I caduti della Regia Nave “Roma” e il Lazio Meridionale Ritrovata dopo 69 anni dal suo affondamento: oggi sappiamo dove sono “sepolti” i nostri conterranei

 

Studi Cassinati, anno 2013, n. 1/2
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di Valentino Mattei e Alessandro Busonero1

046-09Introduzione del Comandante Pier Paolo Bergamini 2
Nel corso della stesura del presente lavoro si è rivelato molto interessante l’incontro avuto con il Comandante Pier Paolo Bergamini, motore di tante iniziative volte a ricordare i caduti del Roma nonché stretto collaboratore dell’ing. Guido Gay. Proprio i ripetuti incontri fra i due e gli studi delle carte nautiche hanno permesso il ritrovamento del relitto. Prima della pubblicazione dell’articolo abbiamo ritenuto doveroso inviarlo al Comandante che ci ha risposto come di seguito riportato:
Roma, 23 Aprile 2013
Carissimi Capitano Mattei e Capitano di Corvetta Busonero
Ho letto con particolare interesse l’articolo scritto da Voi e riguardante: I caduti della Regia Nave “Roma” e il Basso Lazio. Ritrovata dopo 69 anni dal suo affondamento, oggi sappiamo dove sono “sepolti” i nostri conterranei.
Ho trovato l’articolo correttamente documentato e molto ben scritto, sia per come descrive, anche se sinteticamente, l’evento storico al quale si riferisce, sia per il ritrovamento di tale unità. Gli episodi relativi al personale destano vivissima attenzione. Io sono particolarmente unito ai nati nel Basso Lazio perché possiedo una casa a Gaeta. Come Voi ben sapete, sono molto legato sia alla memoria dei Caduti di questo tragico scontro bellico aero-navale sia ai Superstiti della Regia Nave “Roma”. Ero inoltre molto amico di alcuni Ufficiali di Marina che, il 9 settembre 1943, erano imbarcati su tale unità tra cui il Comandante Scotto e l’Ammiraglio Incisa della Rocchetta, da voi citati. La lettura dell’articolo mi ha appassionato in maniera particolare.
Nel complimentarmi vivamente con Voi due, Vi saluto con particolare stima e moltissima cordialità!.

Pier Paolo Bergamini  
L’affondamento della corazzata «Roma», avvenuto il 9 settembre del 1943, è stato un evento che, associato all’8 settembre, proclamazione dell’Armistizio, ha segnato la storia d’Italia e delle Forze Armate italiane. Oggi, dopo 69 anni da quella tragica circostanza in cui persero la vita 1.393 marinai italiani, viene restituito alla Nazione il relitto di quella che fu la nave ammiraglia delle Forze Navali e da Battaglia della Regia Marina italiana durante la seconda guerra mondiale. Ritrovata dopo anni di ricerche a 1200 metri di profondità dall’ing. Guido Gay il 17 giugno 2012 a largo di Castelsardo (nord Sardegna), grazie a una sua invenzione denominata Plutopalla, “piccolo” batiscafo di forma sferica per l’esplorazione marina che raggiunge una profondità di 4000 metri, il relitto è stato riconosciuto dalla Marina Militare il 28 giugno 2012 a opera di due ufficiali inviati dallo Stato Maggiore della Marina sul luogo in cui è stato localizzato, quali il Capitano di Fregata Lamberto O. Lamberti, esperto di idrografia, e il Capitano di Corvetta Alessandro Busonero, esperto di media e pubblica informazione.
Le vicende che nel lontano 1943 hanno visto la RN «Roma» protagonista di uno degli eventi più tragici della storia italiana, sono state delineate più specificatamente in un articolo già pubblicato nel 2010 su «Studi Cassinati»3. Ora si ripercorrono brevemente tracciando, in aggiunta, il legame che esiste fra quell’evento e il Lazio meridionale in quanto su quella nave, ritenuta inaffondabile, erano imbarcati 21 uomini provenienti dai paesi e le città di tale territorio, di cui solo due, Cosmo Ciano ed Arru Mario, si sono salvati.
Il fatto storico 4
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 la flotta italiana lasciava La Spezia dov’era ormeggiata e si dirigeva verso La Maddalena. Presero il mare 23 navi tra cui la corazzata Roma su cui era imbarcato l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo della flotta italiana composta dalla 9ª Divisione (corazzate Roma, Vittorio Veneto e Italia) agli ordini dell’ammiraglio Enrico Accoretti; la 7ª Divisione (incrociatori Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta e Montecuccoli), comandata dall’ammiraglio Romeo Oliva; l’8ª Divisione (incrociatori Duca degli Abruzzi, Garibaldi e Attilio Regolo) comandata dall’ammiraglio Luigi Biancheri; la 12ª Squadra cacciatorpediniere (le navi Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite) comandata dal capitano di vascello Giuseppe Marini; la 14ª Squadra cacciatorpediniere (le navi Legionario, Oriani, Artigliere, Grecale, e la torpediniera Libra), comandata dal capitano di fregata Amleto Balbo; in ultimo, le unità della Squadriglia torpediniere «Pegaso» (Pegaso, Orsa, Orione, Impetuoso e Ardimentoso). Le navi salparono da La Spezia alle 02.25 del 9 settembre e vennero raggiunte da altre unità provenienti dal porto di Genova intorno alle 02.47. Alle 06.30 alla Squadra navale in navigazione si aggiungeva l’8ª Divisione e, circa due ore dopo, la formazione si completava con l’avvicinamento della Squadriglia torpediniere Pegaso. Alle 09.45 la formazione navale con rotta sud avvistava un ricognitore inglese (un Glenn Martin Marauder) che prese a girare intorno alla flotta. Alle 10.30 un altro avvistamento: un ricognitore tedesco. Le navi italiane presero a navigare a zigzag per evitare le traiettorie verticali delle bombe in caduta.
Passate le 12.00, quando veniva scorta l’isola dell’Asinara, le navi riassunsero l’ordine di navigazione in linea di fila cessando di zigzagare. Alle 12.34 si disposero per dirigere nelle acque prossime alla Maddalena. Alle 14.45 ricevettero un telegramma da Roma, dallo Stato Maggiore Marina nel quale veniva comunicato la caduta della Maddalena in mani tedesche. L’ammiraglio Bergamini decideva quindi di invertire la rotta in direzione dell’Asinara. Passarono una manciata di minuti e alle 15.10 nel cielo venne avvistata una formazione di 15 bombardieri tedeschi (Dornier 217 KII) con rotta “a puntare” sulle navi italiane. Scattò subito l’allarme aereo al quale seguirono i primi colpi di cannone antiaereo dalle navi. Alle 15.36 la prima bomba PC 1400X cadde in vicinanza della poppa della corazzata Italia sollevando un enorme muro d’acqua […] Alle 15.50 un’altra bomba PC 1400X colpì il lato sinistro della corazzata Roma che centrò la corazzata tra le torri contraeree 9 e 11 a metà nave. La bomba passò da parte a parte lo scafo ed esplose sottocarena causando l’allagamento dei locali caldaie e macchine di poppa. Le due eliche di dritta si fermarono, la velocità scese sotto i 16 nodi rispetto ai 22 iniziali, la nave si inclinò sulla dritta. Venne contro allagato a sinistra per compensare. Cadde l’antenna radar e il telemetro della stazione di tiro. La nave continuò a far fuoco antiaereo con i pezzi da 90/50 di dritta. La velocità continuò a diminuire. L’aereo della Luftwaffe pilotato dal sergente Kurt Steinborn, sganciò la sua bomba Frits x da 7000 mt. Dopo 42 secondi la bomba guidata dal sergente Eugen Degan colpì il ponte di coperta corazzato della nave che stava accostando a sinistra, a ridosso del torrione corazzato vicino al fumaiolo di prora, tra la torre 2 di grosso calibro e l’impianto del 152/55 di centrosinistra. La bomba scoppiò nel locale motrice di prora e causò inizialmente una grossa fuga di vapore oltre che l’allagamento del locale macchine di prora. Il deposito munizioni del 152 di prora sinistra deflagrò insieme al deposito munizioni numero 2 di grosso calibro (381 mm).
La torre numero 2 di grosso calibro venne espulsa (1500 tonnellate) come un tappo di spumante. Morirono ustionati dalle altissime temperature conseguenti alla deflagrazione tutti coloro che si trovarono nel torrione di comando, tra essi l’ammiraglio Bergamini e il Comandante Del Cima. Il più anziano in grado dei sopravvissuti, seppur gravemente ustionato fu il tenente di vascello Incisa della Rocchetta che riuscì a far defluire a poppa in maniera ordinata il personale e lo convinse a gettarsi in acqua quando l’abbrivio si fermò e prima che la nave si capovolgesse. L’equipaggio cominciò a buttarsi in mare. Passarono una manciata di minuti e la grande quantità d’acqua imbarcata fece capovolgere la nave che si spezzò in due tronconi che affondarono separatamente alle 16.15 a circa 22.5 miglia sul rilevamento 263 da Capo Testa (tratto da Per l’onore dei Savoia di Arturo Catalano Gonzaga di Cirella, classe ‘21 all’epoca guardiamarina imbarcato sul Roma).
Il Roma, ferito mortalmente, spezzato in due tronconi, affondò trascinando nelle profondità del Golfo dell’Asinara ben 1393 tra ufficiali, sottufficiali, sottocapi e comuni, con loro anche l’ammiraglio Carlo Bergamini e il comandante del Roma, capitano di vascello Adone Del Cima. Il comando della flotta venne assunto dall’ufficiale superstite di grado più elevato, l’ammiraglio Romeo Oliva che da bordo dell’Eugenio di Savoia compilò il seguente fonogramma: «Nave Roma gravemente colpita ed incendiata da bombe aeree, ore 15.52 lat. 41° 10’ N e long. 008° 40’ E est successivamente affondata. Assumo comando. Prego istruirmi». L’ammiraglio Oliva ordinò di far rotta verso Malta. Contemporaneamente alcune unità navali vennero distaccate per recuperare i naufraghi del Roma, per poi dirigersi in Spagna. Furono 622 i superstiti che furono sbarcati nel Porto Mahòn dell’isola di Minorca, alle Baleari, dove poterono ricevere assistenza medica. Tuttavia si contarono altre 26 vittime, di cui 13 morirono a bordo delle navi soccorritrici e altre 13 negli ospedali spagnoli a seguito delle ferite e ustioni riportate nelle esplosioni di bordo. Tutti gli altri furono poi internati, praticamente fino alla fine della guerra, poiché, pur rimpatriati in Italia a luglio del 1944, non vennero più impiegati in azioni belliche.
Da quel 9 settembre la nave da battaglia Roma varata il 9 giugno del 1940 a Trieste e consegnata alla Regia Marina il 14 giugno del 1942, giaceva in un punto imprecisato nel Golfo dell’Asinara5. La corazzata Roma, rappresentava per la Regia Marina e soprattutto per l’Italia il non plus ultra di quanto di militare potesse allora “galleggiare” sul mare. Il concentrato di potenza e tecnologia all’avanguardia espressa dalla Roma e nell’insieme da tutta la flotta della Regia Marina (si pensi ai 100 sommergibili di cui essa disponeva all’ingresso nella seconda guerra mondiale), permise al nostro Paese di sedere attorno al tavolo delle nazioni in grado di vantare una Marina da guerra di tutto rispetto, tra le quali Stati Uniti e Inghilterra e quindi permettere all’Italia di avere un peso non trascurabile negli equilibri geostrategici del Mar Mediterraneo. Frutto di tale risultati era il “sistema Italia” di allora con le sue industrie e con il suo ingegno.
La storia incredibile e per altri versi sfortunata di come la nave fu affondata è ormai tristemente nota insieme alle ingenti perdite umane costituite da ufficiali, sottufficiali e marinai, i quali hanno rappresentato e rappresentano tutt’oggi un esempio straordinario per il profondo senso del dovere e spirito d’abnegazione profuso.
Ancora ai nostri giorni, negli istituti di formazione della Marina Militare vengono approfondite ed analizzate nel dettaglio le gesta, le decisioni che, nonostante i rischi a cui sarebbero andati incontro, portarono a termine gli equipaggi, e, in particolar modo, l’ammiraglio Bergamini. Egli infatti eseguì «il più amaro degli ordini»6, quello, cioè, di rispettare le direttive imposte dall’Armistizio firmato a Cassibile per il bene futuro dell’intera nazione. La lealtà della Regia Marina infatti, ebbe un peso non indifferente sull’atteggiamento assunto dagli alleati nei mesi a seguire. Il sacrificio di quegli equipaggi affondati nel pieno adempimento del proprio dovere con le loro navi, portò beneficio alla rinascita dell’Italia.

I caduti della R.N. «Roma» provenienti dal Lazio meridionale 7
Fra i 1.393 caduti della corazzata Roma, diciannove vittime provenivano da alcuni centri dell’attuale Lazio meridionale e cioè Aquino, Cassino, Esperia, Formia, Frosinone, Gaeta e Sperlonga, più Sessa Aurunca. Il Comune più colpito fu quello di Gaeta, con otto gaetani che persero la vita a bordo della nave Roma, ritenuta sicura e inaffondabile. Oltre alle vittime di quell’azione di guerra, Gaeta annovera anche due superstiti, il Capo di 1^ Classe Mario Arru deceduto nel 1980 e il Sottocapo Cosmo Ciano, vivente.
Di seguito, suddiviso per Comuni d’appartenenza, si riporta l’elenco dei caduti e dei superstiti corredato, laddove possibile, di fotografie e ulteriori notizie di dettaglio 8.
COMUNE DI CASSINO

 COGNOME E NOME Italo Fraioli  046-09-1
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Palombaro
 LUOGO DI NASCITA  Cassino
 DATA DI NASCITA  08/02/1924
 MATRICOLA  60934
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE  Encomio solenne

Figlio di Costanzo Fraioli, originario di Roccasecca, e di Rocca Forte, nativa di Rocca d’Arce, Italo era nato l’8 febbraio 1924 a Cassino dove la sua famiglia visse per un breve periodo prima di trasferirsi ad Avezzano per motivi di lavoro del padre, dipendente delle Ferrovie.
Italo era il quarto di cinque figli: Carmela, la più grande sposata e trasferitasi a Roma; Battista classe 1920, sposato e vissuto ad Avezzano; Angela classe 1922 sposata e vissuta a Cassino e deceduta nel 1998; Italo e infine Antonio, sposato e vissuto ad Avezzano.
Arruolatosi nella Regia Marina come volontario nel 1940 all’età di 16 anni, ebbe l’incarico di meccanico per poi divenire palombaro.

Questo incarico non era dei più   semplici. Richiedeva non solo un’ottima preparazione fisica ma anche un notevole autocontrollo. Per immergersi veniva utilizza un’apposita attrezzatura, detta scafandro che era composto essenzialmente da un elmo, una tuta gommata (oggi sostituita da scafandri rigidi) e scarponi zavorrati per camminare sul fondo marino. Il palombaro riceveva il rifornimento d’aria dalla superficie attraverso un tubo di gomma collegato a una pompa ad aria coassiale, mentre una corda serviva per calarlo o issarlo a bordo e per comunicare con l’operatore attraverso degli strattoni convenzionali. Questi “cordoni ombelicali” si innestavano nell’elmo, l’elemento più importante dell’attrezzatura, fissato su di una base di ottone o rame alla muta alla quale veniva vincolato dopo che la stessa era stata indossata dall’operatore subacqueo.

Lettera scritta alla famiglia da Italo Fraioli, l’8 agosto 1943 da bordo della corazzata Roma, un mese prima della sua morte.

Bordo, 8.8.43

Carissimi,
Ho ricevuto una vostra cartolina. Piacere che state tutti bene unito a Dora così posso assicurare della mia buona. Tutto bene, mi capirete di certo. Scrivete sempre e a lungo. Ricevete cari saluti unito a Doretta. Figlio Italo
Nella lettera Italo, oltre a salutare i familiari e ad assicurarli del suo stato di salute, cita due volte il nome di una ragazza, Dora, o con tono più affettuoso, Doretta. Nata a Cassino il 16 settembre 1928, la professoressa Dora Perillo conobbe Italo nel luglio del 1943. Il loro incontro, del tutto casuale, avvenne quando un suo zio, Amedeo Gentile, figlio della nonna di Dora, si fidanzò con Angela Fraioli, sorella di Italo. A seguito del fidanzamento Amedeo portò sua madre, e nonna di Dora, ad Avezzano a conoscere Angela e la sua famiglia. Fu per questa circostanza che Dora, a quell’epoca appena sedicenne, sollecitata dalla nonna, si unì a loro e li accompagnò ad Avezzano. Giunta nella cittadina marsicana conobbe Antonio e Battista, i due fratelli di Italo. Dora apprese dell’esistenza di Italo, che in quei momenti si trovava imbarcato sulla Roma, da Angela che le mostrò una sua foto. Sul momento non rimase impressionata più di tanto, ma Angela le disse che la foto non gli rendeva merito. Pochi giorni dopo il loro arrivo ad Avezzano, Italo ottenne qualche giorno di licenza e fu così che anch’egli rincasò. I due si conobbero e Dora ne rimase affascinata. Anche Italo, pur se fidanzato con una ragazza del posto, rimase piacevolmente colpito da questa sua nuova conoscenza, tanto che le riservò non poche attenzioni e gentilezze al punto che ancora oggi Dora le ricorda con nostalgico affetto. Nei suoi confronti, Italo si mostrò premuroso e protettivo, cercando di prendersi cura di lei quanto più possibile. In quell’estate del 1943, racconta Dora, non godeva di buona salute e, dovendo seguire delle cure mediche prescrittele, anche durante il periodo di permanenza ad Avezzano era costretta a recarsi quasi quotidianamente presso una clinica del posto, accompagnata da Angela, per fare delle iniezioni. Ogni qual volta Dora si portava in clinica, Italo si faceva trovare all’uscita dello studio medico per farle fare colazione e incoraggiarla. Fra i due nacque solo una tenera amicizia e Dora, trascorsi quei pochi giorni ad Avezzano e rientrata a Cassino, da quel momento non ebbe più notizie di Italo. Purtroppo, aggiunge Dora, di quel giovane marinaio non seppe più nulla per un intero anno fino a quando Rocca, la mamma di Italo, non le confidò che era scomparso in mare.
Solo dopo la morte di Italo e passata la guerra a Cassino, Rocca poté raccontare a Dora che quel suo figlio, in quelle poche lettere che le aveva scritto fra luglio e l’inizio di settembre del 1943 non dimenticava mai di nominarla e di mandarle i suoi saluti, raccomandandosi sempre di avere cura di lei. Italo, raccontava Rocca a Dora, si era innamorato di questa ragazza al punto da dire alla madre che quando sarebbe tornato avrebbe lasciato la fidanzata per Doretta. Tuttavia fra i due non ci fu mai un legame vero e proprio. La perdita di Italo fu per Rocca un duro colpo tanto che, racconta Dora, dalla sua morte la mamma non mangiò più pesce. Oggi l’ottantacinquenne professoressa Dora Perillo racconta e ricorda quei giorni trascorsi ad Avezzano con tenero affetto e profonda nostalgia per quel giovane, Italo, che si era dimostrato così tanto premuroso, gentile e rispettoso nei suoi confronti, in momenti in cui la vita non era facile per nessuno9.
Oggi, al Sottocapo Italo Fraioli è intitolata la sezione A.N.M.I. (Associazione Nazionale Marinai d’Italia) di Avezzano. A seguito del decesso a bordo della RN «Roma» gli fu concesso un encomio solenne con la seguente motivazione:
«Imbarcato sulla Nave Ammiraglia della Squadra Navale, sottoposta nel corso di ardua missione di guerra a lungo ostinato contrasto aereo, con esemplare dedizione al dovere, rimaneva a posto di combattimento fino al sacrificio e scompariva in mare con la nave che, colpita irreparabilmente da nuovi mezzi distruttivi si inabissava in fiamme.
Acque della Sardegna, 9 settembre 1943» .

COMUNE DI AQUINO  

 COGNOME E NOME Libero De Luca 046-09-2
 GRADO 2° capo
 INCARICO Sott’ordine dell’aiutante di bordo
 LUOGO DI NASCITA  Aquino
 DATA DI NASCITA  23/04/1923
 MATRICOLA  21984
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

Libero Del Duca, deceduto all’età di 30 anni, viene descritto dal nipote, avv. Vincenzo Del Duca, figlio del fratello Antonio, così: «Premetto di non avere dirette conoscenze sulla vita di mio zio Libero Del Duca: all’epoca della sua morte (a seguito dell’affondamento della corazzata Roma, nel settembre dell’anno 1943) avevo poco più di un anno. Le poche notizie che conosco della sua vita mi sono state trasmesse da mio padre, Antonio Del Duca (classe 1911), deceduto nell’agosto 2009, fratello maggiore di Libero. Erano rimasti in tenerissima età orfani di padre, morto in combattimento nel corso della prima guerra mondiale, nel settembre del 1917 nei pressi di Gorizia. Mio padre aveva, all’epoca, sei anni e mio zio solo quattro anni. Vissero pertanto l’infanzia, come è facile immaginare, in condizioni economiche che definire non floride sarebbe eufemistico, con la madre appena ventiseienne priva di autonome risorse di sostentamento (all’infuori della pensione di vedova di guerra di 36 lire al mese). Dopo le elementari, furono entrambi avviati all’apprendimento di un mestiere: mio padre quale apprendista in una “officina meccanica” (per quanto mi consti, si costruivano avvolgibili, cancelli, si effettuavano riparazione di macchine agricole, ecc.); mio zio Libero presso un laboratorio di falegnameria. Solo verso gli anni ‘30, mia nonna, quale vedova di guerra, ottenne una rivendita di sale e tabacchi in Aquino e, in tal modo, le condizioni di vita migliorarono. I fratelli crebbero molto legati l’uno all’altro, pur nella diversità di carattere: mio padre tranquillo e riflessivo, mio zio esuberante ed estroverso (dagli amici era chiamato “brigante”).
Da quanto ho appreso da mio padre, mio zio, dotato di notevole coraggio e generosità, non esitava a prendere le sue difese, ancorché fratello maggiore, quando se ne presentava la necessità, non disdegnando di passare anche a vie di fatto contro ragazzi più grandi che avessero fatto dei torti al fratello. Si arruolò nella [Regia] Marina Militare verso i venti anni: la vita militare fu lo sbocco quasi naturale del suo temperamento coraggioso ed esuberante.
Il suo coraggio, come mi raccontava mio padre, sfiorava a volte la temerarietà, come quando, trovandosi in servizio a Trieste, nel pieno di una tormenta di bora, si lanciò nei marosi in una sfida di nuoto con un ufficiale in servizio nella stessa sede. Guadagnò ben presto la stima di colleghi e superiori, per le sue doti di carattere, la vivacità dell’intelligenza e la determinazione della volontà, temprata dalle difficoltà della vita.
Conservo ancora nella casa di mio padre ad Aquino le attestazioni di merito conseguite nella campagna d’Africa nel 1935.
Fu per mio zio motivo di grande soddisfazione, quale tangibile segno di riconoscimento delle sue qualità, l’essere trasferito in servizio sulla corazzata Roma, considerata l’orgoglio della Regia Marina.
Mio padre mi raccontava che lo zio Libero, dopo tale trasferimento, nelle lettere che scriveva alla madre (già provata dalla vita per la perdita del marito nella prima guerra mondiale e in perenne apprensione per la sorte del figlio), cercava di rassicurarla, dicendole di stare tranquilla perché per lui, imbarcato sulla nave più sicura di tutta la flotta, la guerra era da considerare ormai finita. Il destino beffardo decise diversamente e il 9 settembre del 1943, a guerra ormai finita, la grande corazzata, colpita da un aereo tedesco, affondò e colò a picco con un carico di 1353 giovani vite.
Il suo corpo non venne mai ritrovato e mia nonna coltivò sino alla morte (avvenuta nel 1954) la speranza che il figlio in qualche modo si fosse salvato. Noi familiari non abbiamo mai avuto il coraggio di disilluderla».
La signora Maria Luigia Caporuscio, madre di Libero e Antonio, durante lo sfollamento di Aquino nel 1944, a seguito dell’incalzare delle truppe alleate verso Roma, rifiutò di allontanarsi dalla proprio casa perché in attesa del figlio di cui non aveva notizie da tempo. Neanche l’invito rivolto personalmente da un ufficiale medico tedesco che aveva stretto un forte rapporto umano con l’altro figlio, Antonio, la convinse ad abbandonare il paese. L’ufficiale insisteva affinché la donna sfollasse perché nella Valle del Liri avanzavano i famigerati goumiers10 nordafricani, al seguito delle truppe francesi, le cui ignobili gesta erano ben note.

COMUNE DI FROSINONE

 COGNOME E NOME  Fernando Ciotti  046-09-3
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Cannoniere
 LUOGO DI NASCITA  Frosinone
 DATA DI NASCITA  28/01/1922
 MATRICOLA  91234
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

COMUNE DI ESPERIA

 COGNOME E NOME Egidio Proia  046-09-4
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Cannoniere
 LUOGO DI NASCITA  Esperia
 DATA DI NASCITA  22/10/1924
 MATRICOLA  63588
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE  Encomio solenne

Grazie al fratello, prof. Gaetano Proia, si apprende che Egidio, all’atto dell’arruolamento, era il marinaio più giovane d’Italia, tanto che la notizia fu riportata su un periodico illustrato dell’epoca. A Egidio fu concesso un encomio solenne per i fatti d’arme legati all’affondamento della nave Roma nel settembre 1943, con la seguente motivazione:
«Imbarcato sulla Nave Ammiraglia della Squadra Navale, sottoposta nel corso di ardua missione di guerra a lungo ostinato contrasto aereo, con esemplare dedizione al dovere, rimaneva a posto di combattimento fino al sacrificio e scompariva in mare con la nave che, colpita irreparabilmente da nuovi mezzi distruttivi si inabissava in fiamme.
Acque della Sardegna, 9 settembre 1943».

COMUNE DI FORMIA

 COGNOME E NOME  Giuseppe Gionta  046-09-5
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Furiere
 LUOGO DI NASCITA  Formia
 DATA DI NASCITA  21/04/1923
 MATRICOLA  62060
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE  Encomio solenne

 

 COGNOME E NOME  Salvatore Di Nucci  046-09-6
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Cannoniere
 LUOGO DI NASCITA  Formia
 DATA DI NASCITA  01/06/1920
 MATRICOLA  16854
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

Insignito di encomio solenne per i fatti d’arme legati all’affondamento della nave Roma nel settembre 1943, con la seguente motivazione:
«Imbarcato sulla Nave Ammiraglia della Squadra Navale, sottoposta nel corso di ardua missione di guerra a lungo ostinato contrasto aereo, con esemplare dedizione al dovere, rimaneva a posto di combattimento fino al sacrificio e scompariva in mare con la nave che, colpita irreparabilmente da nuovi mezzi distruttivi si inabissava in fiamme.
Acque della Sardegna, 9 settembre 1943».

COMUNE DI GAETA

Come anticipato, il Comune di Gaeta è quello che ha avuto più vittime sulla corazzata «Roma», ben otto, ma è anche quello che annovera due superstiti, Mario Arru, deceduto nel 1980 e Cosmo Ciano, vivente.

 COGNOME E NOME  Cosimo Ciano  046-09-7
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Nocchiere
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA  13/03/1923
 MATRICOLA  136703
 DISPERSO/DECEDUTO  In vita
 DATA DECESSO
 ONOREFICENZE

Cosmo Ciano, classe 1923, ha vissuto sulla propria pelle le vicissitudini legate all’affondamento della corazzata Roma. Figlio di Tommaso e Metastasio Anna, si arruolò il 18 febbraio 1942 per un periodo di ferma di 28 mesi come allievo nocchiere. Collocato in congedo illimitato provvisorio in attesa dell’avviamento alle armi, il 10 dicembre 1942 venne chiamato in servizio e si presentò al deposito C.R.E.M.M. (Corpo Regio Equipaggio Marina Militare) di Taranto dove restò fino al 15 dicembre 1942. Il giorno seguente si imbarcò sulla Roma. Dopo l’affondamento della corazzata, fu internato a Port Mahòn fino al 16 luglio 1944. Rientrato in Italia fu imbarcato inizialmente sulla Nave Cesare dal 17 luglio 1944 al 27 agosto 1944 e a seguire sulla Nave Doria11 dal 28 agosto 1944 al 1 agosto 1945.
Cosmo Ciano non ha mai raccontato alla sua famiglia i ricordi legati all’affondamento del Roma né il periodo di internamento che trascorse a Port Mahòn. Le reminiscenze di quel periodo sono legate a un’intervista rilasciata nel 2008 a Carlo Di Nitto, attuale presidente della sezione ANMI di Gaeta, e ai racconti del figlio, Paolo Ciano, incontrato nel novembre 2012 a Gaeta. Le «…cose fatte per la Patria sono tutte cose fatte per bene…», concludeva così la breve intervista del 2008, volendo rimarcare il suo forte attaccamento alla Patria, nonostante i toni di amarezza e tristezza che hanno caratterizzato molte delle sue risposte. Il tono è divenuto più grave quando ha ricordato i suoi amici, i «paesani», morti in seguito all’affondamento: «…eravamo 2300, avevo degli amici, eravamo 18 paesani, non ne parliamo, 18 paesani che stavano insieme a me, si sono salvati solamente in due … che brutti ricordi, bruttissimi ricordi! … io fui raccomandato per andare sulla Roma da un Ammiraglio che stava qui a Gaeta, fui raccomandato perché allora in tempo di guerra sulla Roma significava stare salvi perché non usciva mai, non è mai uscita dal porto, l’unica volta che è uscita l’hanno affondata … quando noi stavamo al reparto reclute ci avevano detto che la nave era inaffondabile, quindi, nessuno si è buttato a mare – dice -, beh!!, che ci buttiamo a fare a mare? La nave non si affonda, invece è affondata!!, e come se è affondata … sono rimasto solo io come un fesso … che tragedia porca miseria, a pro di che?, a pro di che? Non mi hanno dato una medaglia, un ricordino, niente!».
Sono queste le battute principali di Cosmo Ciano rilasciate nell’intervista, affermazioni di un protagonista-testimone di quell’evento che ha avuto la fortuna di poter raccontare la sua storia. In riferimento alla delusione e all’amarezza percepita nelle risposte di Cosmo Ciano, in conclusione dell’incontro il presidente Di Nitto volle aggiungere: «non dobbiamo disperare, però!, è l’esempio che ci trasmettete e vi dobbiamo ringraziare». Cosmo Ciano fu recuperato in mare dopo che riuscì a mettere in acqua una delle scialuppe del Roma con cui si allontanò dal luogo dell’affondamento. Fu tratto in salvo dal cacciatorpediniere Carabiniere e a bordo fu soccorso da un altro suo paesano, Espedito Stefanelli.

 COGNOME E NOME  Mario Arru  046-09-8
 GRADO  Capo di 1° Classe
 INCARICO  Cannoniere
 LUOGO DI NASCITA  Bosa /Sardegna), vissuto a Gaeta
 DATA DI NASCITA  21/06/1910
 MATRICOLA
 DISPERSO/DECEDUTO  Deceduto a Gaeta
 DATA DECESSO  11/06/1980
 ONOREFICENZE  Croce al Valor Militare

Mario Arru, come Cosmo Ciano, è uno dei superstiti dell’affondamento della nave Roma. Di origine sarda, è vissuto a Gaeta fino al 1980, anno in cui è morto. Quanto di seguito riportato si basa sui racconti del figlio, Salvatore Antonino, incontrato e intervistato a Gaeta nel 2012. Anche in questo caso, come per Cosmo Ciano, le notizie sono legate a ciò che il figlio ha sentito narrare dal padre in modo indiretto, dai racconti fatti con i propri amici o commilitoni poiché in casa non ha mai parlato delle sue vicissitudini belliche né dell’internamento a Port Mahòn e Madrid.
Ancor prima di essere imbarcato sul Roma, Mario Arru era stato decorato di Croce al Valor Militare. L’onorificenza gli fu concessa quando, trovandosi sul cacciatorpediniere Tigre12 che aveva subito gravi danni in seguito all’attacco a Porto Sudan, nel Mar Rosso, per cui si autoaffondò, era riuscito a trarre in salvo dieci marinai e la bandiera di combattimento. Fatto prigioniero dai britannici e detenuto presso il campo di Massaua per circa due anni, fu liberato a seguito di uno scambio di detenuti fra inglesi ed italiani. Rientrò dunque in Italia e fu imbarcato sulla corazzata Roma con l’incarico di cannoniere, probabilmente dei cannoni di poppa.
Il 9 settembre 1943 si trovava in navigazione sul Roma e, racconta il figlio, quando l’equipaggio si rese conto che gli aerei tedeschi stavano bombardando la flotta, non ricevettero né l’ordine di rispondere al fuoco né udirono suonare l’allarme di attacco aereo. A seguito del bombardamento del Roma, Arru rimase fortemente ustionato, perse l’uso delle mani e rimase cieco all’occhio destro. Sbalzato all’estrema poppa della nave, non riuscì a legarsi da solo il giubbotto di salvataggio a causa del forte dolore e delle lacerazioni riportate. Soccorso da un altro marinaio, che lo aiutò a gettarsi in mare, riuscì poi a nuotare da solo verso una delle imbarcazioni incaricate di recuperare i naufraghi. Si accostò al cacciatorpediniere Carabiniere che aveva calato le biscaggine, ma rifiutò ogni soccorso perché troppo dolorante. Si issò da solo e riuscì a salire fino a raggiungere metà della fiancata dell’unità navale e poi svenne. Soccorso dal personale di bordo, fu sdraiato su di una branda. Inizialmente fu dato per morto ma finite le operazioni di recupero il dott. Sala, primario dell’ospedale San Camillo di Roma imbarcato come componente dello staff medico di bordo, volle accertarsi dei decessi e si accorse così che Arru era ancora vivo, sebbene in coma. Era stato dato per morto perché, durante le operazioni di recupero, la sua piastrina era caduta sulla branda dove c’era un marinaio deceduto. Fu sbarcato a Port Mahòn dove venne ricoverato in stato comatoso. Ripresa conoscenza e assistito dal suo amico, il dott. Sala, col quale Arru aveva condiviso precedenti imbarchi, lamentò la perdita del portafoglio in cui aveva riposto i soldi del suo ultimo stipendio che doveva mandare alla sua famiglia in Italia. Il dottore gli diede la somma di denaro che disse di aver recuperato e Arru la poté spedire ai suoi cari. Dopo una lunga degenza nell’ospedale del capoluogo minorchino fu trasferito in quello di Madrid e nel rifare i bendaggi attorno al suo corpo gli infermieri trovarono il portafoglio che era stato messo lì dalle suore di Port Mahòn.
Comprese allora che il dott. Sala gli aveva dato i soldi per poterli mandare alla famiglia in Italia. Per ringraziarlo delle cure prestate, del gesto e del riguardo avuto nei suoi confronti dopo la guerra Arru regalò al dott. Sala una penna d’oro. Alla fine dell’internamento in Spagna, rientrato in Italia, fu interrogato, come molti altri, per valutare il comportamento durante e dopo l’affondamento della nave Roma, e per tutto il periodo del processo, che si protrasse a lungo per concludersi con un’assoluzione, non percepì lo stipendio. Non avendo disponibilità economiche con cui mantenere la famiglia, un giorno si recò a Roma dove, a seguito delle sue animate proteste e grazie all’interessamento dell’Ammiraglio Scotto che velocizzò le normali pratiche d’ufficio, riuscì a ottenere la paga che gli spettava e tutti gli arretrati. Anche Scotto, racconta il figlio di Arru, era un superstite di quel 9 settembre 1943. A seguito delle esplosioni causate dal bombardamento gli erano rimasti impressi sulla pelle i segni del sottogola dell’elmetto e, sulla fronte, del cerchio interno. In merito all’internamento a Port Mahòn, Arru ricordava con affetto le cure delle suore, una delle quali gli aveva insegnato a scrivere e parlare in spagnolo. Le prime notizie in vita di Mario Arru vennero comunicate alla famiglia al rientro in Italia del Tenente di Vascello, marchese Agostino Incisa della Rocchetta, anch’egli imbarcato sul Roma.

 COGNOME E NOME  Pietro Patalano  046-09-9
 GRADO  Tenende G.N. (Genio Navale)
 INCARICO  Addetto Servizio G.N.
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA  29/08/1927
 MATRICOLA
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE  Croce di Guerra al valor militare

Decorato di Croce di Guerra al valor Militare con la seguente motivazione:
«Ufficiale imbarcato su Corazzata gravemente colpita da offesa aerea nel corso di prolungata e violenta azione aero – navale con alto spirito di attaccamento alla Nave e dedizione al dovere, malgrado la sempre più critica situazione, rimaneva al proprio posto e scompariva in mare inabissandosi sui relitti in fiamme.
Acque della Sardegna, 9/9/1943»

Si riporta, di seguito, una foto in cui è ritratto il Ten. (G.N.) Pietro Patalano, secondo da sinistra in prima fila, e due lettere scritte alla famiglia quando si trovava a bordo del Roma. La prima, datata 6 aprile 1943, è indirizzata al fratello Salvatore, cui vanno i ringraziamenti per aver fornito la copia dei documenti qui pubblicati. La seconda, scritta l’8 agosto 1943, un mese prima della sua morte, in risposta ad una precedentemente ricevuta e consegnatagli a mano dal Marinaio Cosimo Scuccimarra, anch’egli di Gaeta, è indirizzata alla madre.
6 aprile 1943
Carissimo Salvatore,
in data odierna ti ho fatto spedire le tavole logaritmiche edite dall’Istituto Idrografico. Spero che ti giungano presto e accusami ricevuta. Come vai a scuola?
Scrivimi qualche volta e fammi sapere tante tante cose. A tutti di famiglia e a te un caro abbraccio.
Affezionatissimo
Pietrino

 

8-8-943
Carissima mamma,
ho ricevuto la tua carissima lettera, portatami dallo Scuccimarra, e avere notizie così recenti da voi mi ha fatto tanto tanto piacere. La mia salute è ottima e così mi auguro che sia di voi tutti. Ho appreso che vi siete trasferiti a Casaregola, immagino come starete scomodi, data la scarsezza di comodità e penso pure alla vita che fai andando continuamente in città.
Cara mamma, ti prego di riguardarti bene e di non fare come fai tu, accumulando strapazzi su strapazzi, senza guardarti la tua salute. Stai bene attenta altrimenti facciamo che per stare meglio mi trovo qui. Papà torna pure in campagna? Vi avrete portato qualcosa di più essenziale? Non preoccupatevi minimamente di me che sto benissimo, ma pensate piuttosto a voi e state tranquilli. Salvatore e Gino danno un aiuto?
Al caro papà e a te, cara mamma, unitamente a tutti di casa invio tanti cari ed affettuosi abbracci.
Pietrino
In alto a sinistra scrive:
«Ho i soldi ma sono un po’ preoccupato del come spedirli».

 COGNOME E NOME  Vincenzo Buttaro
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA  24/05/1922
 MATRICOLA  73962
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

 COGNOME E NOME  Francesco D’Ischia  046-09-10
 GRADO  2° Capo
 INCARICO  Meccanico
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA  07/07/1915
 MATRICOLA  36863
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE  Encomio solenne al V.M.

Testimone della tragica morte di Francesco D’Ischia, fu il fratello Pasquale, anch’egli in Marina e all’epoca imbarcato sul Vittorio Veneto, altra nave della flotta italiana in movimento verso La Maddalena. Pasquale fu imprigionato a Malta dove un suo commilitone dipinse il quadro di seguito riportato in cui si raffigura, in primo piano, la Vittorio Veneto colpita e sullo sfondo la Roma, avvolta dal fumo, mentre affonda. Pasquale vive e risiede a Gaeta.

 COGNOME E NOME  Pietro Di Sarcina
 GRADO  Sergente
 INCARICO  Cannoniere
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA 04/03/1921
 MATRICOLA  4887
 DISPERSO/DECEDUTO  Deceduto a Porto Mahòn
 DATA DECESSO  12/09/1943
 ONOREFICENZE

Il Sergente Pietro Di Sarcina morì tre giorni dopo l’affondamento del Roma per le ferite riportate nell’ospedale del capoluogo minorchino ed è sepolto nel sacrario militare italiano ubicato nell’isola balearica.

 

 COGNOME E NOME  Pietro Paolo Sorabella  046-09-11
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Segnalatore
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA  01/07/1922
 MATRICOLA  66478
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

 COGNOME E NOME  Giovanni A. Tarallo  046-09-12
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Motorista
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA  19/09/1922
 MATRICOLA  66056
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

 COGNOME E NOME Francesco Viola
 GRADO Capo 2° classe
 INCARICO Segnalatore
 LUOGO DI NASCITA Gaeta
 DATA DI NASCITA  13/08/1909
 MATRICOLA  79397
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

 COGNOME E NOME  Cosimo Scuccimarra
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Nocchiere
 LUOGO DI NASCITA  Gaeta
 DATA DI NASCITA  05/06/1919
 MATRICOLA  76750
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

COMUNE DI SPERLONGA

 COGNOME E NOME  Antonio Zuena  046-09-13
 GRADO  Sottocapo
 INCARICO  Segnalatore
 LUOGO DI NASCITA  Sperlonga
 DATA DI NASCITA  29/05/1924
 MATRICOLA  66487
 DISPERSO/DECEDUTO  Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO  09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

 COGNOME E NOME Giuseppe Conte
 GRADO Sottocapo
 INCARICO
 LUOGO DI NASCITA Sperlonga
 DATA DI NASCITA 21/01/1923
 MATRICOLA 13565
 DISPERSO/DECEDUTO Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO 09/09/1943
 ONOREFICENZE

COMUNE DI SESSA AURUNCA

 COGNOME E NOME Antonio Fusco  046-09-15
 GRADO Sottocapo
 INCARICO Motorista
 LUOGO DI NASCITA Sessa Aurunca
 DATA DI NASCITA 31/08/1918
 MATRICOLA 52081
 DISPERSO/DECEDUTO Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO 09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

 COGNOME E NOME Enrico Di Biasio
 GRADO 2° capo
 INCARICO Cannoniere
 LUOGO DI NASCITA Sessa Aurunca
 DATA DI NASCITA 28/08/1914
 MATRICOLA 35465
 DISPERSO/DECEDUTO Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO 09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

 COGNOME E NOME Paolo Longo
 GRADO Capo 1° classe
 INCARICO Aiutante
 LUOGO DI NASCITA Sessa Aurunca
 DATA DI NASCITA 09/12/1893
 MATRICOLA
 DISPERSO/DECEDUTO Disperso Mediterraneo centrale
 DATA DECESSO 09/09/1943
 ONOREFICENZE

 

Ringraziamenti
Doverosi sono i ringraziamenti ai familiari dei caduti e dei sopravvissuti sopra menzionati i quali hanno permesso con la loro disponibilità di ricordare ancora una volta i tanti italiani morti durante il secondo conflitto mondiale. Un particolare ringraziamento va a tutti loro, unitamente al sig. Carlo Di Nitto, presidente dell’ANMI di Gaeta, al Comandante Orlando Giacomini, presidente della sezione ANMI di Avezzano, intitolata al “cassinese” Italo Fraioli, ai sindaci di Aquino, Esperia, Sperlonga e Sessa Aurunca per il prezioso supporto fornito, al Comandante Alessandro Busonero cui mi legano vincoli di sincera amicizia e stima e che, grazie alla sua non comune disponibilità e dedizione al servizio nonché al particolare incarico che ricopre presso lo Stato Maggiore della Marina Militare ha facilitato le ricerche svolte per scrivere il presente articolo. Infine un sentito ringraziamento va al Comandante Pier Paolo Bergamini, figlio dell’Ammiraglio Carlo Bergamini, conosciuto personalmente e autore dell’introduzione all’articolo la cui opera di ricerca storica e di conservazione della memoria, mantengono vivo il ricordo di quei 1393 marinai morti per la Patria.

 

Bibliografia
Gino Galuppini, Guida alle navi d’Italia, Milano, Mondadori, 1982.
Ernesto Pellegrini, Umberto Pugliese: generale ispettore del Genio navale (1880-1961), Roma, Ufficio storico della marina militare, 1999.
Franco Bargoni-Franco Gay, Corazzate classe Vittorio Veneto, Roma, Bizzarri, 1973-1974.
Agostino Incisa della Rocchetta, L’ultima missione della corazzata Roma, Milano, Mursia, 1978.
Marco Gemignani, Adone Del Cima: comandante della corazzata Roma, Rai Trade, 2005.
Erminio Bagnasco-Augusto De Toro, Le navi da battaglia classe “LITTORIO”, Albertelli, 2008.
Ireneo Remondi, Ammiraglio Carlo Bergamini – notizie biografiche, Banca Popolare di San Felice sul Panaro, 1986.
Pier Paolo Bergamini, Le forze armate navali da battaglia e l’armistizio, 2^ ed., Rivista marittima, 2003.
Andrea Amici, Una tragedia italiana-1943. L’affondamento della corazzata Roma, Longanesi, 2010.
Raffaele De Courten, Le memorie dell’Ammiraglio De Courten (1943-1946), Roma, Ufficio Storico della M.M., 1993.
Alessandro Busonero, Corazzata Roma: la storia ritrovata, «Il Notiziario della Marina», periodico della Marina Militare, anno LIX, luglio-agosto 2012.
Valentino Mattei, 1943: l’affondamento della Regia Nave “Roma”, «Studi Cassinati», anno X – n. 3 (luglio-settembre 2010).

Siti internet e documentari
Associazione Regia Nave Roma, www.regianaveroma.org
Marina Militare Italiana, www.marina.difesa.it
www.corazzataroma.info
Documentario Istituto Luce, Regia Nave Roma, le ultime ore, realizzato in collaborazione con FOX International Chanels Italy.
Intervista a Cosmo Ciano, a cura di Carlo Di Nitto.
(mail autore: valentinomattei@libero.it)


NOTE

1 Alessandro Busonero, Capitano di Corvetta della Marina Militare, è in servizio presso l’Ufficio Stampa dello Stato Maggiore Marina. Distintosi nelle attività di comunicazione relative al sinistro marittimo della nave da crociera “Concordia” ed esperto di media e pubblica informazione, nell’anno 2012 è stato insignito dalla Marina Militare del Premio di Giornalismo Internazionale intitolato alla memoria del Capitano Massimo Ficuciello, ufficiale capo cellula pubblica informazione deceduto in Iraq nel novembre 2003 in seguito all’attentato di Nassiriya.
2 Pier Paolo Bergamini, figlio dell’Ammiraglio Carlo Bergamini Comandante delle Forze Navali da Battaglia della Regia Marina nel 1943 (a cura di Valentino Mattei).

3 V. Mattei, 1943: l’affondamento della Regia Nave “Roma”, in Studi Cassinati, anno X – n. 3 (luglio-settembre 2010).
4 A cura di Alessandro Busonero.

5 A. Busonero, Corazzata Roma: la storia ritrovata, in «Il Notiziario della Marina», periodico della Marina Militare, anno LIX, luglio-agosto 2012.
6 Così il comandante Pier Paolo Bergamini definì l’ordine ricevuto, ossia quello di consegnare la flotta a qualsivoglia nazione anziché autoaffondarla (cfr. P. P. Bergamini, Le forze armate navali da battaglia e l’armistizio, 2^ ed., in Rivista marittima, 2003, p. 52).
7 A cura di Valentino Mattei.

8 Corre l’obbligo precisare che nel corso delle ricerche svolte al fine di approntare l’elenco qui riportato, ad alcuni nominativi era attribuito l’appellativo di «marò». Tuttavia si è provveduto a modificare tale termine, più opportunamente, in sottocapo per uniformarlo alla corretta denominazione di grado che si deve attribuire ai graduati di marina. Infatti i graduati della Marina Militare di oggi, così come quelli della Regia Marina di allora, si dividono in: comune di prima classe, comune di seconda classe e sottocapo. Nella Regia Marina capitava che i marinai venissero chiamati con il diminutivo di «marò», anche se tale abbreviazione non è propriamente corretta. Anche oggi, nella nota vicenda dei fucilieri di marina del Reggimento San Marco i mezzi di comunicazione di massa usano il termine marò, ma in modo del tutto improprio. Va altresì precisato che fino a pochi anni fa in Marina esisteva una categoria di marinai denominata m/vs (marinai/servizi vari), assegnati a compiti legati alla logistica e alla sussistenza della nave, e che a bordo venivano comunemente chiamati marò. Lo stesso termine fu utilizzato anche per i fanti di marina del San Marco che parteciparono alle rivolta dei boxer in Cina, ma anche in questo caso solo come diminutivo di marinaio (precisazione a cura di Alessandro Busonero).

9 Testimonianza raccolta da Valentino Mattei nel febbraio 2013.

10 Si trattava di uomini, normalmente degli irregolari marocchini di razza berbera, provenienti dalle montagne del Rif e dell’Atlante, in Marocco, e inquadrati nell’ambito del Corps Expéditionnaire Français che combatté nel corso della campagna d’Italia. Erano organizzati in reparti denominati Goum, da cui il nome di goumier per ogni componente, termine che è la trascrizione fonetica francese dell’arabo «quom» e che allude a una banda o a uno squadrone. Già prima, ma soprattutto dopo lo sfondamento della Linea Gustav si resero protagonisti di non poche violenze sulla popolazione. Quelle vicende furono descritte da Alberto Moravia nel romanzo La ciociara che, divenuto a opera di Vittorio De Sica nel 1960 un film, valse a Sofia Loren, interprete della protagonista, l’Oscar per l’attrice di un film non in lingua inglese.

11 La Corazzata «Giulio Cesare» fu varata nel 1911 e andò in disarmo dal 1943 al 1948, per poi essere radiata definitivamente nel 1949. Unitamente alle navi Conte di Covour e Leonardo Da Vinci, apparteneva alle classe Conte di Cavour. La Corazzata «Andrea Doria» fu varata nel 1913 per poi essere radiata nel 1956. Faceva parte della classe Caio Duilio.

12 Appartenente alla Classe LEONE unitamente ai cacciatorpedinieri Pantera e Leone, entrò in servizio come esploratore nel 1924. Svolse campagne nel Nord Europa (1925) e nell’Egeo (1930). Attrezzato per i climi tropicali, prestò servizio quasi ininterrotto in Africa orientale dal 1935 al 1941. Durante il conflitto mondiale svolse 10 missioni per 2706 miglia. Nell’aprile 1941 affrontò, con altre unità, l’attacco, senza successo, di Porto Sudan. In seguito ai gravi danni riportati in quest’ultima missione, sotto attacco di navi e aerei britannici, il Tigre, assieme al Pantera, si autoaffondò presso Someina (costa araba) il 4 aprile 1941. Motto: unguibus et facibus – con gli artigli e con i denti.

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