Studi Cassinati, anno 2014, n. 1
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Il ricordo di d. Girolamo Panaccione offre l’opportunità per ripubblicare della documentazione poco nota a causa della loro scarsa diffusione. Si tratta di una serie di articoli apparsi nei giorni immediatamente successivi alla distruzione sul quotidiano «Il Messaggero» e di altri due (quello del giornalista inglese Leonard Gander e del periodico italo-americano «Il Crociato-The Crusader») inseriti nel volume curato da d. Girolamo. Naturalmente va tenuto in considerazione che il quotidiano romano stampava nella capitale italiana controllata dai nazisti; che il corrispondente di guerra britannico ancora sei anni dopo il bombardamento di Montecassino indagava sulla presenza o meno di tedeschi nel monastero prima della sua distruzione ma, al tempo stesso, offre un pregevole resoconto dell’intenso lavorio di ricostruzione e delle risorse economiche locali («le schegge»); infine, che il periodico cattolico italo-americano, alla ricerca della responsabilità in merito alla decisione alleata di distruggere l’Abbazia, ne attribuisce la «job» ai comandi militari e alle autorità politiche della Gran Bretagna.
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I gangster su Montecassino*
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30 bombardieri “alleati” si accaniscono sul più antico monastero d’Europa!
L’Abbazia brucia!
Frati, donne bambini sotto le rovine.
Un solo gendarme germanico si trovava nella zona
Il tradizionale cinismo del nemico
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Ieri mattina alle 9 e mezza, 30 apparecchi nord-americani hanno sganciato numerose bombe, con studiata precisione, sulla Abbazia di Montecassino, producendo gravissimi danni e distruggendo parte essenziali dell’insigne monumento della civiltà cristiana.
Nella Abbazia e nelle immediate vicinanze non esiste alcun apprestamento bellico tedesco, né alcun soldato. Nell’interno della Abbazia erano soltanto qualche religioso e numerosi rifugiati della popolazione di Cassino. I tedeschi rifuggono, per sistema, dal nascondere la loro azione bellica od appoggiarla dove esistono luoghi sacri. E la fama di Montecassino e delle sue glorie storiche è ben nota in Germania.
Poi, l’epica battaglia per la difesa di Roma e d’Italia, nella quale i soldati tedeschi si battono leoninamente, si svolge in una parte della città di Cassino, ed in una zona di adiacenza, situata a parecchia distanza dalle alture dell’Abbazia, tale cioè da escludere la possibilità di errore da parte degli aviatori nordamericani. Ed i nemici sanno benissimo che per postazioni di armi, per accantonamenti di truppe e per osservazioni, i germanici dispongono di altre posizioni.
Del resto, già ieri l’altro, i nemici effettuarono dannosi tiri di artiglieria sull’Abbazia.
E la loro propaganda, già da alcuni giorni, lanciava notizie false riguardanti la sorte del sacro storico luogo che facevano prevedere il proposito di creare l’alibi per una azione distruttiva.
Altrettanto si può dire di Castel Gandolfo, dove non esisteva un bersaglio che potesse dare pretesto per una fosse pur minima operazione di guerra come sanno quanti conoscono la località e dove, tuttavia, le bombe hanno centrato senza errore possedimenti pontifici e rifugi di sfollati. – (Stefani).
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* L’articolo e il successivo (La guerra che preferiscono) sono stati pubblicati da «Il Messaggero», a. 66, n. 40, mercoledì 16 febbraio 1944-XXII, corredati da due foto d’archivio del monastero con le rispettive didascalie: «L’Abbazia fondata nel 529 (una visione dello storico monumento)» e «Il cortile centrale» (Archivio Privato Giandomenico Fargnoli).
La guerra che preferiscono
I criminali di guerra possono segnalare al loro attivo la più grossa impresa finora compiuta in Italia. Dopo di avere ripetutamente bombardato da Villa pontificia di Castelgandolfo e l’annessa sede, anche pontificia, del grande collegio di «Propaganda Fide», sono passati a Montecassino.
Per Castelgandolfo non v’era alcun attenuante. Obiettivo visibilissimo, individuazione precisa dei centri attaccati, la conoscenza della loro extraterritorialità e soprattutto la circostanza ben nota della presenza di diciottomila rifugiati tra bambini, vecchi e donne, accolti dalla paterna carità del Pontefice, presenza riconfermata ieri sera da una trasmissione ufficiale in inglese della Radio Vaticana: sono tutti questi motivi che già hanno fatto definire l’impresa di Castelgandolfo come il più vergognoso delitto di cui si sia macchiata la pseudo civiltà anglo-americana che si dovrebbe importare in Italia, e che l’incoscienza e la faziosità di alcuni italiani arrivano ancora ad auspicare.
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Un “obiettivo” per gli alleati
Ora è la volta di Montecassino. Questo insigne monumento della religione e dell’arte non appartiene solo all’Italia ma al mondo. L’abbazia di Montecassino risale al 529, quando San Benedetto fondò sull’elevato rilievo che domina la vallata del Rapido, là dove già esisteva un tempio di Apollo, il primo nucleo del complesso monastico.
Per quattro volte nella sua storia plurimillenaria l’abbazia era stata distrutta, nel 581 da parte dei longobardi, nell’883 da parte dei saraceni, nel 1343 per un terremoto, infine oggi dai bombardieri anglo-americani.
La preveggenza del Comando militare germanico aveva in tempo salvato il tesoro dell’Abbazia, consegnandolo, come si ricorda, a Roma alle autorità del Vaticano. Ma purtroppo quello che resta irrimediabilmente distrutto e è il complesso artistico del celebre monastero. Anche nei libri d’arte americani e inglesi era esaltata la magnificenza, la purezza di stile, la dovizia delle costruzioni che si erano raggruppate intorno al nucleo originario, dell’Abbazia, sopravvissuto alle drammatiche vicende svoltesi su un colle diventato famoso. Il magnifico portale di bronzo fuso nel 1066 a Costantinopoli, il chiostro del Sangallo colle statue dei Papi e del Principi, i moltissimi affreschi della navata centrale e della sacrestia, i mosaici, i cento e cento particolari di un’architettura e di un arredamento di un caratteristico splendore bruciano, come annunziano le notizie di questa mattina.
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I comunicati nemici
Nella loro tipica impudenza questi nuovi delinquenti in uniforme non esitano a dare un comunicato ufficiale della loro impresa.
L’inviato speciale della «Reuter» ha comunicato ieri sera: «Bombardieri pesanti anglo-nordamericani hanno continuato nel pomeriggio il bombardamento della Abbazia di Montecassino».
La notizia è stata confermata dalla radio di New York, che ha annunziato il sorvolo del Monastero da parte di «fortezze volanti» e il lancio di bombe di massimo calibro.
«Radio Londra» ha informato a sua volta che gli attacchi più forti furono due, il primo alle 9.30 – e tiene a precisare che furono ben 100 «fortezze volanti» ad attaccare – il secondo più tardi con 100 bombardieri medi. Intere squadre aeree contro un Monastero!
D’altra parte nella discussione alla Camera dei Lords si era avvertita la preparazione di nuovi colpi. I rappresentanti della vecchia Inghilterra predona e pirata non avevano esitato a chiedere una guerra condotta fino all’ultima distruzione alle porte di Roma. Gli americani da parte loro si erano associati senza fare alcuna più discriminazione tra obbiettivi di guerra e i sacri pacifici segni di una civiltà non solo italiana ma universale.
Gli americani avevano lanciato manifestini per accusare i tedeschi di aver trasformato il convento un fortilizio. Ingenuo e stolido alibi. Un solo gendarme germanico c’era nella zona. Questo soldato tedesco vigilava l’unica entrata verso Montecassino. Da quando i paracadutisti della Divisione «Göring» posero in salvo i tesori del monastero per trasportarli a Roma nessun soldato del Reich era più entrato nel convento. «Radio Londra» infatti è stata costretta a render nota una notizia dell’ufficiosa germanica «Transocean». L’Agenzia «Transocean» ha dichiarato: «Il Monastero di Cassino è stato distrutto dalle bombe britanniche. I Governi britannico ed americano erano stati ufficialmente informati che nel Monastero si trovavano né postazioni di cannoni né osservatori di artiglieria tedeschi».
Gli attacchi anglo sassoni su Montecassino si erano iniziati fin dal 15 gennaio, quando batterie americane avevano cominciato a bombardare il monastero. Nel comunicato americano è specificato che l’azione è stata compiuta «con assoluta esattezza». Prosegue il comunicato che «grandi colonne di fumo si sono alzate dalla storica abbazia che è da ritenere distrutta». Gli alleati non hanno nessuna vergogna a dare i particolari della loro azione. Ancora il comunicato aggiunge che «dopo il bombardamento aereo l’artiglieria anglo americana di grosso calibro ha aperto il fuoco contro il Monastero».
Come si è fatto rilevare a Berlino, al momento del bombardamento non si trovavano nel Monastero e nei suoi dintorni truppe tedesche; è mancata anche la possibilità di spegnere gli incendi provocati dalle bombe nemiche, per cui la storica Abbazia non ha potuto essere salvata.
Le più insigni città italiane osservano già i segni della delinquenza anglo-americana. Monumenti, opere d’arte, che tesori celebri, conquistare dell’intelligenza dell’uomo, i segni più gloriosi dello spirito europeo, sono stato offesi irrimediabilmente degli anglo americani. Non solo migliaia e migliaia di vite umane ma gli stessi edifici che erano stati rispettati dei secoli hanno dovuto conoscere i pionieri della nuova civiltà anglosassone. Si poteva pensare che restassero immuni almeno quelle opere che tramandano da secoli il nome di Cristo. A Castel Gandolfo prima, ieri a Montecassino gli anglo-americani hanno avuto smentire questa ultima illusione.
Non c’è altra spiegazione che questa: dopo d’essersi spezzati finora i denti contro la formidabile difesa apprestata dall’eroismo germanico e dalla potenza delle armi del Reich sotto Cassino e dinanzi a Roma, gli angloamericani hanno una di quelle crisi proprie dello stadio intermedio che prende uomini moralmente e materialmente inferiori costretti tra la rabbia e la disperazione.
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Nessuna attenuante per Montecassino
Intervista del Vescovo-Abate Mons. Diamare al «Messaggero»*
Abbiamo avvicinato l’Abate Vescovo di Montecassino, Eccellenza Gregorio Diamare, non appena ha lasciato i resti della Badia diretto a Roma.
Il vegliardo che ha voluto restare fra le macerie del suo Convento fino a quando l’ultimo dei suoi monaci non ha lasciato il colle, sembra essere duramente scosso dalla tragedia vissuta il 15 febbraio.
Egli aveva, al momento del terrificante bombardamento, radunato intorno a sé religiosi e laici e mentre le bombe squarciavano la cattedrale della Badia e le costruzioni del Monastero, rivolgeva a Dio una preghiera fervente affinché concedesse loro la forza di resistere davanti a tanto scempio.
Abbiamo parlato con l’Abate e dalla sua voce abbiamo avuto quelle dichiarazioni che ormai conosciamo ma che da lui stesso ripetute acquistano un valore definitivo agli effetti di quanto ha asserito il nemico a giustificazione del delitto commesso dai banditi dell’aria.
«Noi eravamo convinti – ha cominciato il Vescovo – che da parte di tutti e due i belligeranti, secondo quanto promesso formalmente, l’Abbazia sarebbe stata rispettata. Anche se la battaglia andava vieppiù avvicinandosi e diversi colpi di artiglieria avevano ormai colpito il Convento e arrecato danni al fabbricato pensavamo che nessuno mai si sarebbe abbandonato a un’azione esecranda.
Anche quando ricevemmo, gettatici dal nemico, quei famosi volantini che ci invitavano a lasciare la Badia adducendo che da parte dei tedeschi essa era stata trasformata in fortilizio, non ci impressionammo perché sapevamo che nessun tedesco era nell’interno del sacro luogo e che nessun mezzo di guerra sostava fra le nostre mura…».
Quando gli abbiamo chiesto se da parte germanica era stato fatto qualcosa per garantire l’incolumità del Monastero, il Vescovo Diamare ci ha risposto con tono forte e persuasivo che mai alcun soldato germanico e tanto meno al momento del bombardamento, era stato ricoverato od era all’interno della Badia e che il Comando Germanico è stato con la Comunità prodigo di gentilezze e di appoggi.
Ogni volta che l’Abate tornava sulla parola «Montecassino» la sua fronte si oscurava e sembrava preso da un dolore che non può risanarsi che rimane come una ferita che nessun farmaco potrà rimarginare.
«Il Monastero è distrutto – ha proseguito il Vescovo – non resta più nulla, non vi è più nulla. Soltanto cumuli di pietre frantumate. Distrutta e incendiata la chiesa, distrutta la loggia del Bramante, consumati dalle fiamme i tesori che erano rimasti lassù, distrutti i documenti su cui era tracciata la storia plurisecolare dell’Ordine. Una rovina, e non potrò dimenticare mai quanto vidi nell’interno del Convento e quanto udii uscire dalle bocche di quei feriti che giacevano sotto le macerie.
Non ci sarà oro che potrà ridare alla civiltà una seconda Abbazia e restituire al mondo un secondo Monastero. La casa di S. Benedetto, quella che Egli iniziò nel 529, è stata distrutta e il nostro cuore sanguina al ricordo di quella tragedia…».
La voce dell’Abate a questo punto si è fatta velata e le parole gli sono uscite a stento. Si è coperto con una mano gli occhi ed ha avuto soltanto la forza di ripetere quell’espressione che spesso proferì nel momento di lasciare le rovine della sua Badia, l’espressione della forza che soltanto la religione sa infondere: «Sia fatta la Volontà di Dio!…».
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* L’articolo e i due successivi (Le dichiarazioni di Kesselring e Premeditazione) sono stati pubblicati da «Il Messaggero», a. 66, n. 43, sabato 19 febbraio 1944-XXII.
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Le dichiarazioni di Kesselring
Il comandante supremo delle truppe tedesche combattenti in Italia, Feldmaresciallo Kesselring, dà in relazione al bombardamento anglo-americano sulla venerabile Abbazia di Monte Cassino, la seguente dichiarazione:
1. – Il 15 febbraio 1944 tra le ore 9.30 e le 10 apparecchi da combattimento quadrimotori anglo-americani hanno sganciato in più ondate numerose bombe sull’Abbazia di Monte Cassino, il Convento d’abitudine dell’ordine dei Benedettini. In seguito a ciò il Convento è stato completamente distrutto mentre un folto gruppo di abitatori del Convento veniva ucciso, ferito o coperto dalle macerie. Il Convento aveva già subito forti danni dall’artiglieria nemica del 15 gennaio.
2. – Il Comando direttivo nemico afferma di aver condotto l’attacco per annientare le truppe e gli apprestamenti difensivi germanici trovantisi nel Convento. Di contro constato io chiaramente: Allorché il Vaticano alcuni mesi fa mi faceva pervenire mediante l’Ambasciatore tedesco presso la Santa Sede la preghiera di non voler includere nell’ambito della guerra il Convento di Cassino, io acconsentii con la premessa che la parte avversa si comportasse corrispondentemente. Io ho quindi proibito che soldati tedeschi entrassero nel Convento o che ne occupassero gli immediati dintorni. La stretta ottemperanza di questo ordine è stata vigilata dai competenti comandi di truppa e in special modo da sentinelle di sbarramento e gendarmeria da campo. Dello stesso permesso di poter ricoverare provvisoriamente in caso di necessità feriti gravi, nel Convento non si è fatto uso fino al momento del bombardamento.
Venne invece permesso a molti profughi italiani di mettersi sotto la protezione del Convento. Nel giorno dell’attacco quindi, si trovavano nell’Abbazia parecchie centinaia di profughi che, fidando sulla santità del luogo religioso e della sua neutralità, avevano cercato nel Convento un Asilo. Per mettere al sicuro i tesori culturali insostituibili trovantisi, particolarmente la Biblioteca, è stata già eseguita da tempo il suo trasporto nella Città del Vaticano per mezzo di truppe tedesche.
3. – L’affermazione, che il Convento fosse stato trasformato nella «più forte artiglieria del mondo! È una mostruosa menzogna intenzionata.
4.- Anche le ulteriori affermazioni che l’Abbazia e il territorio circostante ad essa appartenente fosse stato adibito o trasformato per altri impianti militari – posizioni di mitragliatrici, posti d’osservazione di artiglieria ecc. – è pura invenzione. E realmente non si trovava nell’ambito del Convento di Monte Cassino, dal tempo del trasporto dei tesori culturali, nessun soldato tedesco, che né mediante il fuoco dell’artiglieria americana contro il palazzo dell’Abbazia in data 15 gennaio né mediante quello dell’aviazione in data 15 febbraio vennero causati danni militari di qualsiasi genere tanto meno venne ferito un solo soldato tedesco. Colpiti furono semplicemente i monaci e i profughi borghesi italiani che ancora erano rimasti nella sfera del Convento.
5. – Il fatto che nella sfera del Convento non si trovasse nessun soldato tedesco viene riconfermato dalle
seguenti dichiarazioni scritte:
a) L’Abate del Convento di Monte Cassino, Vescovo Gregorio Diamare dichiara: «A richiesta certifico che nessun soldato tedesco si è trovato o si trova nel Convento di Monte Cassino 15-2-1944. Gregorio Diamare Vescovo Abate di Montecassino».
b) Il Delegato Vescovile dell’Ufficio Amministrazione della Diocesi di Montecassino, Don Francesco Falconio, e l’Amministratore della Badia di Montecassino, Don Nicola Clemente dichiarano: «Don Nicola Clemente Amministratore della Badia di Montecassino e Don Francesco Falconio Delegato Vescovile dell’Ufficio Amministrazione della Diocesi di Montecassino, salvatisi dal bombardamento aereo del giorno 15 febbraio col quale l’intera Badia venne distrutta, dichiarano che nell’interno del Convento e per tutto il cerchio perimetrale non esistevano apprestamenti difensivi germanici, né truppe, né mezzi bellici di qualsiasi specie. 16 febbraio 1944. Don Nicola Clemente Amministratore della Badia di Montecassino e Don Francesco Falconio Delegato Vescovile dell’Ufficio Amministrazione della Diocesi di Montecassino.
c) Dopo l’ormai avvenuta distruzione dell’impianto del Convento è cosa comprensibile l’inclusione del Convento di Montecassino negli apprestamenti difensivi germanici.
6. – La residenza papale di Castel Gandolfo, che è stata ugualmente bombardata e fortemente danneggiata da bombardieri anglo-americani, in cui trovavano la morte oltre 500 persone tra cui 16 monache, non è stata mai occupata da truppe tedesche. L’extraterritorialità di questo territorio è stata scrupolosamente rispettata.
7. – Io, come responsabile Comandante Supremo in Italia, constato: Una soldatesca americana priva di cultura ha distrutto insensatamente nella sua rabbia imponente, uno dei più preziosi monumenti dell’architettura italiana e assassinato profughi borghesi italiani – uomini, donne e bambini mediante bombe a fuoco di artiglieria. Con ciò è nuovamente provato, che il comando anglosassone e quello bolscevico non hanno altra meta che distruggere le venerande testimonianze della cultura europea. Per la cinica bugiardaggine e le dichiarazioni ipocrite, con cui gli anglosassoni spingono la colpa su me e i miei soldati esprimo solamente il mio profondo disprezzo.
F.to KESSERLING
Feldmaresciallo
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Premeditazione
«Tutte le nazioni del mondo avevano il loro interesse in questa specie di extraterritorialità dell’Abbazia di Monte Cassino» ha scritto il Cardinale Schuster Arcivescovo di Milano. Tutti, fuorché la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, i cui interessi – semplici o composti – si riferiscono solamente alla loro spietata politica di egemonia e di sopraffazione e non rispettano per abitudine alcun motivo ideale, alcuna tradizione spirituale. Commentando le parole del Cardinale Schuster, l’organo milanese e cattolico «l’Italia» osserva che è la notizia della distruzione da parte degli anglo-americani dell’Abbazia di Monte Cassino ha suscitato in Italia e in tutto il mondo le più vive deplorazioni, La guerra ha necessità spietate, ma ci sono anche per la sua condotta dei limiti che non dovrebbero essere sorpassati». Questi limiti sono invece superati sistematicamente dagli angloamericani.
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Bombe anche sulle rovine
Noi non sappiamo che cosa abbia detto l’ottantatreenne Monsignor Gregorio Diamare, Vescovo, Abate di Monte Cassino, al Pontefice. Sua Santità ha ricevuto Padre Diamare e lo ha intrattenuto lungamente, commovendosi alla dolorosa rappresentazione della tragedia dell’Abbazia.
Per conto suo il nemico continua ad occuparsi dell’impresa come di una … vittoriosa operazione bellica. Un corrispondente della «Reuter» presso la Quinta Armata, dopo di avere tranquillamente parlato della distruzione irreparabile di uno dei più superbi tesori dell’arte cattolica, dice che «l’Abbazia è ora la tomba comune di uomini, donne e bambini italiani».
Su questa tomba ha ancora infierito la violenza del fuoco anglo-americano, David Brown, anche della «Reuter», ha trasmesso che l’aviazione ha continuato a sganciare bombe sulle rovine.
Un ufficiale germanico di passaggio per Firenze ha raccontato ad un giornale che tutto fa ritenere che il delitto fosse attentamente premeditato. Era noto agli «alleati» che non c’erano truppe o mezzi nell’Abbazia. Il Comando Germanico si preoccupava solo di inviare i soccorsi sanitari richiesti dai monaci per i loro rifugiati. Anche l’unico soldato tedesco dislocato nel Convento per il collegamento con le autorità militari, era stato ritirato. Nel Convento era solo rifugiato l’indicibile miseria dei contadini che avevano lasciato le loro terre, le loro case per fuggire il martellamento nemico anche sui piccoli centri rurali. L’ufficiale ha detto che lo spettacolo del giorno 15 «era infernale nella sua terribile tragicità». Nuovi particolari che riempiono di orrore non solo i cattolici, ma qualsiasi uomo, vengono ora alla luce. L’ufficiale racconta che allorché «alcune decine di individui in gran parte donne, ragazzi e bambini, uscirono dall’Abbazia in pieno bombardamento e lungo la scarpata del colle tentarono di mettersi in salvo, un fuoco di interdizione di artiglieria li investì in pieno». Intanto gli americani lanciavano sull’Abbazia bombe al fosforo e latte di benzina che provocavano degli incendi di gravissime proporzioni.
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Un immenso rogo
In quel rogo bruciava tutto: mura e sacri oggetti, quadri e suppellettili religiose, creature umane ed i resti di quelli che erano stati i meravigliosi segni dell’arte antica cristiana in Europa.
A chiudere questa tremenda parentesi un comunicato della «Reuter» ha avvertito che il Monastero è ormai completamente distrutto.
Anche in tutti i paesi civili perdura lo sdegno per l’«eroica» impresa del Comando anglo-americano. Si aggiungono ora i commenti dei giornali turchi che stigmatizzano l’odioso attentato a una civiltà comune a tutti i popoli.
La stampa turca rivela che è ormai accertato che nell’Abbazia non c’era nemmeno un soldato germanico, ma esclusivamente povera gente scampata al turbine della guerra e rifugiatasi nel convento con la speranza di poter avere almeno salva la vita. I giornali turchi affermano che l’indefinibile atto di barbarie non solo ha mietute largamente vittime umane, ma ha distrutto famose opere d’arte.
Anche nei giornali svedesi si leggono violente note di protesta. La stampa europea si ferma ancora sul sintomatico sviluppo della guerra là dove era presumibile che si portasse rispetto per lo meno a simboli già venerati per decine di secoli e oggi travolti dall’inutile crudeltà anglosassone.
La dichiarazione del Maresciallo Kesselring che pubblichiamo oggi, ha sventato definitivamente ogni manovra della propaganda nemica e ha inchiodato con elementi inconfutabili i responsabili del più vergognoso episodio di questa guerra.
Se non bastassero le esaurienti categoriche dichiarazioni del Feld Maresciallo germanico, ecco Monsignor Diamare che accusa la delinquenza nord-americana del più grave colpo finora portato al cattolicesimo non solo italiano ma universale.
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Montecassino attentato alla civiltà*
Qualche sacerdote anglo-sassone ha deplorato l’impresa di Monte Cassino. Non molti sull’opinione pubblica dei due grandi paesi. Eppure William Steed parlando da Radio Londra ha trovato modo di stupirsene. «Ciò che non posso spiegarmi – ha detto Steed – è il fatto che alcuni prelati della Chiesa anglicana si sono espressi con dure parole sull’orribile sacrilegio commesso dagli alleati e che essi sono stati non meno severi degli
eminenti ecclesiastici della Chiesa di Roma in merito al bombardamento di quel Monastero»**. Se non si conoscesse abbastanza il carattere degli inglesi o dei nord-americani, basterebbe questo brano radiofonico del signor Steed. Ma Radio Londra non solo non trova strano che si faccia la guerra alla case, ai sacerdoti di Dio ma insiste nel far passare l’inqualificabile gesta compiuta dalle aviazioni «alleate» come una logica conseguenza della guerra. A Londra evidentemente non si captano le emissioni delle radio europee, o bisogna pensare che il famoso servizio d’informazioni britannico non funzioni più! Tutta Europa conosce le ripetute dichiarazioni dei monaci di Monte Cassino, dovunque sono state diffuse riproduzioni fotografiche di quello che hanno detto ed hanno scritto di loro spontanea volontà, né manca l’accorata, superstite testimonianza dei rifugiati dell’Abbazia che sono riusciti a scampare alla morte. Londra insiste. «Ci sentiamo presi dai brividi – dice Radio Londra – nel pensare alle mitragliatrici tedesche nella Cappella Sistina o sulla cupola di San Pietro a Roma ecc. ecc….». Non sta a noi smentire una notizia del genere anche perché questi edifici sono fuori dalla competenza territoriale dello Stato italiano e anche di quella militare del Comando germanico del Sud. Ma ogni cittadino, almeno quelli di Roma, vorrà dare atto al nemico che almeno il Santo Padre non è complice della Germania! Ogni cittadino può affermare che sulla cupola di San Pietro o nella Cappella Sistina non ci sono state mitragliatrici tedesche, nemmeno nella fantasia più malata del più fanatico dei nemici dell’Asse. «Radio Londra» dopo di avere detto che «il Monastero dove è nato l’Ordine dei Benedettini non esiste più» rivela, con una ipocrisia nauseante anche se anglosassone «che gli alleati hanno sempre dichiarato di rispettare i monumenti d’arte e della Chiesa». Tutto quello che è avvenuto a Montecassino o a Castelgandolfo, o che dovesse malauguratamente domani avvenire altrove, è avvenuto perché le nazioni unite rispettano i monumenti della Chiesa. Non sappiamo cosa avverrebbe se non si fosse questo pio e religioso rispetto.
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Le vicende dei Benedettini
Abbiamo largamente riferito per i nostri lettori le drammatiche vicende dei Padri dell’Abbazia. I Padri sopravvissuti alla rovina del loro convento sono riusciti a partire la mattina del 17. Era un mesto corteo: in testa il Padre abate di 83 anni, che sorreggeva il Crocifisso. Dietro di lui Padre Martino, Padre Agostino, gli altri pochi monaci ed i laici Fra Pietro, Fra Giacomo, Fra Romano. Dietro circa seicento contadini laceri, sbigottiti dalla sciagura che piangevano i loro morti, reggevano i feriti. La discesa del colle cominciò dalla parte di San Rachisio, verso Santa Lucia, a cinque chilometri da Cassino. Intanto le artiglierie nemiche continuavano a bombardare le macerie. Nel rombo insistente, pauroso appena si sentiva il Rosario intonato da quella moltitudine di figli di Cristo, stanati, perseguitati, minacciati dalla crudeltà degli anglo-americani.
Fu una casa colonica che fornì loro un primo rifugio. La mattina dopo con autocarri germanici partivano per Roma.
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Nuove dichiarazione di Padre Graziosi
Già l’inviato speciale del «Messaggero» intervistò Padre Graziosi, segretario dell’Ufficio Diocesano di azione cattolica di Monte Cassino. Padre Graziosi è stato successivamente intervistato dalla «Stefani».
Padre Graziosi dichiara:
«E’ da riaffermare nel modo più esplicito che nel Monastero di Montecassino non solo non vi erano soldati tedeschi ma non vi si nascondeva assolutamente alcuna posizione difensiva od offensiva da parte delle truppe tedesche, che non l’hanno mai occupata».
Durante il primo bombardamento del 15 febbraio, durato dalle 9.30 fino alle 14, i monaci stettero riuniti attorno all’Abate, pregando.
Lasciamo la parola a Padre Graziosi: «I monaci raccolti nella preghiera attendevano rassegnati la morte. Le bombe di ogni calibro cadevano con fragore immenso in ogni punto del monastero. I monaci sentivano il crollo degli edifici. Il sacro luogo che era stato per secoli un’oasi di pace, di meditazione, di tranquillità per i credenti e di gioia per gli studiosi, si era ad un tratto trasformato in una bolgia infernale».
Padre Graziosi enumera gli altri danni: la distruzione della cupola, della navata centrale, della chiesa, della sala capitolare, della biblioteca monumentale, della sala della Mostra, dei locali sottostanti alla Loggia del Paradiso e del chiostro del Bramante.
Il fuoco devastava la culla diocesana e buona parte del Convento. La cisterna era sfondata. «L’acqua – dice Padre Graziosi – appariva di color di sangue».
Le macerie continuavano a crollare. Sotto la volta s’erano rifugiati circa duemila sfollati. Nessuno se ne è salvato. Il cannoneggiamento della sera, e poi nuove bombe del pomeriggio successivo ed un intenso mitragliamento causarono il crollo della parte più antica del Monastero, delle stanze di San Benedetto. Ormai non restava più niente in piedi dell’Abbazia di Monte Cassino.
«Le bombe e le cannonate – dice Padre Graziosi – potranno abbattere le pietre ma non la fede che ha sempre trionfato sulla barbarie».
Anche il Vescovo Diamare, che il «Messaggero» ha intervistato ieri per primo, ha parlato del dramma svoltosi sul pio colle.
Il Vescovo Gregorio Diamare si è rifugiato a Roma nell’Abbazia di Sant’Anselmo sull’Aventino. Era con lui, insieme con Don Oderisio Graziosi, Don Mantiero [sic] Matronola, Don Nicola Clementi, sei fratelli conversi, un laico e Don Francesco Falconio, delegato vescovile che fu già intervistato dal nostro giornale.
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Una nuova intervista di Mons. Diamare
Monsignor Diamare, che si è incontrato anche con l’Ambasciatore di Germania presso la Santa Sede, barone Weizsäcker, appare ancora profondamente sconvolto. Un radio-cronista germanico lo ha potuto intervistare dinanzi al microfono. Alla domanda del radiocronista, l’Abate dice che sull’Abbazia c’è stata una vera e propria offensiva aerea. Parla dei volantini lanciati dagli aerei anglo-americani prima delle incursioni. Alla richiesta del radiocronista, riferisce che nei volantini gli anglo americani avvertivano di non poter risparmiare l’Abbazia poiché i tedeschi avevano abusato della sua neutralità. Chiede il radiocronista: «Ma era vero che c’erano soldati tedeschi dentro il Monastero?».
Padre Abate risponde: «Nessun tedesco è stato mai a Monte Cassino».
Altra domanda: «Quale era il comportamento delle forze armate tedesche verso di voi?».
Il Padre Abate risponde esplicitamente: «Il Comando tedesco, noi dobbiamo dirlo, è stato sempre pieno di ottime deferenze per noi. Alcune volte ci siamo interposti per ottenere qualche facilitazione per la città di Cassino e di altri centri. I tedeschi hanno sempre fatto tutto quello che potevano fare. Come ho detto non ci sono stati mai soldati tedeschi nel Monastero».
Il radiocronista chiede ancora se nel Monastero vi fossero armi, mitragliatrici o un osservatorio.
Il Padre Abate risponde sdegnosamente: «Dentro il Monastero non c’è stato mai, mai niente!».
Interrogati sui danni, Monsignor Abate dice: «Il bombardamento di Monte Cassino è stata una distruzione completa, ha distrutto tutto. Monte Cassino non esiste più e aggiunge: «Quel poco che abbiamo potuto vedere era cosa che faceva spavento. Tutto è andato perduto».
Le nuove dichiarazioni di Padre Diamare, dopo quelle fatte al «Messaggero» e dopo le dichiarazioni che già fecero al nostro giornale Padre Falconio e Padre Graziosi, costituiscono una documentazione circostanziata, precisa, irrefutabile di un crimine consumato in perfetta scienza e con assoluta precisione di propositi dagli anglo-americani.
Si tratta di un delitto che non potrà mai essere pagato. Ha detto Monsignor Diamare che Monte Cassino non esiste più. Ma qualche cosa di più grande di Monte Cassino ormai sembra non esistere più: quella carità umana che rispettava Dio, e negli uomini l’immagine stessa di Dio. Anche la cattolica agenzia «La Corrispondenza» afferma che niente potrà distruggere la penosa impressione provocata nel mondo cattolico dalla delittuosa gesta degli anglo-americani. La «Corrispondenza» nota che l’impressione in Vaticano continua ad essere enorme e che il trascorrere delle giornate non riesce ad attenuarla. L’autorevole agenzia di informazioni vaticane conclude che la distruzione di Montecassino ha trovato viva deplorazione anche negli ambienti culturali e scientifici che hanno relazioni con la Santa Sede e che hanno voluto farle pervenire la espressione del loro cordoglio per una data che è considerata «giorno di lutto» per la scienza e per l’arte, oltre che per la fede. E’ facile presumere che di questo tutto si farà degna interprete la pontificia Accademia delle scienze in una sua prossima tornata.
Ormai è dimostrato chi sia stato ad offendere quella carità e chi sia stato messo così al di fuori di ogni rispetto umano e religioso, facendo la guerra con la stessa feroce crudeltà delle proprie truppe di colore. Contro questa insorgente barbarie l’Europa continua a difendersi e le sue linee oggi coincidono con quelle stesse della religione e della civiltà.
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* L’articolo è stato pubblicato da «Il Messaggero», a. 66, n. 44, domenica 20 febbraio 1944-XXII, con una foto delle macerie e la didascalia: «I resti dell’abbazia dopo il terroristico bombardamento (Servizio fotografico del “Messaggero”)».
** Ndr: differentemente alcuni esponenti del mondo cattolico statunitense e anglosassone, e due abati benedettini inglesi, non condannarono la distruzione del millenario cenobio. Ad esempio l’arcivescovo di Baltimora e Washington, mons. J. Curley, affermò che i tedeschi, come rivelavano le informazioni, si erano impadroniti «di quel luogo sacro per poter proseguire la loro nefanda guerra» per cui si riteneva «sicuro che tutti i cattolici di tutto il mondo comprenderanno il bombardamento da parte dei nostri ragazzi». Al pari l’abate benedettino dell’abbazia di Buckfast (contea di Devon, Cornovaglia), Bruno Fehrenbacher, dichiarò: «Per quanto mi dolga della distruzione della nostra casa madre a Montecassino, mi rendo conto che gli Alleati hanno fatto tutto quello che potevano per evitarla» (D. Hapgood, D. Richardson, Monte Cassino, Rizzoli editore, Milano 1985, p. 235).
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Mons. Diamare conferma all’Ambasciatore tedesco presso la Santa Sede che nessun soldato germanico si trovava nell’Abbazia di Montecassino*
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Berlino, 21
L’Agenzia ufficiosa germanica comunica che il Vescovo Gregorio Diamare, Abate di Montecassino, nel corso di una conversazione avuta con l’Ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, ha confermato che nessun soldato germanico si trovava nell’Abbazia benedettina e che nella stessa non erano stati sistemati né osservatori, né postazioni di artiglieria.
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* L’articolo è stato pubblicato da «Il Messaggero», a. 66, n. 45, martedì 22 febbraio 1944-XXII.
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Ritorno sui campi di battaglia italiani Leonard Marsland Gander*
(Da The English Review Magazine, gennaio 1950, pp. 36-41)
[…]
Dubbi se veramente i Tedeschi avessero mai occupato il Monastero sorsero subito dopo il bombardamento, e furono confermati quando il Generale Von Senger und Etterlin, ex allievo di Rhodes ad Oxford, che comandò il 14 corpo corazzato a Cassino, pubblicò un articolo sul numero di aprile della New english review. Egli dice che fu l’unico soldato tedesco a entrare in Monastero quando il giorno di Natale del 1943 vi ascoltò la Messa, celebrata nella Cripta fra duecento rifugiati. Kesselring aveva dato espliciti ordini perché la neutralità dell’Abbazia fosse rispettata.
I soldati alleati e gli aviatori che presero parte alla distruzione devono sentire dell’angoscia morale per il tragico errore. Il desiderio di scoprire qualche ragione (del bombardamento) costituiva uno degli scopi della mia visita a Montecassino; l’altro scopo era quello di rilevare quali progressi fossero stati fatti nella ricostruzione.
Un punto oscuro nel resoconto di von Senger è che i Tedeschi occupavano senza dubbio delle posizioni situate in alto sulla «Montagna del Monastero», come noi solevamo chiamare la montagna di Montecassino: egli evita di pronunziarsi sulla distanza in cui si trovarono tali posizioni dalle mura del Monastero.
La mia prima conoscenza del Monastero risale proprio al periodo precedente all’ultima offensiva alleata a Cassino, vale a dire al maggio 1944.
Molti soldati alleati: inglesi, americani, indiani, neozelandesi, erano stati uccisi nei precedenti attacchi. Le truppe inglesi erano precariamente aggrappate a circa due terzi delle rovine della città di Cassino in un pericoloso e stretto contatto col nemico. Rannicchiati nei loro forti improvvisati fra le rovine, gl’Inglesi erano da ogni parte sorvegliati dai Tedeschi. Anche la cima della montagna del Castello (Rocca Ianula), che era nelle nostre mani, era dominata dalla vetta di Montecassino, più alta di essa. Lungo tutto il giorno Cassino era ricoperta da un bianco soffocante fumo, quale riparo per dare i nostri uomini una possibilità di combattere. Il più piccolo movimento osservato eccitava un terribile fuoco di mortai dall’alto della cima. Per circa due miglia la strada nazionale N. 6 correva diritta come una freccia verso la montagna di Montecassino, passando sopra un ponte di ferro tipo Bailey gettato sul fiume Rapido. Sotto questa stretta sorveglianza del nemico, poiché era la linea vitale delle nostre truppe in Cassino, essa poté essere usata mediante un frequente andirivieni di muli, durante la notte, per fare affluire i rifornimenti.
Durante il giorno essa costituiva il più spiacevole cammino verso la morte, che noi tutti evitavamo.
Noi solevamo arrestarci in un punto sulla Via N. 6, dove la strada era protetta da un’altra collina, prima che essa girasse in una curva in direzione del terribile tratto rettilineo. Da lì generalmente noi deviavamo a destra e ci arrampicavamo in jeep sulla montagna verso il villaggio di Cervaro, che proprio prima dell’offensiva finale era il quartiere generale del corpo polacco.
Da Cervaro, da una distanza di molte miglia, relativamente al sicuro, si potevano osservare il Monastero e le bianche rovine della città di Cassino in mezzo a un’ampia vallata.
La posizione di Cervaro stessa non era poi del tutto sicura. Lo si desumeva da un’iscrizione che suonava così:
«Voi siete ora sotto l’osservazione del nemico. Non siate sciocchi!».
Personalmente io ho fatto quanto di meglio potevo per attenermi coscienziosamente al suggerimento dello scrittore dell’iscrizione, ma anche dietro le mura sconquassate di Cervaro non mi sentivo felice e tanto sicuro come presso le porte di perle del paradiso.
Era un fatto che i Tedeschi davano quotidianamente prova che essi occupavano delle posizioni nascoste situate in alto sul Monte dell’Abbazia.
Se essi fossero realmente in quel momento nel Monastero era impossibile accertarsene dalla nostra posizione, e in ogni caso ciò rivestiva solo un’importanza accademica per le nostre truppe, per le quali lo schieramento non protetto significava una morte improvvisa.
La nostra spedizione-Stampa al Monastero, il giorno in cui esso fu conquistato, fu un terribile e folle affare, diretto ad illustrare la pubblicità allora in azione ad alta pressione.
Per ricordare quella spedizione e ciò che noi vedemmo, mostrerò i cambiamenti che i cinque anni passati hanno prodotto.
Era stata sparsa la notizia fra i corrispondenti americani, inglesi, francesi e polacchi che si diressero a bordo di jeeps, armati di macchine fotografiche e macchine da scrivere, al quartier generale polacco a Cervaro, che sul Monastero sventolava una bandiera bianca. Venti o trenta giornalisti e fotografi animatamente domandavano di essere guidati al Monastero. Gli ufficiali dello Stato Maggiore polacco erano in dubbio se accondiscendere o meno, ma il Generale Anders, dopo aver fatto un pepato discorso ed averci offerto la colazione, accondiscese.
Noi partiremo in lunga colonna, a dispetto di tutte le regole di guerra, sollevando grandi nuvoloni di polvere. Ma l’artiglieria tedesca era tanto impegnata nell’interrompere la via all’esercito che non si curò di questo assalto condotto dalla quarta forza.
Bordeggiammo parecchie formidabili montagne, passammo lungo un sentiero polveroso in una profonda gola, che a ben regione è stata chiamata «l’inferno», e quindi, perduto ogni contatto con la guida, cominciammo a sbandarci su una ripida montagna, dove erano mescolati resti di cadaveri e bombe da mortaio, lasciate casualmente sul ciglio della montagna, sparse qua e là. Camminammo senza meta precisa attraverso una pigra nuvola di fumo, seguendo vagamente qualcuno che si trovava davanti, incespicando in ogni parte dopo aver lasciato alle nostre spalle i posti di pronto soccorso e le rovine della guerra di tutti i generi. Vi erano cadaveri da per tutto: la vista e l’odore di morte ci faceva star male. Andammo su e giù per la montagna. Non avevo la minima idea del posto dove stavamo e dove ci dirigevamo. Una volta fummo bersagliati da un violento fuoco di sbarramento di mortai, cosa che ci permise di renderci conto che il nemico stava perlomeno interessandosi particolarmente di noi. Quindi raggiungemmo un posto, dove le squadre di cercatori di mine avevano lavorato e seguimmo delle strisce bianche lungo un pendio dentro un bosco devastato; ogni albero di esso era spogliato dei rami e la terra crivellata di buche di bombe e di proiettili. Alla sommità della montagna e più lungi da questo sconvolgimento del terreno sorgeva una triste, immensa rovina: l’Abbazia.
La livida bianchezza delle rovine, causata, suppongo, dal polverone dei muri squassati nei ripetuti bombardamenti, faceva una grandissima impressione. I muri erano stati schiantati in piccole guglie montagnose**. Le rovine accatastate a cumuli all’intorno, rendevano il Monastero inaccessibile più che mai. Io mi arrampicai con le mani e coi piedi portando un’asta di bandiera che in un momento di esaltazione mi ero fatto indurre a portare lassù per conto dei Polacchi.
Impiegammo tre ore nell’arrampicarci strenuamente per raggiungere il nostro obbiettivo: otto o dieci ore, se includiamo il viaggio in jeep e le discussioni. Non solo il Monastero, ma tutta la zona circostante era stata sì duramente colpita da alto esplosivo da costituire una scena di terrificante desolazione. Vi erano qua e là trinceroni che i Tedeschi avevano manifestamente usati, ma non vi erano segni di grandi piazzuole di cemento armato1.
Era sorprendente vedere quanta parte dell’Abbazia era sopravvissuta ai nostri bombardamenti. Al lato nord-est la fabbrica era ancora in piedi per un’altezza che io stimai in 16 metri. Si potevano riconoscere anche i due principali chiostri; ma, consultando la mia guida, tentavo invano di identificare le varie cappelle distrutte.
Attraversai un tunnel in un ambiente che ritenni fosse la Cripta dove ancora bruciavano i travi e dove inciampai coi piedi in centinaia di scatole di latta tedesche. Una cappella dove io entrai era sì ben conservata che gli affreschi di santi che ornavano il muro, dedicati alle virtù, erano intatti. Dappertutto i Tede- schi avevano abbandonato mucchi di bombe da mortai, coperte, pacchi di bombe a mano e, in una buia stanza, incontrai tre paracadutisti tedeschi feriti, lasciati indietro con un biglietto con preghiera di occuparsi di loro, dato che non era stato possibile trasportarli.
Questi segni evidenti che i Tedeschi occupavano il Monastero sono spiegati da von Senger und Etterlin, il quale dice che i tedeschi dopo il bombardamento occuparono immediatamente il Monastero ed aggiunge che esso costituì il punto più fortificato di quel settore.
Egli non accenna al fatto ch’era sempre possibile ai Tedeschi stabilire delle posizioni sugl’inaccessibili spalti tutt’intorno al Monastero, tanto vicino ad esso da renderne inutile l’occupazione; posizioni queste che noi non potevamo bombardare o cannoneggiare senza il grave rischio di colpire le fabbriche del Monastero2.
I Polacchi, beninteso, avevano conquistato il monastero «dalle spalle», dove l’accesso è più facile.
Nel versante che guarda Cassino la montagna si eleva bruscamente, arida e difficile a salirsi. In certe parti la sua pendenza deve essere uno per tre o quattro; solo quando io mi fermai sulle rovine dei contrafforti verso sud, ov’è la visuale sulla città di Cassino ed il rettifilo della strada nazionale N. 6 che conduce al Napoli, potei comprendere in pieno il significato della fredda frase del Generale Wilson: «Montecassino dominava tutti gli accessi alla città e alla strada nazionale N. 6».
Le umane mosche striscianti di sotto erano facile gioco per i Tedeschi appiattiti di sopra.
* * *
Velocemente io arrivo al giugno 1949.
Noi ci recammo in macchina su una via 6ª rinnovata, da Roma a Cassino: si trattava ora di una via Casilina libera dal traffico bellico, dalla polvere, dalle iscrizioni criptologiche militari, e da relitti i bordi della strada.
La ricostruzione è andata avanti rapidamente. Ogni ponte principale era stato restaurato in maniera definitiva e molte case nuove sorgevano in mezzo alla città ed ai villaggi distrutti. Cassino stessa è fra tutte la più grande affermazione di tale ricostruzione. Una nuova città dalle casette a tinte pastello di color crema, rosa e terracotta sorge, come una collezione di case fatte con i dadi dai bambini, contro la scura montagna che le fa da sfondo. Una parte della città la chiamano «Unrra city»; un’altra parte distrutta è lasciata come ammonimento ai posteri, come un’attrazione turistica, o come un ricordo: non so però di che genere di ricordo si tratti.
Oltrepassammo delle rovine di un edificio più antico, il piccolo Colosseo: ricordo ch’esso costituiva uno dei capisaldi tedeschi. Quindi vedemmo una nuova segnalazione in inglese: «To the British Military cemetery» (Al cimitero militare inglese).
Lì in ordinati filari, fra siepe di lavanda e sempreverde, giacciono 4300 muti testimoni: morti inglesi dei Dominions, compresi fra essi due corrispondenti di guerra, Cirillo Bewley e Roderico Macdonald.
La creta che aveva inchiodato i carri armati neozelandesi e canadesi si attaccava ai nostri piedi, ma essa formerà un buon suolo per il giardino inglese.
Il guardiano, Steve Curde, che condivide la sua solitaria vita con la moglie jugoslava, ci parlò dei pettegolezzi locali. Essi riferivano che vi è un villaggio vicino Cassino, chiamato Valvori, che non è stato toccato dalla guerra perché alcuni suoi abitanti erano vissuti in Inghilterra3!
Le schegge di metallo costituiscono qualche cosa di prezioso in Italia, e le armate alleate ne hanno lasciato un grosso quantitativo. I contadini scorazzano continuamente su e giù per i costoni della montagna alla ricerca della «scheggia», come essi la chiamano. Steve dice che essi ricevono l’equivalente di circa 2 pence per un chilogrammo di ferro e di 8 pence per un chilogrammo di rame o di bronzo. Qualche volta l’avidità ha precorso la prudenza e ci sono state tragedie derivanti da proiettili carichi e da bombe a mano.
Dai piedi della montagna del Monastero, l’Abbazia già sembra nell’insieme ricostruita: non si presentano più alla vista dell’osservatore cumuli di rovine. Ricordando le tre ore impiegate nel 1944, domandai a Steve quanto tempo occorresse a salir su. «Circa venti minuti con automobile – egli disse -. È una strada buona».
Cominciamo ad arrampicarci lungo i ripidi tornanti, curiosi di vedere come ce la saremmo sbrigata se avessimo incontrato un altro mezzo che venisse nel senso opposto al nostro. Ma incontrammo solo dei cercatori di ferro che portavano le loro piccole scatole e recipienti. Steve ci dice che alcuni di essi sono stati in contrasto con i benedettini perché danneggiavano i terrazzamenti a cultura arborea, recentemente restaurati lungo la montagna. Quando fummo in alto vidi in una conca, poco sotto il livello del Monastero, le serrate file del cimitero polacco che è contrassegnato da una croce sempreverde: ritengo che esso fu costruito sul tracciato della loro avanzata; ma era così radicalmente differente la zona che l’orientazione riusciva difficile.
Lontano, in basso, sotto di noi i campi bagnati dal Gari e dal Rapido, una volta crivellati dai proiettili e dalle bombe, erano pieni di verde lussureggiante. Potevamo appena rintracciare la linea del fiume mediante i riflessi d’argento che apparivano qua e là.
La nostra macchina svoltò infine su un’area pianeggiante, ripulita e io mi resi conto di una meravigliosa trasformazione. Il pianoro, davanti al Monastero, è una delle scene più movimentate di tutta l’Italia. Centinaia di operai e di muratori, con la testa ricoperta di cappelli dalla foggia più strana, compresi quelli fatti di carta, con le braccia e le facce abbronzate come indiani, lavorano continuamente la pietra con martelli e scalpelli. Pietra viva e frammenti di marmo giacciono in grandi cumuli come la neve, e per proteggere le costose scarpe molti di loro portano sezioni di vecchi copertoni di automobili tenuti sui loro piedi da cinghie.
Una semplice costruzione distinta dall’Abbazia principale, dal nome S. Giuseppe, è ora finita, e provvede all’alloggio di 25 monaci e dieci seminaristi. Ci dirigemmo alla porta principale e sonammo pieni di speranza. Per molto tempo il campanello non produsse altro che echi rimbombanti di rumori. Poi, quando con la caratteristica impazienza londinese, c’eravamo quasi decisi a ritenere che in casa non vi fosse nessuno, sentimmo rumore di passi. Un monaco sorridente ci diede il benvenuto in italiano e ci invitò ad entrare. Cominciò quindi un lungo combattimento di linguaggi. Solo uno dei monaci, ed evidentemente non disponibile, parlava inglese. Dopo che io mi fui spiegato, apparve in persona il nuovo superiore del Monastero: l’Abate Rea. Egli era una figura alta, graziosa, con benevolo sorriso, con gli occhiali d’oro ed uno zucchetto paonazzo sulla testa. Disse che parlava «un petit peu» di francese. Ci scambiamo le cortesie ed io posi le mie domande. «Occupavano i tedeschi il Monastero prima del bombardamento?», «No, non l’occupavano!», «Avevano essi cannoni vicino al Monastero?», «Sì, a circa trenta metri»4.
L’Abate con una stretta di mano ed un fulgente sorriso si accomiatò subito, ma, a causa della nostra
difficoltà ad esprimerci, fece venire l’unico monaco che parla inglese, il Padre Girolamo. Il buon padre era basso, ed aveva capelli neri tosati. Egli era amabile e benevolo, pronto a parlarci delle difficoltà finanziarie della ricostruzione. Ma innanzi tutto egli chiese scusa del suo inglese «tutto appreso da libri», ma era una scusa inutile, perché lo parlava eccellentemente.
È un’ambizione dei monaci restaurare il Monastero esattamente com’era: ogni pietra, ogni statua, ogni pittura. Questa impresa richiederà anni e anni, forse una generazione, e costerà miliardi di lire.
«Il nostro motto, spiegava il Padre Girolamo, è ‘Succisa virescit’, abbattuto come un albero, Montecassino ripullula nuovamente». Egli aggiunse che è necessario un milione di sterline per la ricostruzione degli edifici, e cinque milioni per la decorazione artistica.
La maggior parte5 del denaro già ricevuto, proviene dal Governo italiano, e piccoli contributi sono stati inviati dal Belgio e dalla Svizzera.
L’Abate ha fatto un giro per l’America, per chiedere fondi, ma ha incontrato poca adesione6. Il piano Marshall deve tuttavia dare aiuti direttamente o indirettamente.
Il progresso della ricostruzione è già impressionante, ed è arrivato all’altezza di un piano in molte parti.
Il più grande compito preliminare è stato quello di rimuovere le macerie e sono state rimosse non meno di 400.000 metri cubi di rovine.
Entrammo attraverso un androne a volta, costruito nella massiccia solidità del vecchio Monastero. Scolpita nella nuova pietra c’era la parola ‘Pax’. Notai l’ironia per aver visto la stessa parola scolpita in qualche altra parte fra le rovine nel 1944, su di una colomba di pietra che aveva avuto le zampe stroncate da un proiettile. Una piccola lapide è stata posta in memoria del vecchio Abate Gregorio Diamare, che al tempo del bombardamento aveva 82 anni e morì subito dopo7. Notiamo incidentalmente che non è il caso di porre la domanda se i monaci avessero avuto un congruo preavviso dell’intenzione alleata di bombardare il Monastero8.
Un piccolo opuscolo venduto dai benedettini ai turisti dice che «i monaci si salvarono, ma perirono alcune centinaia di civili». Da notare che questo opuscolo con molto tatto evita di menzionare la nazionalità di coloro che distrussero il Monastero, e non mostra risentimento, ma riferisce che «i valorosi Polacchi» che compirono la conquista del Monastero, «lo liberarono dagli orrori della guerra».
Il chiosco centrale, che quando io lo vidi l’ultima volta, era ridotto in polvere e rovine, ha ripreso la sua figura. Con infinita pazienza gli operai, sotto la guida dei monaci, hanno frugato fra le rovine per ritrovare pezzi delle innumerevoli statue. È il più grande gioco di pazienza del mondo. Ho visto una statua ch’era stata ritrovata in 25 pezzi, ricomposta insieme con grande cura. Un’altra era in 23 pezzi e vieni ora restaurata. Per una statua marmorea di S. Benedetto, che aveva avuto la testa frantuma, è stata scolpita una nuova testa, esattamente come la prima, ed è stata riattaccata alla statua.
Le congiunture dei vari pezzi presentano delle sottili venature difficilmente riconoscibili anche distanza di pochi metri.
Un monaco chiamato P. Angelo, dirige molti lavori dei artistici.
Il P. Girolamo spiega che oltre 70000 volumi sono andati perduti nel bombardamento e 30000 furono salvati. Di passaggio faccio rilevare che i monaci hanno custodito i libri della biblioteca di Keats e Schelley di Roma: anche questi furono salvati.
Il Refettorio è stato ricostruito e viene ora usato come sala da mostra.
Noi fummo i soli ad arrivare in quel pomeriggio. Nella sala si vede esposta una parte di un affresco di Luca Giordano, che mostra S. Benedetto quando «predice e piange la distruzione del Monastero». Questo, dicono i monaci, è l’unico affresco che sopravvisse ed anche la tomba del Santo è praticamente intatta.
Poco rimane di quanto l’opuscolo descrivere liricamente come «straordinariamente ricca, forse unica, parte interna della grande Basilica, ch’era decorata con marmi intarsiati, dorature e meravigliosi dipinti».
I conoscitori dell’arte possono non essere d’accordo completamente su tale valutazione, ma è fuor di dubbio che il restauro di tutto ciò costituisce un lavoro prodigioso.
I monaci non hanno esitato di porre nel loro museo una o due bombe ed una impressionante fotografia dei cadaveri dei civili fra le rovine, come la loro versione della Camera degli Orrori.
L’ossatura in mattoni della chiesa, compreso il presbiterio, è già ricostruita.
Sono pochi i visitatori che non restino commossi dalla dimostrazione di fede e di perseveranza che emana dalle risorgenti mura della nuova Abbazia di Montecassino.
Tenendo conto dei dati evidenti, non dubito che i Tedeschi non entrarono nel Monastero sino sino a che non avvenne il nostro bombardamento.
D’altra parte però è ugualmente certo che i tedeschi occupavano delle posizioni vicinissime al Monastero e stavano perciò sotto la protezione delle mura dell’Abbazia, abusando della neutralità di essa9.
L’Abbazia per un accidente della guerra era divenuta un serio imbarazzo per gli Alleati ed un aiuto per il nemico, poiché non poteva essere garantito che i nostri proiettili e bombe non l’avrebbero colpita per sbaglio. Vi erano esempi di bombardamenti a punta di spillo, durante la guerra; particolarmente quando la RAF centrò un pavimento di un fabbricato di Copenaghen usato come quartiere generale della Gestapo.
Generalmente parlando però il bombardamento non può raggiungere un’accuratezza simile. Ed infatti durante gli attacchi contro il Monastero il campo del Gen. Leese, che si trovava molte miglia lontano dal nostro settore di fronte, saltò in aria per una bomba mal centrata.
Senza dubbio i Comandanti alleati furono seriamente tratti in errore dai loro rapporti informativi, però in ogni caso aspettarsi che le forze aeree alleate dovessero centrare delle posizioni distanti solo trenta metri dal Monastero è chiedere l’impossibile10.
Fu una grave e spietata decisione quella di ordinare che l’intera zona di Montecassino venisse saturata di alto esplosivo, ma era un tentativo per accorciare una campagna nella quale molte vite di soldati alleati erano state perdute.
Il bombardamento passerà probabilmente come uno degli inesorabili accidenti della storia ed ora tutto il mondo cristiano auspica ai Benedettini il successo nella loro gigantesca impresa.
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* L’articolo è tratto dal volume a cura di d. Girolamo Panaccione, La distruzione di Montecassino. Documenti e testimonianze, Montecassino 1950, pp. 87-107, è riportato non integralmente e sono state aggiunte le immagini. Il monaco benedettino l’aveva ripreso dal periodico inglese e tradotto in italiano, corredandolo di dieci note, qui numerate progressivamente. Di Gander precisava: «Giornalista, corrispondente di alcuni fra i più noti giornali inglesi; seguì le armate inglesi sul fronte di Cassino, come corrispondente dal fronte di operazioni». Nel suo articolo Gander rievoca, inizialmente, alcuni momenti di guerra, la scalata a Montecassino avvenuta nello stesso giorno della conquista delle rovine da parte del Corpo d’armata polacco (18 maggio 1944) e quindi il ritorno, cinque anni dopo, a Cassino e al monastero dove fervevano i lavori di ricostruzione. Infine va rilevato che d. Girolamo inserì nello stesso volume anche la traduzione del capitolo XII del libro After these many quest scritto sempre da Gander, edito nel 1949 a Londra da Mc Donald. In esso il giornalista inglese ritornava sulla questione della presenza o meno di tedeschi all’interno dell’abbazia e rivelava pure che nel corso del bombardamento di Montecassino alcune bombe erano state sganciate su Venafro. Un errore che non era piaciuto affatto al gen. Oliver Leese, comandante dell’VIII armata inglese che aveva il suo quartier generale nella cittadina molisana, e la cui responsabilità parrebbe attribuita ai piloti americani i quali, pur «realmente accuratissimi bombardieri», avevano difficoltà «nel riconoscere i bersagli».
** Ndr: Anche il presidente della Repubblica Italiana, Giorgio Napolitano, nella sue recente visita a Cassino il 15 marzo 2014, in occasione del 70° anniversario della distruzione, nell’incontro con l’Amministrazione comunale della «Città martire» ha rievocato quest’immagine della «bianchezza delle rovine» del monastero benedettino che colpiva tutti coloro i quali, come lui, si recavano in quegli anni da Napoli a Roma transitando con mezzi di fortuna ai piedi del monte Cassino.
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1 – I trinceroni che lo scrittore riferisce d’aver trovati sul Monastero erano stati costruiti dopo che i Tedeschi avevano occupato le rovine dell’Abbazia, cioè dopo il bombardamento del 15 febbraio 1944.
2 – Sebbene l’asserzione del Gander sia una semplice ipotesi, che di fatto non si realizzò mai prima del bombardamento del Monastero, va rilevato che i Tedeschi avevano dei posti di osservazione nelle alture montuose alle spalle dell’Abbazia. Alture che potevano essere prese di mira benissimo, ed a volte infatti lo furono, senza che venisse in questione la distruzione del Monastero.
Ed anche ammessa la supposizione del Gander, che cioè «ai Tedeschi era sempre possibile stabilire ecc.» non riteniamo che questa possa giustificare la totale distruzione delle fabbriche dell’Abbazia. A parte la logica poco convincente dell’argomentazione del Gander , che cioè per la preoccupazione di poter eventualmente colpire il Monastero (ove implicitamente si ammette che non v’erano soldati) si decise di distruggere tutta la Badia, osserviamo che anche ove si fosse entrati nell’ordine del Gander, avrebbero potuto essere danneggiate fortuitamente o coi cannoni o con azioni aeree le fabbriche (come d’altronde lo erano state prima del bombardamento), ma non si sarebbe dovuto distruggere in proposito tutto il Monastero, facendone l’unico obbiettivo del terribile bombardamento del 15 febbraio 1944.
3 – Purtroppo però la guerra ha toccato anche Valvori.
4 – Il P. D. Girolamo che, contrariamente a quanto scrive il Gander, era presente al colloquio da lui avuto con l’Abate Rea, al leggere queste asserzioni dello scrittore, gli scrisse immediatamente contestando che l’Abate avesse affermato che a 30 metri dal Monastero v’erano piazzati dei cannoni. Il Padre faceva notare che l’Abate aveva affermato che a circa 30 metri in linea d’aria dalle mura del Monastero, lungo la strada che ad esso conduce, in una grotta della montagna, v’era un deposito di bombe da mortaio, e lungo la stessa strada si tenevano nascosti durante il giorno due carri armati che nella notte si portavano nel tratto di strada prospiciente la città di Cassino e centravano le posizioni alleate.
Il Gander rispose al P. Girolamo con sua lettera del 13/2/’50 in questi termini:
«Sono oltremodo spiacente che, a causa delle difficoltà nell’esprimerci, io abbia frainteso quanto asseriva il P. Abate, sulla questione della esistenza di cannoni tedeschi vicino al Monastero. Tuttavia, se i tedeschi avevano un deposito di bombe a 30 m. dal Monastero, si trattava certamente di bombe da mortai, e questi il senso comune suggeriste che fossero tenuti anch’essi nascosti. I Tedeschi non avrebbero potuto trasportare le bombe per lungo tratto di strada. Inoltre i due carri armati, a cui lei accenna, avevano certo i loro cannoni!».
In proposito teniamo a chiarire, in base ad inequivocabili testimonianze, che il deposito di bombe da mortaio, a cui si accenna, serviva a rifornire un gruppo di quattro mortai che si trovava ad oltre 300 m. in linea d’aria dal Monastero, precisamente in località Monte Venere. Ogni sera i Tedeschi rastrellavano degli uomini fra la popolazione civile che vagava intorno al Monastero e li costringevano a trasportare 32 bombe dalla grotta in parola a Monte Venere. Ci hanno assicurato di ciò alcuni civili rastrellati dai Tedeschi per tale sgradito compito, ad esempio il Signor Boccia di Cassino. I carri armati poi si tenevano nascosti durante il giorno nel folto bosco che ricopriva la strada per Montecassino, e nella notte si dirigevano nella zona della montagna prospiciente Cassino e la località cosiddetta «Bersaglio» quindi a 100, 200, 300 o più metri dal Monastero, e centravano gli obbiettivi alleati.
5 – È piuttosto la massima parte.
6 – Si tratta di un malinteso. Non è stato l’Abate a fare il giro in America, bensì un monaco di Montecassino.
7 – Per l’esattezza: l’Ab. Diamare al tempo della distruzione aveva 79 anni, e morì un anno e mezzo dopo, il 6 settembre 1945.
8 – Gli Alleati lanciarono i manifestini, con cui invitavano i civili ad abbandonare il Monastero, nel tardo pomeriggio del 14 febbraio, di modo che non fu possibile organizzare il difficile esodo dei civili per la mattina del 15. Esso era stato fissato per la notte tra il 15 e il 16 febbraio, pur lasciando ad ognuno la libertà di abbandonare anche subito il Monastero. Inoltre al momento in cui furono lanciati i manifestini il Monastero aveva già ricevuto parecchie centinaia e forse migliaia di cannonate, e per chi era sicuro che nel Monastero non v’erano soldati o apprestamenti militari, era ben difficile immaginare che il Monastero sarebbe stato davvero bombardato di proposito e raso al suolo con un’azione aerea oltremodo massiccia.
Si avverte infine che i manifestini furono lanciati per mezzo di proiettili: come si poteva aspettare che i monaci o i civili li raccogliessero sotto quella grandinata? Solo per caso nel pomeriggio un solo civile ne vide uno, e poté avvisare gli altri ricoverati.
9 – Crediamo che tali posizioni consistenti solo nella grotta adibita a deposito di bombe e nei due carri armati, posizioni tutte situate a 30-40 metri in linea d’aria dal Monastero, potevano essere centrate senza la distruzione totale del Monastero, che, anche in caso di azioni aeree su tali posizioni, avrebbe potuto subire seri danni, ma non sarebbe stato distrutto integralmente come avvenne col lancio di 453 tonnellate di bombe.
10 – Ma il Monastero non fu distrutto perché le forze aeree non riuscirono a centrare le posizioni distanti trenta metri, ma perché di proposito si centrò il Monastero stesso.
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Il bombardamento di Montecassino fu voluto dagl’Inglesi
(Dal giornale «Il Crociato-The Crusader» di Brooklyn del 7 gennaio 1950)*
Si parlerà sempre di Montecassino. Perché l’Abbadia fu abbattuta? Chi diede l’ordine di aprire il fuoco? Chi schiantò in quattro ore l’Archicenobio che aveva millequattrocentoquindici anni di storia?
Fu quella una delle pagine nere della guerra, forse la più fosca.
Si disse che l’Abbadia, prima dell’assalto, fosse adibiti dai Tedeschi a «posto di segnalazione». Si mentì deliberatamente. Il 15 febbraio 1944, giorno del bombardamento, il Vescovo Gregorio Diamare, Abate di Montecassino, che era sul posto, firmava di proprio pugno questa dichiarazione: «Confermo che nessun soldato tedesco trovavasi o trovasi nel Monastero».
La testimonianza del compianto Vescovo-Abate veniva avvalorata da quest’altra: «Noi D. Niccolò Clemente, Amministratore del Monastero di Montecassino, e D. Francesco Falconio, delegato vescovile degli Uffici amministrativi della Diocesi di Montecassino, rimasti incolumi dall’attacco aereo che il 15 febbraio ha distrutto l’intiero Monastero, dichiariamo che nessun armamento difensivo tedesco o truppe, o qualsiasi genere di materiale bellico trovavansi nel Monastero e nelle vicinanze».
Dopo il bombardamento l’Osservatore Romano pubblicava: «Mancano in Vaticano prove che l’Abbadia fosse adibita dai tedeschi a posto di segnalazione». Faceva eco il giornale «Tablet» di Londra: «Molta gente qui (in Gran Bretagna) non si preoccuperà affatto (delle dichiarazioni dell’Abate Vescovo e dei monaci cassinesi): si concluderà che le dichiarazioni dell’abate Diamare e dei suoi confratelli, se non falsificate, furono carpite dai Tedeschi per forza o sotto ogni forma di minaccia. Ma noi non crediamo che, mai, uomini siffatti possano essere costretti o comunque sospinti ad ammettere falsità di tal genere». E aggiungeva: «Quando si andava preparando l’opinione pubblica al bombardamento dell’Abbadia, si diede ad intendere che bisognava toglierla di mezzo per prendere Cassino. Ciò non è avvenuto».
E ciò confermava Hanson Baldwin, critico militare del New York Times quando annotava, il 17 marzo 1944, che il monastero fu «futilely pounded into ruble» (futilmente ridotto in rovina). Parole ribadite dal giornale «Progressive» di Madison, Wisconsin, che scriveva: «Futile fu la distruzione di questo grande monumento della Civiltà Occidentale. Nei circoli diplomatici militari di Washington viene ammesso che l’Abbadia poteva essere risparmiata senza sacrificare una sola vita americana o inglese. Perché il Monastero non fu salvato è un mistero».
Un giornalista dal fronte (e la corrispondenza fu a suo tempo segnalata dal Crociato) riportò: «Quanti soldati che assistettero alla morte del Monastero sapevano che cosa fosse Montecassino? Un colonnello disse: «All I know about this place is what I read in Baedeker» (Tutte le mie conoscenze a riguardo di questo luogo si limitano a quanto ho letto nella Guida d’Italia «Baedeker»).
Tutti i soldati da me interrogati, inglesi o americani, non sapevano che cosa Montecassino significasse. Sino
a quando il Monastero era in piedi rappresentava un ostacolo, ed un ostacolo che dava ai nervi. Poi, quando fu ridotto in macerie, i soldati capirono. E la cosa terribile è questa: che si dovette bombardare Montecassino pur sapendo che la fine di Montecassino non ci avrebbe dato Roma né fatto vincere la guerra; e ci aiutò soltanto a prendere una posizione …».
Ma – ed eccoci alla domanda cruciale -: Chi diede l’ordine di far fuoco? Furono gli Americani? Furono gl’Inglesi?
Si disse, in un primo tempo, che fosse stato il Generale Mark Clark, Comandante della 5 armata statunitense e dell’11 gruppo di armate alleate in Italia; ma non fu lui. Il Col. Francis A. Markoe, ufficiale al comando di Clark, ha precisato: «Il
bombardamento, oltre che militarmente inutile, fu un danno alla campagna degli alleati. Non soltanto fu mandato in rovina un bel Santuario cristiano, quanto si diede agio ai tedeschi di occupare l’Abbadia, che prima del bombardamento essi non avevano usata, e di trincerarsi sulle posizioni di vantaggio di cui si servirono per arginare la nostra avanzata. È inesatto dire che l’ordine di aprire il fuoco fosse stato dato dal Gen. Clark. L’ordine venne da autorità più alte e fu dato nonostante il parere contrario espresso dal Gen. Clark. La job non va attribuita a lui».
La job va attribuita agl’Inglesi; precisamente al Generale Freyberg, che prendeva ordini da Churchill e che era al comando di due divisioni neozelandesi e di indù. Ciò ha rivelato il Generale francese Juin in un articolo apparso testé sulla rivista «Mercure de France». Il Juin faceva parte dello Stato Maggiore interalleato per le operazioni di Cassino e assistette alle discussioni del Comando, prima della scarica dei bombers. Clark, che aveva già perso due divisioni nei vani attacchi, chiese un rincalzo e gli vennero destinate le due divisioni di Freyberg. Questi, un veterano della guerra distruttiva per cui era rimasto famoso a Tobruk, insisteva per l’impiego di forti masse aeree di rottura, dopo le quali mandare avanti reparti corazzati con seguito di fanteria. Clark si oppose; ma la decisione di Freyberg prevalse, probabilmente perché egli gettava nella battaglia il materiale «uomo». E l’Abbadia fu condannata. Duecentoventinove fortezze volanti (rapporto del Gen. Maitland Wilson) gettarono complessivamente 453 tonnellate di bombe. Di dieci monaci e di circa millequattrocento civili, 400 perirono, parte sotto le macerie e parte mitragliati nella pazza fuga all’estero. Fu onta!
Su quel fatto d’arme assai discutibile dovrebbe esser fatta completa luce «ufficiale». Già furono tentate a Washington indagini; dovrebbero essere proseguite e mai più soffocate. Dovrebbe dirsi la verità.
L’esige l’onore dell’Esercito Americano.
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* L’articolo, riproposto integralmente, appare inserito come IX capitolo nel volume curato da d. Girolamo Panaccione, La distruzione di Montecassino. Documenti e testimonianze, Montecassino 1950, pp. 131-135. Di orientamento cattolico, «Il Crociato – The Crusader» era un periodico italo-americano di Brooklin (New York), stampato in italiano e pubblicato tra il 1933 e il 1973. La rivista settimanale ebbe una più forte diffusione soprattutto nel corso della seconda guerra mondiale quando fu distribuito tra i soldati italiani internati nei campi di prigionia ubicati negli Stati Uniti.
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