Studi Cassinati, anno 2014, n. 1
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di Sergio Saragosa
Il 28 giugno dell’anno 1914, a Sarajevo, in Bosnia, un irredentista serbo, Gavrilo Prinzip, assassinò l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico. Il 23 luglio l’Austria inviò un ultimatum alla Serbia, ritenuta responsabile dell’attentato. Quindi il successivo 28 l’Austria-Ungheria dichiarò guerra alla Serbia, cui seguì, il 31, la dichiarazione di guerra della Germania a Russia e Francia. Ebbe inizio così la prima guerra mondiale, meglio conosciuta come la «grande guerra», che nell’arco di cinque anni causò otto milioni di morti e più di venti milioni di feriti.
Allo scoppio della guerra il governo Salandra dichiarò la neutralità dell’Italia che non era stata consultata dall’Austria, sua alleata con la Germania nella «Triplice alleanza», un patto, però, esclusivamente difensivo. Nell’aprile dell’anno successivo, l’Italia firmò il Patto di Londra con i nuovi alleati dell’Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia) e il 23 maggio dichiarò guerra all’Austria-Ungheria (ma non alla Germania). Iniziate le ostilità, ben presto cominciarono ad affluire in territorio italiano i soldati dell’esercito austro-ungarico fatti prigionieri al fronte. Si rese, dunque, necessario allestire diversi Campi di concentramento dove internarli. Uno di questi fu costruito nel territorio del Comune di Cassino, in contrada Monterotondo, a metà, circa, della strada che conduce alla frazione di Caira. Poiché quest’anno ricorrerà il centenario dello scoppio della guerra, credo sia doveroso, tra le altre importanti vicende collegate a questo avvenimento, ricordare la realizzazione della struttura e, fatto importante connesso a questo Campo di concentramento, la permanenza tra le sue mura, quale prigioniero di guerra, del famoso filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, autore del Tractatus logico-philosophicus. In questo Campo il filosofo restò per molti mesi e non volle approfittare dell’intervento del Vaticano che si era attivato per la sua liberazione, dietro interessamento della sua facoltosa famiglia. Approfittò invece del forzato soggiorno per mettere a punto la sua teoria, intessendo una nutrita corrispondenza con Bertrand Russell.
Il C.D.S.C. è entrato in possesso di una serie di rare foto, fornite dall’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio di Roma che si ringrazia per la gentile concessione, relative alla costruzione di questo Campo e scattate durante i lavori di allestimento dei capannoni. Alcune di esse, che mi sono state fornite da Carlo Nardone, figlio di una nostra socia, appassionato di storia e sempre alla ricerca di documenti relativi in particolare alla nostra zona, sono qui proposte. In una, ad esempio, si nota chiaramente anche una donna addetta ai lavori. La manodopera femminile veniva utilizzata con il compito di liberare il terreno dai detriti. Questi poi venivano trasporti con un cesto di vimini che esse tenevano sulla testa. Tale particolare mi è stato confermato da un amico della contrada Monterotondo, la cui mamma svolse appunto questo lavoro. Un altro amico che possiede un appezzamento confinante con il Campo, lavorando il suo terreno ha rinvenuto nel corso degli anni non solo ornamenti delle divise degli allievi Carabinieri che furono ospiti del complesso negli anni tra le due guerre, ma anche monete dei soldati austriaci prigionieri.
Da documenti dell’epoca, redatti in occasione di un controllo effettuato dalla C.R.I. il 14 febbraio del 1919 risulta, tra le varie annotazioni, che «… Il campo è in una posizione amena alle falde del Monte Cassino. Si divide in due sezioni, una per la truppa, l’altra per gli ufficiali. Il recinto è formato di rete metallica. Le baracche sono in muratura, asciutte essendo pavimentate a cemento con molte e grandi finestre piene di aria e di luce. Sono distanti l’una dall’altra e i prigionieri sono distribuiti in esse secondo le varie nazionalità. Nulla manca nel campo. È pulitissimo, traversato da grandi viali adorni di fiori e di alberi. Vi è la Cappella per i servizi religiosi. Abbondanza di acqua, luce elettrica, bagni, lavatoi, cessi igienici, cucine, palestra per ginnastica e giuochi, sale da pranzo e infermeria. Alla truppa non manca il necessario e gli Ufficiali possono mangiare come vogliono, potendo acquistare tutto quello che desiderano e nel paese non manca nulla … ». Molto di quanto affermato nella relazione trova riscontro nella serie di fotografie scattate nel campo nel mese di giugno del 1918 alcune delle quali sono proposte in queste pagine.
Durante l’ultimo conflitto mondiale il Campo di Concentramento fu prima occupato dai tedeschi il 10 ottobre 1943, e poi venne usato come prima linea difensiva a ridosso del fiume Rapido. Serafino Vecchio, un carissimo amico scomparso di recente, mi raccontò un giorno un simpatico episodio della sua gioventù, legato a questo Campo. Al momento dell’occupazione tedesca alcuni capannoni erano utilizzati come magazzini di deposito e pieni, in particolare, di vestiario e calzature destinato, evidentemente, ai militari italiani. Il comandante tedesco requisì tutto il materiale e decise di utilizzarlo per le proprie truppe. Per confezionarlo si servì, dietro modesto compenso, del lavoro dei civili della zona. Costoro, dopo qualche giorno, incominciarono a far man bassa di scarponi, maglioni, pantaloni, calze e cappotti che indossavano uno sull’altro, assumendo un aspetto goffo e impacciato che fu notato dalle sentinelle davanti alle quali dovevano passare la sera per tornare a casa. Gli autori del furto furono presi a calci nel fondo schiena e accompagnati per un bel pezzo di strada in questo modo, oltre a essere licenziati sui due piedi. Coloro che li sostituirono, aggiunse Serafino con un sorriso divertito, cambiarono tattica e il materiale sottratto continuò a uscire dal campo volando a fagotti oltre il muro di cinta.
Attualmente le strutture e i manufatti del Campo, di cui si è già ampiamente trattato in due precedenti numeri del nostro Bollettino, dopo essere passate dal Ministero della Difesa all’Agenzia del Demanio nel 2007, versano nel più completo abbandono. Quel Campo in cui ha avuto modo di elaborare il suo pensiero Ludwig Wittgenstein sul quale, proprio in questi ultimi tempi, si è assistito a una ripresa degli studi. Infatti recentemente è stata pubblicata una interessante opera a cura di Michael Nedo, Wittgenstein, Una Biografia per Immagini (ed. Carocci, Roma 2013), così come l’interpretazione del suo pensiero è stata oggetto di un lavoro di Carlo Sini, noto filosofo italiano, Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio (Castelvecchi, Roma 2013). E noi che lo abbiamo avuto così vicino, lasciamo che inestricabili siepi di spine coprano ogni traccia della sua permanenza nella nostra zona. L’unica nota positiva a nostra discolpa è rappresentata dal lavoro pubblicato dal nostro concittadino, prof. Fausto Pellecchia: Tre Studi su Wittgenstein (Logica e poetica, Wittgenstein e il multiverso antropologico, Forma di vita ed etica”originaria”), stampato nel 2003 dalla tipografia Ciolfi.
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