Studi Cassinati, anno 2015, n. 1
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di Weronika Uminska
Un interessante accostamento tra la statua detta «l’eroe o atleta di Cassino» con quella di Ercole a Roma che potrebbero avere letture diverse da quelle accreditate dalla critica specialistica, porta la studiosa di Cracovia a una analisi che renderebbe plausibile – ammesso che non lo sia già – l’identificazione della statua di Cassino con Marco Terenzio Varrone, che a Cassino ebbe la sua sontuosa residenza.
Incoraggiata dall’interpretazione della statua così detta «l’Eroe di Cassino» offerta dal professore Filippo Coarelli in «Studi Cassinati»1, ho finalmente deciso di condividere con il pubblico la mia interpretazione di un’altra antica statua romana. Trattando di sculture, infatti, non si può omettere di prendere in considerazione una statua molto interessante e dall’aspetto molto particolare che Plinio il Vecchio descrisse così nella sua «Historia Naturalis»:
«In mentione statuarum est et una non praetereunda, quamquam auctoris incerti, iuxta rostra, Hercules tunicati, sola eo habitu Romae, torva facie sentiensque suprema tunicae. In hac tres sunt tituli: L. Luculli imperatoris de manubiis, alter: pupillum Luculli filium ex S. C. dedicasse, tertius: T. Septimium Sabinum aed. cur. ex privato in publicem restituisse. Tot certaminum tantaeque dignationis simulacrum id fuit»2.
La scultura si trovava vicino ai rostri nel Foro Romano e raffigurava Eracle con la tunica (di Deianira) – unico esempio a Roma (dell’Eracle così vestito) – con il viso cupo, con il presentimento della sua morte imminente causata dalla tunica. Come è noto, l’eroe morì per aver indossato la tunica intrisa del sangue-veleno del centauro Nesso, il quale così volle vendicarsi, dopo la sua uccisione da parte di Eracle per il tentato rapimento della moglie dell’eroe, Deianira. Quest’ultima, ignara dello stratagemma del Centauro, per riconquistare l’amore del marito che credeva amasse un’altra preparò la tunica tingendola con il sangue di Nesso: così le aveva promesso il Centauro morente. Deianira non sapeva che in realtà il sangue di Nesso non aveva le proprietà che sarebbero servite a riconquistare l’amore mentre invece era veleno mortale.
Aggiunge Plinio il Vecchio, che sulla statua, di cui non se ne conosce l’autore, «si scatenarono molte discussioni tanto fu apprezzata» e che riportava tre iscrizioni. La prima: «Dai bottini del comandante Lucio Lucullo»; la seconda: «Il figlio minorenne di Lucullo dedicò per senatoconsulto»; la terza: «Tito Settimio Sabino, edile curule, restituì al pubblico dal possesso privato». Come attesta lo stesso Plinio si trattava della sola statua in tutta Roma che rappresentasse Eracle. Oltretutto la raffigurazione è quella del momento della morte e può sorprendere l’idea che fosse stata eretta una statua dell’eroe morente invece di raffigurarlo in piena forza e splendore. A dire la verità non meraviglia tanto il fatto che quella fosse l’unica statua del genere in tutta Roma ma piuttosto il fatto che qualcuno avesse deciso di erigere una statua così particolare dell’Eracle, in una città dove il culto dell’eroe greco era presente e vivo dalle sue più remote origini. Era soprattutto il Foro Boario dove si concentravano i luoghi legati a Ercole (e dove, secondo la leggenda, l’eroe combatté con il gigante Caco) e al suo culto, cominciando con l’Ara Massima di Ercole Invitto i cui resti sono stati identificati sotto la Chiesa Santa Maria in Cosmedin. Non è escluso che Eracle fosse il primo eroe in assoluto venerato a Roma, se dovesse risultare vero che fu Evandro – il parente e l’alleato di Enea – a edificare l’Herculis Invicti Ara Maxima.
Tutte quelle circostanze e la curiosa forma della statua fanno sì che la scultura diventi un vero e proprio enigma. Nonostante ciò sembra che gli studiosi finora non si siano soffermati più a lungo sull’argomento. Lo attesta per esempio un passo dedicato a quella scultura dal professore Janusz A. Ostrowski che dopo aver citato Plinio il Vecchio ha scritto: «Ovviamente anche noi oggi non possiamo dire nient’altro di questa statua, giudicando dal testo di Plinio, che raffigurava l’eroe in un attimo prima della morte causata dalla tunica avvelenata di Deianira. Siccome la statua si dovette distinguere per un’espressione non comune, possiamo dedurre che si trattò dell’opera ellenistica, originaria di qualche scuola medio-orientale (forse Rodi, dove operarono gli autori dell’altrettanto espressivo “Gruppo del Laocoonte”). Non sappiamo, però, perché la famiglia dei Luculli ci teneva così tanto alla statua dell’Eracle»3.
Secondo me la risposta alla domanda posta dal professore Ostrowski nell’ultima frase qui riportata si trova nella stessa domanda e più precisamente nel nome della famiglia citata. Infatti uno dei suoi componenti era Lucio Licinio Lucullo (117-56 a.C.) un personaggio non comune, grande intellettuale, politico e comandante, anche se nella cultura popolare viene rappresentato come un sibarita interessato soprattutto all’organizzazione di sontuosi pranzi (pranzi luculliani) e di giardini (Horti Lucullani) che circondavano la sua villa romana sul Pincio (le altre si trovarono a Tusculum e a Napoli – Castellum Lucullanum, odierno Castel dell’Ovo). Visto il suo interesse per i giardini e per la buona cucina Lucullo è anche famoso per aver introdotto in Europa nuove coltivazioni – tra esse quella delle ciliegie, il cui nome in molte lingue (czeresnie in polacco, cherries in inglese) ricorda quello della città dalla quale furono portate: Cerasunte (Giresun in Turchia, per noi Gerasa). Prima di ritirarsi a vita privata Lucullo ottenne però vari successi nella vita pubblica. Fu console e comandante durante le guerre che nel I secolo a.C. Roma condusse contro il re del Ponto, Mitridate VI Eupatore (134-63 a.C.). Mitridate fu personaggio non meno interessante di quello di Lucullo. Riuscì a consolidare sotto il suo comando varie nazioni contro l’occupazione romana del Medio Oriente. Sicuramente la sua poliglossia4 gli fu di grande aiuto in quel processo. Nella propaganda ufficiale Mitridate si fece rappresentare come liberatore dei Greci e di altre nazioni contro gli oppressori Romani, paragonandosi a Eracle. Come Eracle liberò dalle rocce del Caucaso Prometeo a cui l’aquila divorava il fegato, così Mitridate liberò le nazioni del Medio Oriente dall’invasore romano (in quella simbologia: l’aquila trafitta dalla freccia di Ercole = l’aquila legionaria romana). La figura di Mitridate fu presente nella cultura popolare europea dall’antichità fino all’Ottocento (Mitridate – il re del Ponto fu la prima opera scritta dal Wolfgang Amadeus Mozart). Nel Novecento la figura di Mitridate passò però in secondo piano, l’ultima sua biografia fu quella pubblicata in francese nel 1890 da Theodore Reinach5. Tuttavia negli ultimi dieci-quindici anni la figura di Mitridate è tornata a interessare gli studiosi. Ultimamente, ad esempio, Adrienne Mayor ha redatto una nuova biografia del re del Ponto6. Oltre a quella degli storici e scrittori, Mitridate ha attirato l’attenzione anche di storici dell’arte e archeologi7. Il loro lavoro si concentra soprattutto sulle prove per riconoscere la figura di Mitridate nelle statue finora interpretate differentemente. È iniziata una vera e propria campagna di revisione delle statue finora considerate di Alessandro Magno nelle quali si tenta adesso di riconoscere le sembianze di Mitridate8. Per ottenere ciò gli studiosi giungono ad analizzare la forma di ogni ciocca dei capelli oppure a verificare quanto gli occhi del personaggio raffigurato siano incavati o quanto la testa sia piegata. Tra tutte queste analisi dettagliate pare però che una statua di Mitridate agli studiosi sia sfuggita. Non si tratta di nessuna delle statue salvatesi ai nostri tempi. La statua in questione purtroppo non esiste più (o almeno non siamo a conoscenza della sua esistenza), ma dalla sua descrizione tramandataci da Plinio il Vecchio riusciamo ad immaginarcela. Si tratta ovviamente della statua dell’Eracle morente, la cui descrizione è citata all’inizio di questo articolo. A mio parere le informazioni riguardanti la statua sono sufficienti per riconoscere in questa scultura la raffigurazione molto particolare di Mitridate VI Eupatore, il re del Ponto. Quali sono le indicazioni?
1. Mitridate nella sua iconografia ufficiale si fece raffigurare come Eracle.
2. Il fondatore della statua fu Lucio Licinio Lucullo, il comandante romano che sconfisse Mitridate: così ebbe modo di sottolineare la sua vittoria con l’erezione della statua del nemico sconfitto.
3. Lucullo fu un erudito e la statua da lui fatta erigere “gioca” con tanti simboli, attributi, identificazioni ed episodi sia mitologici sia reali collegati con la storia della vita di Mitridate. Ricordiamoci che la statua eretta sul Foro Romano da Lucullo mostrò l’eroe morente per colpa del veleno che bruciò il suo corpo: analogia sorprendente ricordando che anche Mitridate morì suicidandosi con il veleno a Panticapeo in Crimea9. I veleni, del resto, occuparono un posto molto importante nella vita del re del Ponto. Mitridate si interessò molto della tossicologia, che studiò sia per interesse sia per necessità dal momento poiché nella realtà in cui visse gli avvelenamenti avvenivano molto spesso (lo stesso padre del Mitridate, Mitridate V fu avvelenato). Per proteggersi dai possibili avvelenamenti Mitridate condusse studi sugli antidoti contro i veleni. Secondo le fonti antiche che documentano la morte di Mitridate, il veleno preso dal re del Ponto non ebbe l’effetto auspicato e alla fine Mitridate morì trafitto da una spada. Questo potrebbe indicare che gli antidoti presi
abitualmente da Mitridate ebbero effetto. Il nome del re del Ponto echeggia nel Mithridatium – il semi-mitico antidoto universale contro ogni veleno.
La condizione dell’immunità ai veleni invece porta il nome del mitridatismo. In ogni modo l’analogia tra la
morte di Eracle e quella di Mitridate è più che evidente. Gli indizi sopra elencati secondo me sono più che sufficienti per confermare l’ipotesi che la statua di Eracle morente eretta nel Foro Romano da Lucio Licinio Lucullo in realtà era il ritratto dello sconfitto Mitridate VI Eupatore re del Ponto. Sono convinta che nelle analisi degli antichi monumenti romani, sia quelli pervenuti fino ai tempi nostri, sia quelli la cui esistenza conosciamo solo da fonti antiche dovremmo essere più realisti e concreti, perché lo furono gli antichi Romani e vedere in loro non solo le figure mitiche (come l’Eracle) o generiche («l’Eroe di Cassino»), ma piuttosto le persone reali come Mitridate o Varrone.
Ceterum censeo … la statua dell’eroe di Cassino deve rimanere a Cassino!
1 F. Coarelli, Varrone e Cassino, in «Studi Cassinati», anno VIII, n. 4, ottobre-dicembre 2008.
2 Gaius Plinius Secundus, Historia Naturalis, 34, 93.
3 J. A. Ostrowski, Starozytny Rzym. Polityka i sztuka, Warszawa-Krakow 1999, p. 148.
4 Gaius Plinius Secundus, Historia Naturalis, VII, 4.
5 T. Reinach, Mithridate Eupator roi de Pont, Paris 1890.
6 A. Mayor, The poison king, a life and legend of Mithradates Rome’s deadliest enemy, Princeton 2010.
7 A. Fulinska, The elusive king. In search of the portraits of Mithridates VI Eupator. Classica Cracoviensia, XV, 2012, pp. 59-79.
8 J. Munk Hojte, Portraits and statues of Mithridates VI, Black Sea Studies 9, Aarhus 2009, pp. 145-162.
9 Appianus, XVI, 111; Cassius Dio, 37, 13.
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