Sant’Eleuterio di Aquino


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Studi Cassinati, anno 2013, n. 4
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di Costantino Jadecola

4-04Sant’Eleuterio è il santo patrono di Arce. E su questo non ci piove.
Ciò detto, sarà il caso di ricordare, anche perché sembra che ormai la cosa sfugga ai più, che il santo pellegrino godeva un tempo delle dovute attenzioni anche presso la chiesa aquinate, attenzione poi andata via via scemando al punto che, di recente, la statua venerata in Aquino, al suo ritorno a casa, agli inizi di ottobre, dopo una lunga vacanza in quel di Arce, ha trovato a darle il bentornato appena una sparuta pattuglia di fedeli tale, forse, anche per via di una quasi del tutto assente informativa sull’evento.
Eppure, Sant’Eleuterio di Aquino ha una sua storia, una storia piuttosto antica, che vale la pena ricordare.
Ma chi era questo santo? Suol dirsi che fosse un pellegrino d’origine inglese (o irlandese) vissuto probabilmente nel primo decennio del VII secolo che, dopo aver a lungo girovagato per i luoghi santi della Palestina, avviandosi verso Roma, sostò presso la cosiddetta «Torre del pedaggio» in agro di Arce, successivamente identificata con il nome del Santo, dove c’era un “passaggio” per superare il fiume Liri.
Qui fu vana la ricerca da parte di Eleuterio di un tetto per la notte – addirittura un oste lo mise in fuga aizzandogli contro due grossi cani – cosicché egli fu costretto a passarla sotto le stelle, pare nel luogo ove poi sarebbe sorto il santuario a lui dedicato.
Ma non ce la fece a veder l’alba. Al mattino, infatti, lo trovarono morto: i feroci cani dell’oste gli facevano da cuscino mentre alcuni serpenti erano immobili ai suoi piedi; intorno alla vita, poi, gli trovarono una grossa catena di ferro, un cilicio, insomma, che «in epoca tardo-medievale», come ritiene mons. Vincenzo Taversese1, sarebbe stato trasformato in due chiavi, di cui una ancora custodita presso la Basilica-Cattedrale di Aquino e l’altra, ricoperta da una sottilissima lamina d’argento, presso la chiesa di Arce, chiavi divenute in pratica reliquie e come tali utilizzate all’occorrenza per scacciare il male da chi ne era affetto, animale o uomo che fosse.
Ovviamente si gridò al prodigio tant’è che Eleuterio, anche per via dei molti miracoli di cui si era reso artefice, fu proclamato santo senza che si celebrasse alcun processo canonico.
La sua venerazione, se oltrepassò i confini della diocesi, beneficiò, però, di uno zoccolo duro ad Arce, nei centri ad essa più prossimi e naturalmente ad Aquino, che era la sede della diocesi, dove una preesistente cappella dedicata a San Fabiano e a San Sebastiano sarebbe stata poi intitolata al santo pellegrino Eleuterio.
Il riferimento è alla quarta cattedrale di Aquino, quella, per intenderci, che sorgeva a margine delle Pentime, poi distrutta dagli eventi bellici della Seconda guerra mondiale e sul cui sito ha trovato ospitalità il monumento alla Madonna.
In essa, scrive mons. G.B. Colafrancesco, «prima di entrare nella sacrestia, c’era una cappella dedicata prima ai santi Fabiano e Sebastiano e successivamente, a S. Eleuterio. In essa officiavano i Canonici della Cattedrale nel periodo invernale»2. «Questa cappella», precisa mons. Tavernese, «rimaneva fuori de perimetro della chiesa Cattedrale, ma era ad essa appoggiata sul retro»3.
La posizione della cappella di Sant’Eleuterio induce a supporre che essa fosse preesistente alla stessa Cattedrale; ovvero che, nella costruzione della Cattedrale, avvenuta agli inizi del XVIII secolo, si tenesse nel dovuto conto la sua presenza.
Lo si deduce da quanto scrive Pasquale Cayro secondo il quale la chiesa dedicata a San Fabiano e a San Sebastiano era ubicata «dov’al presente officiano i Canonici nell’inverno dentro la sacrestia, e nel mille cinquecento novanta quattro era Chiesa separata con porta al di fuori alla piazza. Si apparteneva alla Città e vi era confraternita, e quindi si cominciò a conferire in titolo da Vescovi, ed al presente è semplice benefizio, e nelle Calende di Dicembre mille cinquecento novanta tre, per non aver procurata la Città di far la nomina, con Bolla di Clemente VIII si conferì a Luca Roccani»4.
In essa si conservava anche la chiave con la quale «si toccano i cani ed altri animali per preservarli dall’idrofobia»5 ed anche un mazzetto di fieno che chi gli accompagnava era solito portare; «agli uomini», invece, «si dà a baciare!»6, riferisce mons. Rocco Bonanni che, poi, aggiunge: «Vorrei che i miscredenti si rendessero conto di tanti miracoli e fatti miracolosi che, colla permissione di Dio, si sono verificati e si verificano di continuo per l’intercessione di S. Eleuterio»7. Lo stesso Bonanni precisa che della «chiave (reliquia) trovasi notizia fra le carte del Capitolo della Cattedrale di Aquino fin dal secolo XVI»8, carte andate evidentemente disperse nel corso delle varie vicissitudini sofferte da Aquino nei secoli successivi.
Una conferma alle affermazioni di Bonanni mons. Tavernese ha potuta rintracciarla negli «Statuti Capitolari, di cui esisteva un’edizione ottocentesca manoscritta nella Curia Vescovile di Aquino. Detti Statuti furono approvati con Decreto della S. C. del Concilio il 23 febbraio 1855 e riconfermati nel 1935. All’Art. 21 è stabilito: “La reliquia di S. Eleuterio, con sollecitudine e modestia, si appresterà alla venerazione dei fedeli indistintamente da qualsiasi Capitolare, rimanendo fermo che le obbligazioni di Messe e litanie si divideranno per turno. Tenendosene conto in un registro a ciò destinato” (Arch. Curia Vesc.- Fasc. Bas. Catt. Aquino – Statuti, p. 9)»9.
A un certo punto la popolarità di Sant’Eleuterio dovette assurgere a livelli molto elevati se la cappella di cui disponeva sembrò insufficiente ad ospitare i molti fedeli che la frequentavano. C’è da supporlo se, il 27 marzo 1831, ai decurioni del comune di Aquino10, che erano riuniti presso la cancelleria comunale, si presentarono «spontaneamente molti cittadini (…) di diverse classi e condizioni»11.
Chi abbia parlato, non si sa. Ma chi lo fece iniziò il suo dire rammentando ai presenti la profonda venerazione «per una reliquia del tanto miracoloso Sant’Eleuterio mediante la quale i Comuni convicini e di qualche distanza a folla concorrono giornalmente a sperimentare gli effetti della idrofobia», ossia della rabbia, uno dei cui sintomi è costituito dall’avversione per l’acqua e, in generale, per i liquidi. Pare, infatti, che Sant’Eleuterio fosse particolarmente dotato nel fare grazie del genere, invocato com’era sia contro i morsi dei cani che contro quelli dei serpenti.
Una leggenda (o una storia?) che nasce, in pratica, quando il Santo muore.
La cappella intitolata a Sant’Eleuterio non doveva essere quindi più consona all’importanza del Santo se in quella riunione del decurionato aquinate l’anonimo rappresentante dei suoi fedelissimi, anche a nome dei “forastieri”, dice che, «per maggiormente accrescere la devozione» verso Eleuterio è necessario che «si costruisca dentro la Chiesa Cattedrale una Cappella unitamente alla statua».
– «Ma con quali soldi?» chiedono i decurioni.
– «Non c’è da preoccuparsi!» ribatte l’anonimo portavoce: «per supplire alla spesa occorrente a detto lavoro» devono «eleggersi quattro deputati secolari e due capitolari» che «nell’ambito del Distretto» andranno elemosinando la somma occorrente. Del resto, lui e gli altri son venuti proprio perché si nominino i sei «elemosinatori».
Di fronte a tale determinazione, i decurioni non hanno alcunché da obiettare. Anzi, «considerando che tale opera accresce maggiormente la devozione di fedeli Cittadini e forastieri; considerando che il Santo ha fatto per tale devozione molte grazie, tra le quali è da annoverarsi quella fatta circa due anni or sono ad un ragazzo di Piedimonte di circa anni quattordici, il quale essendo stato dai parenti condotto legato, per essere stato totalmente assalito dal predetto morbo d’idrofobia (sic!), non appena chiesta la grazia al Santo dagli astanti e dall’Arciprete per parte del ragazzo circa mezz’ora dopo restò sano e salvo e vivo; considerando che il Comune di Aquino avendo un Santo cotanto miracoloso contro un morbo che in breve spazio di tempo distrugge la vita dell’uomo è per esso di vituperio il non costruirgli un altare e una statua; considerando che tutti i Comuni quasi dell’intero Distretto di Sora concorrono giornalmente a baciare la reliquia di Santo Eleuterio per riceverne la grazia e ne partono contenti», il decurionato è unanime nel raccogliere la richiesta e nel formulare i nomi dei sei questuanti. Che sono i due canonici don Serafino Fantaccione e don Luigi Pelagalli e, per i laici, Francesco Bonanni, Giuseppe Mazzaroppi, Gregorio Di Branco e Giuseppe Fusco fu Francesco.
Se non è dato sapere quale esito abbia avuto l’iniziativa promossa dai fedelissimi di Sant’Eleuterio, ci sono invece testimonianze sulla fama goduta da Sant’Eleuterio nel territorio.
Nell’autunno del 1838 parte della popolazione di Sant’Ambrogio sul Garigliano dovette affrontare «un triste fenomeno» del quale parlano Antonio Riccardi e Marisa Broccoli: «I cani della zona erano quasi tutti ammalati di rabbia e frequentemente attaccavano le persone, trasmettendo loro la malattia e diffondendola massicciamente. In mancanza di vaccini o altri medicinali, come spesso avveniva in quel tempo, si riponevano le uniche speranze di guarigione nella preghiera e nella fede. Era convinzione di tutti che una volta toccata la chiave di S. Eleuterio, ci si liberava dal morbo.
Il decurionato di S. Ambrogio, infatti, interpellò il canonico di Aquino, supplicandolo di permanere in paese almeno due giorni, per liberare, tramite la chiave di S. Eleuterio, i poveretti affetti da rabbia. La popolazione accolse con gioia e devozione l’arrivo del canonico e si recò in processione in vari punti del paese per toccare la chiave santa e per ottenere una pronta guarigione dalla rabbia contratta a causa delle bestie ammalate»12.
Per la cronaca, «la spesa sostenuta dal decurionato in questa occasione fu di quattro ducati. Il documento relativo alla spesa del 15 novembre 1838, recitava: ‘Dettaglio della spesa erogata per la venuta del Canonico in questo comune di S. Ambrogio, il quale si è partito da Aquino ci ha portata la chiave di S. Eleuterio, che con devozione si è fatta toccare da questa Popolazione morsicata da cani affetti da male idrofobia. Totale ducati quattro’13. Questo evento» concludono Riccardi e Broccoli, «ha lasciato memoria in un detto popolare: ‘Vai ad Aquino a toccare la chiave di S. Eleuterio’ per indicare chi non è mai contento di ciò che ha»14.
Qualcosa del genere era accaduto all’incirca mezzo secolo prima, nel 1778, quando la municipalità di Roccasecca aveva dovuto sborsare ducati 1,20 «per la chiave benedetta di S. Eleuterio fatta venire contro li veleni»15.
La venerazione per Sant’Eleuterio ancora viva in Arce e parte del territorio limitrofo, ad Aquino è invece cessata del tutto anche se il suo ricordo è testimoniato ancora dalla chiave e dalla statua del Santo, una statua in legno «realizzata probabilmente alla fine del sec. XVIII, quando cioè fu eretta la cappella in onore del Santo, annessa alla settecentesca Cattedrale di S. Costanzo»16, che mons. Tavernese attribuisce ad un «artista napoletano» e ritiene senz’altro «pregiata».
Al tempo di Pasquale Cayro, cioè alla fine del Settecento, la cappella successivamente dedicata a Sant’Eleuterio risulta ancora intitolata a S. Fabiano e S. Sebastiano segno che il culto per il santo pellegrino non godeva a quel tempo di grande risonanza pur essendo la sua festa annoverata nel Sinodo di mons. Flaminio Filonardi del 1581 nell’Indice dei giorni festivi: infatti, doveva «celebrarsi con rito festivo il giorno liturgico» in tutta la Diocesi ed era, pertanto, «di precetto»17.
Difficile dire quando questa tradizione, tranne che per Arce, Isoletta e Roccadarce, sia cessata. «Infatti, nel Proprio dei Santi della Diocesi di Aquino, pubblicato al tempo di Mons. Raffaele Sirolli, nel 1897, non vi è più S. Eleuterio tra i santi da celebrarsi in Diocesi»18.


 

1 V. Tavernese, Storia e leggenda di un Santo e del suo Santuario, Arce 1979, p. 19.

2 G. B. Colafrancesco, Aquino cinquant’anni (1933-1983), Edizione «La voce di Aquino», 1983, p. 31.
3 V. Tavernese, op. cit., p 43.
4 P. Cayro, Storia sacra e profana d’Aquino e sua diocesi, Vol. II, Napoli presso Vincenzo Orsino, 1811, pp. 20-21.
5 R. Bonanni, Monografie storiche, Isola del Liri 1926, p. 21.
6 Ibidem.
7 Ibidem.
8 Ibidem.
9 V. Tavernese, op. cit., p 36.
10 Sindaco Rocco Bonanni; decurioni: Michelangelo Frattale, Giacomo e Andrea Fusco, Salvatore De Bellis, Celestino Di Branco, Tommaso Iadecola, Giuseppe Mazzaroppi e Giuseppe Pelagalli.
11 Archivio di Stato di Caserta, Intendenza borbonica. Affari comunali, Aquino, b. 2513.
12 A. Riccardi-M. Broccoli, Sant’Ambrogio sul Garigliano dalle origini al XX secolo, Marina di Minturno 2004, pp. 140-141.
13 Archivio di Stato di Caserta, Intendenza borbonica. Affari comunali, Sant’Ambrogio, b. 2623.
14 A. Riccardi-M. Broccoli, op. cit., p. 141.
15 F. Scandone, Roccasecca patria di S. Tommaso, in «Archivio Storico di Terra di Lavoro», Vol. III, anni 1960-1964, Caserta 1964, p. 79.
16 V. Tavernese, op. cit., p. 43.
17 Ivi, pp. 38-39.
18 Ibidem.

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