La Roccasecca-Avezzano e il sisma del 13 gennaio 1915 Ferrovia con vista terremoto

 

Studi Cassinati, anno 2015, n. 3
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di Costantino Jadecola

Foto-04A comunicare per primo al mondo ciò che era accaduto a Sora a seguito del catastrofico terremoto che alcuni minuti prima delle otto del mattino di mercoledì 13 gennaio 1915 aveva avuto il suo epicentro nella Marsica1 era stato un impiegato del locale ufficio postale. Lo ricorda «La Gazzetta del Popolo» di Torino che scrive: «Giunge notizia da Caserta che a quella Prefettura è pervenuto un telegramma dell’impiegato postale dell’ufficio di Sora nel quale l’impiegato annunzia che la città è completamente distrutta ed egli ha dovuto trasportare l’ufficio telegrafico alla stazione ferroviaria, impiantandolo sopra un vagone»2.
«Il Mattino» di Napoli ne cita anche il nome (errato): «L’impiegato telegrafico signor Penne, che trovavasi presso l’ufficio di Sora, ha telegrafato a questa direzione che la città è distrutta e che egli è andato a impiantare l’apparato telegrafico alla stazione ferroviaria su una vettura, con l’unico filo rimasto incolume»3.
In realtà il solerte impiegato, che altri non era che il «reggente dell’Ufficio Postale»4, si chiamava Antonio Panno e, a detta di Elisa Benvenuto, prima ancora di dare al mondo la notizia dell’avvenuto sisma, si sarebbe prodigato in alcuni salvataggi5.
Se dobbiamo dirla tutta, però, sarà il caso di precisare che egli non fu solo in quella iniziativa: affiancò, infatti, Beniamino Terenzio, il quale, scrive invece Achille Lauri, benché fosse gravemente malato – aveva 64 anni -, «lasciò il letto per correre al telegrafo, di cui era capo-ufficio, a compiere il suo dovere»6. «Nonostante l’edificio fosse inagibile, recuperò le attrezzature tra le macerie e riattivò il servizio telegrafico»7 con il contributo appunto di Antonio Panno e anche di quello della moglie, Leonilde La Posta. Sta di fatto che Panno e Terenzio intuirono che nel tragico contesto causato dal terremoto, la stazione ferroviaria di Sora poteva diventare un punto di riferimento. Come in effetti diventò. Non solo. Ma in quel vagone ferroviario che ospitò «l’ufficio telegrafico» Beniamino e Leonilde vissero anche, con parte della loro numerosa famiglia, fino a quando, in quello stesso funesto gennaio del ‘15, non passarono a miglior vita e il loro ricordo venne testimoniato per molto tempo con una epigrafe posta nella cripta della cappella di S. Francesco del cimitero di Sora. Diceva: «CONIUGI / BENIAMINO TERENZIO E LEONILDE LA POSTA / 1849-1915 1860-1915 / II PRIMO APPENA DOPO IL TERREMOTO 1915 / RIATTIVÒ IN UN VAGONE FERROVIARIO / IL SERVIZIO TELEGRAFICO PER COMUNICARE IL DISASTRO AL GOVERNO / E CHIEDERE PRONTI SOCCORSI PER LA POPOLAZIONE AFFAMATA E FERITA / LA SECONDA INCORAGGIÒ SORRESSE IL CONSORTE / NEL SUO EROICO ALTRUISMO / ENTRAMBI MORTI DI STENTI IN QUEL TRAGICO GENNAIO»8.
La ferrovia, cioè la Roccasecca-Sora-Avezzano, e il terremoto del ’15: per parlarne, altro incipit, forse, non avrebbe reso meglio vuoi per ricordare i due eroici dipendenti dello Stato vuoi per evidenziare il ruolo che la ferrovia avrebbe assunto in quei tragici frangenti ancorché coinvolta essa stessa in quel cataclisma che interessò l’intero suo tracciato visto che la potenza del sisma oscillò tra l’XI grado della Scala Mercalli in valle di Roveto e il VII a Roccasecca.
Si parlò, all’epoca, di danni per un milione e ottocento mila lire del tempo. Essi interessarono soprattutto la tratta Sora-Avezzano, tant’è che «furono demoliti totalmente i fabbricati di Capistrello e S. Vincenzo e parzialmente, cioè per il solo piano superiore, quelli di Sora e Arce; gravissime lesioni subirono i fabbricati di Civita d’Antino ed Isola Liri, meno importanti quelli di Fontana Liri, Arpino e Balsorano. Circa 15 case cantoniere furono distrutte ed altre 60 danneggiate. Lungo la linea caddero dei massi sul binario»9.
E siccome a quel tempo i convogli che collegavano Roccasecca ad Avezzano erano trainati da locomotive a vapore – tempo di percorrenza circa tre ore – per cui l’acqua era elemento essenziale, a seguito del sisma anche il rifornimento idrico costituì un problema: se a Sora il prezioso liquido fu captato da un piccolo affluente del fiume Liri, «a Civita d’Antino nei primi giorni l’alimentazione delle locomotive fu fatta pompando l’acqua del Liri nei carri serbatoi e da questi nei tenders ed in seguito mandando nel rifornitore l’acqua del Liri mediante pompa comandata da motore a vapore»10.
Nel contesto del tragico evento un ruolo importante lo ebbe, da subito, la stazione di Roccasecca per essere la porta d’accesso alla zona del sisma collegata alla ferrovia Roma-Napoli, via Cassino, che era a quel tempo l’unica ferrovia che collegava la capitale d’Italia con l’ex capitale del regno delle Due Sicilie e che dunque aveva una sua importanza.
Già il giorno stesso del terremoto qualche convoglio riuscì ad arrivare almeno sino a Sora trasportando carabinieri ed addetti al telegrafo tant’è che furono ben presto riattivate le comunicazioni telegrafiche tra Sora e Roccasecca11.
Ma più di tanto non si sa. Perché la questione del terremoto del 1915, del resto al pari di quella relativa alla cosiddetta Grande Guerra, che appena qualche mese dopo avrebbe vista coinvolta la nostra nazione, sono stati temi che non hanno solleticato né sollecitato grande attenzione lasciando indifferenti anche i cosiddetti storici locali che hanno bypassato tali eventi limitandosi solo alla loro citazione. Cosicché le uniche fonti a disposizione sono quelle che si hanno a partire dalla notte immediatamente successiva al sisma grazie ai resoconti dei primi inviati dei giornali che si recavano nelle zone terremotate12.
Intorno alle 3, riferisce Achille Mango, inviato de «La Tribuna», «due treni notturni, il Napoli-Roma e il Roma-Napoli, che s’incrociano presso a poco alla stessa ora”, hanno riversato nella stazione di Roccasecca “una folla incredibile”, soprattutto gente del sorano ansiosa di conoscere la sorte dei propri cari.
“Questa folla si è silenziosamente, quasi macabramente, raccolta in un interminabile treno composto di una locomotiva e una ventina di carri merci: carrozze per viaggiatori non ce n’erano più disponibili allo scalo di Roccasecca perché i treni partiti durante il giorno per la linea di Sora non erano più tornati. I vagoni erano stati requisiti nelle varie stazioni per albergare il personale ferroviario e i profughi della città. Eppure questa folla, costretta a viaggiare per varie ore in piedi, al buio, in una notte rigidissima, pigiata fino all’asfissia, non ha emesso un lamento, la minima protesta. (…) E il martirio si è prolungato per parecchie ore, poiché, per giunta, il treno non si è deciso a partire che con un’ora e mezzo di ritardo: il macchinista, infatti, protestava per l’eccessivo peso del treno, essendo giunta alla stazione notizia della compromessa solidità di alcuni ponti e viadotti lungo la linea»13.
Il treno giunge a Sora che sono le 7,30, praticamente ventiquattrore dopo il sisma, con l’orologio della stazione fermo al terzo minuto prima delle otto a certificare i lunghi attimi della tragedia.
Presumibilmente sullo stesso treno viaggia anche l’inviato dell’«Osservatore Romano», Alfredo Proia, il quale rileva che «l’ansia febbrile delle notizie pervade tutti, tanto più che da Sora e da tutti i paesi della Valle Roveto mancano notizie dettagliate sulla gravità e sulla entità del disastro, che, dicono, sia molto grave.
“Quindi quei pochi che per caso sono alla stazione di Roccasecca reduci da Sora, sono assaliti da domande.
“Essi, molto laconicamente, per non gittare più terribile spavento fra tanta gente, così acerbamente suggestionata, rispondono che il disastro ha proporzioni non esageratamente gravi.
“Ciò peraltro non vale a calmare gli spiriti più angustiati dei viaggiatori, molti dei quali singhiozzano sinistramente, chiamando i nomi dei più cari che furono già vittime dell’immane disastro.
“La notte incombente non permette agli sguardi scrutatori dei numerosi viaggiatori di scorgere le prime ruine dei paesi vicini.
“Il freddo assai intenso e la mancanza assoluta di riscaldamento nei vagoni ferroviari agghiaccia fortemente le membra e impedisce qualsiasi movimento muscolare.
“I viaggiatori soffrono!
“II viaggio continua così per più di un’ora finché l’alba di un giorno serenissimo incomincia a lanciare i suoi primi albori.
“I caselli ferroviari viciniori alle stazioni vicino a Sora sono distrutti.
“Presentano essi una grande e sinistra impressione. Sono completamente rasi al suolo, o lesionati spaventosamente. Intanto alla stazione di Arpino un viaggiatore ci mette al corrente di quello che ha sentito dire essere accaduto a Sora. Aggiunge che ad Arpino vi sono moltissime case lesionate, con danni, senza vittime. Le pubbliche scuole ed il Convitto nazionale sono chiusi.
“Finalmente si raggiunge la campagna del Comune di Sora.
“Appena il treno entra nella estesa e bella pianura sorana, ove per solito la città si offriva agli sguardi dei viaggiatori, ora non si scorge più nulla. Sora? La sua fine?»14.
Tra gli altri viaggiatori di un comune vagone-bagaglio, ovvero di un carro bestiame, c’è il Vescovo di Sora, Aquino e Pontecorvo, mons. Antonio Maria Iannotta15, il quale, trovandosi a Napoli ed avendo appreso del grave disastro, ha ritenuto doveroso tornare immediatamente in sede. E, per farlo, è anche lui «costretto a viaggiare in modo sconveniente stante la sua età e la sua salute non florida. È fatto segno però», annota l’inviato dell’«Osservatore Romano», «di deferenza e di ossequio da parte di tutti i viaggiatori»16.
«Sotto un’alba gravida che promette una giornata di pioggia», scrive l’inviato della «Gazzetta del Popolo» Mario Sobrero, «attraversiamo i contrafforti degli Appennini, tra i quali il terremoto ha fatto più vittime.
“Vediamo Arpino, alta sul suo declivio, colle case che paiono e non sono intatte; passiamo lentissimamente un viadotto lesionato; superiamo Isola del Liri, che mostra di lontano le tracce del disastro che l’ha colpita.
“Arrivando a Sora la catastrofe si rivela subito dallo stato della stazione in parte crollata. Si sta ancora sgombrando il binario che le macerie hanno sepolto»17.
«La prima impressione non potrebbe essere più desolante», scrive Mango. «La stazione ferroviaria ha l’aspetto di una persona viva cui sia stato asportato, con un tremendo colpo di rasoio, tutto il volto. Infatti gran parte della facciata non esiste più. Delle finestre che danno la luce al piano superiore, una sola è rimasta intatta: la prima a sinistra. La seconda si regge per miracolo sui cardini che non hanno più nessun appoggio nelle pareti. Le altre tre non esistono più affatto. Di fuori si scorgono le camere sventrate. Le sale del pianterreno, dove erano gli uffici, sono ermeticamente chiuse»18.
L’inviato del «Corriere della Sera» (E.L.), giunto a Sora «con un treno militare, composto a Roma ed accresciuto a Roccasecca», annota: «La stazione è tutta diroccata. Sono rimaste in piedi le due ali estreme. La casa del capostazione, quella degli applicati, gli uffici del telegrafo, le sale d’aspetto, sono tutte distrutte. (…) È questo il secondo treno che giunge, perché ieri sera a tarda ora ne giunse un altro con un centinaio di carabinieri e quattro sacchi di pane»19.
Umberto De Sica, papà di Vittorio, bancario per professione e giornalista per passione, ci ragguaglia sullo stato della stazione di Sora dove, «su di un binario morto vi è una lunga fila di carri, su ognuno dei quali ci sono dei cartelli con le scritte Regia Pretura, Regie Poste, Telegrafo e Telefono, Ufficio del Registro, Ispettori, Genio Civile. Numerose vetture di 1.a, 2.a e 3.a classe servono poi per alloggio di autorità, funzionari e per intere famiglie»20.
Una situazione, questa, che non può non essere colta dai vari inviati. G. Cabasino-Renda del «Giornale d’Italia» scrive: «è una fila di vagoni trasformati in abitazione, e teste di donne e di bambini ancora un po’ arruffate e imbambolate di sonno non tardano ad affacciarsi ai finestrini e scrutano con curiosità i nuovi arrivati»21. E Mario Sobrero, inviato della «Gazzetta del Popolo», annota: «Dalla carrozza di prima classe al vagone merci, ogni veicolo è buono per fornire un sicuro alloggio a questa gente a cui il terremoto ha distrutto o reso pericolanti le case. L’installazione è ormai completa e ha una cert’aria di adattabilità. Le famiglie vi hanno trasportato sedie, materassi, specchi, vasellame: quanto hanno potuto alla lesta ricuperare»22.
L’utilizzo dei carri per fini diversi dalla loro funzione “istituzionale” ben presto crea problemi nei collegamenti tra Roccasecca e Sora23. Tant’è che «per ora si sa press’a poco quando si parte, ma si arriva quando si può»24. Ciò non toglie che si riesca comunque a formare un convoglio per il trasporto di feriti a Caserta: pronto sin dalle otto del mattino del 15, riesce a muoversi solo verso le 3 del pomeriggio.
Oltre quelli caricati a Sora, alla stazione di Isola Liri, scrive l’inviato del «Corriere della Sera» (E.L.) «ci attendono altri diciassette feriti, posti sui marciapiedi della stazione, alcuni da ieri sera. Ve ne è infatti uno, con tutte e due le gambe fratturate, che fu trasportato in carrozza da Castel Lirì e lasciato lì tutta la notte. Il disgraziato, senza dire una parola, senza un lamento, senza una invocazione, guardava di tanto in tanto intorno a sé. In una barella è una giovane bellissima. Ha avuto fratturato le gambe e non ostante il suo stato fa coraggio a quanti le sono intorno. Si chiama Carolina Cioffi e ha avuto l’intera famiglia sepolta»25.
Per la cronaca, il treno arriverà alla stazione di Caserta intorno alle 22: ha trasportato 53 feriti di cui 21 uomini, 26 donne e 6 bambini.
Al di là della ferrovia, un doveroso riferimento merita il personale ferroviario, anche nostra gente, che operò in quel drammatico contesto o che fu vittima del terremoto mentre era nell’esercizio delle proprie funzioni.
Così come non può omettersi, in ultimo, un accenno alla visita a Sora di re Vittorio Emanuele III, che già lo stesso giorno del sisma era andato in macchina a Torre Cajetani a rendersi personalmente conto dell’accaduto mentre il giorno dopo, in treno (linea Roma-Sulmona), avrebbe compiuto una prima visita alle zone terremotate della Marsica dove sarebbe poi tornato il 18 e il 20 di quello stesso mese.
La visita a Sora è di sabato 16 gennaio. «Il Re, stamane, senza alcun preavviso, alle 7,15 è partito alla volta di questa povera città», scrive «La Stampa», prendendo posto nel treno di Napoli e portando seco tutto l’occorrente per soccorsi urgenti. Essendo scarsi i soccorsi finora pervenuti, il Re giudicò che poteva riuscire veramente utile non solo a Sora ma anche in tutti i piccoli paesi disseminati intorno alla città distrutta, la opera dei volonterosi che conduceva seco.
“Sul treno reale è stata caricata una automobile, segno che il Re, dopo la visita a Sora intende visitare gli altri paesi in alcuni del quali non sono giunti ancora soccorsi di nessun genere.
“Il Re è giunto a Sora in automobile stamane circa le 11. Il Re ha viaggiato in treno da Roma a Roccasecca, donde ha proseguito in automobile percorrendo la strada da Isola del Liri». Prima di raggiungere il centro di Sora, «S. M. si è fermata alla borgata S. Domenico, dove sono ricoverati numerosi feriti e si è intrattenuta con essi interessandosi alla loro sorte e confortandoli»26.

1 Il terremoto avvenne esattamente alle ore 07:52:48 del 13 gennaio 1915, circa sette anni dopo di quello di Messina (28 dicembre 1908). L’intensità della scossa principale, con epicentro la conca del Fucino, fu dell’XI grado della scala Mercalli e provocò 30.519 vittime.
2 Sora distrutta, «Gazzetta del popolo», 14 gennaio 1915.
3 Sora sarebbe stata distrutta, «Il Mattino», 14 gennaio 1915.
4 V. Alonzi, La nobile Sora devastata conta le sue vittime, Sora 2015, p. 51.
5 Ibidem.
6 A. Lauri, Sora e il suo castello romano-medievale, Industria Grafica Artigiana di Carlo Mario Camastro, Sora 1957, p. 84.
7 V. Alonzi, La nobile Sora devastata conta le sue vittime, Sora 2015, p. 54.
8 Ibidem.
9 M. Di Giangregorio, Il terremoto della Marsica 13 gennaio 1915 nei documenti di archivio. Le Ferrovie, Vol. III, 2015, pp. 136-137.
10 Ibidem.
11 Ivi, p. 130.
12 Per la realizzazione di questo lavoro mi è stato di notevole aiuto il libro curato da Vincenzo Paniccia, Sora nei giornali di allora, Pro Loco, Sora 1990.
13 Attraverso la devastata Valle del Liri verso la rovina e la strage di Sora, «La Tribuna», 15 gennaio 1915.
14 Tra le rovine di Sora. Verso la visione della morte, «L’Osservatore Romano», 16 gennaio 1915.
15 17 dicembre 1900 – 5 dicembre 1933.
16 Tra le rovine di Sora … cit.
17 Le dissimulate rovine di quella che fu la città di Sora. Uno spettacolo ingannevole – I drammatici salvataggi – La visita del Re, «Gazzetta del Popolo», 17 gennaio 1915.
18 Attraverso la devastata Valle del Liri verso la rovina e la strage di Sora … cit.
19 Un primo sguardo alle rovine di Sora distrutta. L’affannosa ricerca delle vittime, «Corriere della Sera» (Edizione del pomeriggio), 15 gennaio 1915.
20 Dai paesi della Valle del Liri. L’organizzazione dei soccorsi, «La Tribuna», 23 gennaio 1915.
21 Nelle terre della Campania distrutta la superba serenità della popolazione e la eroica bontà dell’Esercito, «Il Giornale d’Italia», 17 gennaio 1915.
22 Le dissimulate rovine di quella che fu la città di Sora … cit.
23 Fin dal primo momento le Ferrovie dello Stato misero a disposizione una gran numero di materiale rotabile tant’è che al 31 gennaio 1915 risultavano a disposizione delle popolazioni terremotate 228 carrozze, 87 bagagliai, 739 carri e 1250 copertoni. Al 30 giugno successivo, le carrozze erano 3, 4 i bagagliai, 32 i carri mentre i copertoni erano saliti a 2300 dopo aver toccato il mese prima il numero di 2500. «I veicoli erano stati forniti in buone condizioni di conservazione; ma, terminata la particolare destinazione di ricovero, essi vennero restituiti in condizioni tali da richiedere la disinfezione e l’invio alla grande riparazione, sicché molto tempo ancora furono sottratti alla circolazione, con grave pregiudizio del traffico ordinario della rete» (M. Di Giangregorio, Il terremoto della Marsica … cit., pp. 132-133).
24 Le dissimulate rovine di quella che fu la città di Sora … cit.
25 Coi feriti di Sora in viaggio verso Caserta, «Corriere della Sera», 16 gennaio 1915.
26 Il Re visita Sora e i Comuni sulle sponde del Liri, «La Stampa», 17 gennaio 1915.

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