Le tre cinte di Montecassino


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Studi Cassinati, anno 2014, n. 2
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di Anna Maria Arciero

Il motto coniato dall’abate Rea, «Ubi erat uti erat», «Dov’era com’era», è stato il motivo ispiratore, geniale nella sua semplicità, di tutta l’opera di ricostruzione dell’abbazia di Montecassino, dopo essere stata sbriciolata dal terribile bombardamento del 15 febbraio 1944 che la ridusse a uno spaventoso cumulo di macerie. Morirono sotto quei crolli centinaia di civili innocenti, che si erano illusi della inattaccabilità dell’abbazia pregna di storia millenaria; andarono irrimediabilmente persi autentici tesori d’arte, testimonianze della cultura e della creatività umana di tutti i tempi.

Paolo Guillame, Descrizione storica e artistica di Montecassino.

Paolo Guillame, Descrizione storica e artistica di Montecassino.

Eppure una delle bombe da 250 kg, ad alto potere esplosivo1, che s’abbatterono sulle sacre mura, alle 9.45 di quell’infausto 15 febbraio ’44, un merito – e sembra assurdo e fuori luogo chiamarlo così – ce l’ha!
Cadendo sul lato destro dell’ingresso secondario, la bomba ha svelato l’esistenza di un muro dalla struttura precisa: macigni con una accentuata bugnatura, tagliati a spigoli obliqui e incastrati vicendevolmente, che ogni visitatore può ammirare se prima di varcare la soglia si sofferma a osservare la possanza dell’edificio. Dai ricostruttori del dopoguerra, con estro artistico e rispetto per l’archeologia storica, ne è stato lasciato in vista uno squarcio di circa dieci metri.
Al primo sguardo il visitatore conclude che si tratti delle fondamenta dell’abbazia, ma non è così. È la cosiddetta “terza cinta” di Montecassino.
La seconda cinta è il muro poligonale che, arrivati alla sommità, costeggia la strada e che, fortunosamente, si è mantenuto integro anche sotto la furia della guerra. Tale muraglia (vedi Ill. 1)2 era la cinta esterna dell’acropoli e si diramava dalla porta situata all’incirca dove oggi inizia il parcheggio dei pullman, saliva sino all’odierno cancello, poi tagliava in diagonale passando sotto l’attuale biblioteca e circondava, come in una sorta di poligono irregolare – in tutto circa 1200 metri sommando la lunghezza dei vari tratti – tutta l’altura, ricongiungendosi alle prime mura, uniche rimaste, che si notano arrivando sotto S. Agata. Qui c’era dunque la porta – porta vetere3 – della cinta esterna dell’acropoli che S. Benedetto trovò al suo arrivo nel 529. Acropoli con funzione di culto e di rifugio in caso di guerre, una fortezza-santuario, costruita per proteggere un luogo sacro.

Ill. 1: Planimetria dell’Acropoli (Giuseppe Quandel).

Ill. 1: Planimetria dell’Acropoli
(Giuseppe Quandel).

Il percorso della seconda cinta di Montecassino fu individuato nel 1879 da dom Giuseppe Quandel, che prima di vestire la tonaca, nel 1864, era stato ingegnere militare nell’esercito napoletano. I disegni furono utilizzati – certamente perché condivisi – dal cardinale Bartolini nelle relazioni del 1880 sull’antico monastero di Montecassino, poi dell’ing. Alinari in un convegno storico a Montecassino nel 1930 e infine in Casinum dal Carettoni nel 1940. Questa muraglia risale all’epoca sannitica  (VI-IV secolo a.C.), affine, per la tipica struttura a facce incastrate e levigate, atte a scoraggiare scalate nemiche, alle muraglie di Alatri, Ferentino, Arpino, Segni, Formia, Minturno, Boville Ernica.
Spesso, nel corso dei secoli, tali mura, ritrovate durante lavori di scavo, sono state inglobate con l’espansione del monastero; più spesso però ne sono state utilizzate le pietre per la costruzione di altre opere. Ad esempio, nel 1821, nella zona della porta, furono tolti grossi macigni dalle truppe costituzionali mandate da Napoli per ostacolare l’avanzata dell’esercito austriaco, che stava riportando sul trono Ferdinando I. In quell’occasione, prevedendo una difesa prolungata, le truppe adoperarono i macigni per costruire a secco dei fortini. Così riporta il Pantoni4, traendolo da un manoscritto di V. Bovio: «Verso la parte di Oriente (del podere di S. Agata), ove sono le mura ciclopiche, si volle anche continuare la costruzione del muro per i Fucilieri. Per ciò fare non si ebbe ritegno toliere gran numero di quegli smisurati macigni e precipitarli nel sottostante suolo.

Ill. 2: Montecassino e dintorni (planimetria G. De Marco).

Ill. 2: Montecassino e dintorni (planimetria
G. De Marco).

I quali in seguito furono adoperati per la fabbrica del Monistero».
Anche la porta, descritta dal Gattola5 nei primi anni del Settecento, fu demolita nel corso dello stesso secolo per contribuire alla costruzione dell’ospizio. Così pure, nel 1887, per aprire al traffico il nuovo percorso rotabile6, che intersecava la muraglia, ne fu tagliato un pezzo all’incirca laddove parte la strada che scende verso l’Albaneta, e infatti chi arriva vede la muraglia a sinistra e a destra. E ancora il Pantoni precisa che all’epoca dei lavori settecenteschi, molte delle pietre che il Quandel poi scoprì essere appartenute alla seconda cinta, erano state utilizzate «senza esitazioni di sorta». Nei lavori del dopoguerra, ampliando gli squarci delle bombe per lavorare meglio, si è avuta conferma dell’esistenza di questo muro. Fa tenerezza il Pantoni quando parla di certi tratti che andavano a suo giudizio conservati: «Questo avanzo meritava certo di essere mantenuto, e lo scrivente si adoperò a questo intento, ma senza successo». Il fervore della ricostruzione ha frenato l’iniziativa dell’infaticabile monaco.
Dalla porta partiva un’altra muraglia, la cosiddetta prima cinta, la più antica, che scendeva, con una struttura più povera, non imponente come la seconda, sino alla vecchia Casinum, inglobava il teatro romano, percorreva la via Latina, cingeva la Rocca Ianula e risaliva sino all’angolo settentrionale dell’acropoli, lungo il cosiddetto «burrone della Rocca Ianula», con un percorso totale di circa 4,5 Km. (vedi Ill. 2)7. Casinum e la rocca erano quindi racchiuse in una recinto trapezoidale. Si tratta di una muraglia di tipo ciclopico, con blocchi di grande proporzioni e di forma irregolare, anch’essa risalente all’epoca sannitica, che si adegua alla conformazione del terreno e ne sfrutta le pendenze e le asperità. È affine per tipologia alla muraglia dell’antica Aquilonia, che Emilio Pistilli8 sostiene essere la località sannitica sulle alture di monte Sambucaro, dove si scontrarono Sanniti e Romani, secondo quanto narrato da Tito Livio in Storia di Roma.

Ill. 3: Mura sotto l’archivio.

Ill. 3: Mura sotto l’archivio.

Va ipotizzato, dunque, che se la muraglia era sorta come protezione e difesa, il territorio fosse abitato. O meglio, ci dovevano essere stanziamenti umani ma limitati, data la penuria d’acqua. Lo dimostra il materiale fittile, risalente probabilmente all’età del bronzo o del ferro (vasetti votivi, statuine, ora al Museo Preistorico «Pigorini» di Roma) ritrovato durante la guerra del 1915-18, quando le pendici di Montecassino furono rimboschite dai prigionieri austriaci. Anche l’indomito dom Angelo Pantoni, negli anni 1941-43, nel pieno della II guerra mondiale, ritrovò su monte Puntiglio frammenti di vasellame. Pantoni, parlando di tali ritrovamenti – peraltro andati persi nel bombardamento, ne restano solo delle foto – e della muraglia che scendeva giù9, sosteneva che  erano opera di popolazioni locali, forse Sanniti o Etruschi o Volsci, difficilissima l’attribuzione, ma certamente alle «scaturigini della storia d’ Italia». In quei secoli (VI-IV sec.) la Cassino pre-romana era certamente al centro delle rotte commerciali tra Etruria e Campania e rappresentava un itinerario di transumanza per le popolazioni italiche. Il muro recingeva un’area dove riparare forse bestiame e persone in caso di assalto. È talmente incerta la sua origine che persino Marco Terenzio Varrone (116-27 a. C.), che dalla sua villa presso le terme poteva osservare interamente la poderosa cinta muraria, ne colloca le vicende tra storia e mito, attribuendole ai mitici Pelasgi10.
Invece il terzo tipo di muraglia, quella svelata dalla bomba “innocente”, era già stata messa in luce, parzialmente, in occasione dell’apertura di un nuovo ingresso – l’odierno ingresso secondario – nel 1879, precisamente il 25 agosto. Per aprire il nuovo varco, il muro fu abbattuto senza porsi tanti interrogativi. Nel 1942, in occasione della posa di alcune tubature sotto l’archivio, fu notato che tale muro proseguiva sotto la

Ill. 4: Porta anteguerra.

Ill. 4: Porta anteguerra.

costruzione, ma fu lasciato indisturbato. Fu solo nel dopoguerra che venne analizzato, studiato con attenzione e valorizzato. Scavando estesamente nelle grandi voragini aperte dalle bombe, è venuto alla luce «un grande muro dallo sviluppo di una settantina di metri, 40 di lunghezza con i due lati contigui a delimitare una vasta area quasi quadrata»11. Esso sorge da molto più in basso di quanto possiamo vedere noi oggi, ché il dislivello tra ingresso principale e secondario è stato colmato da un terrapieno in salita. Lo dimostra anche il grande quadro dei fratelli Bassano ubicato nel refettorio, ma andato perso con l’ultima distruzione. Il quadro raffigurava S. Benedetto che distribuisce il pane della Regola, con il Patriarca con le fattezze del volto di S. Filippo Neri. In esso il monastero era rappresentato con un grande muro ciclopico alla base. Si tratta di una cinta di sostruzione, ossia di rinforzo e sostegno alla piattaforma su cui sorgeva il tempio pagano che S. Benedetto trovò al suo arrivo sulla sommità e che trasformò in oratorio di S. Martino. Lo

Ill. 5: Porta dopoguerra.

Ill. 5: Porta dopoguerra.

spessore è di circa due metri e verso l’interno non esiste la stessa lavorazione dell’esterno, segno evidente della sua funzione di terrapieno.
Un’epigrafe latina con dedica a Giove, ritrovata, in occasione dell’apertura dell’ingresso ordinario, inserita nel basamento di una torre medioevale nel 1879 fa datare tale muraglia al periodo romano – dal III sec. a. C., non oltre il I secolo d. C. – appartenuta forse a un pagus, uno dei tanti che, prima della cristianizzazione, erano sparsi nelle campagne.
Anche il muro è quindi rapportabile a tale periodo. E la fattura, precisa nel sapiente taglio delle facce, maestosa nella sovrapposizione dei macigni dalla bugnatura pronunziata, anticipa una tecnica muraria ancora in uso nelle odierne costruzioni: l’isodomia, ossia quella maniera di collocare la seconda fila di blocchi o mattoni in modo che le fughe non siano allineate ma risultino a metà del corpo sottostante.
Il pensiero corre subito a dom Angelo Pantoni. In tanto sfacelo, demoralizzato e rattristato, avrà trovato un attimo di entusiasmo. In fin dei conti, quella che scoprì quel muro non era stata una bomba “assassina”.

1 Il generale inglese Francis Tuker, comandante della quarta divisione indiana, aveva letto su un opuscolo acquistato su una bancarella di Napoli, che le mura del monastero avevano una profondità e consistenza tali da richiedere l’impiego di bombe dirompenti ad alto potenziale (L. Garibaldi, Gli eroi di Montecassino). Si trattava della Descrizione storica e artistica di Montecassino, un libricino di cm. 9,5×13,5 e di 284 pagine, scritto da d. Paolo Guillame e stampato dalla Tipografia di Montecassino nel 1879, che riportava, in appendice, un breve Saggio storico su Casinum e notizie su S. Germano e Cassino. Fred Majadalany, in La battaglia di Cassino, riporta testualmente il memorandum con cui il generale Tuker caldeggiava la distruzione dell’abbazia, «spina nel fianco» per le truppe alleate. Poche righe più sotto Majadalany riferisce che «poco dopo questi fatti Tuker fu colto dai postumi di una malattia tropicale di cui soffriva da anni. Per un paio di giorni diresse i piani della battaglia dal suo letto di campo, ma poi dovette passare il comando al generale di brigata Dimoline». Se al primo sostenitore della distruzione dell’abbazia sarà dispiaciuto, a noi cassinati procura una sorta di rivincita apprendere che, almeno, non si è potuto «godere lo spettacolo».
2 Tratti in neretto all’interno della pianta del monastero = muro di sostegno della piattaforma su cui insisteva il tempio pagano.
Tratti in neretto all’esterno del monastero = muro poligonale (ancora esistente) che cingeva l’Acropoli con un percorso irregolare, quale si evince dal tratteggio.
Le frecce (in alto a destra e in basso al centro) = punto di partenza dei due bracci di muraglia ciclopica che scendevano fino alla pianura, includendo Casinum e la Rocca.
3 Tale porta è visibile nella stampa secentesca del Mabillon.
4 A. Pantoni, L’Acropoli di Montecassino e il primitivo monastero di S. Benedetto.
5 E. Gattola, Historia Abbatiae Cassinensis.
6 La vecchia mulattiera, lastricata e più breve ma disagevole, saliva serpeggiando solo sul versante sud-est, mentre la rotabile gira anche sul lato nord-ovest.
7 L’intero percorso fu rilevato nel 1880 da G. De Marco, insigne topografo dell’Esercito Napoletano. La vecchia strada si snodava entro le mura di collegamento tra l’Acropoli e Casinum.
8 E. Pistilli, Aquilonia e San Vittore del Lazio.
9 A. Pantoni, Ecclesia, in «Rivista Illustrata», anno IX, n. 12, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma 1949. La trattazione è già stata pubblicata integralmente su «Studi Cassinati».
10 A. Betori, S. Tanzilli, Il Lazio meridionale tra storia e mito.
11 A. Pantoni, Ecclesia cit.

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