Tombe, ponti e monumenti nel territorio di Sant’Elia Fiumerapido

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Studi Cassinati, anno 2015, n. 3
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di Giovanni Petrucci

ANCORA SULLE TOMBE DI CASALUCENSE
Riportiamo una nota dell’archeologo Don Filippo Ponari1, che risale al 1877.
«Cassino, 16 settembre 1877
Direzione Archeologica. 19.9.[18]77.
Oggetto: antichità di Cassino.
Al Signor Direttore dei Monumenti e Scavi.
Signore.
Nel Comune di S. Elia fiume Rapido del Tenimento di Cassino, Terra al lato Nord di questa Città, esistono alcuni monumenti, che a mio credere son degni di memoria e mi meraviglio come dei medesimi non si trovi parola in nessuna delle monografie di questi luoghi.
I detti monumenti consistono in due sarcofaghi scolpiti nella viva pietra e giacenti nel declivio del monte, che porta il nome di Casa dei Lucii, confinante con una valle ancor essa chiamata Valle Lucii.
Della gente dei Lucii sono abbondantissimi i monumenti in tutte queste adiacenze; e Cicerone ricorda un Lucio Rubrio, a cui Mo Antonio tentò carpire la ricca eredità.
La Terra, ove giacciono i sopraddetti monumenti, ora appartiene al Barone de Rosa, e volgarmente è chiamata Salauca, voce forse derivante da Saliae Lucus. In uno dei sepolcri è incisa una iscrizione, ma così corrosa e levigata dalle piogge, che riesce assai difficile il leggerla tutta.
Ad ogni modo ho creduto farne fare un calco cartaceo nel miglior modo possibile, e mi onoro rimetterlo alla S. V. Illustrissima, unitamente al disegno e misure dei sepolcri senza punto intrattenermi e farvi altri commenti.
Solo sarei desideroso che la S. V. Illustrissima si compiacesse assicurarmi del ricapito e se rimane soddisfatto del calco cartaceo, che come è detto è stato assai difficile far eseguire, molto più per l’asprezza del sito ove si trovano i detti monumenti.
L’Ispettore dei Monumenti e Scavi
Ponari Abte Filippo»2.
Foto-02Altri dettagli mi fornì l’archeologo Angelo Pantoni col profilo e la planimetria eseguiti nel 1947. Delle due tombe ci siamo interessati nella monografia Casalucense del 2008 e di recente in un trafiletto su «Studi Cassinati».
Sono scavate nella roccia, perciò siamo sicuri che non possono essere danneggiate o trafugate, come è accaduto per un basamento di pietra scomparso durante i lavori della costruzione della dimora retrostante al Santuario e per il troncone di una colonna romana, che delimitava un muretto sito nel prato antistante il Convento.
Esse avevano ed hanno le seguenti misure: l’una esternamente m. 2,15 x 0,84, l’altra m. 2,10 x 0,67; all’interno rispettivamente m. 1,85 x 0,54 e 1,75 x 0,52 e profonde ambedue una quarantina di centimetri circa. Come dallo schizzo dell’archeologo Pantoni e da quello eseguito dall’ispettore Filippo Ponari, la prima si presenta con la parte vuota incurvata alle estremità, la seconda sita alquanto più in basso, di poco spostata verso est, dalla forma di un perfetto rettangolo; hanno in superficie un bordo piuttosto ampio e scarsamente rifinito.
Sono nel piazzale antistante al Convento, ad una ventina di metri dalla porta principale: nel dopoguerra furono interrate; oggi le copre un verde prato e nessuno immagina che a una ventina di centimetri sono due tombe romane.
Nella planimetria del Ponari si notano i coperchi disegnati a lato. Il primo, più in alto, appare diviso in tre parti; quella centrale riporta dei segni che possono indicare l’epigrafe che vi era scolpita: «Due iscrizioni mortuarie sono sui coverchi delle tombe in Casalucense e non possono decifrarsi, perché affatto erose dal tempo»3.
Essi sono scomparsi da anni; gli abitanti del posto riferivano, rifacendosi ai racconti dei nonni, che furono utilizzati nel 1873 per creare la pavimentazione del sagrato antistante alla Chiesa. Intorno agli anni 1970 lo esaminammo attentamente, ma le pietre erano frantumate e non permettevano di intuire l’uso cui erano state destinate.
Una curiosità dei nostri ricordi d’infanzia: nell’acqua piovana in esse raccolta, i pellegrini solevano immergere i piedi, con la sicurezza di essere guariti dal male4.
Ritorniamo sulla notizia pubblicata su «Studi Cassinati» alcuni anni fa per richiedere ancora che si “scoprano” le tombe e si costruisca all’intorno una protezione; il Ponari definiva i «monumenti degni di memoria» e si meravigliava «come dei medesimi non si trovi parola». Purtroppo ora sono stati volutamente sepolti e restano ignorati da tutti. Che almeno l’Amministrazione Comunale rilasci un’autorizzazione ad operare lo scavo, perché si troveranno persone interessate a lavorare spontaneamente per rivederle!

IL PONTE LAGNARO
Un altro importantissimo monumento di Sant’Elia è il Ponte Lagnaro: ce ne siamo interessati in diverse occasioni. Ricordo che insieme con Gino Alonzi anni fa rinvenimmo sulla sua sommità un residuato bellico e ne informammo l’Amministrazione Comunale. Oggi, in certi periodi dell’anno, non si distingue quasi più tra la ricca vegetazione all’intorno. Eppure andrebbe protetto non solo con opere murarie e progettazione da parte di esperti, perché privo di contrafforti, ma almeno col predisporvi all’intorno un semplice muro di recinzione. Oltretutto nelle adiacenze è una stradetta; il passaggio di qualche automezzo pesante potrebbe eventualmente causare qualche danno a tale manufatto, come accadde in Sardegna un decennio fa a un dolmen. Al Comune esso sta a cuore, visto che il 15 marzo 1999 approvò la redazione di un progetto per l’assetto turistico integrato «culto, storia, arte, natura tra i beni culturali ed ambientali» e la Giunta Comunale deliberò il pagamento del primo acconto con deliberazione n. 7624 del 6 luglio 1999 per una decina di milioni di lire.
Qualche anno fa il geom. Gino Alonzi, “gratis et amore per Sant’Elia”, compilò un attento studio con il recinto ed alberi di abbellimento a richiesta dell’assessore Trelle. I primi interessati alla sua salvaguardia sono proprio i vicini di casa, i residenti di Olivella che se lo vedono dinanzi quando tornano a casa, come a porgere un saluto, e i Santeliani tutti che ne vanno orgogliosi e ne stampano fotografie su tutte le pubblicazioni.

SANT’ELIA VECCHIO
Una terza località meriterebbe di essere protetta, o almeno indicata con una tabella, ed è quella di S. Elia Vecchio, come viene comunemente chiamato l’originario insediamento del centro prima di essere abbandonato in seguito alle scorrerie degli Arabi che avevano distrutto la Chiesa. Alla località si arriva da una traversa campestre di Via Strette Camere, andando verso Atina, o, in fondo ad essa, prima del Ponte degli Sterponi. Lo spostamento più a nord, in luogo più sicuro e difendibile con mura e torri, dove adesso si trova il paese, fu dovuto all’abate Mansone intorno agli anni 990. Fino al 1960 dinanzi a un ponte romano correva una strada che faceva gomito e arrivava alla Cartiera Picano, poi Cerroni. In tale angolo essa si slargava in un piccolo spiazzo nel quale si potevano rilevare i resti di due muri paralleli, del tutto sgretolati e ridotti al piano stradale: dovevano essere gli unici resti della Chiesa di Sancto Helia, a navata unica. Di questo avviso era l’archeologo di Montecassino Angelo Pantoni.
In un angolo sorgeva una edicola con un affresco di San Michele che abbiamo ricostruito a memoria e sulla base di ruderi all’epoca esistenti.
Ma il reperto più interessante è rappresentato dal ponte. Dunque a Sant’Elia vi sono ben «due ponti di un solo arco a tutto sesto, fatti a doppio giro di travertino lavorato a scarpello, dai quali il fiume si è scostato lungo tratto; l’uno sui confini di Cassino non lungi dalla strada che vi mena; l’altro in contrada S. Elia Vecchio, restano ancora degli antichi romani ed in buono stato». Questo, «in gran parte ricoverto, come più vicino ai monti, serviva per la strada, che da Atina menava direttamente a Capua. N’è indizio la lapide sepolcrale esistente in contrada Salauca»5.
Vi scorrevano le acque del Rio Macchio, un tempo abbondanti, e quelle della Fontana. Il compianto sindaco Giuseppe D’Agostino, ricordava in un’intervista al Pantoni che il nonno vi passava sotto col carro carico di fieno. Del manufatto si sono interessati con competenti studi l’archeologo Angelo Pantoni6 e l’ing. Giovanni Picano7.

1 Dell’archeologo cassinate si è interessato per primo Emilio Pistilli, portando alla luce scritti inediti, compresa la presente che a lui dobbiamo in «Studi Cassinati», Scritti inediti di Filippo Ponari, Ritrovamenti Archeologici in Cassino tra il 1875 e 1879, a. II, n. 2 (giugno 2002), pp. 96-114.
2 Archivio Centrale dello Stato, b. 15, f. 26-6.
3 M. Lanni, Sant’Elia sul Rapido, Monografia, Napoli 1873, p. 102.
4 G. Picano, Intorno al Santuario di Nostra Signora delle Indulgenze, Cassino 1900, p. 26: «È degno di nota che l’acqua raccolta nel cavo di dette tombe vien presa con gran devozione dai pellegrini, i quali spesso vi bagnano le membra inferme, e molti narrano che la SS. Vergine abbia corrisposto benignamente con le sue grazie alla fede loro». Anche noi ricordiamo il fatto della nostra lontana infanzia. L’evento accadeva nel giorno di festa: per lo più le donne facevano la fila nell’attendere il turno per immergere gli arti nell’acqua piovana, resa torbida.
5 M. Lanni, Sant’Elia … cit., pp. 101-102.
6 A. Pantoni, Un ponte romano presso Sant’Elia Fiumerapido, in «Archeologia», 1969, 1, p. 150-151.
7 G. Picano, L’Acquedotto Romano di Cassino, Cassino 1995, pp. 102-104.

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