D. Bernardo Paoloni: monaco cassinese, scienziato nel campo delle radio telecomunicazioni, precursore della meteorologia moderna e della navigazione aerea.


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Studi Cassinati, anno 2014, n. 2
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di Francesco Di Giorgio

La storia d’Italia è un mosaico articolato e complesso. Parte di questo mosaico è lo sviluppo delle scienze nei conventi, seminari, scuole religiose, soprattutto a cavallo dei secoli settecento e ottocento e fino alla fine del novecento.
È in questo periodo che fioriscono gli studi sulla cosmologia, sulle scienze naturali, sulla fisica, sulla matematica, sulla geologia, sulla meteorologia, sulla sismologia. Tra gli scienziati di queste discipline ricordiamo, tra gli altri, Lazzaro Spallanzani (1729-1799) e il monaco Gregor Mendel (1822-1884).
Nel lungo elenco degli ecclesiastici scienziati, ha un posto di rilievo il monaco benedettino cassinese Bernardo Paoloni (1881-1944) meteorologo, pioniere delle trasmissioni radio atmosferiche, padre dell’Osservatorio meteorologico di Montecassino (1913), che godette di grande stima e amicizia personale di Guglielmo Marconi e di Papa Pio XI. Egli istituì il servizio radio atmosferico italiano (1928) e nel 1930 il primo servizio meteorico sanitario che raccoglieva dati sulla mortalità e le infezioni in rapporto ai mesi, studiando la connessione tra fenomeni atmosferici e malattie.
Il servizio radio atmosferico italiano quando ancora era diretto da Bernardo Paoloni, fu affidato per evidenti ragioni, alla gestione operativa dei militari, con trenta stazioni R. T., parte affidate all’Esercito, e parte all’Aeronautica, e con una stazione R. T. sperimentale presso il R. Istituto agrario di Perugia dove, nel giugno del 1931, con il beneplacito del Pontefice Pio XI, fu trasferita la direzione delle sue istituzioni scientifiche. Della istituzione fondata dal Paoloni, Guglielmo Marconi ebbe a dire: «quanto al Servizio Radio atmosferico italiano debbo dire che esso svolge una azione preziosa per le radiocomunicazioni e che tutti i collaboratori di esso possono a ragione essere orgogliosi del lavoro che compiono».
Tra i meriti di Bernardo Paoloni va annoverata la fondazione, nel 1920, della rivista «La meteorologia pratica». Con questo strumento il Paoloni fin dal primo numero, si pose l’obiettivo di rendere la meteorologia realmente pratica nei rapporti specialmente con l’agricoltura, con l’Aeronautica e con la salute dell’uomo.
Grande merito di Paoloni fu anche l’impegno che profuse nel far risorgere «La Società Meteorologica italiana», che nel 1930 era ridotta a una ventina di soci, ma che, appena egli nel 1931 ne fu nominato segretario generale, salirono ben presto a 700. Tra questi molti professori universitari e tutti i più distinti meteorologi e geofisici nazionali ed esteri.
Italo Balbo (1896-1940), nell’inviare la sua scheda di adesione alla Società Meteorologica italiana, scriveva al Paoloni: «Le brillanti affermazioni che nel campo della meteorologia Ella ha meritatamente conquistato, costituiscono oggi, dinanzi al consenso unanime delle più spiccate personalità italiane e straniere, il giusto premio dei suoi innumerevoli sacrifici e della Sua volontà fervida ed operosa».
Il Servizio meteorico sanitario italiano, altra grande intuizione del Paoloni, fu un’istituzione che ideò fin dal 1922 e che poi, superate tutte le difficoltà, riuscì finalmente a rendere operativa nel maggio del 1930 a Venezia con l’aiuto del prof. Giulio Ceresole a cui ne affidò la direzione. Non appena gli fu possibile, Paoloni con l’aiuto e la collaborazione di altri Osservatori, si propose di estendere l’attività del Servizio meteorico sanitario italiano ad altre ricerche scientifiche, quali la radiazione solare e il pulviscolo atmosferico, due elementi che, insieme alla elettricità atmosferica, influiscono più di tanti altri sul clima, e quindi sulla salute dell’uomo.
A Bernardo Paoloni si deve anche la proposta di unificare la trasmissione dei radiogrammi meteorologici e dei segnali orari serali della Tour Eiffel, al fine di agevolare e migliorare il lavoro degli operatori. La proposta è contenuta in una lettera indirizzata ad Augusto Righi (1850-1920) del 27 aprile 1914. Di questa lettera se ne dà conto nella foto, pubblicata a margine, dell’originale conservata presso l’Accademia nazionale delle scienze in Roma.
Intensa fu l’attività divulgativa attraverso articoli, trattati e libri scritti di Paoloni pubblicati nel corso della sua brillante carriera di religioso e scienziato. Tra le sue opere più significative vanno citate: Cronistoria sismica cassinese, del 1913 e frutto di studi sulle fonti memorialistiche dei monaci di Montecassino e delle osservazioni conservate in 33 registri relativi ad altrettanti anni di attività dell’Osservatorio; La meteorologia nei rapporti con la morbosità umana, 12 maggio 1930; Meteorologia talassoterapica, 6 maggio 1931; Ruggine del grano e andamento meteorologico, pubblicata nel 1932 a seguito del forte attacco alle colture del fungo parassita; L’indirizzo ecologico da darsi alla meteorologia agraria, presentata al Congresso delle scienze di Roma nell’ottobre del 1932.
Con queste pubblicazioni e con le altre edite negli anni 1931-32, il Paoloni portò a termine con successo la sua lunga battaglia per la riforma dei servizi meteorologici italiani specialmente nei riguardi dell’agricoltura e quindi dell’economia nazionale.
Tra gli strumenti in dotazione all’Osservatorio di Montecassino fatti acquistare da Bernardo Paoloni o costruiti direttamente da lui ricordiamo: un tronometro, alcuni sismoscopi Brassart, un sismometrografo Cancani a registrazione veloce continua.
Per comprendere meglio il contributo dei monaci cassinesi alla scienza si riporta per intero un articolo dello stesso Bernardo Paoloni, pubblicato nella rivista «La meteorologia pratica» del novembre-dicembre 1926, anno VII° N° 6. Si tratta dell’intervento, che egli stesso definisce «un affrettato studio che abbraccia 14 secoli», pronunciato da Bernardo Paoloni, nella sua qualità di responsabile dell’Osservatorio, alla presenza di scienziati provenienti da tutta Italia e dall’estero, in occasione della festa celebrativa voluta dall’abate Gregorio Diamare per il cinquantenario della fondazione dell’Osservatorio di Montecassino. Il titolo dell’allocuzione è: Il contributo dato in 14 secoli dai benedettini cassinesi alle scienze fisiche, astronomiche, mediche e naturali e il cinquantenario della fondazione dell’Osservatorio di Montecassino.
«Per ben comprendere il perché della festa che celebriamo, non basta rifare la storia dei cinquanta anni di vita dell’Osservatorio di Montecassino, ma bisogna risalire i quattordici secoli di vita di Montecassino stesso, per vedere come in quest’ultimo mezzo secolo l’abate Quandel che fondò l’Osservatorio e tutti quelli che gli successero nella direzione di esso, non fecero altro che continuare una tradizione quattordici volte centenaria; una tradizione che non poté essere introdotta che dallo stesso fondatore di Montecassino, il quale abbandonando Roma, portò seco le poche reliquie delle lettere, delle arti e delle scienze, che l’ignoranza, la corruzione e le continue guerre della Roma imperiale stavano per seppellire, e le fece rifugiare a Montecassino, affidandole alle amorevoli cure dei suoi figli.
Lasciando ad altri il far rilevare, in altre circostanze, che cosa i figli di S. Benedetto fecero per salvare le lettere, le arti e le scienze in generale, io, nella ricorrenza del cinquantenario dalla fondazione dell’Osservatorio di Montecassino, mi sono preso il non facile compito di fare un cenno di tutto ciò che essi fecero per le scienze fisiche, astronomiche, mediche e geofisiche, appunto per dimostrare che la vita monastica non è in contraddizione con gli studi anche profani, quando essi tendono, attraverso una più perfetta cognizione delle meraviglie della Creazione, a far sempre più conoscere e glorificare Lo nome di Colui che in terra addusse / La verità, che tanto ci sublima.
L’essersi i Benedettini occupati di lettere e di scienze contribuì non poco alla diffusione della civiltà, perché quanto maggiori e più immediate erano le relazioni che passavano tra i monaci e la società, tanto più questa si avvicinava a Dio e si faceva più civile.
S. Benedetto non fondò gli anacoreti, ma i cenobiti, i quali pur dimorando nel monastero, dovevano essere sempre a contatto con gli ospiti, che fin dai primi tempi dell’istituzione monastica non mancarono mai; ospiti che non erano tutti devoti fedeli, poveri e pellegrini, ma anche i dotti del mondo e i Totila, ai bisogni intellettuali e materiali dei quali era necessario avvicinarsi per avvicinarli a Dio. Ed uno dei mezzi che adottarono i primi figli di S. Benedetto per ritrarre le ville circostanti dall’empio culto che il mondo sedusse, fu la scienza della medicina e dell’igiene.
Era ancora in vita il Santo Patriarca quando il celebre Cassiodoro, lasciò la corte di Teodorico e si ritrasse a vita monastica nel cenobio di Squillace, ove inculcava ai suoi religiosi di apprendere l’arte salutare e di studiare le virtù curative delle erbe per farne farmaci per il bene dei poveri infermi.
“A voi io parlo, egregi fratelli, i quali trattate con diligente curiosità la salute del corpo umano, e rifugiandovi nei sacri luoghi, eseguite gli uffici di una beata pietà: tristi per le altrui sofferenze; mesti per gli altrui pericoli; trafitti dal dolore di coloro che avete a curare, servite con cura sincera a coloro che languono, come si addice alla perizia dell’arte vostra, ed aspettate la mercede da Colui che può retribuire con premi eterni le opere temporali. Imparate perciò la natura delle erbe e studiate con diligente pensiero il modo di riunire le spezie diverse.
Che se voi siete istruiti nelle greche lettere, prima di tutto abbiate l’erbario di Dioscoride, il quale con mirabile proprietà descrisse e dipinse le erbe dei campi. Dopo ciò leggete Ippocrate e Galeno tradotti in lingua latina, cioè la Terapeutica di Galeno. Di poi il trattato di Medicina di Aurelio Celso, e quello dell’erbe e delle cure di Ippocrate; più i diversi altri libri composti intorno all’arte di medicare, che io, coll’aiuto di Dio, vi ho lasciati riuniti nella mia biblioteca”. (De Inst.divin.litter.t.II,c. 31).
Chi non vede in queste parole di Cassiodoro come lo studio delle scienze naturali, fatto sulla guida dei codici che i monaci trascrivevano per conservarli, era per gli stessi monaci uno dei doveri principali, e come fu fin dal VI secolo che in Italia la medicina ebbe tanto incremento per opera dei monaci?
Era però stabilito nell’economia della Provvidenza che i primordi dell’opera di S. Benedetto, come quelli della Chiesa, fossero provati dal fuoco delle persecuzioni, ed infatti non erano passati cinquant’anni dalla morte del S. Fondatore, che il monastero di Montecassino fu saccheggiato e incendiato dai feroci Longobardi, e i monaci, sebbene tutti salvi, dovettero rifugiarsi a Roma, dove accolti e protetti dal papa Pelagio, restarono per circa 130 anni.
Che cosa fecero i monaci a Roma in quei 130 anni?
La storia narra che Pelagio e i suoi successori affidassero ad essi le accademie del Vaticano e del Laterano, ove s’insegnava al clero di Roma il canto ecclesiastico e le scienze.
Ma sotto le macerie di Montecassino era rimasto il corpo di S. Benedetto, il cui spirito vegliava sui suoi figli lontani, che, cessato il tempo della prova, richiamò presso la gloriosa sua Tomba.
E tornarono essi più dotti nelle scienze sacre e profane coltivate nelle accademie di Roma, e il loro abate Petronace, riedificato il monastero nel 718, vi riaprì le scuole e queste divennero in breve sì celebri, che dopo non molti anni Stefano II, Vescovo di Napoli, vi mandava a studiare i suoi chierici.
Intanto il dottissimo monaco di Montecassino, Paolo Diacono, che Carlo Magno aveva chiamato come maestro alla sua corte in Francia, nel 787 lasciò la corte che parevagli una prigione al confronto del monastero, come scriveva al suo abate Teodemaro, e tornò ad insegnare nelle scuole di Montecassino.
Fu in questo secolo, nel 748, che il re Carlomanno era venuto a farsi monaco a Montecassino e da reggitore di popoli si era dato alla pastorizia e all’agricoltura. Poco dopo, nel 749, un altro principe né seguì l’esempio, Rachis re dei Longobardi ed anche questo re si dedicò all’agricoltura, coltivando specialmente una vigna che porta ancora il suo nome. Così anche i re nella grande tempesta che affaticava l’Italia, venivano a cercare la pace nel chiostro di Montecassino e la trovavano dedicandosi ai lavori agricoli e alla contemplazione della natura, dalla quale la loro mente saliva al Creatore.
Fu anche nel secolo VIII che si fece monaco a Montecassino l’ateniese Egidio, che nel chiostro si diede più di tutto allo studio della medicina, di cui scrisse un trattato; segno che tra le scienze che i monaci insegnavano, non mancava quella della medicina, la quale, più di tutte le altre scienze, in quel tempo era praticamente utile alla società.
Anche nel secolo IX, secolo di piena ignoranza altrove, nella scuola cassinese progredivano le scienze sacre e profane, e tra queste, specialmente la medicina che era insegnata dallo stesso santo e dotto abate Bertario, il quale scrisse due libri di medicina.
Ma nell’884 in una nuova invasione, quella dei Saraceni, Montecassino era di nuovo saccheggiato e incendiato e lo stesso abate Bertario, che oggi veneriamo su gli altari come santo, venne, insieme a molti monaci, barbaramente ucciso. I pochi superstiti si dovettero rifugiare prima a Teano e poi a Capua, dove restarono fino al 949.
Scossa, lungi da Montecassino, la disciplina monastica, anche gli studi nel X secolo furono in decadenza; che anzi va fatto notare, e lo vedremo anche più avanti, che come in tutta l’Italia alla decadenza dei sentimenti religiosi e dei costumi tenne sempre dietro anche la decadenza degli studi, così negli stessi monasteri, non escluso Montecassino, l’amore per gli studi fu sempre tanto maggiore quanto maggiore fu la pietà e la monastica disciplina.
Ma la nuova tempesta passò, e l’abate Aligerno ricondusse i monaci a Montecassino, dove fece rifiorire insieme all’osservanza monastica anche gli studi. Né la sua opera di ricostruzione si svolse solo tra le mura del monastero, ma si diede a far rifiorire nei vicini paesi l’agricoltura, cui le guerre e le devastazioni avevano arrecato tanti danni.
Chiamò dalle terre limitrofe uomini quanti più ne poteva a coltivare l’agro cassinese, e ve li fermava con le loro famiglie ripartendo le terre tra i novelli coloni con un placitum libellari statuto che lasciava loro le terre per ventinove anni, dando alla Badia la settima parte delle biade e la terza del vino.
Così in breve, (Tosti: Storia della Badia di Montecassino vol.1 p.93) per mano dei monaci, molti paesi d’Italia tornavano a vita; si sboscavano le campagne, si dava scolo alle acque; le terre per lo innanzi inselvatichite erano adombrate da piante fruttifere; le spine e i rovi cedevano il luogo alle biade e alle viti. Ecco come i figli di S. Benedetto incominciarono ad essere benemeriti anche dell’agricoltura.
Giungiamo così al secolo XI, il secolo in cui, mentre in Italia continuava l’ignoranza e la barbarie, la scuola cassinese saliva alla sua massima grandezza: non vi era disciplina che non vi fosse coltivata con fervore. Come le materie ecclesiastiche, la filosofia, la storia, la poesia, l’eloquenza, la musica, così la storia naturale, la matematica e l’astronomia ebbero i loro cultori e scrittori tra i monaci cassinesi.
Al principio di questo secolo vediamo Pandolfo di Capua che, vestito l’abito monastico a Montecassino in tenera età, scrisse molte opere di astronomia e matematica. Anche il cassinese Alberico (da non confondersi con l’altro monaco Alberico del secolo seguente, autore della celebre visione che fu fonte cospicua della Divina Commedia), scrisse in questo secolo un libro di astronomia.
Ma la scienza cui si dedicarono con più amore i monaci dell’XI secolo fu sempre la medicina, con la quale tanto bene facevano specialmente ai poveri, e la scuola medica di Montecassino gareggiò con la Scuola Medica Salernitana, nella quale vediamo gli stessi monaci cassinesi tra i primi che vi insegnarono; anzi gran parte della fama di questa scuola si deve attribuire ai monaci di Montecassino. Lo stesso grande abate Desiderio prima di farsi monaco aveva coltivato gli studi di medicina, e fu questa scienza che gli diede occasione di conoscere nella Scuola di Salerno il chierico Alfano che era riputato come uno dei più dotti nell’arte salutare; stretta con lui amicizia, decisero insieme di vestire l’abito monastico a Montecassino, e muniti di una lettera di raccomandazione di papa Vittore II ai monaci perché volessero accettarli come confratelli, tali divennero.
Dopo molti anni Alfano era nominato da papa Stefano IX (che fu il primo benedettino cassinese che ascese la Cattedra di S. Pietro) Arcivescovo di Salerno, dove naturalmente continuò a dare molti aiuti a quella scuola medica, e il suo amico Desiderio da abate di Montecassino succedeva a Gregorio VII (pure benedettino), prendendo il nome di Vittore III.
Intanto Costantino l’Africano, dopo aver percorso tutto l’Oriente per apprendere quanto più poteva di scienze; dopo aver studiato a Babilonia matematica, fisica e astronomia; dopo aver consultato tutti i sapienti dell’India, dell’Etiopia e dell’Egitto, era andato esso pure a studiare presso la scuola di medicina di Salerno, ma di questa non pago, si fece monaco a Montecassino.
“Quivi – scrive il P. Tosti – dal favore di Desiderio, dalla quietezza del sito aiutato, spose tutto il tesoro di notizie che nei quaranta anni di viaggi aveva in vari paesi imparate, e fece moltissime scritture in fatto di medicina e d’igiene; volse in latino molti libri scritti in arabico, ed in altre lingue straniere, e fu maestro nella Badia, che divenne scuola di sapienza in tanta miseria di tempi. Crebbe perciò la fama della Scuola Salernitana (sono parole del Giannone) la quale in gran parte deve ai monaci cassinesi, che la promossero per gli studi assidui che facevano sopra la medicina. Sin dai tempi di papa Giovanni VIII questi monaci eransi dati a tali studi e Bassaccio, loro abate, di medicina espertissimo, ne compose anche alcuni libri, in cui dell’utilità e dell’uso di molti medicamenti trattava”.
Tra i discepoli di Costantino va ricordato il monaco Azzo perito di medicina, che tradusse in latino le opere del suo maestro; il monaco Attone, il monaco Giovanni detto il medico, ed altri monaci di Montecassino, i quali, – come dice il Grossi – sovente venivano ancora chiamati a Salerno a spandere in quella scuola i lumi loro.
Nel vedere che nei primi secoli della vita monastica cassinese tanti monaci e due stessi santi Abati, Bertario e Desiderio, diedero tanto impulso agli studi di medicina e d’igiene, chi non vorrà ammettere che la nobile missione di curare gli infermi fosse stata affidata dallo stesso santo Fondatore Benedetto? Sembra anzi che a S. Benedetto stesso non fosse ignota l’arte salutare, a giudicare da quelle parole “tunc Abbas faciat ut sapiens medicus: si exhibuit fomenta, si unguenta … si medica mina … si ad ultimum ustionem…” ecc. e da tante altre espressioni della sua S. Regola, nella quale non fa che raccomandare la cura degli infermi, fino a dire Infirmorum cura ante omnia, et super omnia adhibenda est. Che se nel secolo seguente due Concili, quello Romano del 1139 e quello di Tours del 1163, proibirono ai monaci l’insegnamento e il pubblico esercizio della medicina, figli obbedienti della Chiesa, videro essi in quell’ordine supremo il segno che la loro missione nel campo di quella scienza, ormai diffusa in Italia, era cessata, e vediamo infatti che nel secolo XII, e in seguito, non si parla più di monaci che insegnano o esercitano medicina. Ma non ristettero, perché non era loro vietato, dal giovare, specialmente ai poveri, coi medicinali che preparavano nelle loro rinomate farmacie.
Non cessarono però a Montecassino nel secolo XII gli studi di matematica, di astronomia, di storia naturale e di altre scienze fisiche, nelle quali si distinse il famoso cronista Pietro Diacono, che viene lodato come dotto in phisica, mathematicis, astronomia et musica.
È notevole, tra l’altro, il codice 167-435, dove al foglio 124 con scrittura della prima metà del secolo XII l’autore tratta di anatomia e fisiologia.
Non si può peraltro asserire che in questo e nei due o tre secoli seguenti uscissero molti uomini illustri tra i Cassinesi e di ciò ne va data la colpa ai tristi tempi che correvano per l’Italia e per la Chiesa, cioè alle guerre e agli scismi, e alle ripercussioni che questi tristi fatti ebbero anche sui monaci, la cui tranquillità fu molto turbata, e gli studi, insieme alla monastica vita, non poco ostacolati.
Ciò non dice però che, tra il rumore delle armi e delle discordie, le scuole di Montecassino non fossero pure allora molto apprezzate.
Basta ricordare che nel 1240 Landolfo Conte di Aquino affidò ai monaci cassinesi l’educazione del suo figlio Tommaso, il quale, se dopo appena sette anni fu scacciato insieme alla maggior parte dei monaci da Montecassino, di cui l’iniquo Federico II volle fare una fortezza, seguì ben presto a Napoli il dotto monaco Erasmo che era stato chiamato ad insegnare Teologia in quella Università.
Ciò che però non cessò a Montecassino fu la cura degli infermi, memori sempre i monaci del precetto della S. Regola: Infirmorum cura ante omnia, et super omnia adhibenda est, e il secolo XIII può dirsi il secolo delle farmacie cassinesi, in cui con le applicazioni delle scienze naturali si preparavano i rimedi, molti dei quali erano più efficaci di tanti specifici odierni.
Basta aprire il codice cassinese 247-563 del secolo XIII e vedere nei fogli 62 e 63 le molte ricette, tutte a base di erbe delle quali sono spiegate le varie virtù; e così nel codice 581-55-192, pure del secolo XIII, e in non pochi altri codici e scritture dei secoli XIV, XV e XVI.
Dai vari codici cassinesi si rileva pure che i monaci avevano fatto sorgere non solo a Montecassino, ma anche nei paesi della Diocesi parecchi ospedali per poveri infermi, sia a spese proprie, sia con la carità dei loro benefattori.
Vediamo infatti che, fin dal 1220, Federico II, al ritorno da Roma, dove era stato incoronato, accordò all’Abate Stefano I, che lo accolse a S. Germano, un diploma con il quale confermò i beni dell’ospedale cassinese, che era proprio a Montecassino; a Montecassino, che Federico II nel diploma chiama unico sollievo dei poverelli e porto ai pellegrini e ai bisognosi.
Nel 1235 Tommaso da Piscina cassinese era infirmarius dell’ospedale di S. Michele del Monte presso Cervaro, del quale ospedale nel 1271 troviamo infirmarius Fra Giacomo da Atina.
Di questo ospedale si parla pure nel Regesto di Bernardo Abate, il quale resse la Badia dal 1263 al 1282.
Nel 1273 il detto abate incominciò a fabbricare in S. Germano, presso la porta S. Egidio, un ospedale, che nel Regesto è detto un edificio sontuoso, dotandolo di molti beni, al mantenimento del quale dovevano concorrere anche i monasteri di S. Maria dell’Albaneta, di S. Nicola della Cicogna, di S. Matteo, ed altri.
Nel 1360 l’Abate Angelo II permette e favorisce la fondazione di un ospedale a S. Elia, ad hospitalitatem faccenda in ea de pauperibus Jesu Christi, come si legge nel Regesto comune di Montecassino (p. 388); nel quale si legge pure (p. 51) che l’ospedale di S. Vittore dipendeva direttamente da Montecassino: nobis et dicto nostro monasterio immediate subiecto. Circa il 1400 l’abate Enrico Tomacelli affidò questo ospedale ad un certo Antonio da Napoli. Pochi anni dopo l’abate Pirro Tomacelli prendevasi cura perché fossero bene amministrati i beni degli ospedali di Castelnuovo Parano e di altri paesi.
Nei giornali dei salariati in Montecassino vi sono notate le spese fatte nella farmacia della Badia dal 1500 al 1854; può dirsi dunque che l’attuale farmacia di Montecassino, dove ancor tanti poveri hanno un rimedio nelle loro infermità e un balsamo nei loro dolori, ha circa quattro secoli e mezzo di vita. Notevoli di questa farmacia sono i molti vasi del secolo XVIII, tuttora in uso, ed un gran vaso di marmo, alto un metro e della circonferenza di circa tre metri, che ora si ammira nella Pinacoteca di Montecassino e che il Gattola (pars I, pag. VIII) dice di essere stato a suo tempo nella farmacia, sopra una base di porfido rosso, alta pure un metro e della circonferenza di circa tre metri, la quale oggi si vede nel chiostro presso l’ingresso del monastero.
Ma torniamo alle altre scienze che abbiamo lasciate al XIII secolo; secolo, come ho accennato, di guerre e di discordie, nelle quali spesso erano trascinati, con violenze morali, gli stessi monasteri.
Nei trentadue anni in cui i monaci di Montecassino dovettero fremere sotto l’abito grigio (1262-1294), finché chi lo aveva loro imposto non fece il gran rifiuto; nei quarantacinque anni (1321-1366) in cui rimasero senza il loro Abba pater, ma affidati a vescovi estranei e nuovi delle discipline monastiche; dopo il terremoto che il 9 settembre 1349 fece di Montecassino un mucchio di rovine, senza che un sol muro della maestosa Badia rimanesse in piedi; con i codici salvati forse in qualche sotterraneo, dove con farisaico scandalo l’allegro scrittore del Decamerone li avrà trovati ancora impolverati di calcinacci; come potevano i desolati monaci occuparsi di lettere e di scienze?
Ma fu ricostruito Montecassino nel 1366 dal gran figlio di S. Benedetto Urbano V, e che non tardarono a rifiorire anche gli studi scientifici, ne son prova le molte pregiate opere che scrisse verso la fine del secolo XIV il monaco cassinese Basilio Valentino, che fu riputato come uno degli uomini più dotti del suo tempo. Molto versato nelle scienze naturali, si segnalò specialmente nella chimica, tanto che lo Ziegelbauer lo chiamò filosofo molto insigne e principe dei chimici.
Il Grossi riporta di lui sette opere, tra le quali: – De Microcosmo, deque magno mundi mysterio et medicina hominis, liber genuinus. – Apocalypsis chymica. – Tractatus chimico-philosophicus de rebus supernaturalibus, et naturali bus metallorum.
Nel secolo XV sebbene nuove sciagure fecero piangere i figli di S. Benedetto, il cui monastero divenne una commenda concessa per favore di principi ed ambiziosi estranei, che ne godevano il censo lontani dalla Badia, e ciò per 50 anni (1454-1504), pure non mancarono monaci che trovarono la pace nel trascrivere opere di vario genere, tra le quali due trattati di medicina del medico Giovanni Damasceno.
Per ironia della sorte il primo abate commendatario, Ludovico Scarampo, che i monaci dovettero accettare sotto la minaccia giurata di Alfonso d’Aragona, re di Napoli, di cacciarli tutti da Montecassino e di fare della Badia un ricettacolo di fiere, era stato medico pontificio di Eugenio IV.
Non starò qui a ridire lo stato miserando in cui, in quel mezzo secolo, si vide ridotta più volte la gloriosa Badia di Montecassino.
Dirò solo che forse in qualche momento i monaci ebbero a pentirsi di non aver ceduto il posto alle fiere, quando cioè, pochi anni dopo, priore e monaci, per ordine di re Alfonso, venivano banditi da Montecassino, nei cui severi chiostri rigurgitavano soldati, le celle divenute luoghi di gozzoviglie e depositi di armi, e un Carafa nominato … vicerè della Badia!
Era stabilito dalla Provvidenza che l’ultimo abate commendatario di Montecassino, Giovanni de’ Medici, diventasse Leone X.
Se il secolo di questo papa poté ben dirsi il secolo d’oro per l’Italia, con più ragione può dirsi il secolo d’oro per Montecassino, mercé l’unione di tutti i monasteri benedettini d’Italia in una sola grande famiglia, che da Montecassino fu poi chiamata Congregazione Cassinese.
Ho detto sopra che negli stessi monasteri l’amore per gli studi fu sempre tanto maggiore quanto maggiore fu la monastica disciplina, ed ecco che ritornati i monaci a salmeggiare, sotto la guida dei loro abati cassinesi, Montecassino divenne nuovamente non solo scuola di santità, dove veniva ad ispirarsi Ignazio di Loyola; ma anche scuola di lettere, i cui maestri furono amici del Tasso; scuola di arte, dove venivano ad immortalarsi, con la costruzione del gran chiostro, i discepoli del Bramante; scuola di scienze, nelle quali vedremo distinguersi non pochi figli di S. Benedetto. Oh, se l’Alighieri avesse conosciuto Montecassino in questi tempi e nei tempi posteriori, non avrebbe scritto: Le mura che soleano essere badia / Fatte sono spelonche, come scrisse quando si erano già scatenate in parte su Montecassino le tempeste che abbiamo visto, ma avrebbe fatto ripetere a S. Benedetto: Qui son li frati miei che dentro a’ chiostri / Fermar li piedi e tennero il cuor caldo.
I principali benedettini cassinesi che nel secolo XIV diedero il loro contributo alle scienze fisiche, matematiche, astronomiche e naturali sono: Angelo Pietra, o Pria, che, sebbene professo di Genova, fece i suoi studi a Montecassino, e a Montecassino morì nel luglio 1590. Riuscì valentissimo nelle matematiche e nelle altre scienze sublimi, per le quali fu chiamato alle volte anche da principi, come si legge a p. 204 di un nostro Regesto.
Teofilo Marzio monaco di Montecassino sotto l’abate Sangrino, divenne sì celebre, per i suoi studi matematici e astronomici, che Gregorio XIII volle prendesse parte, con altri uomini dottissimi, alla Riforma del Calendario, e prese tanto a cuore l’incarico avuto, che si deve in gran parte a lui la Riforma Gregoriana, come dice l’Armellini, perché fu il più grande sostenitore dei calcoli di Luigi Giglio, e dimostrò tutti gli inconvenienti che col tempo sarebbero nati dalle riforme proposte da altri. Morì nel 1586 a Montecassino, dove si conserva il ms. del suo Tractatus de nova reformatione Kalendarii.
Scrisse pure: Consultationes super eadem reformatione, il cui ms. si conserva nella Biblioteca Vaticana. Nella biblioteca Ambrosiana poi si conserva un opuscolo dal titolo: Theophili Monachi Casinensis de Controversiis super Kalendario narratio.
Un altro benedettino cassinese, molto dotto in astronomia, che si occupò del Calendario Gregoriano, fu Adriano Amaltea di Napoli, che fu abate di parecchi monasteri. Scrisse: Rotam, sive Calculum Astronomicum perpetuum juxta Gregorianam correctionem, stampato a Brescia nel 1593, un anno dopo la sua morte.
Egidio Sarnicola, che fu abate di Montecassino e Presidente della Congregazione Cassinese nel 1587, fu tanto versato nelle matematiche che Pietro Ricordato scrive di lui: Vir illustris, et Mathematicarum disciplinarum peritissimus, adeo ut, vel nullum vel paucos intra Italiam in ea facultate superiores habuerit.
L’Armellini parla anche di altri due o tre benedettini cassinesi del secolo XVI molto dotti in matematica e in altre scienze, ma non dice cosa fecero o scrissero.
Il più celebre scienziato cassinese di questo secolo fu certamente Girolamo Ruscelli (Brugia), che dal 1590 al 1595 fu abate di Montecassino. Si deve a lui la fondazione del Seminario per la formazione del clero secolare della diocesi cassinese.
Egli fu uno di quegli uomini universali che raramente la natura produce. Profondo teologo, filosofo e giurista; musicista ed inventore e costruttore di un cembalo speciale; amatissimo della pittura, fece dipingere dai fratelli Bassano il quadro del refettorio; ma soprattutto versatissimo in matematica, algebra, astronomia, cosmografia, e fu anche medico.
Inventò vari strumenti matematici e li ridusse a perfezione. Fece sfere, astrolabi, trisesti e compassi di nuova invenzione, dei quali sapeva perfettamente avvalersi. Fabbricò molti orologi solari verticali e orizzontali; ideò un sistema per segare i marmi e i legni col solo aiuto della forza idraulica, senza l’aiuto di operai; fu singolare nell’intendersi delle alluvioni e del modo di evitarne i danni; e in tutte queste scienze si formò a Montecassino allievi di valore.
Ed eccoci al secolo XVII, il secolo di Galileo, di Keplero, di Newton, di Torricelli e del nostro Castelli; secolo in cui anche gli abati cassinesi promossero sempre più gli studi in ogni ramo di scienze.
Il primo cultore di astronomia che troviamo è un Anonimo, monaco di Montecassino, chiamato Accademico inquieto. Diede alla luce un libretto dal titolo: Discorso nuovo in materia della grande cometa che si vide nel principio di novembre 1618, colla dichiarazione della grandezza, e sue qualità, e delli suoi prodigi, Venezia 1619.
Valenti matematici furono i monaci cassinesi Silvio Stella e Serafino da Quinziano di Brescia, Fortunato di Parma, Serafino di Firenze, Vittorino di Parma, Ludovico Mayner del monastero Lirinese, Valeriano de’ Franchi di Catania, Paolo Andrea Gualtieri di Catanzaro, Giuseppe Guffanti di Milano, Anselmo Centurioni di Genova, Paolo Racchi di Ravenna, che fu pure astronomo, Ippolito Pugnetti di Piacenza, Anselmo Pajolo di Ferrara, Alderano Desiderio di Andria. Quest’ultimo, per la fama che aveva anche come astronomo, fu chiamato a Roma da Clemente XI – dice l’Armellini – per la correzione del Calendario, ma non potendosi muovere perché aveva più di novant’anni, cercò di contentare il Pontefice scrivendo un libro sui Cicli solari e le Lettere domenicali che fu molto apprezzato sia dai dotti del tempo, sia dallo stesso Clemente XI. Scrisse anche altri opuscoli di astronomia. Ma i due più celebri benedettini cassinesi di questo secolo furono Benedetto Castelli e Benedetto Bacchini.
Come illustrare in poche parole Benedetto Castelli ?
Antonio Favaro, curatore della grande Edizione Nazionale delle Opere di Galileo, dopo aver pubblicate in questa edizione tutta la voluminosa corrispondenza tra Castelli e Galileo, ha scritto sul nostro Benedetto Castelli un libro intero. Lo stesso Antonio Favaro nel 1920, quando seppe che a Montecassino s’iniziava la pubblicazione de La Meteorologia pratica, desiderò che sulla copertina di questa rivista mettessi la figura del Castelli e volle scrivere il primo articolo della nuova Rivista intitolandolo: Benedetto Castelli nella storia della scienza, cui fece seguire sullo stesso primo fascicolo, e sui seguenti, il Carteggio di Benedetto Castelli con Galileo Galilei circa l’invenzione del pluviometro.
Eccola la gloria del Castelli: l’avere inventato il pluviometro, che può dirsi l’apparecchio che fornisce alla meteorologia i dati più importanti e più sicuri. Il Castelli ebbe qualche merito, sia pure indiretto, anche nell’invenzione del barometro, perché l’inventore di questo, il Torricelli, era stato a Roma alunno del Castelli. Questi prese anche parte alle esperienze di Galileo che servirono di base all’invenzione del termometro, e non è quindi esagerazione il dire che il benedettino cassinese Castelli fu il padre della moderna meteorologia; la quale, come asserisce il P. Boffito, in un articolo in cui ha voluto onorare il cinquantenario della fondazione dell’Osservatorio di Montecassino, può quasi dirsi nata tra le mura dei chiostri benedettini.
Furono infatti i Benedettini di Vallombrosa che nel 1654 incominciarono in Italia le prime regolari osservazioni meteorologiche, che il P. Boffito ha trovato in questi giorni a Firenze, ancora inedite.
Dalla scuola del Castelli uscirono pure, insieme al Torricelli, gli altri due sovrani intelletti Cavalieri e Borrelli che divennero anch’essi discepoli del Galileo. Non mi è possibile, ripeto, dire in breve di Castelli in questo affrettato studio che abbraccia ben 14 secoli. Di lui parlerà più degnamente in un articolo il Padre Abate Amelli. Dirò solo, col Favaro, che “a prescindere dai campi della filosofia naturale, nei quali D. Benedetto Castelli lasciò così forte l’impronta del suo genio, dall’ottica al calorico, dall’astronomia alla fisiologia, dal magnetismo alla meccanica, dall’algebra speculativa alla risoluzione dei problemi pratici rispondenti ai bisogni della vita quotidiana, non vi fu argomento sul quale, anche occasionalmente, non sia stata richiamata la sua attenzione, ch’egli non abbia fatto oggetto del suo studio ed al quale non abbia recata una qualche e spesso anche notevole contribuzione”.
E perché qualcuno non creda che Benedetto Castelli non fosse, nello stesso tempo che era un grande scienziato, anche uno zelantissimo monaco, dirò che le sue virtù monastiche, la sua pietà e la sua prudenza furono tali che fu abate di Praglia, di Foligno e di due altri monasteri in Sicilia. La sua grande pietà trasparisce anche dalle sue lettere a Galileo e si deve in gran parte a lui se questi, negli anni delle terribili prove, seppe conservarsi sempre devoto figlio della Chiesa.
L’altro grande benedettino cassinese della fine del secolo XVII fu Benedetto Bacchini, monaco a Parma nel 1668, professore di S. Scrittura all’Università di Bologna nel 1691, maestro di Ludovico Antonio Muratori fondatore e direttore del Giornale dei Letterati, che pubblicò dal 1686 al 1690 a Parma e dal 1692 al 1696 a Modena, dove fu pure istoriografo e bibliotecario di Francesco II; abate nel 1708 prima in Dalmazia, poi a Modena, Reggio Emilia e in altri monasteri; morì a 70 anni, nel 1721, a Bologna, dove era di nuovo professore dell’Università. La sua morte, dice l’Armellini, fu un lutto non solo per l’Italia, ma per tutta l’Europa.
Dotto non solo in Teologia, in S. Scrittura e in filologia, ma anche in fisica, meccanica e in medicina, tradusse alcuni Saggi di anatomia. Ma ciò che dimostra la profonda dottrina del Bacchini in fisica e, diciamolo pure, in meteorologia, è la sua Dissertatio de motionibus mercurii in Barometro, stampata dopo la sua morte a Venezia, nel 1730. In essa D. Benedetto Bacchini spiega fisicamente, dandone le ragioni, l’ascesa e la discesa del mercurio nel tubo del barometro e tratta della pressione dell’aria durante i temporali.
Che le scienze fisiche nel secolo XVIII continuassero ad essere coltivate con amore dai benedettini cassinesi, ne abbiamo una prima prova nella biografia che l’abate Ferrara di Catania scrisse (biografie degli uomini illustri della Sicilia, tomo I) dell’abate cassinese P. Evangelista di Blasi, nella quale dice che questi – chiamato dal Ferrara celebre istoriografo – nato nel 1721 a Palermo, a 16 anni si fece monaco nel monastero cassinese di S. Martino, nel 1741 andò a studiare a Roma, e compiuto il triennio nel Collegio di S. Anselmo, passò a Firenze e si diede a studiare la fisica, il testo di Newton e le matematiche tutte, sotto il celebre Colombo.
Questo celebre Colombo era un altro benedettino cassinese, per 18 anni, dal 1746 al 1764, professore di astronomia e meteorologia all’Università di Padova, ma di lui ha scritto in questa circostanza il prof. Crestani su questa stessa rivista; dove pure ha scritto un mio confratello, il P. Fornari, di quattro benedettini cassinesi che nel 1784 furono tra i precursori dell’aeronautica. Ivi leggerete che il 22 gennaio 1784 dal chiostro di Badia di Firenze tre monaci D. Bernardo De Rossi, D. Luigi De Rossi e D. Agostino da Rabatta, facevano sollevare un pallone di pelle di battiloro, ripieno di idrogeno; pallone che tra la meraviglia di tutti i fiorentini in meno di quattro minuti attraversava i monti e andava a cadere nella provincia dell’Emilia. Dopo qualche anno un altro monaco della stessa Badia, D. Serafino Serrati, ideava un altro pallone, e dentro la sua cella, trasformatala in piccolo laboratorio aeronautico, faceva esperimenti per tentare di risolvere il problema della dirigibilità.
Ho detto sopra che la meteorologia nacque tra le mura dei chiostri benedettini. Altrettanto si può dire della sismologia, perché l’inventore del primo sismografo è un benedettino cassinese; D. Andrea Bina di S. Pietro di Perugia; gloria che ormai nessuno più nega ai Benedettini e che risulta dall’opuscolo pubblicato dallo stesso P. Bina a Perugia nel 1751 dal titolo: Ragionamento sopra la cagione dei terremoti, ed in particolare di quello della terra di Gualdo e Nocera nell’Umbria seguito l’anno 1751. Non era certo un sismografo perfetto quello di D. Andrea Bina, come non era una pila perfetta quella inventata da A. Volta, come non era un radiotelegrafo perfetto quello che, or sono appena trent’anni, era inventato da Guglielmo Marconi; ma fin d’allora il Bina faceva registrare dal suo sismografo, sebbene in modo rudimentale, non solo la direzione e l’ampiezza di un terremoto, ma anche se questo era stato ondulatorio o sussultorio, e ciò mediante un ago che all’estremità di un pendolo di piombo, di notevole peso, lasciava i segni su finissima avena, invece che sulla carta affumicata che si usa oggi. Né si limitò il nostro Bina a costruire il sismografo e ad impiantarlo in una stanza adatta, che può ben dirsi il primo Osservatorio sismico che sia esistito, ma si diede con impegno allo studio della sismologia, e dopo aver passato in rassegna le varie opinioni degli antichi sulla natura dei terremoti, e dopo aver condito con storica e classica erudizione quel suo ragionamento, attribuì all’elettricità la cagione dei terremoti; sicché egli può considerarsi quale precursore dei due caposcuola il Beccaria e lo Stakeli, i quali affermarono essere il terremoto dovuto all’elettricità.
La sismologia moderna ha escogitato altre ipotesi più scientifiche, ma disgraziatamente nessuno sa ancora di certo quale sia la vera causa dei terremoti, e nessuno ha saputo ancora rispondere alla domanda che nel febbraio 1703, in occasione del terremoto che distrusse completamente Norcia, Clemente XI rivolgeva ai più dotti del suo tempo, come cioè si potrebbe giungere alla previsione dei terremoti.
Siamo all’ultimo secolo della nostra cronistoria scientifica cassinese.
Accennerò solo, per brevità, a D. Gregorio Barnaba La Via, priore cassinese, che nel 1839 era Segretario Generale dell’Accademia Gioenia di Catania e membro di 10/12 società scientifiche, del quale abbiamo varie pubblicazioni riguardanti l’agricoltura; a D. Giovanni Cafici, pure di Catania, che verso il 1854 ci lasciò varie monografie agrarie; a D. Francesco Tornabene, per tanti anni professore di botanica e materia medica nella R. Università di Catania, fondatore e primo direttore del R. Orto Botanico della stessa città, autore di innumerevoli pubblicazioni scientifiche e specialmente della Flora Etnea in quattro grandi volumi scritti tutti in latino e finiti di pubblicare dall’autore stesso nel 1892; ma di quest’ultima gloria cassinese ne ha scritto su questa Rivista il chiarissimo prof. Eredia, che tanto ha preso a cuore la nostra festa.
Accennerò finalmente a D. Costantino Postiglione che da professore di chirurgia della R. Università di Napoli venne, nel 1892, a farsi monaco a Montecassino, dove se poté nascondersi al mondo, non poté nascondersi agli infermi, che, data la sua celebrità e il suo disinteresse, numerosi accorrevano a lui, anche da lontani paesi, e tutti li guariva, per tutti aveva una santa parola, che guariva pure molte anime. Dopo otto secoli era ancora a Montecassino un monaco degno di Costantino l’Africano.
Ma facciamo un breve passo indietro.
Apro un volume dei giornali manoscritti del nostro Archivio e trovo dall’1 al 30 settembre 1800 annotati dal cronista anonimo giorno per giorno, senza una sola lacuna, tutti i principali fenomeni meteorologici e sismici: come fu la temperatura durante la giornata, come il vento, se vi fu nebbia, umidità, caligine, temporali con lampi frequenti e tuoni, pioggia, caduta di neve sui monti, dodici scosse di terremoto in tutto il mese, con l’ora e l’intensità di ciascuna, ecc. Chi non direbbe che a Montecassino nel 1800 vi era già un Osservatorio?
Né è solo quello il giornale che contiene tali notizie. Sono decine di grandi volumi manoscritti, nei quali sono minutamente descritti i grandi uragani che nei secoli passati, forse più che ai nostri giorni, imperversarono su Montecassino; i lunghi periodi di piogge, le prolungate siccità, le ubertose e le scarse raccolte, le malattie predominanti e le pestilenze, l’andamento della temperatura, le descrizioni particolareggiate dei fulmini, che tanti danni arrecarono alla Badia prima che essa fosse munita di parafulmini.
E questa dei parafulmini è un’altra bella pagina che Montecassino aggiunge al progresso della scienza italiana, perché l’impianto dei parafulmini fatto a Montecassino nel 1829 se non il primo d’Italia, fu certamente il più grandioso e il migliore impianto fatto nella prima metà del secolo XIX, tanto che Filippo Pagano per ordine del Governo pubblicava a Napoli nel 1842 un opuscolo illustrativo sull’impianto fatto a Montecassino, perché fosse nota – come scrive Pagano – una delle più estese e felici applicazioni della teoria dei parafulmini effettuata nel Regno, quale fu appunto quello di Montecassino.
Non meno importante è il contributo che l’Archivio di Montecassino può dare alla sismologia, per le innumerevoli notizie di terremoti conservate nei codici e nei giornali suddetti. Credo che se ne potrebbe ricavare la più completa cronistoria sismica locale; anzi son lieto di poter dire che questa Cronistoria sismica cassinese l’ho già ricavata, e l’ho già pubblicata dal secolo IX a tutto il secolo XVII. Mi restano da pubblicare le notizie dei secoli XVIII e XIX, che sono immensamente più copiose, perché è col 1702 che incomincia la serie dei veri e voluminosi Giornali Cassinesi.
Basti dire che il Gattola, dal quale furono scritti i primi giornali, dei primi 30 anni del secolo XVIII, cioè dal 1702 al 1734, anno della sua morte, ci ha lasciato interessanti notizie di circa 150 terremoti cassinesi. Si aggiunga questo merito a quello di avere un benedettino cassinese inventato il sismografo; al merito di avere un altro benedettino cassinese inventato il pluviometro, si aggiunga il merito della pubblicazione della pioggia di 50 anni continui, che oggi offro alla meteorologia italiana insieme a quella della temperatura degli stessi 50 anni, e si giudichi se vi furono mai altre congregazioni religiose, o altri enti più benemeriti della meteorologia e della sismologia dei Benedettini Cassinesi.
Disgraziatamente qualcuno dei detti Giornali non è completo, perché fu lacerato e bruciato nel 1799 dai francesi, i quali, come una volta i Longobardi e i Saraceni, fecero scempio di quanto i monaci avevano più a cuore, e giù in Archivio “infuriarono spietatamente in quel santuario di antica sapienza (sono parole del Tosti), rimescolarono tutte le scritture, le gittarono al suolo, le dispersero fino negli orti, le adoperarono ad involgere cibi; strapparono ed infransero i suggelli dei diplomi, lacerando molti codici; e poi nel bel mezzo dell’Archivio abbruciarono molte scritture”. Un giovane monaco, Enrico Gattola, fu ferito da un colpo di scimitarra mentre cercava di salvare quelle carte, e si deve al suo eroismo se l’Archivio di Montecassino non fu incendiato.
Ma il Tosti termina il IV volume della Storia di Montecassino con due parole: Succisa virescit!
Il 20 Marzo 1864 un ex ufficiale di Francesco II, veniva a bussare alla porta di Montecassino, e chiedeva di essere cinto delle fortissime e preclare armi dell’obbedienza: il 26 dicembre 1865 si consacrava alla nuova milizia, che doveva condurlo non più alle guerre, ma alla pace, e veniva chiamato, come quando era tra i cannoni di Gaeta, Giuseppe Quandel.
A lui si deve, può dirsi, la fondazione del Collegio di Montecassino, di cui gli fu affidata la direzione e l’insegnamento della matematica, essendo egli in questo laureato; a lui l’erezione del Seminario di S. Giuseppe, del quale diresse con molta perizia le opere di costruzione; a lui la fondazione dell’Osservatorio, di cui pure fu l’architetto e che diresse fino alla sua morte, avvenuta il 27 febbraio 1897, dopo soli sette mesi dacché, per i suoi meriti, era stato eletto abate di Montecassino.
Il 4 luglio 1875 il Ministro Gaspare Finali scriveva in questi termini all’abate di Montecassino D. Nicola d’Orgemont: “Aderendo alla proposta fatta dall’Onorevole Quintino Sella con lettera del 24 or decorso giugno, per l’impianto di una stazione meteorologica in codesta Abbazia, mi affretto di annunziare alla S. V. che manderò quanto prima gli strumenti necessari, ed una somma di L. 2000 per spese di adattamento dei locali e degli istrumenti alle osservazioni meteoriche.
Sono lieto di poter concorrere nella misura consentita dalle strettezze finanziarie del pubblico erario allo impianto di una stazione meteorologica in una località, per condizioni geografiche ed atmosferiche, così importante, nella quale è stabilita la più celebre sede di un Ordine che fin dalla sua istituzione associò la religione al lavoro; in quella sede che ha una tradizione non interrotta di nobili studi, e possiede un tesoro di documenti e tradizioni.
Dell’utilità dell’impianto della stazione non posso dubitare, anche per le assicurazioni datemi dallo stesso Onorevole Sella sulla attitudine di alcune fra le persone addette alla Abbazia, alle osservazioni meteoriche, e sul vivo desiderio che le anima di cooperare al progresso di questo ramo delle scienze fisiche”.
Queste ultime parole alludevano certamente a D. Giuseppe Quandel, il quale essendosi dedicato, nell’archivio, allo studio della storia della Badia, sarà certamente rimasto impressionato nel vedere quale grande contributo avevano dato alle varie scienze i benedettini cassinesi in tutti i secoli, ed avrà compreso che non doveva assolutamente interrompersi quella nobile e millenaria tradizione. Ecco perché ho detto in principio che non bastava rifare la sola storia dei cinquant’anni di vita del nostro Osservatorio per comprendere il perché della festa di oggi, ma bisognava risalire tutti i 14 secoli della tradizione cassinese.
L’Osservatorio di Montecassino incominciò a funzionare nel luglio 1876 e le osservazioni non sono state mai interrotte, neanche per un sol giorno, in questo mezzo secolo, in cui si è scritta una delle più belle pagine dell’attività scientifica, di Montecassino.
Riassumendo, il paganesimo e le guerre stanno per seppellire le scienze, e S. Benedetto le nasconde sotto le ali della pace monastica. Le ubertose terre della Campania felix sono deserte ed incolte, e i figli di S. Benedetto riconducono con la parola e con l’esempio gli sbandati coloni all’aratro, facendo stringere dalle loro mani le due grandi armi della civiltà, la preghiera e il lavoro: Ora, Labora, come inculca loro lo stesso Santo Legislatore nel cap. 50° della regola, là dove dice: fratres qui omnino longe sunt in labore … agant ibidem Opus Dei, ubi operantur. Tornano a fiorire in Italia le scienze, e vediamo un figlio di S. Benedetto sostenitore e consolatore di Galileo, cui presta grande aiuto nelle sue scoperte e nelle sue invenzioni. Iddio ispira la scienza delle leggi che regolano le piogge, il freddo, i venti, le folgori, e questa scienza nasce tra le mura dei chiostri benedettini. Ispira la scienza che dovrà dire all’uomo perché e quando la terra tremerà, e la fa pure nascere in un altro chiostro cassinese. Ispira all’uomo le vie aeree per le quali Umberto Nobile giungerà al Polo, e quattro monaci cassinesi un secolo e mezzo prima fanno sollevare un pallone ripieno d’idrogeno. I religiosi dei vari Ordini fanno a gara nel far sorgere Osservatori, e Montecassino, Montevergine e Subiaco sono tra i primi. Ai nostri tempi la meteorologia non è paga di studiare la bassa atmosfera, convinta che le prime leggi vanno ricercate in quella più alta, ed una delle prime tre Stazioni Aerologiche d’Italia sorge a Montecassino, da dove migliaia di palloni sono ascesi per dodici anni a sondare l’atmosfera, andando a cadere due volte nella lontana Serbia. La meteorologia è mobilitata durante la guerra, ed un monaco tutto il giorno, e spesso anche la notte fino all’ora del Mattutino, sia insieme a due soldati, tra le sue armi scientifiche, e nessuna Stazione Aerologica durante la lunga guerra lavora con più scrupolosa esattezza di quella di Montecassino. Marconi inventa la radiotelegrafia, e la prima stazione radiotelegrafica privata d’Italia, approvata dal Governo, è quella dell’Osservatorio di Montecassino. Si vuole che la meteorologia sia utile all’agricoltura, e l’Osservatorio di Montecassino fonda il Servizio Meteorico Agrario di Terra di Lavoro, che ha già dodici anni di vita e del quale si apprezzerà meglio l’importanza quando le notizie raccolte saranno messe in rapporto coi dati della pioggia e della temperatura ora pubblicati. La meteorologia dopo la guerra aveva pochi cultori, per varie cause dipendenti dalla guerra stessa, e l’Osservatorio di Montecassino fonda una Rivista di meteorologia, fa appello a tutti coloro che ancora amano questa scienza, a torto negletta, e come nel secolo passato Gioberti, Balbo, Troya, Galluppi, Rosmini, Pellico, Mamiani ed altri illustri letterati rispondevano all’appello del P. Tosti che li chiamava a compilare a Montecassino la grande rivista che doveva chiamarsi L’Ateneo Italiano (questa rivista non poté andare avanti per gli avvenimenti politici del 1848 nda), così i più illustri geofisici, agrari, igienisti, e sismologi, tra cui professori e Rettori di Università, rispondono all’appello del nostro Osservatorio, e Montecassino diventa un centro di studi scientifici che non si limitano alla sola meteorologia. La radiotelegrafia chiede aiuto alla meteorologia per lo studio degli atmosferici e l’Osservatorio di Montecassino, che fu forse il primo osservatorio del mondo nell’iniziare questo studio, cioè fin dal 1913, è incaricato ora espressamente di tale studio dall’Unione Radiotelegrafica Scientifica Internazionale, dal Comitato Italiano di R. T. Scientifica e dal Ministero della Guerra, che gli ha accordato anche un soldato per aiuto e che gli fornisce quanti apparecchi e materiale r. t. desidera per i suoi studi. Lo stesso Sommo Pontefice volle arricchirlo di un apparecchio degno dell’Augusto Donatore, il quale pochi mesi prima che diventasse Pio XI, aveva ascoltato dall’Osservatorio di Montecassino, come altri eminenti Cardinali, come S. A. R. il Duca d’Aosta, con un minuscolo apparecchio i primi vagiti della radiotelefonia. Oggi quel minuscolo apparecchio, che fu per tanti anni nell’augusto pianerottolo di una scala, è diventato, in vasti locali, una grande Stazione R. T. Sperimentale, cui ogni mese inviano le loro osservazioni i corrispondenti del Servizio di R. T. Scientifica organizzato in Italia dall’Osservatorio di Montecassino.
Uno dei principali scopi per cui fu fondata la Rivista La Meteorologia Pratica fu quello di far comprendere la necessità di rendere pratici gli studi meteorologici specialmente a vantaggio dell’igiene e per gettare luce sulla genesi e sullo sviluppo delle malattie infettive, le quali anche oggi tanto ci preoccupano, e una proposta in proposito partita dall’Osservatorio di Montecassino, è stata presentata dal dott. Rasetti, antico alunno di Montecassino, alla Società delle Nazioni, e da questa seriamente discussa. Compiono finalmente cinquant’anni dalla fondazione di questo Osservatorio, di cui, bisogna pur ricordarlo, per dieci anni fu direttore l’attuale Rev.mo P. Abate D. Gregorio Diamare, il quale ha voluto che si commemorasse degnamente questo cinquantenario, ed ecco che, a rendere più bella e più memorabile questa festa, si riuniscono a convegno a Montecassino i più illustri geofisici italiani.
Dopo aver passato a rassegna tante benemerenze dei benedettini cassinesi per le scienze fisiche, astronomiche e naturali e ricordando che tanti altri Ordini religiosi, Gesuiti, Barnabiti, Scolopi, ecc. come pure tanti Sacerdoti del clero secolare, e perfino i Missionari della Cina e della Siria si sono resi spesso non meno benemeriti delle stesse scienze, come Secchi, Denza, Serpieri, Cavalleri, Bertelli, Cecchi, Galli del secolo scorso, e tra i viventi Gianfranceschi, Hagen, Alfani, Boccardi, Melzi, Boffito, Giovannozzi, Zanon, Alfano, Proviero, e tanti altri che mi sfuggono, ma soprattutto l’em.mo Card. Maffi, che per tanti anni diresse l’Osservatorio del Seminario di Pavia e una Rivista di fisica, matematica e scienze naturali, della quale erano collaboratori anche un Addeo e un Rodolfi oggi Vescovi, nasce spontanea e necessaria questa conclusione: Quando vediamo uomini apostoli della fede, dare sé stessi alla scienza, progredire con gli altri, e non di rado eccellere, si può più dubitare dell’armonia tra la scienza e la fede? No, e non solo vi è armonia di fatto, ma è impossibile il contrasto, essendo unica la origine fontale della scienza e della fede, come unica è la fonte luminosa del raggio diretto e del raggio riflesso. La fede invero è un assenso alle verità, rivelateci direttamente da Dio, che, per essenza, è sapienza e verità, mentre la scienza sta nello scoprire le cause dei fenomeni naturali e le leggi che regolano l’universo creato; cause e leggi stabilite da Colui che tutto muove.
Il Card. Maffi, in un discorso su “Dio nella scienza” tenuto a Roma anni or sono, diceva: “La scienza atea con le sue proposte non ha fatto che scrivere dei punti di interrogazione, ai quali solo la fede ha risposto. Che cosa gli increduli hanno spiegato senza Dio? E che cosa invece non si spiega con Dio? Se lo possono, ce la indichino una verità (ma si noti, una verità di scienza non un sogno di scienziato) a cui i nostri dogmi non ci permettano di sottoscrivere; e vedendo allora noi così sicuri nella scienza, così liberi nelle indagini, così eccitati allo studio della natura dalla fede stessa, riconoscano che questa fede, che i dogmi nostri, nonché ceppi, sono stati invece per noi luce, verità e vita”. E incominciano a riconoscerlo.
Nel mese scorso il grande scienziato Edison, che per tutta la vita aveva dichiarato di non credere all’immortalità dell’anima, perché nessuna prova di essa poteva essere data dalle scienze naturali, ha fatto la più grande delle sue scoperte, quella cioè che l’evidenza dei fatti, rigorosamente accertati dal metodo sperimentale, lo spinge a credere all’immortalità dell’anima.
Ieri il nostro grande Guglielmo Marconi, nel far nota al mondo l’ultima sua prodigiosa scoperta, dall’Augusteo di Roma proclamava pure a voce alta che la radiotelefonia fece udire a tutta l’Europa, che nelle indagini delle misteriose forze della natura si sente l’assistenza della Divina Provvidenza; e la sera stessa il grande inventore sentiva il bisogno di andarsi a prostrare ai piedi del Papa.
Bella Immortal! Benefica Fede ai trionfi avvezza! / Scrivi ancor questo.
E scrivi, anzi scolpisci con stilo ferreo sulla pietra più bella e più dura, le sapienti parole che il Duce dell’Italia pronunziò a Bologna nell’inaugurare il recente Congresso delle scienze: “Dove può arrivare la scienza? … Non c’è dubbio che la scienza tende al massimo fine; non c’è dubbio che la scienza dopo aver studiato i fenomeni, cerca affannosamente di spiegarne il perché. Non ritengo che la scienza possa arrivare a spiegare il perché dei fenomeni, e quindi rimarrà sempre una zona di mistero, una parete chiusa. Lo spirito umano deve scrivere su questa parete una sola parola: Dio. Quindi non può esistere un conflitto fra Scienza e Fede”.
Luglio 1926 F.to D. Bernardo M. Paoloni B. C.
Con questo stupendo escursus attraverso i secoli della cronistoria scientifica cassinese magistralmente presentata dal Paoloni, viene aperto ufficialmente il Convegno per la festa del cinquantenario dell’Osservatorio di Montecassino a cui parteciparono i più illustri geofisici italiani e stranieri oltre alle massime autorità di governo.
Di lì a qualche anno, nel giugno del 1931, Bernardo Paoloni si trasferì dal Monastero di Montecassino al Monastero di S. Pietro a Perugia, nella natia terra umbra; qui trasferì la Direzione delle sue ricerche e l’impegno a far sorgere un osservatorio sismico-meteorologico nel luogo dove, nell’anno 1751, P. Andrea Bina anch’egli monaco cassinese, inventò il primo sismografo a pendolo. Diresse, presso la Facoltà di agraria dell’Università di Perugia, la stazione sperimentale radiotelegrafica e, sempre nella stessa facoltà, l’Osservatorio sismologico «Andrea Bina».
Le attività scientifiche a Montecassino, a seguito del trasferimento del Paoloni e di molte delle attrezzature scientifiche, continuarono, con il solo osservatorio meteorologico, fino allo scoppio del conflitto della seconda guerra mondiale.

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