Studi Cassinati, anno 2015, n. 4
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di Alberto Mangiante
«Pittore storico» è l’elogio con cui termina l’epitaffio della lastra tombale di Salvatore Martini, posta in basso al centro della parete di sinistra per chi entra all’interno della chiesa cimiteriale del S.S. Sacramento a Cassino e fortunatamente sfuggita ad una drastica ripulitura, “chiamato restauro”, perpetrata tempo fa.
Da tempo mi soffermavo su questa lapide cercando di capire chi fosse il personaggio in questione. Purtroppo anche le più ricercate pubblicazioni d’arte lo ignoravano, ma nel tempo sono riuscito a raccogliere alcune notizie, poche in verità, ma sufficienti per una breve biografia non certamente esaustiva ma punto di partenza per invogliare qualche studioso a compiere una ricerca più ampia.
Salvatore Martini (nel documento originario di nascita è registrato come Martino, così come si firma il padre) nasce a Lenola, paese attualmente facente parte della provincia di Latina ma un tempo ricadente in quella di Caserta, circondario di Gaeta, il 23 dicembre 1822 da Evangelista, funzionario doganale del luogo, e da Teresa Cardi, proprietaria del posto.
Adolescente si trasferisce a Napoli per frequentare l’Accademia delle Belle Arti e nel 1843 lo ritroviamo come studente nel «Catalogo delle opere di belle arti riposte nel palagio del real museo borbonico», menzionato al numero 483 con un suo studio raffigurante la testa di un arabo. Inizia così la carriera di scultore e pittore insieme ad artisti come Domenico Morelli, Filippo Palizzi ed altri esponenti della Scuola napoletana ottocentesca. Ma un incidente di caccia, occorsogli alla mano destra, lo fa ripiegare solo sull’arte pittorica.
Nel 1855 esordisce alla Promoteca borbonica con un quadro molto discusso e ammirato: «Il prigioniero di Chillon», una scena immaginata da Bayron e dipinta con tale dolorosa verità che fece impallidire Ferdinando di Borbone e che lo portò a segnalare il Martini alla Polizia. Si specializza in particolare nella rappresentazione di episodi storici esponendo nel 1862 «Un episodio della peste fiorentina del 1348» e nel 1864 «Eloisa e Abelardo», quadro acquistato poi dal principe Umberto di Savoia.
Nell’Esposizione italiana di belle arti di Parma del 1870 espone l’opera «Arrivo della Pia dè Tolomei alla Maremma toscana», presentata anche a Londra nel 1871 insieme alla «Contadina di Sora». Si ripresenta a Napoli nel 1873 con l’opera «Un esperimento di alchimista», mentre il suo dipinto «Spose veneziane» è inserito nella collezione della reggia di Capodimonte.
Per quanto riguarda la sua vita privata, nel 1872 a Napoli, nel rione San Ferdinando, si unisce in matrimonio con Elisabetta Preve figlia di un commerciante genovese, sposato e domiciliato a Napoli. Proprio nella città partenopea nasce la prima figlia Elvira, mentre a Cassino nascono i figli Giuseppina, Carlo e Teresa. E qui mi sorge la domanda del perché si fosse trasferito a Cassino. Purtroppo i documenti ufficiali sono andati persi con il bombardamento della città e alcuni discendenti rintracciati non hanno saputo fornire notizie utili. Per questo posso solo ipotizzare che il trasferimento a Cassino sia dovuto alla vicinanza con il fratello Agostino, residente in città con la moglie Maria Chiara Preve, sorella di Elisabetta moglie dello stesso Salvatore Martini.
La famiglia Martini abitava in un palazzo di proprietà in via del Foro, ricostruito poi nel dopoguerra dagli eredi nello stesso sito e più noto come palazzo Imbimbo.
La figlia Teresa sposò il geometra Luigi Matronola e uno dei figli della coppia, Vittorio, prese l’abito benedettino con il nome di Martino divenendo nel 1971 successore di San Benedetto alla guida dell’abbazia di Montecassino e della diocesi cassinese.
Salvatore Martini si spense a Cassino nel 1882 all’età di sessant’anni e nella stessa chiesa cimiteriale, pochi metri più avanti, riposano anche il fratello Agostino con la moglie Maria Chiara Preve.
Nel 1929 in occasione delle feste del XIV Centenario benedettino, tra le mostre organizzate dal comitato celebrativo, gli fu dedicata una retrospettiva con l’esposizione di molte sue opere, alcune delle quali, facenti parte del patrimonio familiare, sono purtroppo scomparse sotto i bombardamenti della città.
Mi permetto a questo punto di formulare due considerazioni. La prima riguarda la salvaguardia e la tutela dei due edifici principali del locale cimitero, mi riferisco non solo al lavoro di protezione che la Soprintendenza ha nei riguardi di edifici con più di cento anni, ma anche al recupero e alla conservazione delle lapidi più antiche, patrimonio della nostra memoria storica.
La seconda considerazione mi viene dal suggerimento di un conoscente circa la possibilità, da parte delle autorità comunali, di intitolare una strada a Salvatore Martini in considerazione dell’importanza del personaggio. Ciò rappresenterebbe una bella iniziativa se non vivessimo in un periodo di enorme “disinteresse culturale”, caratteristica comune agli amministratori locali senza distinzione di colore politico.
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