CASINUM E I SUOI MONUMENTI – CASSINO E VARRONE: UNA RISPOSTA


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di Filippo Coarelli

02-2011-01.jpg.jpgRecentemente è apparso in Studi Cassinati1, ad opera di Alessandro Betori e Silvano Tanzilli, un articolo che commenta il mio contributo apparso poco prima nella stessa rivista, relativo all’attività edilizia di Varrone nel centro antico di Cassino2, dove si contestano punto per punto le mie ipotesi3: cosa ovviamente non solo perfettamente legittima, ma augurabile.
Nonostante il fatto che i miei tre precedenti e più estesi articoli sull’argomento siano accuratamente citati4, mi sembra che in realtà non si siano colte fino in fondo le argomentazioni che vi erano svolte: questa constatazione e la possibilità di introdurre alcune ulteriori precisazioni, mi inducono a rispondere con una certa ampiezza, e in modo sistematico, nella stessa rivista.
1. Cronologia del teatro di Casinum e sua attribuzione
I due autori, concordando con le proposte presentate recentemente da Patrizio Pensabene5, ribadiscono, contro la mia proposta di attribuirlo alla metà circa del I secolo a.C., la tradizionale datazione augustea del teatro. I loro argomenti possono così sintetizzarsi:
a) la presenza nel teatro di dediche a Gaio e Lucio Cesari, pertinenti senza dubbio a ritratti collocati nella scena;
b) il rapporto dell’edificio con l’impianto viario della città (databile secondo loro in epoca posteriore al tratto urbano della via Latina, da attribuire ad età augustea);
c) l’uso dell’opera reticolata bicroma, che sarebbe anch’essa caratteristica dell’età augustea;
d) la corrispondenza dell’edificio al modello vitruviano del “teatro romano”, e quindi il confronto con teatri di età medio e tardo-augustea (come quello di Marcello e quello di Ostia).
A queste osservazioni è agevole replicare che:
a) la presenza di ritratti con dediche ai nipoti di Augusto (ai quali certamente si deve aggiungere il ritratto colossale di quest’ultimo, di cui restano frammenti) non autorizza alcuna conclusione sulla datazione del teatro, perché essi – come accade documentatamene in molti altri casi – possono essere stati aggiunti in seguito. Si tratta quindi di meri termini ante quem;
b) la cronologia dell’impianto viario della città non è basata su alcun dato sicuro; del resto, nulla impedisce che essa stessa sia determinata dal’orientamento del teatro;
c) l’opera reticolata utilizzata nell’edificio è piuttosto irregolare e molto simile a quella dell’anfiteatro di Casinum. La sua attribuzione ad età augustea non è confermata da alcun esempio datato del Lazio, mentre i confronti migliori sono semmai con strutture di età tardo-repubblicana6. Quanto alla datazione proposta per la tessitura bicolore, si tratta più che altro di un atto di fede. Tra l’altro, i confronti proposti sono di età neroniana (Chieti) o indatabili (Terni);
d) la pretesa corrispondenza al modello del teatro vitruviano non esiste, come ho mostrato in un mio lavoro7: la cavea è infatti semicircolare e non ad arco di cerchio, ciò che fa saltare completamente lo schema basato sul rapporto tra i quattro triangoli su cui è costruita l’orchestra e il resto dell’edificio. Il confronto va piuttosto fatto con il teatro di Pompeo8. Affermare, con Pensabene, che si tratta di un “teatro arcaizzante” conferma in realtà l’attribuzione a un modello più antico. Quanto alla data di pubblicazione del de architectura di Vitruvio negli anni tra il 27 e il 23, si tratta di un’affermazione che, anche se spesso ripetuta, è contraddetta in modo decisivo dalla dedica ad Ottaviano, chiamato Imperator Caesar, un titolo certamente anteriore all’assunzione del nome di Augustus, che è del 27 a.C. Del resto, come è universalmente noto, la cultura di Vitruvio è piuttosto quella del periodo cesariano e triumvirale. Resta comunque stabilito che il teatro di Cassino utilizza un modello previtruviano, che risale dunque agli anni precedenti alla pubblicazione dell’opera, da fissare intorno al 30 a.C.
A queste osservazioni se ne possono aggiungere altre, già enunciate nei miei precedenti lavori, e prudentemente accantonate dai miei critici:
a) le ammorsature in laterizi ancora visibili nelle strutture dell’edificio ne confermano la cronologia tardo-repubblicana: si tratta infatti delle caratteristiche “ammorsature a vela”, utilizzate esclusivamente in età sillana o immediatamente successiva, come il theatrum tectum di Pompei (circa 75 a.C.) o le contemporanee terme di Cales;
b) il frammento marmoreo iscritto, recentemente ritrovato9, che proviene dal teatro, al quale quasi certamente apparteneva, conferma la datazione da me proposta. Va notato che l’uso del marmo per iscrizioni in età tardo-repubblicana non è così raro, come ritiene Pensabene10. In ogni caso, le caratteristiche paleografiche corrispondono bene a una data intorno alla metà del I secolo a.C., come già avevo riconosciuto sulla base del calco11: si puó escludere con sicurezza una data in età augustea.
Ma soprattutto, la menzione di un patronus praefecturae rende insostenibile ogni periodo posteriore al 49 a.C., data in cui probabilmente la città divenne municipio12. Un altro terminus ante quem è da riconoscere nel 44 a.C., quando a Cassino venne probabilmente dedotta una colonia antoniana. Va aggiunto che in un altro frammento di iscrizione13 l’architetto del teatro è chiamato arcitectus14, ciò che avviene solo in epigrafi di età tardo-repubblicana o triumvirale15.
Un dato fondamentale si ricava dall’iscrizione che ricorda il restauro dell’edificio ad opera di Ummidia Quadratilla: grazie a Maurizio Fora16, disponiamo di una restituzione più attendibile del testo:

[Ummidia C(ai) f(ilia) Qu]adrati[lla theatr]um
[impensis? patri]s sui[exornatum? vetust]ate
[collapsum Casinatibus su]a pec(unia)[res]titu[it et ob dedica]tionem
[decurionibus et popu]lo et [m]ulier[ibus epulum] dedit.

Avevo gia in precedenza proposto17 un’altra integrazione alla riga 2: la menzione all’inizio del padre di Ummidia non giustifica infatti un intervento di “decorazione”, che sarebbe più probabilmente avvenuto alla fine del restauro: sostituire nella lacuna il termine inchoatum a exornatum risolverebbe il problema. C. Ummidio Quadrato avrebbe dunque iniziato i restauri, continuati dopo la sua morte (59 o 60 d.C.) dalla figlia. I lavori dovrebbero datarsi, di conseguenza, tra il 40 circa, data approssimativa del suo consolato, e il 65 circa d.C.
È curioso che di questo, che è il documento fondamentale per datare il monumento, si tenga così poco conto da parte dei miei critici e di Pensabene. Come è evidente, gli interventi principali del restauro dovettero riguardare la scena, cioè la parte dei teatri che risulta più spesso modificata, certamente anche per corrispondere alle trasformazioni della tecnica scenografica. Gli elementi conservati dell’architettura scenica vanno dunque attribuiti non già (con Pensabene) ad età tardo-augustea (evidente compromesso tra la data attribuita al teatro e quella, chiaramente più tarda, degli elementi architettonici della scena), ma proprio al restauro di Ummidia Quadratilla, di età neroniana.
Come giustificare il vetustate collapsum dell’iscrizione relativa, se il teatro risaliva a solo quaranta anni prima? Non è questa la prova evidente che si trattava di un edificio vecchio di più di cento anni? È solo al prezzo della rimozione di documenti fondamentali come questo, e della scelta, come esclusiva chiave di lettura, di un preconcetto tradizionale che si puó ancora insistere sulla datazione augustea del teatro, che non si basa su alcun dato reale.
2. La statua dell’”Eroe di Cassino”
Strettamente collegata con il teatro deve considerarsi la statua eroica di marmo: in primo luogo, perché scoperta all’interno dell’edificio, in un pozzo sottostante alla scena. Insieme ad essa vennero ricuperati i frammenti di iscrizioni già commentati in precedenza e pertinenti al teatro stesso. Come si è visto, questi ultimi sono datati con certezza prima del 49 a.C., dal momento che vi si allude alla prefettura, che precede il municipio introdotto in quell’anno.
La datazione stilistica della statua, unanimemente fissata nel secondo quarto del I secolo a.C., corrisponde a quella dell’epigrafe dedicatoria e a quella, su base archeologica, dell’edificio. Inoltre, l’uso del marmo pentelico per la scultura, certamente dovuta a un artista greco, corrisponde all’analogo materiale utilizzato per l’iscrizione, e conferma il carattere eccezionale, urbano piuttosto che locale, della committenza e delle botteghe.
Tali coincidenze appaiono come un’evidente conferma della pertinenza al teatro della scultura, che con tutta probabilità doveva essere collocata al centro dell’edificio scenico originario. La sua rimozione, insieme a quella della dedica, poté avvenire al momento del restauro di Ummidia Quadratilla, ma la sicura presenza nella scena di ritratti di Augusto e dei suoi nipoti, certamente collocati in posizione eminente, rende più probabile che la sostituzione sia avvenuta alquanto prima, per motivi legati alle vicende del personaggio rappresentato (se si trattasse di Varrone, dovremmo pensare alla proscrizione del 43 a.C.).
Non intendiamo qui ripetere ancora una volta i motivi che mi hanno indotto all’identificazione con quest’ultimo, e che non potrei che confermare. Esaminerò comunque in breve le obiezioni che sono state sollevate contro tale identificazione.
In primo luogo, la cronologia. Secondo i miei critici, dal momento che l’opera “non pare potere scendere oltre il 40-30 a.C.”, l’identificazione non sarebbe possibile “anche solo per motivi di verosimiglianza, poiché all’epoca cui la riferisce Coarelli il magistrato e uomo di lettere reatino avrebbe dovuto avere circa settanta anni, mentre il personaggio in essa ritratto è uomo nella piena maturità”.
Ora, a parte l’ingenuità di credere che, in un ritratto eroico, si riproducesse l’età reale del personaggio, il ragionamento in ogni caso non sta in piedi: la data 40-30, stilisticamente la più tarda possibile, non puó essere assunta come parametro assoluto. La cronologia comunemente proposta, da me e da altri, è infatti il secondo quarto del I secolo a.C. In questo momento Varrone, nato nel 116 a.C., aveva tra 57 e 63 anni, età che, considerata anche l’inevitabile idealizzazione in una statua del genere, è perfettamente compatibile con l’apparenza di quest’ultima.
L’ipotesi che potesse trattarsi del Q. Pedio, che in un’iscrizione è indicato come patrono della città (certamente solo tra il 44 e il 43 a.C.) non regge, se consideriamo il rapporto, a mio avviso certo, tra la statua e la dedica del teatro: Q. Pedio fu infatti patrono della colonia triumvirale, e non della prefettura: le ragioni del patronato vanno identificate nella probabile partecipazione alla colonia antoniana del 44 a.C., quasi certamente in qualità di triumvir coloniae deducendae. La presenza ad Ostia di un’analoga statua di Cartilio Poplicola, utilizzata come prova che il personaggio di Cassino “non deve, in ogni caso, essere necessariamente ricercato tra i protagonisti della politica e delle vicende storiche di quegli anni turbolenti” non ha senso. Cartilio Poplicola è infatti un personaggio di rilievo notevole (anche tenuto conto della differenza di scala tra il porto di Roma e una piccola città del Lazio meridionale), in cui va riconosciuto un emissario di Agrippa ad Ostia. Va considerato inoltre che la statua ostiense è chiaramente rilavorata18, e quindi apparteneva in origine a un altro personaggio, in cui non si puó non identificare il dominatore della vita economica e politica della colonia nel periodo tra Silla e Pompeo, P. Lucilio Gamala19. Sappiamo infatti che quest’ultimo partecipò direttamente alla guerra navale contro i pirati, esattamente come Varrone: la sua statua si data di conseguenza agli anni 50 a.C.
Tutto ciò conferma l’interpretazione che da tempo si è proposta per questo particolare tipo statuario20, di cui possediamo solo tre esemplari: oltre ai due già citati, un altro da Herdonia, sulla cui base è rappresentato un rostro navale, evidente conferma dell’interpretazione “navale” proposta per le altre. Si tratta sostanzialmente di una ripresa, con ritmo rovesciato, del Poseidon di Lisippo (tipo del Laterano), certamente utilizzato (come si deduce da alcune monete) anche da Pompeo Magno e dal figlio Sesto Pompeo, ovviamente in relazione alle loro vittorie navali (La Rocca). È probabile che il motivo sia stato inventato per Demetrio Poliorcete, a celebrazione della sua vittoria di Salamina di Cipro su Tolomeo Soter.
In ogni caso, l’accertato rapporto di questo modello di statua con imprese navali costituisce nel nostro caso un argomento a mio avviso definitivo per l’identificazione con Varrone, che si illustrò, sotto il comando di Pompeo, nella guerra piratica del 67 a.C., fino al punto da ottenere la corona navalis, onore per la prima volta toccato a un romano. Un tale rapporto non è noto per alcun altro personaggio che abbia avuto rapporti con Cassino.
3. L’anfiteatro e il sepolcro detto di Ummidia Quadratilla
Qualche breve osservazione si puó aggiungere a proposito dell’anfiteatro e del sepolcro monumentale attribuito tradizionalmente a Ummidia Quadratilla.
Il primo, come è noto, è stato realizzato, come risulta da alcune iscrizioni, da Ummidia Quadratilla, certamente insieme al restauro del teatro. In questo caso, si ammette che l’edificio, per le sue caratteristiche strutturali (“il muro perimetrale non articolato, associato alla struttura piena”) non sembra corrispondere a quanto ci aspetteremmo per un periodo intorno al 50 d.C., e si riconosce che l’espressione fecit nell’iscrizione principale potrebbe anche, come in altri casi, significare refecit. Anche l’uso di un’opera reticolata piuttosto irregolare (praticamente identica a quella del teatro) non si addice a una tale cronologia. Tutto dipende dal significato che si vuole dare al termine amphitheatrum, che non definisce necessariamente l’insieme dell’edificio. In molte iscrizioni dedicatorie di monumenti pubblici romani, in particolare quelli dedicati allo spettacolo, troviamo indicazioni non sintetiche, ma analitiche: per citare solo il caso di Pompei, il rifacimento augusteo del “Teatro grande” ad opera degli Holconii è indicato nei termini seguenti: “M. M. Holconii Rufus et Celer cryptam, tribunalia, theatrum s. p.”21: dove si menzionano come parti autonome vari settori del teatro, ed è evidente che theatrum indica la sola cavea gradinata.
Non è difficile immaginare che la prima fase dell’anfiteatro di Cassino, analogamente a quello di Pompei, fosse a semplice terrapieno privo di gradini, e che la costruzione (quindi non la ricostruzione) dell’amphitheatrum ad opera di Ummidia Quadratilla corrisponda solo alla realizzazione dei gradini in pietra.
Per quanto riguarda il sepolcro, anche trascurando la sua possibile attribuzione, una datazione alla metà del I secolo d.C. al più presto non mi sembra ancora una volta giustificata dai dati disponibili. L’allineamento con il tratto urbano della via Latina non ha alcuna rilevanza, trattandosi in questo caso di un edificio non anteriore al periodo augusteo. Quanto all’uso dell’opera mista con ricorsi in mattoni, ritenuta non ammissibile in età augustea in un ambiente periferico22, basterà ricordare il confronto evidente con il mausoleo di L. Munazio Planco a Gaeta, databile intorno al 20 a.C., le cui celle funerarie sono interamente realizzate in opera mista. Del resto, il livello eccezionale del sepolcro casinate non autorizza alcuna presunzione di “provincialismo”. Analoghe considerazioni si possono fare a proposito della modanatura inferiore a cyma recta della struttura sovrastante alla tomba (altare o sacello?), perfettamente compatibile con una datazione augustea. Per quanto riguarda poi la pretesa tipologia dell’opus quadratum utilizzato nell’ambiente interno, che sarebbe assimilabile a costruzioni romane del I secolo d.C., siamo in presenza di illazioni del tutto fantastiche, tanto è chiaro il rapporto con strutture tardo-repubblicane o protoaugustee.
Quello che invece viene del tutto trascurato è il carattere straordinario del monumento, non solo per la sua monumentalità e per il suo isolamento dal punto di vista architettonico, ma anche per il carattere chiaramente simbolico della sua composizione geometrica e per la probabile destinazione a inumazioni in sarcofago, cui sembrano destinate le tre ampie nicchie. Ma soprattutto, non una parola viene spesa per giustificare la sua collocazione eccezionale, entro il pomerio della città, in una zona certamente pubblica. Analoghe osservazioni vanno fatte a proposito della presenza di un altare ad eschara, chiaramente destinato al culto funerario di un personaggio eroizzato, per il quale si propone l’assurda identificazione con una scala (per andare dove?).
Tutti questi elementi, se considerati nel loro giusto valore, confermano l’attribuzione ad un personaggio fuori del comune, ritenuto degno di eroizzazione e di un sepolcro pubblico.
Lascio da parte la datazione ad età imperiale dei due grandi capitelli ionici trovati nei pressi, pertinenti con tutta probabilità a un tempio, sostituito dalla scomparsa chiesa di S. Pietro: la fondazione sottostante, certamente destinata a sostenere l’edificio, è databile per la sua tecnica in opera incerta alla seconda metà del II secolo a.C., data certamente da attribuire anche ai capitelli, interamente realizzati in stucco (scanalature comprese) su un’anima cilindrica di travertino.
In conclusione, si deve affermare ancora una volta che tutti i dati disponibili contribuiscono alla ricostruzione di un contesto coerente, di un “paradigma indiziario” che si addice solo a una personalità di spicco, vissuta nel corso del I secolo a.C. e collegata a Cassino da un rapporto diretto. L’unico che corrisponda a tale identikit sembra essere Varrone.
Contro tale identificazione resta solo l’affermazione seguente: “non pare, se non si debba a un difetto della documentazione, che egli risulti particolarmente legato alla comunità locale, al punto almeno da profondere somme notevolissime per le funzioni pubbliche e il decoro della cittadina e, in particolare, di accettare o addirittura finanziare l’erezione di un edificio in cui sarebbe dovuto essere sepolto”
In primo luogo, va osservato che questo è un tipico argumentum ex silentio, come tale metodologicamente inammissibile. Ma anche se volessimo seguire tale linea interpretativa, dovremmo comunque riconoscere l’esistenza di un patronus della città, coinvolto in un’importante operazione di evergetismo, come la costruzione del teatro, a giudicare almeno dall’iscrizione dedicatoria conservata. Non si puó in nessun caso trattare di un magistrato locale: per Cassino, conosciamo un solo personaggio di levatura compatibile con l’opera, C. Ummidio Quadrato, che comunque è da escludere per motivi cronologici. Nel committente del teatro va identificata una personalità di rango senatorio, non originaria della città, anche se in qualche modo ad essa collegata. In questi casi, si tratta perlopiù di aristocratici romani, proprietari di ville nella zona, che assumevano spesso la funzione di patroni. Li conosciamo in genere solo da iscrizioni o, nel periodo che ci interessa, dal corpus ciceroniano, che è comunque per questo aspetto molto lacunoso.
Esempi di nobili romani sepolti accanto alle loro ville, dislocate in vari punti dell’Italia centrale e meridionale, sono frequentissimi: qui basterà citare pochi esempi, come quelli di Lucullo e di Pompeo, le cui tombe si trovavano, rispettivamente, accanto alla loro villa tusculana e albana. Particolarmente significativi sono poi i casi di Q. Munazio Planco e di Sempronio Atratino, i cui sepolcri monumentali possono ancora ammirarsi a Gaeta, e si possono spiegare solo con la presenza delle rispettive ville nei paraggi. È probabile che si tratti di patroni di Formia, come è anche il caso di Cicerone, la cui tomba doveva trovarsi nella stessa zona.
In definitiva, contrariamente alle affermazioni dei miei critici, la spiegazione da me proposta per i monumenti di Cassino rientrerebbe perfettamente nella tipologia più corrente dei rapporti di patronato fra nobili romani e comunità locali. Questo è il contesto da cui non si puó prescindere. Si impone di conseguenza una domanda: se non Varrone, chi altro?


1 A. Betori, S. Tanzilli, “Casinum e i suoi monumenti. Esame storico-architettonico: prosegue il dibattito”, in Studi Cassinati IX, 4, (ottobre-dicembre 2009), pp. 243-252.
2 F. Coarelli, “Varrone e Cassino”, in Studi Cassinati VIII, 4, ottobre-dicembre 2008, pp. 247-251.
3 Di questo effettivamente si tratta, nonostante l’affermazione degli autori di non voler “contestare la (mia) ricostruzione critica”.
4 A p. 243, nota 9: “Varrone e il teatro di Casinum”, in Ktema, 17 (1992), pp. 87-108; “Il ritratto di Varrone. Un tentativo di paradigma indiziario”, in Splendida Civitas Nostra,. Studi archeologici in onore di A. Frova, Roma 1995, pp. 269-280; “Le mausolée de Varron à Casinum? Une hypothèse d’identification”, in R.E.L., 75 (1997), pp. 92-112.
5 P. Pensabene, “Marmi e committenza nel teatro di Cassino”, in E. Polito (ed.), Casinum oppidum, Cassino 2007, pp. 101-122, che però non conosce il mio contributo sullo stesso argomento apparso in Ktema 1992.
6 Per la datazione dei tipi di paramento repubblicani mi sia permesso di rimandare al mio articolo “Public buildings in Rome between the Second Punic War and Sulla”, in PBSR, 45 (1977), pp. 1-23.
7 In Ktema 1992.
8 Sul quale si veda ora A. Monterroso Checa, Theatrum Pompei. Forma y arquitectura de la génesis del modelo teatral de Roma, Roma 2010.
9 Ringrazio Alessandro Betori per questa comunicazione.
10 Si veda da ultimo D. Nonnis,…
11 In Casinum oppidum, p. 38: apici aperti a coda di rondine, traversa della R rettilinea, assenza di assottigliamenti e ombreggiature, punti di separazione triangolari con vertici in alto.
12 Ibid., pp. 39 s.
13 G. Carettoni, “Cassino. Esplorazione del teatro”, in NS 1939, p. 126, n. 156.
14 Coarelli, in Ktema 1992, pp. 103 s.
15 Ibid.
16 M. Fora, “Ummidia Quadratilla ed il restauro del teatro di Cassino in una nuova lettura di AE, 1946, 174”, in ZPE, 94 (1992), pp. 269, ripreso in Studi Cassinati IX, 2 (aprile-giugno 2009), pp. 84-89.
17 In Ktema 1992, p. 98.
18 Come mi ha mostrato l’amico Alessandro Danesi, che ringrazio.
19 F. Coarelli, “Per una “topografia Gamaliana” di Ostia”, in A. Gallina Zevi, J. H. Humphrey (cur.), Ostia, Cicero, Gamala, Feasts § the Economy, Papers in memory of J. H.D’Arms, Portsmouth, Rhode Island, 2004, pp. 89-98.
20 E. La Rocca, “Pompeo Magno, ‘novus Neptunus’”, in BCAR, 92 (1987-88, pp. 265-292.
21 ILS 5638.
22 Per l’uso già diffuso in età repubblicana del laterizio, debbo ancora una volta citare me stesso: “L’inizio dell’opus testaceum a Roma e nell’Italia romana”, in P. Boucheron, H. Briose, Y. Thébert (cur.), La brique antique et médiévale. Production et commercialisation d’un matériau, Actes du colloque international, Saint-Cloud 1995, Rome 2000, pp. 187-195.

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