EDITORIALE – Verso le celebrazioni dei 150 anni dell’unità d’Italia


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Studi Cassinati, anno 2010, n. 1
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Con l’approssimarsi delle celebrazioni solenni del 150° anniversario dell’unità d’Italia si accende il dibattito – ed era inevitabile – sulle modalità di tale unificazione: fu una spontanea adesione di tutti gli staterelli della Penisola favorita da un provvidenziale intervento garibaldino e dell’esercito piemontese oppure si trattò di una annessione o addirittura conquista manu militari di libere e indipendenti nazioni?

Non v’è dubbio che se non vi fosse stata la spedizione di Garibaldi e la discesa di Vittorio Emanuele verso il sud nel meridione d’Italia sarebbero rimasti a regnare ancora a lungo sia i Borbone che il papa di Roma, nonostante i numerosi segnali di insofferenza di gruppi che allora furono detti patrioti.
Ora tutti, o quasi, concordano con la seconda ipotesi; ed è una vera novità, perché in un passato non molto lontano non si era soliti sollevare la questione da parte degli storici accreditati, sostenuti dall’editoria che contava.
Altra cosa è, invece, porsi la domanda: quella unificazione fu cosa buona per le popolazioni italiche? Fino a ieri lo si dava per scontato: non era argomento su cui discutere. Ora anche qui qualcosa inizia a cambiare: storici di buona fama cominciano a rivelare che quel sud “arretrato, ignorante ed affamato” dall’oppressione borbonica e papalina non se la passava poi così male; scoprono che il fenomeno del brigantaggio postunitario non era un fatto di mera malavita organizzata, ma spesso una reazione di stampo patriottico dei fedeli del regime e, molto più spesso, una manifestazione di malessere sociale dovuto alle rigide esigenze di riorganizzazione – non compresa dalle popolazioni del sud – voluta dai Savoia.
Comunque la si voglia mettere, al di là dell’opportunità di riscrivere correttamente quel periodo della nostra storia, c’è solo da prendere atto che ora l’Italia c’è: è una e indivisibile, come voleva Mazzini. E male fanno quegli opinionisti che si soffermano a sottolineare le profonde differenze tra il Sud e il Nord della Penisola attribuendole al retaggio nefasto della storia civile del meridione e imbeccando politici odierni, sprovveduti o spregiudicati, che utilizzano la “questione meridionale” a soli fini propagandistici: in tal modo legittimano le tesi di coloro che amano definire “filoborbonici”.
E, a proposito di Mazzini, faremmo bene a ricordare tutti il suo messaggio: “Italiano sia il pensiero continuo dell’anime vostre: Italiani siano gli atti della vostra vita; Italiani i segni sotto i quali v’ordinate a lavorare per l’Umanità. Non dite: io, dite: noi. La Patria s’incarni in ciascuno di voi. Ciascuno di voi si senta, si faccia mallevadore dei suoi fratelli: ciascuno di voi impari a far sì che in lui sia rispettata ed amata la Patria. La Patria è una, indivisibile. Come i membri d’una famiglia non hanno gioia della mensa comune se un d’essi è lontano, rapito all’affetto fraterno, così voi non abbiate gioia e riposo finché una frazione del territorio sul quale si parla la vostra lingua è divelta dalla Nazione” (Mazzini, I doveri dell’uomo, 1860).

e. p

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