Studi Cassinati, anno 2012, n. 2
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di Franco Di Giorgio
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Con l’arrivo della stagione estiva torna a consumarsi, come ogni anno, l’antico rito della raccolta del grano.
Questo particolare momento della vita dei campi ha una magia che si perpetua nel tempo, per nulla scalfita dall’evolvere dei costumi e dall’uso spinto della tecnologia al servizio della raccolta. Tutto questo ha una ragione: il grano, la farina e quindi il pane rappresentano uno snodo fondamentale nella vita dell’uomo. Il grano, la farina e il pane sono simbolo di abbondanza; e, qualora venissero a mancare, si aprirebbero le porte alla carestia. Ancora oggi nelle campagne, là dove si fa il pane in casa, c’è l’usanza di segnare con il segno della croce le panelle messe a lievitare prima di essere infornate per la cottura.
A sottolineare il valore delle attività legate al grano, i suoi aspetti culturali, di tradizioni e di folclore, ogni anno in diversi centri si organizzano manifestazioni legate ad uno dei momenti fondamentali della raccolta del grano: la trebbiatura.
Ma ripercorriamo l’itinerario del grano dalla semina fino alla trebbiatura nelle terre dell’antica provincia di Terra di Lavoro così come ci viene tramandato da documenti risalenti alla fine dell’800 inizi del ‘900.
Il grano coltivato, generalmente raccolto in una unica denominazione collettiva triticum sativum, è di varie specie.
Esse sono:
– La germanella, o romanella, o serina, o grano piccolo ( triticum sativum.a. aestivum).
– La carosella. (triticum sativum hjbernum caljce submutico).
– La saragolla, grano buono per la pasta (triticum sativum.a.aestivum).
– Grano bianco. (triticum polonicum).
– Grano grosso. (triticum polonicum.y.turgidum).
– Grano grosso, moro, turchesco, o di Barbara. (triticim polonicum.y.turgidum, glumis, fuscis).
– Farro. Seme lungo suddiafano e farro seme tondo suddiafano. (triticum spelta).
– Grano a grappoli, di Smirne, appignato, del miracolo. (triticum compositum).
– Sprenta, provenna, o farro vestito. (triticum monococcum).
Abbiamo parlato delle varie specie di semi, ma prima della loro messa a dimora si procedeva alla preparazione del terreno. Nel mese di maggio, con l’aratro, con la zappa, o con la vanga si rompe la terra.
A fine giugno si ricalla, o si ripassa.
Ai primi di ottobre se il campo è stato piantato precedentemente a granodindia (zea mays), si rifonde prima il solco vecchio, poi si mancanea (operazione di sbassamento delle alture delle zolle con l’uso di un legno traverso gravato di un peso).
Verso la metà di ottobre (nei luoghi freddi e montuosi un po’ prima) si semina. L’operazione di semina avviene spandendo le sementi a mano giacchè i seminatoi non erano ancora molto conosciuti.
Prima della semina le sementi venivano cosparse di calce in polvere quale utile rimedio alle malattie (la filiggine, la golpe o grano buffo).
Nel mese di gennaio si zappolea levando con una piccola zappa le erbe infestanti, oppure si solca con l’aratro.
Prima che la spiga si alzi, si monna, levando con le mani le altre erbe infestanti che nel frattempo sono cresciute.
Gli studiosi del tempo ci ricordano che nelle aree a ridosso del Garigliano, che quasi sempre sono avvolte da una atmosfera di nebbia, si osserva una particolare malattia che attacca le piante di grano. Si tratta della cosiddetta ruggine prodotta da una pianta parassita che investe tutte le parti della pianta tranne il seme. Il rimedio consisteva nel falciare quella parte del campo che ne veniva attaccata avendo particolare scrupolo ad evitare di dare da mangiare agli animali quell’erba infestata.
Infine, a maturazione avvenuta, si procede alla mietitura.
I mietitori solevano proteggere le dita della mano con dei lunghi ditali di canna che avevano anche lo scopo di consentire la presa di più spighe nella fase di taglio.
Le spighe tagliate venivano dapprima riunite in branche; quattro delle quali formano una posta; quattro di queste formano una regna; dodici delle quali formano un cignone; tutti i cignoni riuniti insieme (per essere definitivamente trasportati sull’aia) formano il pignone.
Il pignone trasportato ai margini dell’aia, dà luogo al casarcio.
Prima dell’avvento delle trebbiatrici il grano dal casarcio si conduceva sull’aia dove si trita o si tresca o si trebbia con i buoi o con i cavalli. Quando il quantitativo di grano non è particolarmente elevato da impegnare l’ausilio degli animali, si batte a forza di braccia col jovillo. Infine il grano, pulito (con il pulliccio una sorta di setaccio), e ben asciutto si ripone nei magazzini che potevano essere o fosse sottoterra o camere circolari ricavate con steli di canna.
L’avvento delle prime trebbiatrici cambia parzialmente lo scenario. Il casarcio viene allestito nell’aia in prossimità del luogo dove sarà posizionato il pagliaio. La trebbiatura avviene quindi mediante l’ausilio di queste macchine che con il passare del tempo diventano sempre più sofisticate fino ad arrivare ai nostri giorni in cui la mietitura e la trebbiatura avviene in una operazione unica grazie alle mietitrebbia.
Generalmente le manifestazioni rievocative – ricordiamo nel nostro territorio quelle di Aquino, S. Angelo in Th. a Cassino, Minturno – si svolgono con l’uso di vecchie trebbiatrici che sono state in uso fino alla fine degli anni 60. È più o meno fino a questo periodo che lo speciale evento della trebbiatura segnalava anche un fatto di particolare importanza sociale. Infatti, poiché la trebbiatura necessitava di molti operai impegnati contemporaneamente, si ricorreva alla cosiddetta scagnopera (scambio di manodopera), vale a dire ogni famiglia partecipava ai lavori delle famiglie vicine con l’impegno ad essere ripagate allo stesso modo.Bibliografia:
Memoria sulle piante economiche della provincia Terra di Lavoro, 1814, a cura dell’agronomo Francescantonio Notarianni.
Questo particolare momento della vita dei campi ha una magia che si perpetua nel tempo, per nulla scalfita dall’evolvere dei costumi e dall’uso spinto della tecnologia al servizio della raccolta. Tutto questo ha una ragione: il grano, la farina e quindi il pane rappresentano uno snodo fondamentale nella vita dell’uomo. Il grano, la farina e il pane sono simbolo di abbondanza; e, qualora venissero a mancare, si aprirebbero le porte alla carestia. Ancora oggi nelle campagne, là dove si fa il pane in casa, c’è l’usanza di segnare con il segno della croce le panelle messe a lievitare prima di essere infornate per la cottura.
A sottolineare il valore delle attività legate al grano, i suoi aspetti culturali, di tradizioni e di folclore, ogni anno in diversi centri si organizzano manifestazioni legate ad uno dei momenti fondamentali della raccolta del grano: la trebbiatura.
Ma ripercorriamo l’itinerario del grano dalla semina fino alla trebbiatura nelle terre dell’antica provincia di Terra di Lavoro così come ci viene tramandato da documenti risalenti alla fine dell’800 inizi del ‘900.
Il grano coltivato, generalmente raccolto in una unica denominazione collettiva triticum sativum, è di varie specie.
Esse sono:
– La germanella, o romanella, o serina, o grano piccolo ( triticum sativum.a. aestivum).
– La carosella. (triticum sativum hjbernum caljce submutico).
– La saragolla, grano buono per la pasta (triticum sativum.a.aestivum).
– Grano bianco. (triticum polonicum).
– Grano grosso. (triticum polonicum.y.turgidum).
– Grano grosso, moro, turchesco, o di Barbara. (triticim polonicum.y.turgidum, glumis, fuscis).
– Farro. Seme lungo suddiafano e farro seme tondo suddiafano. (triticum spelta).
– Grano a grappoli, di Smirne, appignato, del miracolo. (triticum compositum).
– Sprenta, provenna, o farro vestito. (triticum monococcum).
Abbiamo parlato delle varie specie di semi, ma prima della loro messa a dimora si procedeva alla preparazione del terreno. Nel mese di maggio, con l’aratro, con la zappa, o con la vanga si rompe la terra.
A fine giugno si ricalla, o si ripassa.
Ai primi di ottobre se il campo è stato piantato precedentemente a granodindia (zea mays), si rifonde prima il solco vecchio, poi si mancanea (operazione di sbassamento delle alture delle zolle con l’uso di un legno traverso gravato di un peso).
Verso la metà di ottobre (nei luoghi freddi e montuosi un po’ prima) si semina. L’operazione di semina avviene spandendo le sementi a mano giacchè i seminatoi non erano ancora molto conosciuti.
Prima della semina le sementi venivano cosparse di calce in polvere quale utile rimedio alle malattie (la filiggine, la golpe o grano buffo).
Nel mese di gennaio si zappolea levando con una piccola zappa le erbe infestanti, oppure si solca con l’aratro.
Prima che la spiga si alzi, si monna, levando con le mani le altre erbe infestanti che nel frattempo sono cresciute.
Gli studiosi del tempo ci ricordano che nelle aree a ridosso del Garigliano, che quasi sempre sono avvolte da una atmosfera di nebbia, si osserva una particolare malattia che attacca le piante di grano. Si tratta della cosiddetta ruggine prodotta da una pianta parassita che investe tutte le parti della pianta tranne il seme. Il rimedio consisteva nel falciare quella parte del campo che ne veniva attaccata avendo particolare scrupolo ad evitare di dare da mangiare agli animali quell’erba infestata.
Infine, a maturazione avvenuta, si procede alla mietitura.
I mietitori solevano proteggere le dita della mano con dei lunghi ditali di canna che avevano anche lo scopo di consentire la presa di più spighe nella fase di taglio.
Le spighe tagliate venivano dapprima riunite in branche; quattro delle quali formano una posta; quattro di queste formano una regna; dodici delle quali formano un cignone; tutti i cignoni riuniti insieme (per essere definitivamente trasportati sull’aia) formano il pignone.
Il pignone trasportato ai margini dell’aia, dà luogo al casarcio.
Prima dell’avvento delle trebbiatrici il grano dal casarcio si conduceva sull’aia dove si trita o si tresca o si trebbia con i buoi o con i cavalli. Quando il quantitativo di grano non è particolarmente elevato da impegnare l’ausilio degli animali, si batte a forza di braccia col jovillo. Infine il grano, pulito (con il pulliccio una sorta di setaccio), e ben asciutto si ripone nei magazzini che potevano essere o fosse sottoterra o camere circolari ricavate con steli di canna.
L’avvento delle prime trebbiatrici cambia parzialmente lo scenario. Il casarcio viene allestito nell’aia in prossimità del luogo dove sarà posizionato il pagliaio. La trebbiatura avviene quindi mediante l’ausilio di queste macchine che con il passare del tempo diventano sempre più sofisticate fino ad arrivare ai nostri giorni in cui la mietitura e la trebbiatura avviene in una operazione unica grazie alle mietitrebbia.
Generalmente le manifestazioni rievocative – ricordiamo nel nostro territorio quelle di Aquino, S. Angelo in Th. a Cassino, Minturno – si svolgono con l’uso di vecchie trebbiatrici che sono state in uso fino alla fine degli anni 60. È più o meno fino a questo periodo che lo speciale evento della trebbiatura segnalava anche un fatto di particolare importanza sociale. Infatti, poiché la trebbiatura necessitava di molti operai impegnati contemporaneamente, si ricorreva alla cosiddetta scagnopera (scambio di manodopera), vale a dire ogni famiglia partecipava ai lavori delle famiglie vicine con l’impegno ad essere ripagate allo stesso modo.Bibliografia:
Memoria sulle piante economiche della provincia Terra di Lavoro, 1814, a cura dell’agronomo Francescantonio Notarianni.
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