I Cassinati e la loro ricostruzione nella mostra del CDSC-onlus


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Studi Cassinati, anno 2014, n. 2
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di Emilio Pistilli

014-1Nel 50° della distruzione di Cassino e Montecassino, l’allora e di nuovo oggi sindaco Giuseppe Golini Petrarcone lanciò una sorta di concorso di idee per creare un motto per la risorta città. Nel mio libro Cassino dalle origini ad oggi, di quello stesso anno 1994, suggerii il motto della Fenice: «Post fata resurgo», perché risorta dopo il tragico destino. Naturalmente non se ne fece nulla. Ma il mio intento era quello di andare oltre la memorialistica di guerra e guardare al periodo successivo, quello che mostrò l’eroica volontà dei Cassinati di ridare vita a ciò che sembrava definitivamente perduto.
Anche quest’anno le celebrazioni per il 70° anniversario hanno dato sfogo ad ogni genere di commemorazioni legate ai tragici eventi del 1943/44; eventi per i quali la città fu resa martire meritandosi l’importante riconoscimento della medaglia d’oro al valor militare.
Il Centro Documentazione e Studi Cassinati (CDSC-onlus), invece, ha ritenuto di dare il proprio contributo al settantennale con una mostra dedicata esclusivamente ai primi anni della ricostruzione: «Cassino 1944-1954». Lo ha fatto con materiale assolutamente inedito di provenienza esterna all’ambito cittadino o locale: dunque la ricostruzione non narrata dai protagonisti, ma vista da lontano, esente da quella che un malaccorto commentatore locale ha definito “retorica”.
014-2L’esposizione presso la sala «S. Antonio» in Corso della Repubblica (11-21 maggio 2014) messa a disposizione dal premuroso parroco d. Benedetto Minchella, si è articolata in tre sezioni: una raccolta di foto di proprietà del socio Gian Domenico Fargnoli; una raccolta di pagine di riviste dell’epoca, per lo più straniere riprodotte in pannelli di grande formato, che testimoniano le prime fasi della ricostruzione, nonché altre foto, tutte di proprietà del vice presidente Alberto Mangiante; due filmati, assolutamente inediti, uno prodotto dall’università del Tennessee risalente alla fine degli anni Quaranta, ed un altro dei primi anni Cinquanta: anche questi di proprietà di Alberto Mangiante. Tra coloro che si sono adoperati maggiormente per l’allestimento vanno segnalati, oltre il presidente dott. Gaetano de Angelis Curtis, l’ing. Arturo Gallozzi, il rag. Fernando Sidonio, tutti del Direttivo CDSC, e, naturalmente, lo stesso Alberto Mangiante validamente coadiuvato dai figli Chiara e Marco, unico sponsor la tipografia Ugo Sambucci.
La mostra, nei dieci giorni di apertura, ha registrato un vero record di visitatori, molti dei quali sono tornati più volte in sala, attratti soprattutto dai filmati che riproducevano immagini e scene della Cassino che tornava a vivere tra le macerie e le case in costruzione: scene di vita a volte toccanti perché rievocavano un tempo ormai lontano ed una società animata da dedizione e spirito di collaborazione. L’emozione degli anziani visitatori si manifestava all’apparire di luoghi e persone relegati ormai nel bagaglio dei ricordi o alle 014-3immagini di donne al lavoro, insieme agli uomini, con pala e piccone e con pesanti “caldarelle” di ferro in testa piene di cemento: a quelle donne andrebbe dedicato un monumento.
Sì, era realmente toccante vedere quelle persone fortemente impegnate nel lavoro manuale e pensare che erano quelle stesse persone che con la guerra avevano perso tutto, casa, beni materiali, affetti; tutto, ma non la volontà e la speranza di ricominciare, di ridare un futuro ai propri figli. È retorica questa?
Non si contano i visitatori che chiedevano copia dei filmati: segno, questo, del vivo interesse per quelle immagini.
Diciamo che la mostra del CDSC è stata un apprezzatissimo omaggio alla Città Martire. Lo spirito con il quale il sodalizio ha voluto realizzarla era in piena sintonia ed a conforto con un’altra sua iniziativa: la richiesta della concessione di una medaglia d’oro al merito civile ai Cassinati che, sfidando ordigni inesplosi tra le macerie, il rischio di crolli e la malaria perniciosa che falcidiò il territorio, senza mezzi e con le nude mani, operarono quel miracolo che lo Stato italiano volle assumere come simbolo della ricostruzione nazionale.

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