9 settembre 1943 – L’affondamento della Regia Nave “Roma” Si cerca ancora il relitto

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Studi Cassinati, anno 2010, n. 3
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di Valentino Mattei


La curiosità di conoscere gli eventi storici che hanno visto coinvolta la R.N. “Roma” nasce nell’estate di cinque anni fa quando, da semplice turista appassionato di immersioni subacquee, approdai nell’arcipelago e parco nazionale de La Maddalena. Lì, fra un tuffo a mare e un’immersione, un’uscita in gommone nelle splendide isole che ne compongono l’arcipelago e qualche passeggiata fra le fortificazioni militari dell’isola di Caprera e la celeberrima casa di Garibaldi, mi venne accennato da una guida turistica che durante la seconda guerra mondiale la rada maddalenina era stata designata, almeno inizialmente, dal comando Alleato, in accordo con Supermarina (Comando superiore della Regia Marina durante la seconda guerra mondiale), quale area in cui la flotta italiana, dopo la firma dell’armistizio reso noto l’8 settembre 1943, si sarebbe dovuta mettere alla fonda in attesa di ordini più specifici sul suo futuro impiego. In questo contesto era inserita la R.N. “Roma” che non giunse mai a destinazione e che, ad oggi, a seguito del suo affondamento, resta un mistero in quanto il suo relitto non è ancora stato ritrovato.
Tale curiosità, nel tempo, mi ha portato a chiedere ulteriori informazioni a qualche amico maddalenino, ma le risposte erano spesso vaghe e confuse. Da qui è nato il mio interessamento sfociato nel presente articolo, che in fondo non è che il riassunto di fatti a molti già noti. Nella narrazione non ho volutamente fatto riferimento a presunti episodi di malumore o di un presunto ammutinamento dell’equipaggio in quanto inutili alla mera narrazione dei fatti o a ipotetiche prese di posizione, non documentate, di ufficiali o sottufficiali.

La Regia Nave “Roma”
La R.N. “Roma” (Regia Nave “Roma”), meglio conosciuta come Corazzata “Roma”, progettata dal Generale ingegnere del Genio Navale Isacco Umberto Pugliese1, faceva parte, unitamente alla R.N. “Vittorio Veneto”, alla R.N. “Littorio”, poi rinominata “Italia”, e alla R.N. “Impero”, mai entrata in servizio attivo, delle navi da battaglia appartenenti alla Classe “Littorio”2 della Regia Marina Italiana.
Le navi da Battaglia “Classe Littorio”3

Ammiraglia della flotta, sin dal varo, fu da subito posta al comando del Capitano di Vascello Adone Del Cima, unico suo comandante, nato a Torre del Lago Puccini nel 1898 e morto a largo dell’Asinara il 09 settembre 1943, data di affondamento della “Roma”. A lui furono riconosciute varie onorificenze: fra le più importanti ricordiamo la Medaglia d’argento al valor militare alla memoria e la concessione a Parigi, il 17 maggio 1938, dell’onorificenza di Cavaliere della Legione d’onore4.
La costruzione della nave ebbe inizio il 18 settembre 1938 presso il cantiere navale San Marco di Trieste e solo due anni dopo, il 9 giugno 1940, fu varata in mare ed inviata presso i cantieri navali di Monfalcone per il suo completamento. Dopo altri due anni d’attesa, il 14 giugno del 1942, la nave venne consegnata ed immessa in servizio attivo5 (tabella 1). Il comando della corazzata fu assegnato a Del Cima che ne seguì tutte le vicissitudini.
In base al Trattato navale di Washingotn del 1921 si stabilì, seppur con notevoli difficoltà, che il tonnellaggio massimo delle navi da guerra non dovesse superare le 35.000 tonnellate e il calibro massimo delle principali artiglierie di bordo non fosse superiore ai 406 mm. Prescindendo da ragioni storiche e politiche legate anche al cambiamento dei rapporti internazionali fra Italia, Francia e Gran Bretagna, le navi da battaglia della Classe “Littorio” furono tutte costruite senza rispettare le norme, in particolare quelle sul tonnellaggio. Lo stesso Sottosegretario della Marina ne autorizzò l’eccedenza con una tolleranza di circa 3.000 tonn. in più, tanto che tutti gli studi sul dislocamento della navi furono condotti su un peso di circa 40.000 tonn.
Molte furono le innovazioni costruttive applicate sulla “Roma”: la protezione subacquea, ideata dal Generale Pugliese, che vedeva un doppio strato di piastre inclinate di differente spessore fra le quali era collocato un cilindro ripieno di nafta o acqua, denominato Cilindro Pugliese, che avrebbe ulteriormente attutito lo scoppio di mine o siluri sullo scafo riducendone i danni; la propulsione a vapore, data da 4 gruppi turbo riduttori alimentati da 8 caldaie tipo Yarrow/Regia Marina, e l’apparato motore protetto da cilindri corazzati singoli per ogni caldaia e per ogni ventilatore con ulteriori protezioni/corazzature specifiche. L’energia sprigionata forniva una potenza massima di 180.000 CV che, attraverso 4 assi, mettevano in rotazione le 4 eliche tripale, 2 principali e 2 di riserva, di cui la “Roma” era dotata, facendole raggiungere una velocità massima di 31 nodi e un’autonomia di circa 3.900 miglia con una velocità media di 21 nodi.
Degni di nota sono anche altri tre elementi di cui la corazzata “Roma” era equipaggiata: uno, era dotata a poppa di una catapulta orientabile per il lancio di 3 aerei che in origine erano dei RO-43 e che poi vennero sostituiti da caccia Re-2000, dotati di un sistema di galleggiamento che ne permetteva l’ammaraggio e il successivo recupero a bordo; due, era dotata del sistema radar EC.3 Ter Gufo prodotto dalla SAFAR di Milano, che fu il primo radar di fabbricazione italiana a trovare un impiego operativo; tre, era dotata di una moderna centrale di direzione del tiro, ideata e progettata, su ordine dello Stato Maggiore, dallo stesso Ammiraglio Bergamini6, nonché di torri di tiro stabilizzate con un sistema di giroscopi che permettevano di annullare il beccheggio e il rollio.
Le navi da battaglia della classe “Littorio”, di cui faceva parte la “Roma”, erano considerate nel 1940 le più potenti del mondo, primato che persero nel 1942 con l’entrata in servizio delle navi giapponesi classe Yamato e delle americane classe Iowa.

Le ultime ore della R.N. “Roma”: l’affondamento7
La disponibilità operativa in battaglia della corazzata “Roma” inizia il 14 giugno 1942 e, come già detto, era comandata dal Capitano di Vascello Adone Del Cima e l’equipaggio previsto era composto da 1.849 uomini fra ufficiali, sottufficiali, sc. e comuni.
Tale disponibilità avvenne in un momento storico che non ne permise mai l’entrata in combattimento. Nonostante ciò, mentre era alla fonda presso l’arsenale di La Spezia, il 5 giugno 1943, a seguito di un bombardamento, la corazzata venne danneggiata, avvenimento che si ripropose pochi giorni dopo, nella notte del 24 giugno. Per la “Roma” fu necessario il ricovero presso il bacino di carenaggio di Genova; i lavori di rimessa in efficienza operativa durarono circa un mese e mezzo. La nave poté rientrare in squadra a La Spezia solo il 13 agosto 1943.
L’Italia era allo stremo delle forze e la stabilità politica vacillava orami da tempo. A seguito della firma dell’Armistizio, reso noto l’8 settembre 1943, l’Ammiraglio Carlo Bergamini, Comandante in Capo delle forze navali da battaglia, nato a San Felice sul Panaro il 24 ottobre 1888 e morto a largo dell’Asinara il 9 settembre 19438, ricevette l’ordine dall’Ammiraglio Raffaele De Courten9, Capo di Stato maggiore della Marina, di restare in attesa che il Comando Alleato definisse la destinazione su cui condurre la flotta in attesa di ulteriori disposizioni.
Successivamente Bergamini venne informato che l’indomani avrebbe potuto far rotta verso La Maddalena e che il Generale Vittorio Ambrosio, Capo di Stato Maggiore generale (febbraio-novembre 1943), aveva avuto assicurazione dagli angloamericani che era esclusa la consegna delle navi e l’abbassamento della bandiera. Alla Maddalena tutto era pronto per accoglierli, unitamente al Re Vittorio Emanuele III e il Governo.
Era orami il 9 settembre 1943 e, dopo una concitata notte, verso le 3.30 del mattino salparono alla volta dell’arcipelago maddalenino, il “Vittorio Veneto”, l’“Italia”, 3 incrociatori, 8 cacciatorpediniere e 8 torpediniere che, unitamente alla “Roma”, che esponeva le insegne di nave ammiraglia, presero il largo per poi congiungersi, circa 3 ore più tardi, al largo della Corsica, con il gruppo navale proveniente da Genova, composto da altre 4 unità.
L’intera formazione, di 23 unità navali, navigava senza aver issato i pannelli neri sui pennoni e disegnato i dischi neri sulle tolde in segno di resa e accettazione dell’armistizio. La “Roma” esponeva le insegne di nave ammiraglia e il Gran Pavese. Superato Capo Corso la flotta si diresse verso sud, costeggiando a largo le coste della Corsica occidentale fino a quando non virò verso est dirigendo verso le Bocche di Bonifacio. Durante la navigazione, per ben tre volte, la formazione fu avvistata da ricognitori tedeschi, ma nessuno fece fuoco. La flotta proseguì la sua rotta iniziando a zig-zagare e all’altezza di Capo Testa (Nord Sardegna, a ridosso di Santa Teresa di Gallura), le navi si disposero in linea di fila (fila indiana). Fra le 14:30 e la 14:45, quando la flotta stava per giungere nel punto più stretto delle Bocche di Bonifacio, l’Ammiraglio Bergamini ricevette l’ordine da Supermarina di cambiare rotta e dirigersi verso Bona in Algeria, in quanto La Maddalena era stata occupata dalle truppe tedesche.
Invertita la rotta, alcuni aerei tedeschi, che già avevano sganciato alcune bombe sul convoglio nelle ore precedenti ma senza risultati, continuarono ad attaccare con l’ordine di centrare le corazzate della classe “Littorio”. Le navi italiane inizialmente non reagirono ma successivamente ricevettero l’ordine di rispondere al fuoco. Tutte le contromisure si rivelarono vane perché la portata di tiro massima delle artiglierie contraeree era di 5.000 metri, mentre i caccia tedeschi volavano ad una quota ben superiore. Di contro i tedeschi, con l’uso della bomba radiocomandata ad onde corte Fritz X potevano centrare il bersaglio anche da quote così elevate e l’operatore poteva dirigerla sul bersaglio correggendone la traiettoria dopo il lancio. Alle 15:40 circa iniziarono a bersagliare la “Roma”, un prima bomba centrò la nave passandola da parte a parte ed esplodendo in acqua. Non causò danni apparentemente gravi; ma alle 15:50, una seconda bomba centrò la corazzata verso prua generando l’esplosione delle cariche di lancio nella Santa Barbara. La plancia comando, con tutto lo Stato Maggiore saltò in aria, morirono il Comandante Del Cima e l’Ammiraglio Bergamini, più volte decorato e, fra le maggiori onorificenze, aveva ricevuto una Medaglia d’argento al valor militare durante la prima guerra mondiale, una Medaglia d’argento al valor militare durante la seconda guerra mondiale; ricevette, poi, una Medaglia d’oro al valor militare alla memoria. In quell’esplosione la torre n. 2 fu proiettata fuori bordo e cadde in mare con tutta la sua massa di 1.500 tonn. Erano circa le 16:10 del 9 settembre del 1943 e la R.N. “Roma”, orami “ferita mortalmente”, si piegava su di un fianco per poi capovolgersi e spezzarsi in due tronconi e affondare.
Finiva così, senza aver mai potuto combattere, la storia della Regia Nave “Roma”, ammiraglia della flotta della Regia Marina Militare Italiana, colpita ed affondata in un tratto di mare difficilmente esplorabile vista la sua profondità, la morfologia del suolo sottomarino e i forti venti di maestrale che vi spirano, a circa 18-20 miglia a largo di Castelsardo.
Nell’attacco perirono 1.253 uomini fra ufficiali, sottufficiali, sc. e comuni e si puó dire che furono fra le prime vittime italiane, morte per mano tedesca, dopo la firma dell’armistizio. I superstiti furono 596, e fra questi ricordiamo Cosmo Ciano, residente a Gaeta. Alle 16:22 l’Ammiraglio Oliva assunse il comando della flotta e solo alle 17:00 riuscì a comunicare a Supermarina l’affondamento della “Roma” in coordinate 41° 10‘ Lat. Nord e 08° 40‘ Long. EST; poco differenti rispetto a quelle comunicate dall’Eugenio di Savoia, 41° 08‘ Lat. Nord e 08° 39‘ Long. Est.

La R.N. Roma oggi
Ad oggi non si sa ancora nulla sul luogo esatto dell’affondamento della corazzata “Roma”. Vari sono stati i tentativi di ritrovamento del relitto ma tutti, almeno sino ad ora, si sono conclusi con un nulla di fatto. Si presume sia affondata a circa 18-20 miglia a largo di Castelsardo, nel nord Sardegna, in un tratto di mare spesso battuto dal maestrale con profondità molto elevate e raggiungibili solo mediante l’uso di strumenti meccanici. I fondali si presentano ricchi di gole e crepacci che sprofondano verticalmente verso il basso e che rendono estremamente difficoltosa l’indagine con sonar e scandagli. Va altresì considerato che, essendosi spezzata in due tronconi, la nave potrebbe essersi adagiata sul fondo verticalmente (parere personale) e tale posizione la potrebbe rendere di difficile individuazione alle varie strumentazioni disponibili, le quali potrebbero vederla come una “guglia rocciosa”.
Numerosi sono stati i tentativi di ricerca ma, al di là delle chiacchiere prodotte, non hanno dato nessun risultato concreto.
Il giornale La Nazione, del 19.10.07, pag. 34, riferisce che le coordinate del punto di affondamento sarebbero note e che sono 41°07‘ 52‘’ N e 08°37‘ 44‘’ E e pubblica addirittura una foto scattata con un ROW. Dice anche che nell’estate 2006 addirittura Bill Gates aveva finanziato una ricerca ingaggiando tre esperti italiani, ma la stessa si era conclusa con un nulla di fatto, dato che le coordinate ufficiali erano molto imprecise e il fondale controllato variava da una profondità di 350 metri fino a 700. Scrive, inoltre che il relitto sia adagiato su di un pianoro a 340 metri di profondità, molto più a sud di quanto si ipotizzava. Accenna anche all’esistenza di un fantomatico yacht tedesco ormeggiato a Porto Cervo che al suo interno celi strumentazioni per la ricerca sui fondali marini.
L’Unione Sarda del 19 agosto 2009 pubblica un articolo che parla di un’imminente spedizione di ricerca che sarebbe dovuta partire il 1° settembre 2009, guidata da Francesco Scavelli, un giovane di Catanzaro, per riprendere le ricerche condotte senza successo dalla nave Anteo della Marina Militare dopo un presunto ritrovamento di un grande oggetto sommerso nell’area dell’affondamento della corazzata. Anche nel 2007, cita sempre l’articolo, un ingegnere svizzero, tale Guido Gay, ha dato la caccia alla “Roma”. Durante le ricerche ha individuato, a largo di Castelsardo, noto punto d’approdo in epoca romana, molti relitti romani carichi di anfore e, stando ai dati del suo sonar, avrebbe localizzato anche un’imbarcazione non meglio definita che faceva pensare alla corazzata. Le ricerche purtroppo non sono andate avanti per mancanza di strumentazione più specifica. Anche l’Unità del 1° settembre 2009 cita la storia di un uomo, tale Fernando Cuglieri, che negli ultimi quattro anni ha speso molto del suo tempo, e non solo, nella ricerca della nave “Roma”. Dopo lo studio delle mappe, dei campi marini minati di allora e altri dati, il Cuglieri definisce un’area all’interno della quale effettuare le proprie ricerche individuando 6-7 target. Data la profondità, 500 metri circa, decide di fare un primo screening con l’ecoscandaglio. Uno di questi presenta la sagoma di un oggetto, grosso e ben definito, che si differenzia dalle rocce per la classica colorazione rossastra con cui si rilevano i rottami ferrosi. Solo successivamente, nell’ottobre 2007, decide di utilizzare il ROV: una prima immersione fallisce a causa di un malfunzionamento ma, nonostante ciò, i sensori confermano la presenza di un grosso ammasso di rottami ferrosi. A dicembre dello stesso anno ripete l’impresa, il mare non è dei migliori e non puó lavorare molto, ma riesce a filmare un giubbotto di salvataggio compatibile con quelli in uso all’epoca. Insomma, anche il suo tentativo non ha portato molti risultati, ma sicuramente più concreti dei precedenti. Le sue coordinate di ricerca sono 41°09‘ 870‘’ N e 08°39‘ 090‘’ E, e le rende note in quanto sa che una società francese, la Comex, a breve avrebbe iniziato una nuova campagna di ricerche.
Infine l’articolo riferisce che le coordinate registrate dai caccia tedeschi sono 41° 08‘ N e 08° 09 E, dove la nave fu colpita, e la sua agonia è documentata non solo da foto aeree ma anche da quelle scattate dall’incrociatore “Attilio Regolo”.
Insomma la corazzata “Roma” giace ancora lì, inviolata. Forse un giorno non molto lontano sarà localizzata, ma l’importante è che quegli uomini che lì sono sepolti riposino in pace nel rispetto e nel ricordo di tutti noi: uomini che hanno sacrificato le loro vite e la loro giovinezza per l’Italia.

Bibliografia di riferimento
– Gino Galuppini, Guida alle navi d’Italia, Milano, Mondadori, 1982.
– Ernesto Pellegrini, Umberto Pugliese: generale ispettore del Genio navale (1880-1961), Roma, Ufficio storico della marina militare, 1999.
– Franco Bargoni-Franco Gay, Corazzate classe Vittorio Veneto, Roma, Bizzarri, 1973-1974.
– Agostino Incisa della Rocchetta, L’ultima missione della corazzata Roma, Milano, Mursia, 1978.
– Marco Gemignani, Adone Del Cima: comandante della corazzata Roma, Rai Trade, 2005.
– Erminio Bagnasco-Augusto De Toro, Le navi da battaglia classe “Littorio”, Albertelli, 2008.
– Ireneo Remondi, Ammiraglio Carlo Bergamini – notizie biografiche, Banca Popolare di San Felice sul Panaro, 1986.
– Pier Paolo Bergamini, Le forze armate navali da battaglia e l’armistizio, 2ª ed., “Rivista Marittima”, 2003.
– Andrea Amici, Una tragedia italiana-1943. L’affondamento della corazzata Roma, Longanesi, 2010.
– Raffaele De Courten, Le memorie dell’Ammiraglio De Courten (1943-1946), Roma, Ufficio Storico della M.M., 1993.

Siti internet e documentari
– Associazione Regia Nave Roma, www.regianaveroma.org
– Marina Militare Italiana, www.marina.difesa.it
– www.corazzataroma.info
– www.aereimilitari.org

– Documentario Istituto Luce, Regia Nave Roma, le ultime ore, realizzato in collaborazione con FOX International Chanels Italy.
– Intervista a Cosmo Ciano, di Roberto Avino, www.golfotv.it-notizie dal Golfo di Gaeta.

Dello stesso autore
Pubblicazioni:
– Enrico Toti, l’eroe originario di Cassino, CDSC onlus, 2006.
Articoli:
– “I Gurka sulla “collina dell’impiccato” (Q.435) – III Battaglia di Cassino (15-23 marzo 1944)”, www.dalvolturnoacassino.it, 2002.
– “Il sommergibile Enrico Toti a Cassino?”, Studi Cassinati, anno III n. 4, 2003.
– “Cassino fino all’ultimo uomo – un libro che appartiene a tutti i reduci”, www.dalvolturnoacassino.it, 2003.
– “ ‘Maori Never Sleep!’ – Un maori non dorme mai!”, www.dalvolturnoacassino.it, 2004.
– “Walther Nardini a Cassino: cronaca di un ritorno”, www.dalvolturnoacassino.it, 2004.
– “La 34ª “Red Bulls” in Iraq”, www.dalvolturnoacassino.it, 2006.


1 E. Pellegrini, U. Pugliese: Generale ispettore del Genio navale (1880-1961), Roma, Ufficio storico della M.M., 1999.
2 Franco Bargoni-Franco Gay, Corazzate classe Vittorio Veneto, Roma, Bizzarri, 1973-1974.
3 Franco Bargoni-Franco Gay, op. cit.
4 Marco Gemignani, Adone Del Cima: comandante della corazzata Roma, Rai Trade, 2005.
5 Agostino Incisa della Rocchetta, L’ultima missione della corazzata Roma, Milano, Mursia, 1978.
6 Agostino Incisa della Rocchetta, L’ultima missione della corazzata Roma, Milano, Mursia, 1978; Erminio Bagnasco-Augusto De Toro, Le navi da battaglia classe “Littorio”, E. Albertelli, 2008; Franco Bargoni-Franco Gay, Corazzate classe Vittorio Veneto, Roma, Bizzarri, 1973-1974.
7 Pier Paolo Bergamini, Le forze armate navali da battaglia e l’armistizio, 2ª ed., “Rivista marittima”, 2003; Andrea Amici, Una tragedia italiana-1943. L’affondamento della corazzata Roma, Longanesi, 2010.
8 Ireneo Remondi, Ammiraglio Carlo Bergamini – notizie biografiche, Banca Popolare di San Felice sul Panaro, 1986.
9 Raffaele De Courten, Le memorie dell’Ammiraglio De Courten (1943-1946), Roma, Ufficio Storico della M.M., 1993.

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