un mese, come scrisse Riccardo da San Germano, l’area compresa da Cassino al mare e anche la cattedrale di Gaeta fu fortemente lesionata. Quello ancor più tremendo del 1349 ebbe come epicentro Venafro e gravissimi danni provocò in una ampio raggio abbattendo il monastero di San Vincenzo al Volturno, l’abbazia di Montecassino (che subiva così la sua terza distruzione), fino alla facciata del duomo di Napoli o al Colosseo di Roma e anche a Gaeta. Proprio in seguito a tale disastroso evento «potrebbe riferirsi un ulteriore recupero strutturale» dell’edificio e probabilmente in tale occasione potrebbe essere nata la «decisione di unificare i due ipotetici luoghi di culto per dare alla Diocesi di Gaeta una Cattedrale a sette navate». Nel corso della riedificazione della chiesa vennero inserite le colonne interne che sono manufatti di spoglio, «monumenti della Roma imperiale, tornite 2000 anni fa nei marmi più pregiati, provenienti dalle province conquistate. Il Cipollino da Carystos in Grecia, il Bigio antico di Numidia dalla Tunisia e Algeria, il Granito Bigio di Corsica e d’Egitto, il Marmo Proconnesio dalla Turchia e così via. Liberate dall’intonaco barocco e neoclassico, le colonne oggi ci raccontano (con le loro diverse angolazioni) di terremoti antichi e medievali, di restauri, di rinforzi, e di tutte le difficoltà che la Cattedrale ha visto nei secoli. Abbinate in più riprese una all’altra sono state gemellate e accostate fino anche a tre colonne insieme, per un solo pilastro» (Del Bufalo). Infatti, anche in tempi successivi, fu ampliato il numero delle colonne che reggono la navata centrale ponendole al di dietro di quelle preesistenti. Anche nel periodo borbonico è stato provveduto a rinforzare la struttura e per non ricorrere a pesanti murature le colonne sono state inglobate nei pilastri della navata centrale e nei restauri effettuati sono state ritrovate colonne binate e addirittura trinate (a ridosso del transetto). Tuttavia due colonne, ubicate in posizione arretrata, «sembrerebbero in situ» e dunque starebbero a dimostrare l’«esistenza di un edificio romano».
Al termine della navata centrale, sotto l’area presbiteriale, sono stati installati i resti della transenna imperiale, mentre sul transetto sono stati disposti il fonte battesimale, due piccoli sarcofagi romani contenenti le reliquie di santi, in mezzo un altro imponente sarcofago strigilato che funge da altare e, sulla sinistra, hanno trovato opportuna collocazione due incantevoli e splendidi arredi liturgici di fattura medievale. Si tratta di una bellissima, interessantissima e pregevole colonna istoriata, un candelabro per il cero pasquale, che «si evidenzia per completezza, per imponenza e per magnificenza», al cui fianco è posto un lettorino, altro splendido retaggio della ricchezza artistica del tempo. Il candelabro, commissionato da Benvenuto, vescovo di Gaeta, forse per riabilitarsi agli occhi del papa dopo una «compromettente carriera ecclesiastica» dovuta alle simpatie filosveve, andò ad abbellire la cattedrale, con altre suppellettili, nel corso del Duecento. Nel rituale pasquale veniva collocato a ridosso del pulpito per essere incensato mentre un cantore intonava l’Exultet. Il candeliere gaetano è accostato a quello ubicato nella basilica benedettina di San Paolo fuori le mura a Roma poiché entrambi sono delle «colonne onorarie» in cui sono raccontate storie legate al Nuovo Testamento. Tuttavia quello di Gaeta è ancora più prezioso perché ha anche raffigurazioni congiunte a testo agiografico. Alto tre metri e mezzo, risulta suddiviso orizzontalmente in dodici livelli narrativi e verticalmente in quattro fasce. Tale suddivisione ha prodotto la formazione di 48 formelle contornate da cornici fogliate e separate da un «listello a denti di sega». In 24 riquadri sono rappresentate altrettante scene della vita di Gesù, le rimanenti 24 raccontano vicende della vita del patrono Erasmo. La colonna è sormontata dalla coppa reggicero costituita da un capitello con una doppia fila di rosette. Nel corso dei secoli il candelabro è stato spostato più volte all’interno e all’esterno della cattedrale, subendo anche danni. Alla metà del 1700 si trovava ancora all’interno della chiesa ma qualche anno più tardi, nel corso di lavori di restauro, la colonna istoriata fu posizionata nella piazza antistante l’ingresso della chiesa. Un secolo più tardi, nel corso dei lavori di realizzazione di via Duomo, venne rimossa e portata in un deposito dove fu abbandonata. Probabilmente in quei momenti subì dei «danneggiamenti e la frattura in due parti del monolite». Solo nel 1871 l’allora sindaco di Gaeta, Onorato Gaetani, convinse l’arcivescovo Filippo Cammarota «a posizionare il candeliere in una nicchia appositamente realizzata a ridosso della parere rocciosa di fronte al Duomo». Quindi nel 1909 fu traslato nel pronao della cattedrale, posizionato, tuttavia, su una base costituita da quattro leoni su cui era stato poggiato il capitello portacero rovesciato con sopra la colonna. Finalmente nel 1920 la colonna è riposizionata nuovamente all’interno della chiesa. Il lettorino posto al fianco del candeliere, ha, invece, una «forma enigmatica» ed è «possibile legare questa scultura alla simbologia della salvezza dell’uomo dalle miserie terrene». Vi è rappresentato un uomo barbuto che ha un serpente avvinghiato al corpo, mentre sulla testa ha un’aquila e sotto i piedi un leone con al di sotto un cane o un agnello. Anche il lettorino ha subito vari spostamenti nel corso dei secoli. Rimosso dalla posizione originaria venne inizialmente «relegato sulla porta laterale che conduce al campanile» mentre nell’Ottocento risulta posizionato alla base della prima bifora del primo livello del campanile.
Sempre nella navata centrale, sospeso sull’altare è collocato il Crocifisso sagomato dal maestro Giovanni da Gaeta. Ai lati della mensa eucaristica sono stati posti sia la cattedra episcopale, un seggio creato con gusto e delicatezza con materiali decorati medievali, sia la sede sacerdotale. Alle spalle il coro ligneo e, sul fondo, l’altare maggiore.
Nella navata di sinistra si trovano tre cappelle. Nella prima c’è un Altare Privilegiatum Perpetuum dedicato a S. Silvianus E[pus] e realizzato in onore di San Filippo Neri, impreziosita da una tela di scuola napoletana attribuita a Sebastiano Conca, Madonna e Bambino e San Filippo. La seconda è la cappella del SS.mo Sacramento con altare in marmi policromi. L’ultima mostra sull’altare una tela firmata da Sebastiano Conca, Sacra Famiglia con San Carlo Borromeo, San Pio V, San Lorenzo, San Filippo Neri e San Gennaro.
La navata di destra ha, sul fondo a ridosso dell’ingresso, uno spazio nel quale sono state realizzate le tombe di vescovi e arcivescovi di Gaeta, quindi due cappelle, di cui una dedicata a Santa Caterina d’Alessandria, e si chiude con il vano di collegamento alla scalea della torre campanaria divenuto un «vero e proprio sacrario dell’epopea borbonica» poiché vi «sono stati raccolti i monumenti funebri e i resti mortali di coloro che caddero nell’assedio di Gaeta del 1860».

* * *

Il 7 aprile 2016 una delegazione del Cdsc-Onlus è stata ricevuta dall’arcivescovo di Gaeta (per noi sempre d. Bernardo). Ha avuto l’onore di essere guidata da un sorridente, gioviale e disteso arcivescovo in un giro di alcuni edifici sacri di Gaeta che nel corso di nove intensi anni ha inteso restaurare, recuperare al culto e alla bellezza restituendoli “all’originaria gloria e decoro“: dal santuario della SS. Annun- ziata con la sua preziosissima e importante, nella storia della Chiesa, Cappella d’Oro, al Museo diocesano, al palazzo dell’arcivescovado, a un altro splendido gioiello totalmente ristrutturato quale la chiesa di S. Giovanni a Mare e, infine, alla cattedrale.
Gli uffici della curia e il Museo diocesano sono ospitati nello storico edificio intitolato al cardinale Tommaso de Vio (al secolo Giovanni 1469-1534), religioso domenicano, generale dell’Ordine, che alla sua morte donò il palazzo alla diocesi. Nel Museo diocesano sono custodite importanti pale, quadri, reliquie, arredi sacri, ori, argenti, monili, monete, valori numismatici, reperti archeologici e di scavo, i pregiati cimeli donati da Pio IX e tanto altro ancora. Tra i tanti pregiati tesori conservati vanno ricordati i ben tre splendidi esemplari di Exultet (i rotoli di pergamena contenenti da un lato canti liturgici della Pasqua e dall’altra figure simboliche disposte al contrario rispetto al testo e che tanto richiamano l’abbazia di Montecassino) e il prezioso stendardo di Lepanto. In procinto di salpare con le forze navali della Lega Santa per combattere contro la flotta musulmana dell’impero ottomano, Marco Antonio Colonna, ammiraglio pontificio a cui papa Pio V aveva affidato lo stendardo (un dipinto a tempera su seta raffigurante Cristo crocifisso tra gli apostoli Pietro e Paolo sormontato dal motto costantiniano «in hoc signo vinces»), fece voto proprio a Gaeta di consegnarlo al locale duomo «nel caso fosse risultato vincitore contro l’Islam». Lo scontro navale, terminato con la vittoria delle forze cristiane, fu combattuto nelle acque greche di fronte a Lepanto il 7 ottobre 1571 (giornata divenuta di festa religiosa dedicata alla «Madonna della Vittoria» poi trasformata in festa della «Madonna del Rosario»). La «battaglia fu aspra, ma nessun dardo colpì lo stendardo» che il 4 novembre successivo giunse nella cattedrale di Gaeta. Per quasi quattro secoli è stato conservato nella chiesa (scriveva Gabriele D’Annunzio nella Canzone dei trofei: O Gaeta, se in Sant’Erasmo sei / a pregar pe’ tuoi morti, riconosci / il vessillo di Pio, nei tuoi trofei, / toglilo alla custodia perché scrosci come al vento di Lepanto). In tutto tale lasso di tempo la seta rimase «praticamente integra» fino alla notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 quando una bomba aerea, forse tedesca, sfondando le volte del presbiterio ed esplodendo all’interno dell’edificio, causò la rottura della lastra protettiva di cristallo in cui era stato collocato e gli «spuntoni di vetro, nella caduta lacerarono notevolmente la pittura», parimenti subì altri danni a causa dall’incendio prodottosi (che provocò la definitiva perdita anche di una tela di Sebastiano Conca e causò notevoli danni anche al coro). Lo stendardo ridotto così a brandelli rimase per tre mesi nella sua collocazione originaria sull’altare maggiore finché nella notte tra il 22 e il 23 dicembre una «missione italo-tedesca, capeggiata da Emilio Lavagnino e Giulio Battelli» e composta da un tenente tedesco e da due vigili del fuoco penetrò nella cattedrale. Essi raccolsero ciò che rimaneva dello stendardo («non avendo a disposizione una scala molto alta [furono] costretti a “strappare” dal telaio i frammenti più alti»), gli Exultet e altri oggetti per portarli a Roma, ricoverati in Vaticano.
A mezzogiorno del 22 aprile 2016 proprio in quella cattedrale che con il suo forte impegno ha provveduto a riportare agli antichi splendori, mons. Fabio Bernardo D’Onorio ha letto la lettera del nunzio apostolico con la quale si comunicava che papa Francesco aveva accettato la rinuncia al governo pastorale dell’arcidiocesi presentata nell’agosto precedente per sopraggiunti limiti di età. Quindi ha dato lettura del decreto di nomina del suo successore: mons. Luigi Vari, parroco di S. Maria Maggiore di Valmontone, diocesi di Velletri-Segni, nonché docente del Pontificio Collegio Leoniano di Anagni

(GdAC).

 

Il Centro Documentazione e Studi Cassinati-Onlus esprime profonda gratitudine e riconoscenza per l’opera svolta da mons. Fabio Bernardo D’Onorio prima come abate di Montecassino e poi come arcivescovo di Gaeta.


Il Centro Documentazione e Studi Cassinati-Onlus formula vivissimi auguri e auspici a mons. Luigi Vari nominato da Sua Santità Papa Francesco, arcivescovo di Gaeta.

(335 Visualizzazioni)