Studi Cassinati, anno 2013, n. 1/2
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di Gaetano de Angelis-Curtis
Centocinquanta anni fa la storica decisione del Consiglio comunale della città di abbandonare la denominazione medievale di San Germano per riappropriarsi di quella più antica di Cassino
L’Unità d’Italia, sancita il 17 marzo 1861, determinò l’instaurarsi di tutta una serie di importantissime questioni di stampo politico, amministrativo, economico, territoriale ecc., al pari di quelle relative all’uniformità degli ordinamenti legislativi. Accanto a ciò, tuttavia, vennero affrontati anche altri problemi “secondari” fra cui, ad esempio, quello dei numerosi casi di omonimia tra i Comuni che, facenti parte fino ad allora di sette Stati differenti, con l’Unità si erano venuti a ritrovare nell’ambito di una nuova e unica realtà statuale, quella del Regno d’Italia. Per ovviare a tale tipo di inconveniente il ministero dell’Interno sollecitò tutti quei Comuni che ricadevano nei casi di omonimia a variare la loro denominazione, aggiungendo un suffisso di identità storico-geografico che lo caratterizzasse inequivocabilmente, oppure adottando un nuovo nome. Fu una questione, quella della variazione delle denominazioni dei Comuni, di portata inferiore rispetto ai ben più importanti problemi affrontati con l’Unità d’Italia ma, in definitiva, risultò relativamente “secondaria” in quanto le rettifiche e le adozioni dei nomi dei Comuni, per quelli che deliberarono in tal senso, sono poi rimaste tali e oggi se ne celebrano i centocinquanta anni dalla loro adozione1.
È appunto il caso di Cassino. Infatti anche la denominazione che la città aveva all’epoca, quella di San Germano2, offriva la possibilità «di frequenti disguidi e di altri inconvenienti» con altri centri del Regno che portavano lo stesso nome3.
Conseguentemente anche l’Amministrazione locale fu sollecitata, più volte, dai funzionari ministeriali ad adeguarsi alle direttive ministeriali al fine di giungere alla modifica della denominazione della città tanto da risultare come ultimo tra tutti i Comuni ubicati nella parte più settentrionale della storica provincia di Terra di Lavoro indotti a uniformarsi alle disposizioni ministeriali, a provvedere a variare la propria denominazione. Infatti il Consiglio comunale della città si riunì il 23 maggio 1863 e nel corso di quella storica seduta fu approvata, all’unanimità, la delibera di modifica totale della propria denominazione. Alla riunione consiliare, presieduta dall’assessore facente funzioni di sindaco Raffaele De Luca, parteciparono altri diciassette componenti dell’assise municipale (Nicola Fusco, Tommaso Coppola, Angelo Ponari, Ignazio Pinghera, Giovanni Cangiano, Luigi Matronola, Giovanni Ranaldi, Domenico Villa, Raffaele Danese, Silvestro Petrarcone, Paolo Gallozzi, Vincenzo Ponari, Crescenzo Cafari Panico, Carlo Tomasso, Erasmo Cinquanta, Lodovico Ciolfi e Loreto Lena), mentre undici furono gli assenti (Giuseppe De Vivo, Agostino Pansa, Vincenzo Ombres, Michelangelo De Crescentis, Pietro Fiorentini, Crescenzo Del Greco, Giuseppe Mascioli, Luigi Notarmarco, Federico Iucci, Francesco Marselli e Carlo Marone), cui si aggiungeva il trentesimo consigliere (Giosuè Danese) non menzionato nel verbale. La riunione si aprì alle ore sette pomeridiane con la discussione relativa al primo punto all’ordine del giorno in merito alla «identità del nome della Città». Di quella seduta fu stilato un verbale che, diversamente rispetto a quelli emessi da quasi tutte le altre amministrazioni locali interessate dalla questione, redatti in modo stringato e sintetico, si caratterizza per la sua lunghezza in quanto risulta costituito da sei pagine manoscritte riportanti un’approfondita disamina. Dopo le formalità di rito sulla validità della seduta e la verifica sul numero di consiglieri presenti, il presidente De Luca richiamò la sollecitazione ricevuta dal prefetto della provincia di Terra di Lavoro e invitò il consigliere Angelo Ponari4 a esporre la relazione con la quale si chiarivano i motivi per cui si intendeva giungere alla variazione totale della denominazione della città abbandonando quella medievale di S. Germano per riacquisire quella più antica di Cassino:
«Signori – volendo darsi altra denominazione alla città di Sangermano per non confondere questa con altri di simil nome esistenti in Italia, siamo di avviso di non potersi dare altra denominazione se non quella di Cassino, da cui essa trae origine e gloria.
Fu Cassino Città cospicua del Lazio, da Strabone detta Città memoranda, edificata per la costa del Monte, da cui prende nome la famosa Badia dei Benedettini detta di Montecassino. Senza riandare la sua origine, la sua storia, anteriore a quella di Roma, e ritira i suoi fasti, allorché fu confederata con i Volsci e con i Sanniti, diremo solo che essa fu memoranda anche al tempo dei Romani avendo acquistato l’onore di Municipio, e di vivere libera con le sue proprie leggi. Prove ne sono tre antiche lapidi, e la famosa aringa di Cicerone in difesa di Planco. Per la qual cosa essa ebbe i suoi tre ordini di Magistrati e di Ministri addetti ai sacrificî, i cui nomi si leggono ancora negli antichi marmi. I monumenti sopravvissuti alla edacità del tempo ed alla mano degli uomini, quali sono il teatro, l’Anfiteatro, ed un ipogeo convertito in tempio cristiano, nonche gl’infiniti avanzi di lapidi, di colonne di metopali sparse in tutto il suolo di Sangermano, come pure il bel tempio di Santa Maria delle Cinque torri, edificato sopra colonne, e nel sito del foro Casinale ci sono argomento non dubbio della grandiosità e magnificenza di Cassino. Fu essa patria di molti illustri uomini, e molti ricchi e dotti romani vi presero stanza, e vi possedettero deliziosissime ville, tra i quali fu Varrone, il cui solo nome basta ad onorare qualsiasi Città. Bello è il leggere nella sua opera De Re Rustica la descrizione che questo dottissimo uomo fa della sua villa in Cassino, ora detto Monticelli, in cui tra le altre cose asserisce come possedesse colà una ricchissima Biblioteca ed un vasto Museo. Per la qual cosa Cicerone bene a ragione chiamava quel luogo Santuario della Scienza, e sceglieva parole piene di sdegno con Marcantonio, che un tempo ne fece convegno di amici rotti ad ogni maniera di vivere. Tramontata poi la stella dell’Impero di Roma, ed
invasa l’Italia da mille generazioni di barbari, coll’impero caddero anche le più illustri Città d’Italia. Da prima i Goti, poi i Visigoti, indi i Longobardi portarono ovunque la desolazione. Ma quelli da cui appare Cassino avvi avuto maggiori guasti furono i Saraceni, i quali stanziati sulle rive del Garigliano, spesso rimontando le acque di questo fiume e quindi del Liri, che in questo confluisce, [apportavano] nelle Città interne, massime in Cassino, ogni sorta di devastazione. Fu allora che gli abitanti di Cassino assottigliati già molti nel numero per le antecedenti invasioni, pensarono di mutar sito, e ridursi in un luogo più sicuro, sebbene non molto lontano dal primo, quale fu il sito ove sorgeva il Foro circondato quinci e quivi da abbondanti sorgenti, e difeso da un piccolo Monte sulla cui cima edificarono un Castello. In tal guisa ebbe principio la Città, che ora dicesi Sangermano, e che vuolsi sia stata così chiamata da una reliquia di San Germano vescovo di Capua, che Lodovico Secondo nel trasportarne il corpo in Francia nell’anno 872 lasciò alla chiesa di S. Salvatore e che fu involata nei casi del 99. Intanto non ostante che questa novella Città preso avesse un nome di un Santo, come volevano i tempi in cui la voracità e la ferocia solevasi colorire col nome di religione, imponendo il nome di Santi a tante Città e villaggi, gli abitatori di Sangermano furono sempre vaghi d’intitolarsi del nome di Cassino, onde nello loro scritture, nei marmi sepolcrali, ed altrove solevano dirsi Casinali, o di Cassino, o vulgo Sangermano. Non è a dire poi quanto furono teneri anzi possiam dire orgogliosi, della loro origine da Cassino. Basterà leggere le cronache della Città per rimanere convinti. Per la qual cosa conchiudiamo che dovendo la Città di Sangermano mutare il nome, essa non possa prenderne altro che quello di Cassino, sì perché questi è il nome che avea la Città da cui ha origine Sangermano, sì perché così è tuttavia chiamato il Monte alle cui falde giace la nuova Città, sì in ultimo percheé questo nome si rannoda ai tempi gloriosi della nostra Italia, la quale col senno e con la mano seppe addivenire la regina del Mondo».
Dopo aver posto ai voti la proposta, il Consiglio, «ritenendo che all’attuale denominazione niente altro p[otesse] sostituirsi che quella di Cassino che ha quasi serbata in ogni tempo, spontaneamente si proponeva fare tale sostituzione fin dal decorso anno», all’unanimità deliberò «che la Città di Sangermano» assumesse «la denominazione di Città di Cassino». Alla deliberazione consiliare fece seguito l’autorizzazione sovrana, concessa con Regio decreto 26 luglio 1863 n. 1425.
Va aggiunto che qualche mese dopo i funzionari del ministero dell’Interno si accorsero che la variazione della denominazione in Cassino aveva determinato l’insorgere di un’omonimia con un altro Comune del Regno, per cui con nota del 5 dicembre 1863 il sottoprefetto di Sora chiese di tornare a modificare il nome aggiungendo un «qualche appellativo» che riuscisse a contraddistinguerlo. Quindi la questione tornò a essere oggetto di discussione in un’altra seduta di Consiglio comunale, tenutasi, sempre sotto la presidenza di Raffaele De Luca e alla presenza di venti consiglieri, il 15 marzo 1864. Dopo aver discusso «maturamente sulla proposizione», ribadendo che con la sostituzione del nome di Cassino a quello di Sangermano si era voluto espletare «un’aspirazione remota col riprendere la propria antica denominazione» e ritenendo che l’aggiunta di «un’appellativo qualunque» avrebbe finito per «infievolire la memoria di tante glorie per una Città cotanto cospicua» i cui «illustri ricordi dovevano «rivivere nelle generazioni tutte presenti e future, come antica colonia e Municipio de’ Romani, i [cui] divini fasti sono bellamente narrati dai diversi scrittori ricordati dal divino Alighieri», quel consesso municipale all’unanimità deliberò di «rimaner ferma la denominazione di Cassino ripristinata da questa Città»5.
Nessun’altra comunicazione ministeriale o prefettizia fece seguito a tale deliberato consiliare. La questione finì, dunque, per esaurirsi e la denominazione non fu più modificata.
Dunque da centocinquanta anni, cioè da quella storica assise tenutasi il 23 maggio 1863, la città si fregia del nome di «Cassino».
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