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Studi Cassinati, anno 2011, n. 1
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di Heikki Solin
Darei al testo la seguente forma:
D(is) [M(anibus)].
L(ucius) Staedius [ille et illa]
Marcella [illi]
filiae car[issimae et dulcis-]
5 simae et pi[entissimae, quae]
vixit anni[s —-, mensibus —-]
parentes c[on]tr[a votum fecerunt]
In italiano: “Agli Dei Inferi. Lucio Stedio [—- e —-] Marcella a [—-], figlia car[issima e dolcis]sima e de[votissima, che] visse anni [tot, mesi tot], i genitori [fecero] contro [il loro desiderio].”
Dell’iscrizione manca un pezzo notevole a destra, ma non è facile stimare quanto. La struttura del testo è a grandi linee chiara. All’inizio, dopo l’invocazione agli Dei Inferi (riga 1), stanno i nomi dei genitori, dei quali sono conservati il prenome e il gentilizio del padre (riga 2) ed il cognomen della madre, che è Marcella (riga 3), la menzione della defunta figlia rimasta anonima, filiae, seguito da car[issimae] ed altri epiteti laudativi (riga 4 e 5), l’indicazione degli anni vissuti della defunta figlia (riga 6) e la menzione dei genitori.
Per calcolare la lunghezza dello spazio mancante a destra, prendiamo come punto di partenza le righe 4 e 5. Se l’ordinator (cioè il responsabile della composizione dei testi epigrafici nelle officine lapidarie) e il lapicida hanno provveduto alla centratura del testo, allora le parti integrate, secondo la ricostruzione proposta sopra, occupano in ambedue le righe 14/15 lettere. Della riga 4 non saprei proporre un’integrazione sostanzialmente diversa, al massimo invece di dulcissima poteva esserci un altro epiteto quale rarissima o iucundissima, ma ciò incide solo marginalmente sulla lunghezza del testo perduto. Possiamo dunque pacificamente assumere che a destra manchi una porzione grosso modo di questa lunghezza. Così anche l’integrazione della riga 5 diventa plausibile; al massimo si potrebbe accorciare un po’ la lacuna inserendo pi[issimae] invece di pi[entissimae], ma quest’ultima integrazione si adatta meglio alla lunghezza della riga precedente; inoltre pientissimus -a è più frequente di piissimus -a nel gergo epigrafico sepolcrale romano (nella banca dati di Clauss – Slaby pientissim- si trova per il momento [febbraio 2011] 3873 volte, piissim- 3068 volte). Non è del tutto normale che il defunto riceva nel testo del suo epitaffio ben tre epiteti laudativi (ma il tipo esiste: per esempio Inscriptiones Daciae Romanae II 36 [Drobeta nella Dacia] coniugi cariss(imae) et pientiss(imae) et digniss(imae)). I genitori si saranno serviti di tale sovrabbondanza di epiteti per il grande affetto che nutrivano verso la figlia morta prematuramente.
Torniamo ancora alla riga 3. Dopo Marcella, c’è posto, per il nome della figlia, dunque circa 14/15 lettere. Se lei è stata designata nell’iscrizione con due nomi, gentilizio e cognomen, come si potrebbe a prima vista supporre, avrebbe portato un gentilizio e un cognomen di una lunghezza di circa 7/8 lettere ciascuno. Ora, ella avrà probabilmente portato il gentilizio di suo padre, era dunque una Staedia, nel qual caso per il suo cognomen restano circa 7/8 lettere. Ma è anche possibile che sia stata designata nell’iscrizione con il solo cognome; anche se non era, come sembra ovvio, una schiava, per cui dovette possedere il gentilizio, i suoi genitori potevano chiamarla nel suo epitaffio, col solo cognomen; è un fenomeno noto che nel testo epigrafico dei giovani figli morti prematuramente, si poteva omettere il gentilizio e questo succedeva tanto più spesso quanto più giovane era il figlio. Se nella nostra iscrizione la figlia era indicata col solo cognomen, in tal caso avrebbe potuto seguire un verbo quale fecerunt, che nel testo sopra offerto abbiamo posto alla fine dell’ultima riga. Tutte e due le alternative sono possibili.
Nella riga 6 c’è posto, dopo anni[s] e il numero degli anni, per mensibus tot. Nella riga 7 seguiva, dopo parentes, la causa della dedica; contra votum mi sembra lettura ovvia (di TR in contra la T è chiara, e della R si distingue senza difficoltà l’asta verticale); parentes contra votum è un nesso comune in epitaffi ed è spesso seguito da fecerunt. Con questo verbo la lunghezza della riga aumenta di poco, ma ci troviamo sempre nei limiti della centratura del testo – se non si vuole accorciare il testo della lacuna scrivendo vota invece di votum, come si poteva pure esprimere (contra vota appare per esempio a Roma [ICUR 13279] e a Capua [CIL X 4490]). Ma è anche possibile che il verbo fecerunt sia stato posto non qui, bensì alla riga 3 dopo Marcella; in tal caso la riga resterebbe più breve, ma è fenomeno noto il fatto che anche in casi in cui si è provveduto alla centratura del testo, l’ultima riga può concludersi prima del margine destro rispettato dalle altre righe.
Circa il contenuto dell’iscrizione bastano poche parole.
Il gentilizio Staedius era già noto a Cassino, da CIL X 5229 che ricorda uno Staedius Invictus; e da 5293, epitaffio posto alla figlia Staedia Synerusa dal padre Q(uintus) Staedius Chrysorhoas. Nella vicina Atina si conoscono tre esponenti della famiglia (il cui nome è scritto Staid-) in CIL X 5156 = I2 1536: M(arcus) Staidius M(arci) f(ilius), M(arci) n(epos), Ter(etina tribu) con suoi figli M(arcus) (et) C(aius) Staidieis (Marci) feilieis (-ieis è un’arcaica desinenza del nominativo plurale); e una Staedia Q(uinti), (mulieris) l(iberta) Hil[ara] in un’iscrizione pubblicata da M. Kajava nella sua raccolta “Nuove iscrizioni dal Lazio meridionale”, in Studi storico-epigrafici sul Lazio antico, a cura di H. Solin (Acta Instituti Romani Finlandiae XV), Roma 1996, p. 189 n. 21 (AE 1996, 330). Inoltre compare a Sora, neanch’essa lontana, in CIL X 5747 una Staedia Lo[—-]. Il prenome Lucius compare più raramente in combinazione con il gentilizio, ma a Venosa abbiamo un Lucius Staedius: CIL IX 575 L(ucius) Staedius Amianthus. Il cognomen della madre, Marcella è stato molto popolare durante tutta l’età romana e in tutte le classi sociali. – L’iscrizione sembra potersi datare al II secolo d.C., probabilmente alla sua seconda metà.
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