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Studi Cassinati, anno 2009, n. 2
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di Duilio Ruggiero
Il matrimonio è una delle tappe fondamentali del ciclo umano. Attraverso i tempi, il matrimonio si è sempre collocato al centro della funzione e delle norme regolatrici della società. Oltre alla regolamentazione ufficiale civile e religiosa ha dato luogo in ogni zona a tradizioni che, quasi codificate, hanno resistito e si sono affermate e conservate per molti anni e tante sussistono ancora. Oggi molte, se non quasi tutte, le usanze di un tempo in occasione del matrimonio sono praticamente scomparse.
A Castelforte come in molti altri paesi e nazioni era praticato ancora il sistema agnatizio, e di conseguenza maritare tutte le figlie, mantenere celibi i maschi eccetto il primo1, e ciò nel modo più assoluto valeva per le famiglie benestanti, la cosiddetta nobiltà locale. Quindi con l’esclusione delle figlie maritate ed in qualche modo dotate ma escluse dalla divisione successoria, si assicurò il mantenimento quasi integro dei beni patrimoniali.
Le tradizioni matrimoniali che vengono trattate, generalmente interessano quasi esclusivamente la massa della popolazione anche se c’era differenza tra caso e caso a seconda delle situazioni socio economiche delle famiglie impegnate.
Corteggiamento. Contrariamente ad oggi in cui ai giovani è facile incontrarsi e conoscersi, nei tempi passati solo il maschio godeva piena libertà. Per le femmine erano rare le buone occasioni per uscire di casa. Quindi difficili le circostanze per incontrarsi e vedersi tra un ragazzo ed una ragazza.
Generalmente alle funzioni religiose e ovviamente la domenica andando a messa, erano le occasioni per un giovane di vedere delle ragazze, ma soprattutto le novene allora molto praticate, facilitavano l’incontro fugace di sguardi.
Il fidanzamento, anzi le mosse e gli atti che precedevano il fidanzamento consisteva in qualche languida occhiata negli sporadici incontri casuali e nel vedersi a messa. I giovani aspettavano che le ragazze uscissero dalla chiesa per mirarle ed ammirarle.
Le ragazze innamorate sfogliando un fiore, comunemente la margherita, petalo per petalo sussurravano “m’ama, non m’ama”, illudendosi, per vedere con ansia quale frase cadesse sull’ultima foglia che avrebbe dovuto dare il responso. Ma lo facevano anche i giovani innamorati.
Sia i giovani che le giovani, nelle fiere e nei mercati, da un ambulante che girava portando una gabbietta con un pappagallo, che alla base aveva un tiretto con dei foglietti multicolori ripiegati, acquistavano un biglietto dal quale si cercava di arguire la loro ventura e fortuna.
Fidanzamento. Generalmente in famiglia si consigliava di non guardare più in alto della sua condizione economica e sociale, perché non sarebbe servito il consenso della ragazza, in quanto il rifiuto dei genitori di essa sarebbe stato categorico. Tra chi era ricco, cioè benestante, ed il povero, era quasi impossibile imparentarsi.
Alcuni proverbi antichi non sono più di attualità, ma un tempo non era così.
Si raccomandava sempre: moglie e buoi dei paesi tuoi, cioè scegliersi una donna, spesso abitante nella stessa via, di cui erano note vita e miracoli e spesso si suggeriva: guarda la madre e sposa la figlia. Un altro adagio relativo alle spese matrimoniali in gergo diceva: “chi nnon frabbrica e nnòn marita nnò nsà glio mugno come se notrica”, cioè chi non costruisce e non sposa una figlia non conosce quello che si spende per vivere.
Spesso era il giovane che chiedeva alla mamma di cercargli la moglie, ma in molti casi era la madre e qualche volta anche il padre a prendere l’iniziativa per proporre una moglie al figlio. Ma si ricorreva anche ai ruffiani (mezzani), o a qualche conoscente per combinare un matrimonio e che si assumevano l’incarco di portare “l’ammasciata”.
La serenata. È scomparsa intorno agli anni ’40 del secolo scorso. Nei tempi passati la serenata “voleva essere un mezzo di comunicazione per poter esprimere un sentimento sincero da parte di un giovane innamorato nei confronti della sua dolce amata”. A volte era un mezzo necessario per dimostrare serie intenzioni alla ragazza del cuore2.
La serenata si faceva spesso anche dopo avvenuto il fidanzamento ufficiale.
Se l’innamorato aveva voce intonata si faceva accompagnare da amici suonatori di chitarra o di mandolino e spesso con fisarmonica. Altrimenti si faceva accompagnare anche da un cantore o da un amico che era capace di cantare.
Generalmente la serenata avveniva a notte fonda; spesso dopo la mezzanotte.
Qualcuna di queste cantate diceva: Bella figliola, comme si carina- L’acqua che corre la fai fermà- Fai fermà glio sole quanno aggira- le stelle de glio cielo fai calà-
Molto in uso erano gli stornelli con cui il ragazzo si complimentava decantando la bellezza della giovane.
Se la ragazza si stava innamorando anche lei di quel giovane, apriva la finestra e accendeva una piccola candela e pudicamente si semiaffacciava. Questo fatto si ripeteva per tre volte Alla terza volta, se i genitori erano consenzienti, aprivano la porta di casa facendo entrare la comitiva alla quale venivano offerti un bicchiere di vino con tarallo o una frittella appositamente preparata.
Pare che l’innamorato, poneva, la sera, un ceppo d’albero davanti alla porta della ragazza, la quale se accettava, ritirava il ceppo in casa, altrimenti, con un calcio lo faceva rotolare sulla strada3
Naturalmente il fatto, veniva il giorno dopo commentato da tutti i vicini di casa.
Nel caso negativo dopo la terza volta che la finestra rimaneva chiusa il giovane capiva di non poter aspirare alla mano della ragazza.
C’era chi non si rassegnava e spesso dopo le tre serenate inutili, si continuava ancora con qualche serenata a dispetto. Erano strambotti stizzosi che esprimevano frizzi, ironie, dispetti. Ciò avveniva anche in seguito alla rottura del fidanzamento.
Qualche volta i familiari o direttamente la ragazza stessa, gettavano sui sonatori (quindi anche sull’aspirante), il contenuto di un vaso da notte oppure un secchio d’acqua. Qualcuna appendeva alla finestra una scopa di strame in segno di disprezzo dell’aspirante fidanzato.
L’ammasciata. Dopo l’assenso seguito con la serenata si procedeva formalmente a qualche breve incontro tra i due ragazzi alla presenza della madre di lei o dopo le funzioni religiose o all’attingimento dell’acqua. Seguiva quindi “l’ammasciata” da parte dei genitori del ragazzo. “L’ammasciata” consisteva nella richiesta della mano della figlia:
Ricevuta l’approvazione delle famiglie “se stregneva glio matrimonio”, cioè si ”combinava”, con il fidanzamento ufficiale. I genitori del fidanzato si recavano a casa della ragazza per chiederla come moglie del figlio. Dopo di ciò, era ammessa solo qualche visita serale dello sposo alla casa dei suoceri. Non ci si sedeva vicini e i fidanzati potevano solo parlarsi a distanza.
Nemmeno fidanzati ufficialmente i giovani potevano uscire insieme. A ballare mai, e vietato era nel modo più assoluto uscire di sera. Quindi anche ad avvenuto fidanzamento ufficiale, la relazione “sentimentale” si limitava a qualche banale chiacchierata in casa della fidanzata. Si avevano perciò. quasi sempre fidanzamenti brevi ed incontri alla presenza di tutti e sempre di durata linitata; vietata qualsiasi passeggiata.
“Fa gl’iamore”, consisteva semplicemente nelle sporadiche visite fatte dal giovane all’innamorata per star seduti mai accanto a lei, alla presenza immancabile della futura suocera o di altri membri della famiglia, durante le quali qualche rapida effusione veniva colta al volo tra una istantanea assenza e l’altra dei “guardiani”.4
Scombinà, cioè rompere il matrimonio, come qualche volta avveniva, era considerato una cosa disdicevole, offensiva e spregevole. Si veniva meno ad un giuramento, ad un patto, ad una fede.
Avveniva per tante ragioni. Imprevisti casi dì ordine materiale, morale e psicologico. Era un trauma per ognuno interessato. Non solo gli ex fidanzati, ma tutti i loro parenti rompevano ogni rapporto, giudicando la cosa come un’onta estremamente vergognosa. C’era un proverbio che diceva: sposa lassata meza maniata (fidanzata lasciata mezza palpata), quindi è come se la giovane avesse perduto qualcosa della sua purezza. Alla giovane lasciata dal fidanzato, era poi difficile trovare un altro pretendente e rischiava di rimanere zitella e avvilita per tutta la vita; quasi tollerata in casa dagli stessi familiari. Solo qualche amica intima consolava la sposa lasciata. Innanzi tutto ci doveva assolutamente essere la restituzione e il recupero, per quanto possibile completo, di tutti i doni ricevuti5.
Spesso la rottura od anche il mancato fidanzamento aveva degli strascichi anche con l’invio di lettere diffamatorie che denunziavano presunti atteggiamenti disonorevoli tenuti dalla ragazza e cose e fatti quasi sempre non veri.
La dote ed il corredo. Nella richiesta ufficiale si trattava anche sulla dote (corredo, soldi, terreni ecc). In ogni caso la dote aveva sempre una sua particolare importanza nella conclusione del matrimonio6.
Nei tempi passati era diverso da oggi, dove tutte le donne lavorano, cercano un impiego, un posto in fabbrica, si recano altrove per lavorare, cosa assolutamente impossibile allora. Nei tempi passati, all’infuori dei lavori di campagna, solo qualche insegnante proveniente dal ceto medio, lavorava. Quindi il carico della casa e della famiglia gravava solo sull’uomo, sul marito, perciò c’era una dipendenza economica abituale della donna dal marito.
Ecco perché la donna, quando possibile, doveva contribuire in vario modo alla nuova famiglia e quindi la dote, specialmente se si accasava con un “buon partito”.
L’uso della dote matrimoniale risale alla notte dei tempi: abiti, lenzuola ricamate ed altra biancheria di valore (tovaglie, coperte ecc.), oggetti preziosi, passavano dalla famiglia della donna, spesso provenienti dalla mamma e dalla nonna, a quella del marito.
Una ragazza povera portava al matrimonio un corredo di 6 pezzi per ogni capo.
Il corredo secondo le possibilità economiche della famiglia della sposa ed anche secondo le pattuizioni, generalmente, poteva essere di 6- 12-18 pezzi per ogni capo, ma si arrivava anche a 24 e quelle agiate a 36 ed alcune addirittura a 48. Esso comprendeva : lenzuola (doppie, per sotto e sopra), federe, asciugamano, tovaglie da tavola, tovaglioli e biancheria intima (mutande, camicie ecc.); la coperta imbottita ed una o più mante (coperte leggere) oltre ad alcuni copriletto estivi.
Spesso era la stessa ragazza che si impegnava a ricamare il proprio corredo.
Qualche volta il corredo minimo veniva integrato con capi della mamma della sposa che spesso, in seguito, la sposa provvedeva a restituire.
Spesso in sede di trattative nascevano problemi di interesse legati alla dote ed al corredo. Non in tutti prevaleva il buon senso e non sempre si teneva conto delle condizioni economiche delle rispettive famiglie. Si diceva che prima si cercava la dote e poi la sposa e non erano infrequenti i casi di matrimonio interessato che riguardava il terreno. Alcune donne portavano in dote anche il denaro. C’erano giovani che cercavano di accasarsi con una ragazza molto agiata e si diceva “appenne gliò cappieglio” cioè vive di rendita chi si sposa una donna ricca. Non importava se non era propriamente una bellezza. A Minturno, paese contermine al nostro, si diceva: “chi pe la robba la brutta se piglia, crede te mete rano e mete paglia”. Cioè chi per le ricchezze si sposa una donna brutta crede di mietere grano ed invece raccoglie paglia.
“Nei tempi passati, il corredo per le ragazze da maritare, si incominciava a preparare quando erano ancora adolescenti (14-15 anni circa)”7, ed anche prima di tale età (6-7 anni). Era abitudine in molte famiglie regalare ad una ragazza in occasione del compleanno, dell’onomastico o altre festività, un piccolo capo di corredo (asciugamano, ecc.)8.
Un inconscio masochismo nelle trattative prematrimoniali ed i lunghi conversari tra i familiari delle due parti di fronte avvenivano innanzi ad una finta distrazione dei futuri sposi.
Secondo le possibilità economiche la famiglia della sposa forniva da due a quattro materassi di lana. Quelle che portavano in dote solo due materassi, questi poggiavano sul saccone che sostituiva gli altri due. Ma c’era anche chi non poteva dotarsi dei materassi di lana e usava il semplice saccone. Il saccone costituito di tela pesante e resistente, veniva riempito di spoglie (brattee) delle pannocchie di granoturco. Anche le spoglie richiedevano una buona preparazione. Si prendevano le pannocchie migliori che dopo averle staccate dagli stucci (steli) e da li tuteri (tutoli) che spesso contenevano vermi ed altri insetti, le brattee venivano scelte ed aperte. Anche per le spoglie ci si prenotava dai coltivatori, perché esse venivano usate come foraggio per il bestiame. La gente più povera che non poteva permettersi nemmeno l’acquisto delle spoglie riempiva il saccone con la paglia di frumento meno costosa.
Le famiglie che avevano la possibilità di fornire i materassi li preparavano in casa. Si acquistava la lana da mercanti che nel mercato domenicale la portavano a vendere in sacchi o direttamente dai pastori. La lana si lavava ed indi si cardava a mano, e la sposa veniva aiutata dalle amiche e vicine di casa. Nelle riunioni per questi lavori si arccontavano aneddoti, si spettegolava, si cantava e si pregava anche. Questa operazione si prolungava per i due tre mesi che precedevano il matrimonio. In qualche famiglia tale necessità veniva supplita usando la lana dei materassi di qualche nonna defunta. Per le federe si acquistava la stoffa e si faceva cucire l’involucro da una sarta. I materassi o il saccone, invece che sulle reti, poggiavano su tavole di legno a loro volta sistemate su due scanni di ferro. Le lenzuola erano di lino, più ruvide quelle di sotto (qualche volta di canapa), più fini quelle di sopra.
Capo essenziale del mobilio era la cassa per conservare la biancheria.
Il corredo di rame di cui nelle trattative matrimoniali si discuteva il numero degli utensili ed anche il peso, generalmente comprendeva: la conca, glio cauraro (grossa caldaia), glio caurarieglio (caldaia più piccola), alcune tianelle (tegami), di varie dimensioni, qualche fressora (padella), scaffalietto (scaldaletto per brace), braciere (le famiglie più modeste portavano il braciere di latta pesante).
Il corredo comprendeva anche vari utensili di terracotta (tegami e tegamini di diverse dimensioni, pignata per cuocere i fagioli ecc.), il passaconserva, un paio di treppiedi per il focolare con i relativi attrezzi, qualche ciccolatera (tipo di caffetteriera) per orzo e tisane. Il telaio a muro per appendere gli utensili di cucina. La sinola (recipiente di terracotta smaltata), i piatti, i bicchieri, le posate. Allora non esistevano utensili di plastica. Qualche sposa portava la piattera (piattaia).
Spesso nella dote erano comprese le attrezzature per confezionare il pane (madia, setaccio, raditora, appoggiatoio) e per il forno (fregone, mugnero, mugnarieglio, panara di legno per infornare, panarella di ferro per ritirare il pane cotto dal forno).
Alle volte, seppur raramente, la famiglia dello sposo non era in grado di sobbarcarsi alle spese spettanti, e se le accollava tutte o in parte, quella della sposa, perché la felicità dei due giovani si anteponeva agli interessi materiali. Allora si diceva che essa aveva fatto “da uomo e da donna”, ossia che aveva sostenuto le spese spettanti sia all’una che all’altra famiglia.
“Fa l’oro”. In molti paesi, anche vicino al nostro, prima degli anni 20 del 1900, la fede nuziale era unica ed era per la sposa. Spesso veniva regalata dal compare da cui “compare d’anello o di fede”, che poi aveva l’impegno di battezzare il primo figlio della coppia da cui il detto era S. Giovanni dal ricordo del battesimo di Cristo effettuato da S.Giovanni sulle rive del Giordano. In seguito, e lo è tuttora, in molte zone la fede è usata e considerata come anello di fidanzamento e sia come fede nuziale.9 Oggi è uso anche incidere al suo interno la data delle nozze.
Qualche giorno prima del fidanzamento ufficiale le consuocere (naturalmente chi se lo poteva permettere), coi ragazzi andavano da un orefice a fa l’oro, cioè per comprare i monili da indossare la sera del fidanzamento. Ci si riuniva in casa della fidanzata dove su un tavolo erano esposte le scatolette (i contenitori) con gli oggetti d’oro, che venivano ammirati dagli invitati (parenti stretti e amici intimi). Allora nel colmo della serata, la suocera della ragazza applicava alla futura nuora gli oggetti che aveva acquistati per essa. E lo stesso faceva la madre della ragazza al futuro genero. Quindi seguivano gli abbracci reciproci tra le madri i ed i ragazzi che da quel momento nel ringraziarle per i doni chiamavano mamma. Tutti applaudivano e si iniziava il rinfresco cominciando dai taralli e vino. Seguiva la distribuzione di rosolio ed altri pasticcini semplici fatti in casa.
Per molte ragazze iniziava un periodo molto pesante, secondo il carattere della suocera, perché quasi tutti i giorni doveva recarsi alla casa di questa per sostituirla in molti lavori e incombenze di casa. Naturalmente gli incontri tra i fidanzati, quasi sempre la sera in casa della ragazza, avvenivano per brevi istanti.
Glio canisto (il canestro). In occasione delle festività natalizie e pasquali e qualche volta anche in altre ricorrenze, era usanza da parte della sposa portare alla famiglia del fidanzato “glio canisto” che oltre a derrate varie comprendeva fazzoletti, calzettini, qualche camicia, cravatta, pantofole ed altri oggetti di biancheria personale. Quasi sempre conteneva regali per ciascun membro della famiglia.
Il vestito da sposa generalmente era quello di pacchiana10 un po’ arricchito con trine e merletti. Il vestito completo di pacchiana era molto ricco e costoso e doveva considerarsi un vero abito da festa. In seguito venne in uso l’abito bianco; però non tutti avevano la possibilità per acquistare la stoffa e farlo cucire dalla sarta, tanto meno comprarlo già confezionato.
Diverse erano le ragazze che lo chiedevano in prestito dalle amiche intime, non sempre disposte, che avevano avuto la possibilità di farselo cucire. Quindi subito dopo al cerimonia nuziale, appena a casa, avevano l’accortezza di toglierselo per evitare di farlo rovinare.
Molte ragazze per orgoglio non ripiegavano in questa usanza e preferivano sposarsi con un semplice abito a giacca che sostituì quello più costoso della pacchiana.
Nell’interno del vestito della sposa si applicavano con uno spillo immagini sacre e spingolelle, con appese medagliette sacre (Madonna della Civita, S. Antonio ecc.). Qualcuna vi appendeva un cornetto.
Lo sposo non doveva essere la prima persona a vedere la sua futura moglie nell’abito da sposa.
Era tradizione anche che gli sposi non dovessero mangiare i confetti nuziali per tema che possano avvenire disgrazie alla loro unione.
Trasporto del corredo. A dimostrazione di un prestigio sociale c’era la mostra del corredo e quindi della dote.
Qualche giorno prima dello sposalizio, si trasportava tutto ciò dalla casa della sposa a quella della nuova famiglia, cioè alla casa dove dovevano andare ad abitare. Tutto il corredo veniva messo in canestri ed una processione di donne (spesso otto dieci ed anche di più), con tali canestri in testa sfilava per le vie del paese. Era una ostentazione di ricchezza, qualche volta, e del rispetto dei patti e degli impegni ed anche una mossa un po’ dispettosa per l’invidia dei vicini. Quindi non era da tutti.
Nel trasporto del corredo si osservava una regola specifica. In testa a tutte c’erano le donne che portavano materassi e cuscini e la coperta imbottita. Seguivano le donne che portavano lenzuola, asciugamano ed altra biancheria. Quindi la biancheria intima. Poi seguivano le pentole, posateria, bicchieri, sempre a vista, quindi la dote di rame.
In luogo dei cesti, qualche volta si portava il corredo con i tiretti del comò per la biancheria.
Durante questa processione la gente guardava ed ammirava dalle finestre e dai balconi delle case poste lungo la via del percorso.
Durante la sfilata delle donne che trasportavano il corredo, era vietato alle stesse di voltarsi indietro, anche se personalmente chiamate. Si credeva che non eseguendo questa tradizione, si attirava sulla casa che si stava predisponendo, sfortune future.
Rito civile e religioso. Prima della cerimonia al Comune si dava “la parola” alla chiesa, come promessa di matrimonio di fronte al sacerdote. Le pubblicazioni su piccoli avvisi venivano esposte in cheisa nell’apposita bacheca. Il sacerdote inoltre le annunziava anche dall’altare durante la messa per tre volte consecutive nei giorni festivi. Il sacerdote frattanto “cacciava le fedi”, cioè preparava i certificati di battesimo e di cresima per le nozze.
Secondo l’adagio: “di Venere e di Marte non si sposa e né si parte, né si da inizio all’arte”, il giorno del matrimonio non avveniva mai di martedì o di venerdì. Si preferiva generalmente il sabato e come periodo si escludeva sempre il novembre (mese dei morti), e il tempo dell’Avvento e della Quaresima.
In chiesa mentre gli sposi erano inginocchiati, lo sposo poggiava il ginocchio sul lembo della veste dealla sposa. Se tale gesto sfuggiva c’era sempre attenta la sorella o la madre della sposa, od una amica intima, che lo ricordava.
Finito il rito, i genitori, dopo il sacerdote, benedicevano i loro figlioli con l’aspersorio. Se qualcuno era orfano di un genitore, questo rito veniva effettuato dal fratello o dalla sorella maggiore, ed in mancanza di questi da un intimo anziano parente.
Prima del Concordato tra lo stato e la chiesa (11.2.1929) le cerimonie nuziali erano sempre due: una civile davanti al Sindaco ed una religiosa in Chiesa. La cerimonia civile passava quasi inosservata ed avveniva qualche giorno prima di quella religiosa senza alcuna particolare formalità con la sola presenza degli sposi e dei parenti più intimi. Dopo la cerimonia ognuno ritornava alla propria casa.
I fiori. I fiori sono stati e sono sempre tra i protagonisti del giorno del “Sì”. Abbelliranno la chiesa e la casa della sposa. I fiori dovranno comunicare allegria. Nei tempi passati non ci si rivolgeva ai fiorai per addobbi, del resto in quei tempi non c’erano negozi che vendevano fiori. Se ne raccoglievano nei campi ove crescevano spontaneamente o dai cespugli di rose, a seconda del periodo. L’uso del bouquet ricadente fitto di fiori a grappoli che esaltava l’incedere sicuro ed elegante della sposa è diventato di moda molto più tardi
Gliò parapasso”. Durante il percorso dall’uscita della chiesa dopo la cerimonia matrimoniale alla casa del marito o dove si doveva consumare il pasto nuziale, i familiari lanciavano fra i gruppi di persone in attesa confetti e monetine ed il corteo più volte era costretto a sostare dai festoni di edera e fiori e nastri infiorati (in gergo il parapasso) tesi attraverso la strada. Essi costituivano la dolce violenza delle amiche e dei vicini perché la sposa non abbandonasse il natio luogo, non si dipartisse dalle persone cui essa era cara, dalle compagnie dell’adolescenza11. Gli sposi onde aprirsi la strada, dovevano distribuire confetti, mentre tagliavano il nastro con le forbici per il buon auspicio della loro unione. “L’usanza ha valore di un compenso dovuto, perché la ragazza viene tolta dal suo ambiente e va fuori a crearsi una famiglia”12 .
Glio banchetto (pranzo nuziale). Il pranzo di nozze da sempre simboleggia l’entrata della sposa nella sua nuova condizione: con il pasto consumato congiuntamente dai due coniugi la donna lascia la sua famiglia d’origine e diventa sposa (Publikompass).
Allora non si consumava il pranzo di nozze in ristoranti od alberghi. Generalmente il banchetto, dopo la cerimonia in chiesa avveniva nella casa della sposa ed era limitato ai familiari più stretti ed a qualche amico o amica intimi. Esso comunque durava parecchie ore e serviva a rinsaldare i vincoli di comunione parentale. Rappresentava un momento particolare della cerimonia nuziale e si faceva in casa con l’aiuto di parenti e vicini.
Il pranzo nuziale consisteva in uno o più primi di pasta fatta in casa e ceci o pasta “ncasata”, ovvero zitoni con sugo di carne di capra abbondantemente condito con peperoncino e formaggio. Quindi carne di capra, abbacchio, e pollo. Poi formaggio “maturo”, olive in salamoia, alici sottosale, salsiccia, prosciutto e peperoni. Il tutto accompagnato da vino abbondante, quindi taralli e biscotti con rosolio ed infine la distribuzione dei confetti con un cucchiaio da parte della sposa. Durante il pranzo non erano rare allusioni e canti salaci.
Da ricordare infine che non tutti potevano permettersi e godere di questa festa collettiva perché le condizioni economiche non permettevano né doti e né pranzi ed il corredo era limitato a pochissimi ed indispensabili capi.
La prima notte di nozze. Arrivati alla casa della nuova famiglia, gli sposi sulla porta ricevevano dalla mamma del giovane la benedizione ed un abbraccio in segno di benvenuti, e poi potevano entrare.
Il letto della sposa veniva predisposto il giorno precedente la cerimonia delle nozze, dalle consuocere alle quali si affiancava talora qualche amica della sposa che ci teneva a mettere nel letto (non vista), il riso, chicchi di granoturco e il sale (era un tiro scherzoso per far tribolare i neo coniugi).
L’indomani, dopo la prima notte, il letto veniva rifatto con una futile scusa, dalla suocera della sposa con una parente o con una amica stretta di questa, per controllare e assicurarsi se la nuora era illibata e ciò evidenziato dalla presenza di macchie rosee fra le lenzuola, segno inconfondibile della illibatezza della sposa
Gli otto giorni. Non c’era la moda né la possibilità di affrontare le tante spese, come si fa oggi, per pranzi doviziosi in ristoranti con molti invitati, né per la luna di miele e viaggi di nozze. Il viaggio di nozze (il raggiro), era esclusivo di poche coppie appartenenti alle famiglie più ricche.
Gli otto giorni costituivano la luna di miele. Per otto giorni la sposa era obbligata a rimanere in casa dove riceveva le visite dei parenti e degli amici. Allora non erano ancora di moda le liste di nozze per i regali.
Raramente in regalo si portavano soldi. Generalmente i regali consistevano in una gallina, un pollo, una bottiglia d’olio, una piccola damigiana di vino, una “mappatella“ di fagioli o di ceci, poi della pasta, ed altre minuzie sempre utili.
Le bomboniere non esistevano. Ai visitatori si offrivano biscotti fatti in casa con vermout, e rosolio preparato ugualmente in casa.
I confetti venivano distribuiti con un cucchiaio.
La domenica successiva agli otto giorni avveniva “il rientro nella vita comune “ cominciando con l’uscita a messa. La sposa indossava il vestito più bello e più ricco. L’indomani iniziava la vita di tutti i giorni.
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Contratto matrimoniale.
Tra le famiglie che si consideravano un po’ distinte ed altolocate, era uso gli accordi matrimoniali farlo con un contratto dotale a mezzo di una scrittura privata (nero su bianco) e qualche volta, quando gli interessi erano rilevanti, il contratto veniva stipulato da un notaio.
Si riporta copia di un contratto stipulato nel 1814, dal quale traspare una stesura spagnolesca, confusionaria ed in qualche modo servile, dello stesso notaio:
“(carta bollata L.2,00)
“Regnando Umberto Primo per grazia di Dio, e per volontà della Nazione Re d’Italia.
“n° 110- Regno di Napoli. L’anno milleottocentoquattordici il giorno ventiquattro di novembre nella Comune di Castelforte, Provincia di Lavoro- Gioacchino Napoleone per la grazia di Dio Re delle Due Sicilie- Davanti di me Notaio Benedetto Faraone di Geronimo del Comune di Castelforte, legalmente patentato numero otto, giusta il ruolo del corrente esercizio.
Personalmente costituiti il Sig. Clemente De Sivo del fu Dottor Nicola, proprietario a noi cogniti, domiciliato nel Comune di Castelforte, stipulante tanto nel di lui nome che della donzella Signora Margherita De Sivo, sua figlia, dimorante con esso lui, qui pure presente e stipulante, anche lei per quanto viene intestata di ragione nel presente contratto, e tutti insieme da una parte. Ed il Sig. Antonio Caracciolo figlio del Sig.Giambattista del fu Sig. Giuseppe, proprietari, similmente a noi cogniti, domicilianti nel predetto Comune e gestionante negli predetti affari, esso Sig. Antonio con il consenso del predetto Sig. Giambattista, col quale vive in unione e ciascuno gerente per la ragione obbligativa che lo concerne, dall’altra parte.
La unione al nostro Ministero degl’altri tende a dare stato civilmente alle condizioni rispettive del futuro matrimonio che con la Divina Grazia dovrà contrarsi tra esso Signor Antonio e Signora Margarita nelle dizioni seguenti, cioè:
Primieramente essi Signori Antonio e Margarita si obbligano a contrarre ed unirsi fra loro insolum matrimonio prima alle sanzioni dello Stato Civile, ed indi all’ubbidienza della Sacrosanta Romana Chiesa Cattolica, senza di che, e senza praticarsi il suo rito e cerimonia volute dal Sacro Concilio di Trento, non si assembreranno fra loro.
2°- Questo matrimonio sarà lontano dalla comunione e dalle sue conseguenze, ma previa la rinuncia alla comunione sudetta, ed in qualunque statuto che lo secondassero, si assoggettano formalmente alle regole dotali e perciò essi futuri sposi saranno fra loro separati di beni e pesi e solo il Signore Antonio avrà le altorie (autorità?) ed amministrazione dei beni dotali della Signora Margarita per quanto è autorizzato dalla legge e secondato dalla Signora sua sposa.
Terzo- Al sostenimento dei pesi del matrimonio ella la Signora Margarita dotando se stessa da ora costituisce per sua dote e fondo di dote, anzi cede ed assegna alle regole dotali al Sig. Antonio suo futuro sposo presente ed in questo come accettante li seguenti immobili uno con tutti i loro accessori, i diritti d’accessione e quanto è destinato al loro perpetuo uso, dei quali lei la Signora Margarita è proprietaria e dispotica come figlia della fu Dorodea Galasso, e che il Sig. Clemente suo genitore stabilì ad essa lei in cassiare dalle doti d’essa Signora Dorodea che si dovranno restituire alla predetta Signora Margarita come figlia e sono cioè: un territorio seminatorio di capacità moggia quattro a corpo non a misura, sito nelle pertinenze del Comune di Suio13 luogo detto Santo Antuono o piano di basci conterminale colli beni del Sig. Filippo Duratorre, fiume Garigliano e via pubblica, franco e libero, che fattosi valutare di comune consenso si trova valore di ducati trecento. Ed un altro territorio arbustato di capacità tomoli due circa sito nelle descritte pertinenze locale denominato Quartariello finitimo alli beni di Raimondo Ciorra, beni del Sig. Giuseppe Del Vecchio e via pubblica similmente franco e libero, valutato ducati cento. Li detti beni saranno garantiti così dalla Signora Margarita, come dal Sig. Clemente suo padre con una evizione di Dritto e di fatto. E con la dichiarazione che l’appresso la scrivo per una semplice istruzione e non una tra proprietario dei fondi esso Sig. Antonio, per cui sarà debitore della sostanza dei fondi e non del prezzo, e siccome lui n’è l’amministratore per legge come di sopra si è detto, così dovrà di essi curare ed averne la vigilanza da buon padre di famiglia per restituirli nel medesimo valore anziché migliorati e vantaggiati alla Signora Margarita.
Quarto- In aumento di detta dote egli il Sig. Clemente promette di pagare al Signore Antonio come marito della Signora Margarita sua figlia ed in conto a ciò che questa ottener deve sull’ereditaggio paterno, e perciò con la collazione nel tempo dell’apertura la somma di ducati novecento di monetario effettivo contante sonante e fuori banco, versabili nel seguente modo e cioè:
Ducati duecento nel dì dei sponsali. Ducati settanta dopo un anno del matrimonio effettuato in prezzo di corredo da farsi a piacere del Sig. Antonio con essere però lui debitore del prezzo sudetto. Ducati centotrenta pagabili fra anni otto a partire dal dì dei sponsali, ed intanto premiati con l’interesse al cinque per cento franco e senza retenzione e da potersi sodisfare anche in due tanne a scalare. Finalmente ducati cinquecento a complimento dei sudetti novecento, si conviene che il Sig. Clemente in nome di detto Sig, Antonio e del suo padre Sig.Giambattista gli debba negare al Sig. Francesco De Cubellis in scissione d’uso mutuo di consimil somma dal De Cubellis somministrata ai detti padre e figlio di Caracciolo, mediante istrumento del dì trenta Decembre milleottocentododici per mano di me medesimo Notaio residente in questo Comune sommesso al Registro il dì sette Gennaro milleottocentotredici, libro primo, Volume secondo, folio tredici, casella quarta, rico trenta, 30 Decembre detto anno registrato come sopra. Accordata però al Sig. Sivo la medesima dilazione promessa ai debitori e sopportato da esso l’annue uscite del cinque per cento a prò del creditore, il tutto in compenso del citato istrumento fatto, sarà primo dal creditore ampia cessione traslatio non estensiva in beneficio della Signora Margarita di tutte e qualsivogliono sue ragioni, azioni, auterità, poziosità, obblighi ed ipoteche, che ad esso lui competono al presente e che potrebbero competergli per l’avvenire contro di essi Signori Caracciolo solidalmente obbligati e sopra i beni che da questi fossero gravati di convenzionale ipoteca per la sicurezza del credito, per modo che a ragione di regresso sopposita la Signora Margarita nel luogo del Sig. Cubellis e facendo acquisto delle di lui porzioni ed anteriori ragioni potrà avvalersi in ogni futuro tempo e luogo per una maggior cautela e sicurtà per la convenzione delle di lei doti nell’eventualità infracontanto, e per altri fini ed effetti che li faranno più giovevoli e meglio dalla legge permessi, senza che però dritti d’ipoteca convenzionale partoriti dalla unione predetta si riconosceranno pregiudizio all’ipoteca legale, tribuita dalla legge in vantaggio della moglie sopra tutti i beni dei mariti presenti e futuri.
E permanente la cessione predetta da ragioni e senza pregiudizio di essa fatta sarà anche prima dal creditore Cubellis in beneficio dei debitori abbia quietanza con il patto finale di altro non pretendere né sperare con liberare ai debitori sudetti l’autorizzazione di annotare questo dissobbligo nel margine del citato istrumento di mutuo e la estinzione del grado d’ipoteca se mai il creditore lo avesse procurato nei Registri del Conservatore di dette ipoteche restando a carico di esso Sig. Clemente le spese necessarie per risolvere le condizioni e di sciogliere gli obblighi con gli apparati dedotti.
Quinto- Per rendere esso Sig. Clemente uno fini accertata sicurezza ad essi Signori futuri sposi egli da ora al contributo della legge assoggetta con convenzionale ipoteca per detti docati novecento un suo territorio olivato di capacità di tomoli dodici sito nelle pertinenze di Suio luogo detto Siola giunto li beni degli eredi del fu Sig. Giuseppe D’Orvé e la via pubblica, franco e libero, eccetto il dazio fondiario al mercato nell’accluso estratto di matrice, sul quale potranno li futuri sposi promuovere nei registri sudetti del Conservatore la conveniente graduazione perché sia legale
la ipoteca predetta.
Sesto- Il Sig. Antonio ed all’insieme il Sig, Giambattista suo padre nella ragione solidaria uno per l’altro tutti uniti, e ciascuno da se solo s’incaricano le doti predette come sopra promesse da ora e per quando saranno consegnate e pagate, tenere da buon padre di famiglia, assicurarle e tutelarle con ipoteca convenzionale e legale e con restituirla alla detta Signora Margarita ed a chi di ragione con il respiro di un anno accordato dalla legge nel caso della soluzione del matrimonio. Ed in questo caso se il matrimonio venisse disciolto per la morte della Signora Margarita, l’interessi ed i frutti da restitursi decorreranno ipso jure dal giorno del discioglimento a favore degli eredi della stessa Signora Margarita, e se poi si sciolga per la morte del Sig.Antonio avrà la scelta la Signora Margarita durante l’anno di lutto o di presentare gl’interessi dalla sua data o di prendere gli alimenti dall’eredità del marito, ma ciò ambedue i casi avrà ella ragione di farsi apprestare nel corso di detto anno l’abitazione e gli abiti di lutto senza potersi imputare tali spese né dei dovuti interessi come sopra.
Finalmente con preveduta considerazione, e perché questo matrimonio è stato conchiuso con sommo piacere di esso Sig. Giambattista e di sua moglie Signora Maria Marcucci del fu Giuseppe vivente con il coniugio dotale con esso suo marito, qui intervenuto, ed a noi nota, in concomitanza, e con unico atto dimostrativo d’amore e benevolenza verso del di loro comune figlio Sig. Antonio a questo presente, e di grato animo accettante nella contemplazione del presente matrimonio perché lo stesso sia con più decoro sopportato da ora, e per quanto lo stesso matrimonio si sarà consumato negli atti dello Stato Civile, donano con titolo di donazione tra vivi irrevocabile, con atto di precipuo ed antiparte senza collazione, il territorio seminativo denominato le Socce, nelle pertinenze di Suio di tomoli dodici determinate, di quell’istesso fondo portato in matrice come dal documento, fine Cimino e via pubblica. Il medesimo impulso di affetto e benevolenza muove così i signori coniugi ad esternare in contrasegno di gratitudine verso la Signora Margarita, e perciò i medesimi coniugi con animo deliberato, ed essa Signora Maria avvalorata dal consenso del Sig. Giambattista suo consorte, anche da ora, ed in merito di donazione irrevocabile tra vivi ed eventuale nelle regole del matrimonio sudetto donano, e per atto di loro liberalità irrevocabile, stabiliscono ed assegnano alla detta Signora Margarita presente, ed accettante, nel caso che premorto il suo marito restasse lei superstite, la sopravvivenza di annui ducati venti che essi coniugi donanti pagheranno o faranno pagare puntualmente alla stessa Signora Margarita sua vita durante, senza desistere da questa prestazione, ancorché la stessa Signora Margarita passasse ad altro matrimonio, mentre sono queste condizioni espressamente convenute e senza le quali il matrimonio predetto non si sarebbe conchiuso.
In ultimo così i Signori Giambattista e Maria, per rendere più spedita nell’eventualità sudetta l’annua esazione dei ducati venti pagabili nel monetario contanti e senza ritenzione, offrono e gravano di sussidio e tutela alla ragione e conseguimento d’essa Signora Margarita i primi frutti e rendite che proveniranno dal notato fondo detto le Socce dell’estensione maggiore di sopra notata con cui ravvisa dalla stessa fede di matrice cui ecc. ed hanno firmato le parti tutte intervenute all’atto in presenza dei Signori Francesco Preparata del fu Angelino e Cesare Rossillo del fu Onofrio di detta Comune, domiciliati strada Capodiripa e non parenti alle parti, che sono di quelle qualità ricercate dalla legge. Clemente Di Sivo promette e si obbliga come sopra-Giambattista Caracciolo accetta come sopra- Maria Marcucci- Antonio Caracciolo-Margarita De Sivo- Francesco Preparata testimone presente conosce i detti contraenti- Firmato Cesare Rossillo testimone presente conosce i contraenti.
Fatto, letto e pubblicato in Castelforte, Provincia di Lavoro, oggi di sudetto mese ed anno in casa del Sig. Clemente De Sivo locale Capodiripa nella stanza dello studio a mezzogiorno dove l’atto venne firmato dai Signori Clemente De Sivo quondam Nicola, Margarita De Sivo, Giambattista ed Antonio Caracciolo, padre e figlio, Maria Marcucci del fu Giuseppe, contraenti, e dai sudetti testimoni Signori Francesco Preparata quondam Angelino, Cesare Rossillo quondam Onofrio, firmati con noi Notaro Benedetto Faraone di Castelforte in Provincia di Lavoro, ed ho apposto il segno del Tabellionato.
Registrato nel Burò di Gaeta li sette Dicembre milleottocentoquattordici fol. 54 verso, casella seconda, terza e quarta, numero primo, volume quattordici. Totale lire ottantadue e centesimi settantatre.
Inserti
N° 110. Regno di Napoli, Provincia di Terra di Lavoro-Comune di Castelforte, Distretto di Gaeta, Art. 299 Sivo D. Clemente, benestante di Castelforte. Sez. A.91, Terra arbustata tomoli uno incirca rendita 31 seconda classe Rend. D.226 -oliveto tomoli 15 Rend D.60. Sez. a.374, Seminat.o tomoli 3 di 2a cl. 60 Ducati nove grana.
Certifico io qui sottoscritto Sindaco di questa Comune di Castelforte, Casali e Suio, di aver estratto li sudetti due articoli dalla Matrice dei Ruoli di Suio che concordano ed in fede. Castelforte ventiquattro Novembre milleottocentoquattordici. Il Sindaco Pietro Duratorre.
Registrato nel Burò di Gaeta li sette Dicembre milleottocentoquattordici foglio settantasette verso, casella prima, numero due, volume dieci, lire una esatta.
N°110- Regno di Napoli, Provincia di Terra di Lavoro, Distretto di Gaeta, Circondario di Traetto, Comune di Castelforte.
Art.54 Caracciolo Giovambattista benestante di Castelforte, Sez.B, 313 Seminat.o tomoli 16 1a.Cl. rendita catastale ducati 80,40.
Certifico io qui sottoscritto Cancelliere ed Archiviario del Comune di Castelforte, Casali e Suio d’aver estratto il sudetto articolo della Matrice dei Ruoli di Suio, ed in fede.
Castelforte 24 Novembre milleottocentoquattordici F. Faraone Cancelliere.
Registrato nel Burò di Gaeta li sette Dicembre milleottocentoquattordici fol. 77 verso, casella 2a N° 2 vol. dieci, lire una esatta.
La presente in conformità dell’originale esistente presso l’Archivio Notarile del Distretto di Cassino, si rilascia oggi venticinque settembre 18 novantaquattro a richiesta del Sig. Giambattista Caracciolo. Il Conservatore Antonio M. (illegibile)
Specifica Bollo L.4,80, Scrittura L.3,00, Dritti L. 5,00= 12,80. sono lire dodici e ottanta.
Il Cancelliere F/to illegibile (Timbro Distretto Notarile di Cassino).
Brevi riferimenti bibliografici
N. Borrelli, Tradizioni Aurunche, Ristampa a cura del Centro Studi Minturnae, 1984, dell’ed. del 1937 dello Stab. Tip. L.Proia, Roma.
A. D’Amato, Mondragone – Viaggio nella memoria popolare, Arti Grafiche Caramanica, Marina di Minturno, 1989.
R. Di Bello, Suio, Borgo Medievale, glio paese meo, Grafiche Emmegi Castelforte, 2004.
G. Duby, Medioevo Maschio, Amore e matrimonio. Laterza s.p.a. Bari, 1989.
P. B. Fedele, o.f.m., Minturno, Storia e Folklore, Ristampa anastatica anno 2004, Arti Grafiche Caramanica, Marina di Minturno.
A. Lauri, Foklore della Terra di Lavoro, Napoli, 1950..
N. Magliocca, Usi e costumi del popolo gaetano, Centro Storico Culturale di Gaeta, 1994
A. Sergio, Paese Mio, Ricerca sul dialetto di Colfelice, a cura del Comune di Colfelice, 1982.
1 G.Duby, Medioevo maschio, amore e matrimonio, pag. 18.
2 A. D’Amato, Mondragone, viaggio nella memoria popolare, vol.II pag. 69.
3 P. Benedetto Fedele, Minturno; Storia e folklore, pag. 226, Ed. Anastatica Caramanica Editore, Minturno, 2004.
4 G. Porcelli, Bassiano, Vassiano mejio, pag. 132.
5 G. Porcelli, Bassiano, Vassiano mejo, pag. 133.
6 A. Sergio, Paese mio. Ricerca sul dialetto di Colfelice, pagg. 19-20.
7 A. D’Amato, Mondragone, Viaggio nella memoria popolare, vol. II pag. 71.
8 Duarante l’occupazione tedesca del nostro paese, con l’ordine di evacuazionen dell’abitato, molti soldati germanici e alcuni sciacalli locali si impadronirono di centinaia di questi corredi che le nostre famiglie con immensi sacrifici avevano preparati in molti anni.
9 Ha scritto Publikompass:”La scelta delle fedi- I significati dell’anello nel corso dei secoli. Nel diciassettesimo secolo l’anello ha la forma di due mani che si stringono ad abbracciare un piccolo cuore con una corona. La tradizione irlandese esattamente della Claddagh fede del West Connemara insegna che se il cuore è girato verso l’interno, la persona che la indossa sull’anulare della mano sinistra è fidanzata; se il cuore guarda all’esterno significa che è libera.In alcune regioni della Francia, in Normandia ed in Bretagna è usata sia come anello di fidanzamento sia come fede nuziale. A Bolzano e in Alto Adige l’anello tradizionale di fidanzamento in argento dorato ha due mani che stringono un cuore, una fiamma o una corona. Il volto di una donna o i volti di fronte l’uno all’altro di una donna e di un uomo con al centro un bouquet di fiori caratterizza la fede umbra del quindicesimo secolo. La fede ebraica, si ispira ad un reperto trovato nel quattordicesimo secolo in Alsazia, è in filigrana smaltata, ornata da perline ed ha inciso all’interno l’augurio “Mazzàl Tov (buona fortuna). In alcune tribù dell’Africa è il capovillaggio che provvede a realizzare la fede, a fascia alta, sottile, con decorazioni in rilievo utilizzando fili di paglia o foglie tagliate sottilissime. In India la sposa celebra il rito con tutte le dita, incluso il pollice, completamente inanellate. I gioielli sono considerati molto importanti per la sposa, vengono fabbricati in svariati materiali con pietre scelte in base al segno zodiacale e tutte con un preciso e profondo significato simbolico.
10 Il costume da pacchiana era tanto vistoso e risaltante che una giovane molto bella proveniente da un’altra zona, e sposata ad un professionista di Casrtelforte molto in rilievo sia politicamente che amministrativamente, appena giunta nel nostro paese volle essere ritratta indossando l’abito da pacchiana.
11 N. Borrelli, Tradizioni Aurunche, pag. 80
12 B. Fedele, Minturno, Storia e Folklore, pagg. 268-269, che richiama P. Toschi, Folklore pag. 50.
13 Come comune di Suio si intende il catasto di Suio rimasto separato pur compreso nell’unico comune di Castelforte.
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