I luoghi del potere provinciale nell’alta Terra di Lavoro tra Repubblica napoletana, regime borbonico e Unità d’Italia


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Studi Cassinati, anno 2009, n. 1
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di Gaetano De Angelis Curtis*

La storica provincia di Terra di Lavoro fino al 1927 ha fatto parte integrante della Campania e, fino al 1861, aveva seguito le vicende storico-politiche dei sovrani e delle autorità napoletane. In tale contesto, per l’area ubicata nella parte più settentrionale della provincia compresa tra il confine abruzzese e il mar Tirreno e cioè tra Sora e Gaeta passando per Cassino, appare interessante andare ad indagare, seguendo, chiaramente, i mutamenti negli ordinamenti dettati dai vari regimi succedutisi nel corso degli ultimi due secoli, quali siano stati i luoghi del decentramento subprovinciale relativamente al potere amministrativo, al potere fiscale, al potere giudiziario e al potere politico e i motivi che indussero le autorità del tempo a prescegliere tali luoghi, nonché effettuare una disamina della rappresentanza politica e amministrativa espressa dal territorio.

Luoghi del potere amministrativo – Sebbene l’esperienza della Repubblica napoletana del 1799 si sia protratta per breve tempo (dalla fine di gennaio all’inizio di luglio di quell’anno) essa gettò le basi per un rinnovamento delle strutture economico-sociali delle aree meridionali italiane. Molte delle riforme introdotte dai repubblicani francesi e napoletani non ebbero poi significative ripercussioni negli anni seguenti ma, almeno, quella relativa alla suddivisione amministrativa del territorio della repubblica contiene degli elementi di novità e di originalità che poi finirono per essere riconosciuti e fatti propri dai regimi successivi. Al di là del tentativo di uniformare l’ordinamento amministrativo napoletano a quello francese con le municipalità, riunite nei cantoni, che a loro volta formavano i dipartimenti, la cui denominazione, sempre seguendo il modello transalpino, veniva tratta dai corsi d’acqua più importanti che solcavano la circoscrizione amministrativa stessa, uno degli aspetti più importanti del riordinamento amministrativo-territoriale repubblicano fu quello di dare un più preciso assetto alla parte centro-settentrionale della Campania. Infatti la riforma Bassal1 modificò profondamente Terra di Lavoro. Evidentemente proprio l’enorme dimensione territoriale di quest’area, che fra l’altro inglobava anche la capitale partenopea, spinse Bassal a dividerla in tre dipartimenti: innanzi tutto la capitale della repubblica veniva staccata dal resto di Terra di Lavoro ritagliando un proprio e più diretto territorio di riferimento a formare il dipartimento del Monte Vesuvio; poi la restante parte venne bipartita con la creazione di due autonome aree amministrative e cioè il dipartimento del Volturno e quello del Garigliano. La capitale amministrativa del dipartimento del Volturno venne posta a Capua, mentre per il dipartimento del Garigliano, che risultava formato da 15 cantoni compresi tra Sora, Fondi, Sessa Aurunca e Venafro, fu prescelta la città di San Germano-Cassino2. Dunque la riforma Bassal del 1799 sancì per legge, per la prima ed unica volta, la creazione di una circoscrizione amministrativa che avesse in Cassino il proprio capoluogo amministrativo. La ripartizione territoriale prevista da Bassal venne abolita dalla stessa Repubblica napoletana, sostituita da una nuova riforma più conservativa nel senso che il territorio repubblicano veniva diviso in tredici dipartimenti di cui dodici coincidevano con le vecchie circoscrizioni provinciali e a cui si aggiungeva il dipartimento del Vesuvio che aveva come capoluogo Napoli. Dunque dei due principi riformatori di Bassal che interessavano Terra di Lavoro solo uno sopravvisse, perpetuandosi poi dal 1799 fino ai nostri giorni, passando attraverso borboni, napoleonidi, sabaudi, fascismo ed età repubblicana, quello relativo, cioè, alla costituzione di un territorio di riferimento per Napoli-capitale. Invece l’altro aspetto rappresentato dalla bipartizione di Terra di Lavoro con la creazione di un’area amministrativa con riferimento a Cassino non è mai stato più attuato nonostante numerosi tentativi effettuati nel corso degli anni, anche a livello parlamentare.
Quando i francesi tornarono a Napoli, questa volta sotto le insegne imperiali e non più repubblicane, nel decennio dei napoleonidi (1806-1815) prima con il re Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone, e poi con Gioacchino Murat, cognato di Napoleone, la situazione territoriale-amministrativa rimase sostanzialmente immutata3. Terra di Lavoro subì il trasferimento del capoluogo amministrativo: Capua venne sostituita da Santa Maria Capua Vetere, salvo poi il ripristino, nel 1808, della precedente situazione con Capua capoluogo e Santa Maria Capua Vetere prescelta come sede di Tribunale di prima istanza e tribunale criminale. Poi nel 1811 ai tre distretti in cui essa era suddivisa (Capua, Gaeta e Sora), ne venne aggiunto un quarto quello di Nola, mentre nel 1812 i circondari salirono da 45 a 47.
Dopo la restaurazione del 1815 e la formazione del Regno delle Due Sicilie4, il regime borbonico optò per una sostanziale continuazione del sistema sperimentato in precedenza5. Anche l’ordinamento amministrativo borbonico suddivideva il territorio del Regno delle Due Sicilie in province, distretti, circondari e comuni in cui operavano gli stessi organi del decennio francese (intendente, sottointendente ecc.). Durante gli anni borbonici due furono le variazioni che interessarono Terra di Lavoro. Innanzi tutto si ebbe la creazione di un quinto distretto in quanto a quelli di Capua, Nola, Gaeta e Sora venne aggiunto quello di Piedimonte d’Alife (e tale modifica comportò anche una redistribuzione dei circondari). L’altra variazione riguardò il trasferimento del capoluogo di provincia: dal 15 dicembre 1818 Caserta sostituì Capua.
Anche con l’Unità d’Italia ci fu sostanziale mantenimento dell’ordinamento precedente6. Erano i nomi delle circoscrizioni subprovinciali che venivano ad essere modificati. Così il decentramento amministrativo borbonico formato da province, distretti, circondari e comuni venne sostituito da quello sabaudo formato da province, circondari, mandamenti e comuni. In ogni città capoluogo di provincia, in cui erano localizzati vari uffici pubblici periferici, il prefetto (inizialmente denominato governatore) sostituì la figura dell’intendente. La novità più importante riguardò l’introduzione dell’elettività dei componenti degli organi dell’amministrazione provinciale e comunale. A livello provinciale funzionava il Consiglio provinciale, formato, in rapporto al numero di abitanti della circoscrizione, da un minimo di 20 ad un massimo di 60 membri, che eleggeva al proprio interno la Deputazione provinciale dotata di più ampi compiti e presieduta, almeno fino alla riforma crispina, dal prefetto, determinando, di fatto, “un insidioso meccanismo di confusione dei poteri” in quanto in essa si veniva a fondere l’elemento governativo con quello elettivo locale. I livelli intermedi dell’ordinamento amministrativo non avevano organi amministrativi, né collegiali né monocratici, ma in ogni circondario operava un sottoprefetto (che aveva sostituito il sottointendente), mentre il mandamento raggruppava più comuni che formavano il collegio elettorale di uno o più Consiglieri provinciali e generalmente, nel capoluogo, avevano sede alcuni uffici giudiziari (pretura e carceri mandamentali). La base della piramide amministrativa era costituita dai comuni i quali operavano attraverso tre organi, due collegiali, il Consiglio comunale7 e la Giunta municipale8, ed uno monocratico, il sindaco9.
Dopo il Plebiscito, tenutosi in Terra di Lavoro in soli 89 comuni su 23810 e che dette come esito 70.296 voti favorevoli e 1.320 contrari, per la provincia più settentrionale della Campania l’Unificazione nazionale comportò alcune perdite territoriali. Infatti a seguito della creazione della provincia di Benevento, che nel regno delle Due Sicilie, al pari di Pontecorvo, rappresentava una enclave dello Stato pontificio, Terra di Lavoro perse 51 comuni ripartiti in dieci mandamenti di cui sei ceduti direttamente a Benevento e gli altri quattro per compensazione, di cui due alla provincia di Principato Ulteriore e due a quella del Molise (Venafro11 e Castellone).
Dopo le decurtazioni territoriali Terra di Lavoro risultava formata da cinque circondari, 50 mandamenti e 238 comuni con una popolazione complessiva di 798.829 abitanti. Il circondario di Sora aveva 8 mandamenti, 39 comuni, 133.386 abitanti ed eleggeva 11 consiglieri provinciali (uno per ogni mandamento con l’eccezione di quelli di Sora, Cassino e Arpino che ne eleggevano due); molto simile la situazione del circondario di Gaeta che aveva 9 mandamenti, 34 comuni, 133.778 abitanti ed eleggeva 10 consiglieri provinciali (uno per ogni mandamento con l’eccezione di quello di Gaeta che ne eleggeva due). Nel 1867 il numero dei consiglieri provinciali eletti passò a 12 per tutti e due i circondari (per quello di Sora in seguito alla formazione del mandamento di Pontecorvo; per il circondario di Gaeta i mandamenti di Sessa Aurunca e Fondi passarono a due consiglieri). Nel 1861 la rappresentanza nel Consiglio provinciale di Terra di Lavoro proveniente dal circondario di Sora era composta da Federico Iucci e Luigi Aceti (Cassino), Luigi Gagliardi (Cervaro), Pasquale Visocchi (Atina), Giuseppe Polsinelli e Angelo Incagnoli (Arpino) Pietro Lancia (Arce), Pasquale Pelagalli (Roccasecca), Raffaele Teti (Alvito), Alessandro Ferrari e Francesco Loffredo (Sora). Nella prima seduta del 17 luglio 1861 venne eletto presidente del Consiglio provinciale Giuseppe Polsinelli (industriale dei pannilana, onorevole e poi senatore), che resse la carica, con qualche interruzione, fino al 7 settembre 1869. Altri presidenti di estrazione territoriale del circondario di Sora furono: l’aquinate Pasquale Pelagalli (1870-1875); l’arpinate Angelo Incagnoli (1878-1884); l’arcese Federico Grossi (1903-1906); l’atinate Francescantonio Visocchi (1907-1908); il cassinate Benedetto Nicoletti (1908-1916); l’atinate Orazio Visocchi (1916-1920). A presiedere la Deputazione provinciale (a partire dal 1889 quando la carica divenne elettiva in seguito alla riforma crispina del 30.12.1888 n. 5865) furono: Giuseppe Rossi di Vallerotonda (1897-1898 e 1901-1908); il già menzionato ed ex sindaco di Cassino Benedetto Nicoletti (1898-1900); l’alvitano Vincenzo Mazzenga (1916-1920); Bernardo Belli di Rocca d’Arce (1920-1922); l’arpinate Nazareno Rea (padre dell’abate Ildefonso Rea, 1924-1925) ed ultimo, prima della soppressione della provincia, il cervarese Vincenzo Casaburi (1925). I consiglieri provinciali eletti a Cassino tra il 1861 e il 1925 furono: Federico Iucci, Luigi Aceti (Piedimonte S. Germano), Benedetto Lanni, Loreto Lena, Silvio Petrarcone, Giosuè Danese, Giuseppe Di Monaco (Pignataro), Pietro Aceti e Emilio Cavacece (Piedimonte S. Germano), Benedetto Nicoletti, Antonio Merola, Enrico Risi (Sant’Elia Fiumerapido), Giuseppe Marsella e Gaetano Di Biasio12.
Per quel che riguarda l’alta Terra di Lavoro ci si può porre il quesito dei motivi che indussero gli organi di potere del tempo ad operare la scelta, confermata nel corso del tempo da parte dei vari regimi, di due città, come quelle di Gaeta e Sora, come sede degli uffici governativi e statali che non avevano tra le loro qualità quella della baricentricità al loro territorio di riferimento ma erano, invece, poste ai limiti della provincia e dello Stato. La particolare posizione geografica di Terra di Lavoro, che per secoli ha rappresentato, nella sua parte settentrionale, l’area di confine tra il regno di Napoli, poi delle Due Sicilie, e lo Stato Pontificio, pose alcuni problemi, evidentemente, a coloro i quali si accinsero a ritagliare e definire le circoscrizioni amministrative e, soprattutto, a scegliere i rispettivi capoluoghi subprovinciali. In particolare, per tale zona di frontiera, essi si trovarono di fronte al dilemma se fosse preferibile individuare una città che avesse tra i propri requisiti quello della centralità geografica della stessa circoscrizione, come nella restante parte del territorio del regno, in modo da essere facilmente raggiungibile dagli abitanti di tutti i comuni appartenenti allo stesso distretto, oppure, se dovesse esser preferito come capoluogo, proprio in considerazione della peculiarità prodotta dalla presenza del confine, una città a ridosso della frontiera affinché la presenza di apparati statali potesse consentire una più immediata sorveglianza della linea di demarcazione, offrendo la possibilità di fornire informazioni più sollecite agli organi decisionali centrali in grado, quindi, di dettare più immediati interventi nei casi in cui se ne fosse riscontrata la necessità. Fu proprio quest’ultima soluzione che appare essere adottata, almeno per l’alta Terra di Lavoro, se si considera che vennero elevate a capoluogo di altrettanti distretti Sora e Gaeta, entrambe prive del requisito della centralità territoriale poiché situate in prossimità della linea di confine tra i due Stati. L’esito offerto dalle autorità del tempo che avevano operato la scelta eccentrica di Gaeta e Sora innescò inevitabilmente delle richieste di spostamento del capoluogo di distretto. Già nel corso del 1807 Sessa Aurunca si propose per sostituirsi a Gaeta come capoluogo di distretto, così come in quegli stessi anni e in quelli successivi, ripetutamente San Germano, ma anche Atina, Arpino13 o Roccasecca, cercarono di rimpiazzare Sora. Gaeta si difendeva sostenendo di essere “una Piazza d’Armi» con annesso porto a ridosso con la frontiera che consentiva un più agevole controllo del territorio di confine. Sora contrastò le aspirazioni delle altre città prospettando l’opportunità che le autorità designate alla lotta al brigantaggio risiedessero a ridosso del confine.
Nel corso del decennio francese, e poi negli anni della restaurazione borbonica, Cassino tentò ripetutamente di spodestare Sora come capoluogo di distretto agendo attraverso il ministero delle Finanze, favorevole al trasferimento della sede. Anche l’intendente di Terra di Lavoro, il 15 gennaio 1812, riteneva che se l’elemento decisivo per la scelta fosse stato rappresentato esclusivamente dalla «centralità» territoriale non vi era altro comune del distretto in grado di competere con la città di San Germano, la quale poteva vantare anche un sistema viario più ramificato rispetto a Sora. Al contrario quest’ultima città «posta al confine della provincia [era] il punto più incomodo del Distretto per recarvisi, e gli amministratori [dovevano] certamente soffrir molto ogni volta che [avevano] di bisogno di accostare la Sottointendenza». Ma assieme a tali considerazioni, continuava il sottointendente, andavano tenute presente anche «quelle che [nascevano] forse dal volere avere una Sottointendenza su i confini» e quelle inerenti al clima della città di Cassino, col «dubitarsi che l’aria di S. Germano non [fosse] perfetta», e da tutto ciò si riusciva a comprendere i motivi che avevano «forse contribuito altra volta a preferire ad esso il comune di Sora»14. Con il ritorno dei Borboni a Napoli gli abitanti di San Germano tornarono a sollecitare il trasferimento e per tale motivo decisero di inviare una delegazione nella capitale partenopea. Anche da Sora partì una «deputazione» composta dal sindaco della città e da alcuni decurioni con lo scopo di esporre la decisa avversione della città al progetto di trasferimento, evidenziando il «mal contento nell’animo non solo de’ Sorani, ma anche della maggior parte dei Distrettuali, che scontentissimi sarebbero di doversi condurre in S. Germano pei loro affari» a causa dell’«aria micidiale che ivi si respira[va]». Il «vantaggio» della dislocazione eccentrica, per gli amministratori sorani, si esplicava in funzione della vicinanza al confine papalino e della repressione al brigantaggio. Infine si faceva ricorso anche altri motivi evidenziando «lo scandalo che la ridetta traslocazione» avrebbe potuto generare in tutti i comuni degli altri distretti del regno i quali si sarebbero potuti porre «in fermento per ottenere di esser capi-Distretto solo perché quello di S. Germano l’avrebbe ottenuto»15. Ancora tra il 1856 e il 1858 i funzionari statali furono interessati alla questione dell’elevazione di San Germano a capoluogo di distretto16. Poi la vicenda si esaurì di lì a qualche anno quando la fine del regno borbonico e la nascita dello Stato unitario aprirono una nuova stagione, con nuove e più impellenti questioni sociali, politiche e amministrative (basti pensare, in tale territorio, all’avvio del fenomeno del brigantaggio) che assorbirono, e non poco, le giovani istituzioni italiane.

Luoghi del potere fiscale – La città di Sora, capoluogo dell’omonima circoscrizione subprovinciale, non era sede tutti gli uffici periferici dell’amministrazione statale ma, ad esempio, la ricevitoria distrettuale era ubicata a San Germano. Negli anni di governo dei napoleonidi il ministero delle Finanze (che, fra l’altro, si era espresso favorevolmente anche per il trasferimento della sede di distretto da Sora a Cassino) aveva decretato la permanenza della «cassa del distretto di Sora» nella città di San Germano proprio sulla base della sua centralità geografica. In sostanza la presenza dell’organo statale a San Germano veniva giustificata dal fatto che la città, per la sua posizione e per la convergenza di numerose strade che andavano «a riunirsi in ess[a], e pel comodo della località, e per quello del commercio», e dunque era più facilmente raggiungibile dagli abitanti di tutti i comuni del distretto che si dovevano recare presso la ricevitoria per il pagamento delle tasse. Era, dunque, Cassino il luogo in cui i contribuenti potevano «più facilmente recare il loro denaro», diminuendo «l’incomodo», i «rischi» ed il «maggior cammino» a cui sarebbero stati costretti se avessero dovuto versarlo nel capoluogo del distretto. Diversamente per molti contribuenti recarsi a Sora, posta ai limiti geografici del distretto, poteva significare non solo affrontare un viaggio difficoltoso in relazione alle strade di comunicazione del tempo ma al tempo stesso reso ancor più pericoloso dal trasporto del denaro da versare nelle casse statali17. Una situazione, quella determinatasi, abbastanza inusuale per quegli anni perché si era venuta a creare una sorta di decentramento bipolare ante litteram tra le due più importanti città del distretto (un aspetto che successivamente tenderà ad amplificarsi con la scelta della sede degli uffici giudiziari).

Luoghi del potere giudiziario: il tribunale di Cassino – Il nuovo ordinamento giudiziario per le province napoletane, a norma della legge 17 febbraio 1861, stabiliva che sul territorio continentale dell’ex regno delle Due Sicilie18 avessero competenza quattro Corti di Appello con sede nelle antiche residenze delle Gran Corti Civili19, mentre i circoli di Assise erano complessivamente sedici, uno per ogni provincia, lì dove avevano avuto sede le Gran Corti Criminali (con l’eccezione dell’Abruzzo citeriore il cui capoluogo di circolo venne fissato a Lanciano), e i tribunali civili erano trentuno di cui sedici operavano nelle città sede di circolo di Assise e quindici, definiti circondariali, furono quelli di nuova istituzione20.
In Terra di Lavoro operavano dunque il Circolo di Assise e il Tribunale civile ubicati a Santa Maria Capua Vetere (anche in questo caso i luoghi del potere amministrativo non coincidevano con quelli giudiziari). Anche in Terra di Lavoro, che alla sua ampia estensione territoriale aggiungeva l’insorgere del fenomeno del brigantaggio, le nuove autorità italiane installarono un secondo Tribunale civile. Sulla scelta della città sede del nuovo organo giudiziario ancora non è stata fatta completa luce. Più di una città aspirava ad essere sede di Tribunale. Innanzi tutto Sora e Gaeta che già erano capoluogo dei rispettivi circondari e dunque ospitavano uffici periferici statali e subprovinciali21. Poi c’era Pontecorvo e la città ex papalina interessò il deputato eletto nel proprio collegio, il medico-antropologo Giustiniano Nicolucci, ponendolo a capo di una «deputazione» incaricata di portarsi a Torino per perorare, presso le nuove autorità nazionali, la richiesta di istituzione dell’organo giudiziario22. Allo stesso modo le aspirazioni di Formia furono formalizzate dall’avv. Raffaele Gigante che pubblicò un opuscolo dal titolo Delle ragioni che ha Mola di Gaeta per avere la sede del tribunale circondariale e del giudice nel suo mandamento.
Poi con il R.D. del 17 febbraio 1861 a firma del luogotenente Eugenio di Savoia-Carignano, fu San Germano ad essere prescelta come sede del Tribunale circondariale la cui competenza territoriale si estendeva sui due circondari di Sora e di Gaeta. Di sicuro della questione del tribunale se ne fece autorevole propugnatore e sostenitore l’abate di Montecassino, Simplicio Pappalettere, che si fece anche interprete delle aspettative della creazione della provincia di Cassino. Il 10 dicembre 1861 l’abate Pappalettere inviò una lettera di ringraziamento a Vincenzo Miglietti, ministro di Grazia e giustizia, per l’interessamento offerto dal guardasigilli nel consentire che la città di Cassino potesse essere prescelta come sede del Tribunale23. L’abate cassinese non si accontentò di manifestare la soddisfazione della popolazione locale per la scelta operata, con le sue intrinseche implicazioni politiche e i riflessi sociali, ma avanzò la richiesta di far di Cassino una città sede di prefettura, vale a dire elevarla a capoluogo di provincia24.

Luoghi del potere politico: i collegi elettorali – L’allargamento a tutto il territorio italiano della legislazione sabauda al momento dell’Unità d’Italia portò ad un diverso sistema di scelta della classe politica e amministrativa, basato sull’elettività dei rappresentanti nazionali e locali. Infatti proprio a partire dall’Unificazione nazionale anche gli uomini del Mezzogiorno italiano ebbero la possibilità di poter designare i componenti della Camera dei deputati e degli organi di governo locale, e cioè consigli comunali e provinciali. Inizialmente gli elettori rappresentavano una ristretta cerchia poiché erano individuati con il «meccanismo della cosiddetta “doppia entrata (censo + capacità)»25, utilizzando gli elementi dicotomici del “chi sa – chi ha”, anche se nel corso degli anni la base elettorale venne via via allargata fino all’introduzione del suffragio universale maschile con la riforma giolittiana del 1913.
Il sistema elettorale utilizzato dall’Unità per l’elezione dei rappresentanti alla Camera dei deputati, che ricalcava quello piemontese del 1848, prevedeva un sistema a doppio turno in collegi uninominali. Tale sistema venne utilizzato per sette elezioni (dalla VII alla XIV legislatura), pari a poco più di un ventennio compreso tra il 27 gennaio 1861e il 1882. Alla provincia di Terra di Lavoro, sulla base del numero di abitanti, vennero assegnati quindici seggi di cui cinque per il circondario di Caserta, tre per quello di Nola, due per quello di Piedimonte, tre per quello di Sora e due per quello di Gaeta. Il circondario di Sora risultò costituito dai collegi elettorali di Sora, Cassino e Pontecorvo; quello di Gaeta dai collegi di Gaeta e Sessa Aurunca.
Gli eletti a Cassino furono: Antonio Tari, filosofo originario di Terelle decaduto per nomina a docente presso l’Università di Napoli; Enrico Pessina poi senatore e ministro dell’Agricoltura e di Grazia e giustizia; Francesco De Sanctis, storico della letteratura italiana, ministro della Pubblica istruzione; Ferdinando Palasciano, medico di Capua propugnatore della neutralità dei feriti in guerra poi nominato senatore del regno; Alfonso Visocchi industriale della carta di Atina.
Gli eletti a Pontecorvo furono: Giustiniano Nicolucci, medico antropologo; Pasquale Pelagalli, industriale della carta e sindaco di Aquino; Federico Grossi avvocato di Arce.
Gli eletti a Sora furono Giuseppe Polsinelli industriale di pannilana di Arpino poi nominato senatore del regno; Angelo Incagnoli di Arpino.
Gli eletti a Gaeta furono: Vincenzo Buonomo; Raffaele Gigante avvocato di Itri; Giuseppe Buonuono, medico di Gaeta.
Nel tentativo di spezzare i legami che si instauravano tra deputato ed elettorato nei singoli collegi, nel 1882 venne introdotto un nuovo sistema elettorale, la riforma Depretis, che sancì il passaggio ad uno scrutinio di lista su collegi plurinominali con l’espressione di preferenze ai candidati. Tale meccanismo venne utilizzato per un decennio (1882-1892) e per tre turni elettorali. Per effetto di tale meccanismo la provincia di Terra di Lavoro risultò divisa in tre collegi elettorali a cui erano comunque assegnati quindici seggi: Caserta I-Caserta (sei seggi), Caserta II-Capua (cinque seggi) e Caserta III-Cassino (quattro seggi). Appare significativo o sintomatico (dipende dai punti di vista) che con la riforma Depretis sia stato formato il collegio Caserta III-Cassino che aveva appunto nella città di Cassino la sede del capoluogo elettorale. Esso risultava costituito dai tre vecchi collegi uninominali del circondario di Sora (Sora, Cassino e Pontecorvo) con l’aggiunta del collegio di Gaeta. Il circondario di Gaeta era costituito da due collegi elettorali (Gaeta e Sessa Aurunca) ma per formare il collegio di Caserta III-Cassino dal punto di vista elettorale il circondario viene bipartito con Gaeta aggregato a Cassino e Sessa Aurunca assegnato a Caserta II-Capua. Da ciò ne deriva che il collegio di Caserta III-Cassino risultava costituito, praticamente, da tutto il territorio del circondario di Sora e dalla parte settentrionale, quella al di qua del Garigliano, del circondario di Gaeta: in sostanza appaiono ricalcati i confini di alcune delle ipotesi di Cassino-provincia che comunque circolavano in quegli anni. Le elezioni tenutesi con il sistema voluto da Depretis, pur in presenza di forti elementi di novità e differenziazione rispetto al passato (1. liste di candidati per favorire i partiti organizzati; 2. espressione, per la prima volta, delle preferenze tra i candidati delle liste; 3. allargamento territoriale del collegio; 4. allargamento della base elettorale), in tutti e tre i turni i candidati uscenti vennero ad essere riconfermati. Nell’arco di quel decennio il mutamento della rappresentanza politica dell’alta Terra di Lavoro fu determinato esclusivamente dalla morte del parlamentare, il cui seggio, peraltro, veniva conquistato da persone della medesima estrazione territoriale. Nel 1882 vennero eletti Federico Grossi, Angelo Incagnoli, Alfonso Visocchi e Giuseppe Buonomo. Nelle elezioni suppletive indette per la morte di Angelo Incagnoli venne eletto Tommaso Testa. Nel turno elettorale del 1886 vennero riconfermati tutti e quattro e poi in quello successivo del 1890 l’unica variazione riguardò l’elezione del contrammiraglio Raffaele Corsi che subentrò al dott. Buonomo nel frattempo deceduto.
Nel 1892, una nuova modifica del sistema elettorale, la riforma Di Rudinì, sancì il ritorno all’uninominale. Alla provincia di Terra di Lavoro vennero assegnati tredici seggi (si persero i collegi di Cajazzo e Cicciano) e vennero ricostituiti i tre vecchi collegi uninominali del circondario di Sora (appunto Sora, Cassino e Pontecorvo) e quelli del circondario di Gaeta (appunto Gaeta e Sessa Aurunca). Con il ritorno al vecchio sistema uninominale si svolsero sette turni elettorali tra il 1892 e il 1913. A Cassino continuò ad essere eletto Alfonso Visocchi che, nominato senatore del regno, e dopo una legislatura di Federico Grossi, venne sostituito dal nipote Achille (poi nominato sottosegretario ai LL.PP e al Tesoro, ministro dell’Agricoltura nel governo Nitti I, e poi anch’egli senatore del regno). A Pontecorvo Federico Grossi venne sostituito dal conte Annibale Lucernari, sindaco della città. A Sora dopo una serie di contestazioni, con conseguenti annullamenti delle elezioni, il seggio venne conquistato prima da Luigi Gaetani di Laurenzana, poi dall’avv. Emilio Conte e infine dal prof. Vincenzo Simoncelli. A Gaeta alla riconferma di Raffaele Corsi seguì la sua decadenza per nomina a vice-ammiraglio e poi l’elezione di Enrico Accinni, Tommaso Testa, Guglielmo Canterano e Falco Tosti di Valminuta.
Poi dopo la prima guerra mondiale il sistema venne completamente ridefinito con l’introduzione del sistema proporzionale con liste di partito e suffragio universale maschile, cui seguì la modifica con la legge Acerbo e l’avvento del ventennio fascista.
Nella prima elezione italiana (gennaio 1861) nei due collegi di Cassino e Sora si candidò Ernesto Capocci, il grande astronomo originario di Picinisco, che nei giorni della stessa campagna elettorale fu nominato senatore del regno. Per i primi tre-quattro turni elettorali il collegio di Cassino sembra differenziarsi rispetto agli altri di Pontecorvo, Sora e Gaeta per la mancata estrazione territoriale degli eletti: si tratta, cioè, di grandi personalità di livello nazionale ma che non sono espressione del territorio (Pessina, De Sanctis, Palasciano); poi dal 1876 a Cassino si assiste al fenomeno dell’infeudamento del collegio con esponenti della famiglia Visocchi (prima Alfonso e poi il nipote Achille) che vengono sistematicamente rieletti. Un altro aspetto di rilievo deriva dalla mancata elezione di un candidato propriamente di Cassino (Tari di Terelle, i Visocchi di Atina, Federico Grossi di Arce; l’unico che si era proposto era stato nel 1870 Vincenzo Grosso, cognato di Antonio Tari, ma era stato sconfitto da Palasciano; altri candidati locali furono i consiglieri provinciali Emilio Cavacece di Piedimonte San Germano ed Enrico Risi di Sant’Elia).

* Il presente contributo, presentato sotto forma di relazione nell’Assemblea dei soci del Centro di Documentazione Studi Cassinati» tenutasi a Cassino il 3 marzo 2009, rappresenta un primo e parziale risultato di un lavoro di ricerca ancora non concluso ma in itinere che in modo più ampio e articolato diverrà oggetto di una autonoma pubblicazione.
1 Il 21 piovoso 1799 (che corrispondeva secondo il calendario rivoluzionario francese al 9 febbraio) entrò in vigore una nuova legge che riorganizzava in senso amministrativo il territorio della repubblica. La riforma era stata predisposta materialmente da François Bassal (ex curato della parrocchia di San Luigi a Versailles, deputato dell’Assemblea legislativa francese, a Napoli, oltre ad essere uno stretto collaboratore del gen. Championnet, fu uno dei 25 membri del governo provvisorio ed uno dei quattro ministri del governo della repubblica napoletana, reggendo il dicastero delle Finanze). I dipartimenti, con i rispettivi capoluoghi, erano cosi distinti: Monte Vesuvio=Napoli, Pescara=Aquila, Garigliano=Sangermano, Volturno=Capua, Sangro=Lanciano, Ofanto=Foggia, Sele=Salerno, Idro=Lecce, Bradano=Matera, Crati=Cosenza e Sagra=Catanzaro; cfr. «Monitore Napolitano», ottodì 28 piovoso anno VII (sabato 16 febbraio 1799), n. 5. Per le questioni trattate nella sezione sui «luoghi del potere amministrativo» si fa ampio riferimento a G. De Angelis-Curtis, Proposte di istituzione di una circoscrizione amministrativa: Cassino 1799-2006, Caramanica ed., Marina di Minturno 2006.
2 Il dipartimento del Garigliano era formato da 15 cantoni, «Sora, Arpino, Atino [Atina], S. Germano [Cassino], Fondi, Gaeta, Roccaguglielmo, Sessa, Teano, Cajazzo, Pietra Veranno [Vairano], Piedimonti [Piedimonte d’Alife], Isernia, Venafro e Torra [Tora]», con il capoluogo fissato nella città di San Germano; il cantone di Sangermano risultava costituito dai comuni di «Sangermano, S. Elia, S. Michele, Cimarola [Piumarola], Cervaro, Pignataro, S. Angelo in Todice, Trocchia [S. Lucia di Monte di Trocchio], Evandro [Rocca d’Evandro], S. Pietro in fine e S. Vittore»; Lena Gaetano, San Germano tra antico regime ed età napoleonica, II, Pubblicazioni cassinesi, Montecassino 2000, p. 35; «Monitore Napolitano», primodì ventoso anno VII (martedì 19 febbraio 1799), n. 6. I confini geografici erano: «al settentrione colla sommità delle montagne dette Monte Accanito, Monte Ortasio, Monte Sele, Monte d’Ezo, Monte Zanipro, Monte Rofano, Monte Biserno, Monte Caprari; al Levante colla riviera di Cosano e col Volturno; al mezzo giorno col mare mediterraneo, ed a Ponente colla Repubblica Romana»; «Monitore Napolitano», ottodì 28 piovoso anno VII (sabato 16 febbraio 1799), n. 5.
3 Tredici erano le province (compresa quella di Napoli) salvo poi aggiungersene altre due formate dalla bipartizione delle circoscrizioni originarie (nel 1807 Capitanata in Contado di Molise venne divisa nella provincia di Capitanata con capoluogo Foggia e nella provincia di Molise con capoluogo Campobasso; nel 1814 dalla provincia di Calabria Ultra furono create le province di Calabria Ultra Prima e Calabria Ultra Seconda). Il decentramento amministrativo era rappresentato, sulla falsariga dell’ordinamento napoleonico, dalla provincia, dal distretto, dal circondario e dai comuni o università. La provincia era retta dall’intendente, incaricato dell’amministrazione civile e finanziaria e dell’«alta polizia» e nella provincia operava un «Consiglio generale di provincia» formato da non meno di 15 e da non più di 20 membri. Il distretto, invece, era sottoposto ad un sotto-intendente e a un «consiglio di distretto», composto al massimo da dieci membri; il circondario era privo di organi collegiali o monocratici.
4 Dopo il Congresso di Vienna, Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia riunì la parte continentale e quella insulare a formare il Regno delle Due Sicilie assumendo il titolo di Ferdinando I.
5 Nel Regno delle Due Sicilie le due principali divisioni erano fra la parte continentale del Regno (Reali Dominii al di qua del Faro) e la Sicilia (Reali Dominii al di là del Faro), con riferimento al Faro di Messina. I Reali Dominii al di qua del Faro comprendevano quindici province: Napoli, Terra di Lavoro, Principato Citra, Principato Ultra: Calabria Citeriore, Prima Calabria Ulteriore, Seconda Calabria Ulteriore; Capitanata, Terra di Bari, Terra d’Otranto; Abruzzo Citeriore, Primo Abruzzo Ulteriore, Secondo Abruzzo Ulteriore; Contado di Molise; e Provincia di Basilicata. Invece la Sicilia formava i Reali Dominii al di là del Faro con Val Demone, Val di Noto e Val di Mazara.
6 La nuova legge comunale e provinciale (n. 3702 del 23 ottobre 1859) predisposta inizialmente «in vista dell’unione della Lombardia e considerata provvisoria» al momento delle varie annessioni degli Stati preunitari, venne allargata a tutto il territorio nazionale con legge 9 ottobre 1861 n. 249, poi confermata con legge 20 marzo 1865 n. 2248. La riforma, messa a punto da Urbano Rattazzi e divenuta «la base definitiva dell’ordinamento locale italiano», respingeva elementi innovativi come la creazione delle regioni e risultò, sostanzialmente, molto simile alla legge piemontese del 1848. In definitiva apportò modifiche agli organi di governo locale e alle loro competenze e modalità di composizione, mentre sancì la suddivisione del territorio nazionale in province, circondari, mandamenti e comuni; Rotelli Ettore, Questione regionale, in Levi F., Levra U., Tranfaglia N. (a cura di), Storia d’Italia, 3, Il mondo contemporaneo, La nuova Italia Editrice, Firenze 1980, p. 968.
7 Il numero dei componenti dipendeva dalla consistenza demografica del comune. Inizialmente i Consigli comunali avevano una durata quinquennale, con rinnovo parziale di 1/5 dei componenti ogni anno. Nel 1894 la durata venne aumentata a sei anni accompagnata dal rinnovo parziale della metà dei consiglieri ogni tre, mentre nel 1904 il rinnovo parziale fu portato ad 1/3 dei membri ogni biennio. Infine nel 1913 la durata venne fissata in quattro anni; Aimo Piero, Stato e poteri in Italia 1848-1995, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1997, p. 73.
8 La Giunta municipale, pendant della Deputazione provinciale, rappresenta il «vero perno dell’intero sistema di governo cittadino»; Ibidem.
9 Il nuovo Stato unitario sancì la «prerogativa regia nella individuazione del capo dell’amministrazione locale» per cui spettava al prefetto individuare una terna di nomi tra gli eletti nel consiglio comunale nell’ambito della quale avveniva la scelta del sindaco. Bisognò attendere la riforma crispina del 30.12.1888 n. 5865 affinché anche la carica di sindaco divenisse elettiva, anche se limitata ai comuni al di sopra dei 10.000 abitanti e per quelli capoluogo di provincia e di circondario. Poi nel 1896 la riforma Di Rudinì allargò a tutti i comuni l’elettività della carica di sindaco; Aimo Piero, Stato e poteri … cit., p. 32.
10 Riccardi F., Quel maledetto imbroglio del plebiscito del 1860. La Terra di Lavoro non votò per i Savoia, in «Studi Cassinati», a. VII, n. 2, aprile-giugno 2007.
11 La ferma volontà degli abitanti del mandamento di Venafro di staccarsi dal Molise e ritornare alla Campania, suffragata anche da diversi tentativi di iniziativa parlamentare, non dette l’esito sperato e solo il comune di Presenzano fu riaggregato alla provincia di Caserta con una proposta, convertita in legge, presentata dall’on. Federico Grossi.
12 De Francesco Domenico (a cura di), La provincia di Terra di Lavoro oggi Caserta nelle sue circoscrizioni territoriali e nei suoi amministratori a tutto il 1960, Amministrazione Provinciale di Caserta, Tip. Jacelli, Caserta 1961, pp. 18-19, 43, 167. Gaetano Di Biasio fu l’ultimo rappresentante del mandamento di Cassino nel Consiglio provinciale di Terra di Lavoro. In seguito alle sue dimissioni e a quelle degli altri esponenti socialisti del circondario di Sora e di Gaeta (gli avv. Luigi Addessi, Bernardo Nardone e Tommaso Testa eletti, rispettivamente, nel mandamento di Fondi, Sora e Roccasecca) le elezioni provinciali suppletive, inizialmente fissate per il 4 marzo 1923, furono confermate solo per il mandamento di Cassino, mentre per gli altri vennero rinviate a data da destinarsi. L’unica candidatura fu quella del medico di Sparanise, Riccardo Mesolella, del Pnf, che nei sei comuni che costituivano il mandamento (Cassino, Piedimonte S. Germano, Pignataro, S. Elia, Terelle e Villa S. Lucia) ottenne 3703 voti su 3704 votanti; «Terra di Lavoro», a. XXVII, n. 10, 8 marzo 1923.
13 In un progetto di ridefinizione amministrativa della provincia di Terra di Lavoro redatto dal ministero dell’Interno in data 30 settembre 1807 e trasmesso all’intendente, si ipotizzava la creazione di un quarto distretto, quello di Nola (poi effettivamente costituito con decreto dell’8 giugno 1810 n. 661), che si sarebbe venuto ad aggiungere a quello di Capua e ai due della parte più settentrionale. Questi ultimi, però, vedevano mutate le città capoluogo con Arpino che sostituiva Sora e Sessa Aurunca che subentrava a Gaeta. Il distretto di Arpino risultava costituito da dieci circondari e 71 comuni; cfr. Archivio di Stato di Caserta, Intendenza Borbonica, Circoscrizioni territoriali, b. 8, f. 104.
14 Archivio di Stato di Caserta, Intendenza Borbonica, Circoscrizioni territoriali, b. 6, f. 81.
15 Archivio di Stato di Napoli, Ministero dell’Interno, II inventario, 735, Incartamento 30
16 Archivio di Stato di Caserta, Intendenza di Terra di Lavoro, b. 6, f. 81.
17 Archivio di Stato di Caserta, Intendenza Borbonica, Circoscrizioni territoriali, b. 6, f. 81.
18 Altre tre Corti di Appello operavano in Sicilia a Palermo, Catania e Messina.
19 Napoli, Catanzaro, Aquila e Trani (dal primo ottobre 1923 trasferita a Bari), più una sezione staccata a Potenza dipendente da Napoli e con giurisdizione sulla Basilicata (che ottenne l’autonomia nel 1945).
20 Avezzano, Lanciano, Monteleone, Castrovillari, Gerace, Ariano, Isernia, Vallo, Sala Consilina, S. Germano, Lagonegro, Matera, Melfi, Taranto e Bari (a cui se ne vennero ad aggiungere almeno altri quattro: Sulmona, Sant’Angelo dei Lombardi, Rossano e Palmi); cfr. Archivio di Stato di Napoli, Carte della Luogotenenza, Ministero di Grazia e Giustizia, f. 3866.
21 La conflittualità tra Sora e Cassino in relazione alla questione della sede del Tribunale non si spense dopo la definitiva scelta della sede degli uffici giudiziari ma si venne a manifestare ciclicamente raggiungendo il suo massimo negli anni del secondo dopoguerra; cfr. G. De Angelis-Curtis, Tra Cassino e Sora: la riorganizzazione degli uffici giudiziari del Tribunale del Lazio meridionale, in S. Casmirri (a cura di), Il Lazio meridionale dal 1944 agli anni Settanta. Politica, economia e società nelle fonti storiche e nelle testimonianze dei protagonisti, FrancoAngeli, Milano 2006.
22 Nicosia Angelo, Pontecorvo agli inizi dell’età liberale, Tip. Pontone, Cassino s.d., p. 39.
23 «Eccellenza quando la generosa cortesia prende le forme che sono espresse nell’onorevole foglio dell’Eccellenza Vostra del 4 dicembre n. 30362, non si può rimanere alle leggi comuni della convenienza, ed è però che io sento il bisogno di replicare alla sua risposta questa mia umilissima per ringraziare la sua generosa e squisita gentilezza. Ho voluto far questo pure per ringraziarla del grande beneficio fatto a questa Città di S. Germano, capoluogo della mia Diocesi, nello stabilirvi un Tribunale. Questo suo beneficio è tanto più splendido: perché, recando un tributo al nobile sentimento italiano di questa buona popolazione, ha politicamente tratto un gran profitto a pro del Governo, avendo prodotto per questo fatto in tutte queste popolazioni mandamentali, che mi circondano, un vivissimo sentimento di affetto e gratitudine verso il Real Governo Italiano. Ha vinto l’Eccellenza Vostra una nuova battaglia contro la reazione»; Leccisotti Tommaso, A proposito delle aspirazioni di Cassino, in «Il Gazzettino del Lazio», n. 14, XXI, 1973.
24 «Ora io con quanto affetto che ho nel cuore, La impegno, perché si degni di usare l’alta sua mediazione perché si compia l’opera, facendo stabilire in questa Città una Prefettura la quale, dividendo questa stragrande Provincia di Terra di Lavoro, diasi e pongasi una nuova sede in questa Città di S. Germano, la quale stando a’ piedi di Montecassino, ricordando un centro di civiltà italiana sulla barbarie del mezzo tempo, ha saputo essere ben civile nel progresso laicale del nostro civilissimo secolo. Al che si aggiunge pure che per la sua topografica positura, centro di molte popolazioni e di traffichi, che vi convengono da tre Abruzzi e dalle province di Marittima e Campagna, stando in mezzo a Roma e Napoli, è la più importante Città di Terra di Lavoro. Eccellenza, questo mio supplichevole desiderio, se vuolsi riguardare come soverchio ed amorevole affetto di Pastore, ha però il merito del giusto e dell’utile amministrativo. La generosità e la giustizia del Real Governo saprà, io spero, contentarne l’affetto e soddisfare il giusto, e stringere così sempre più l’amore e la gratitudine di queste popolazioni a quel Governo Italiano, che come è la gloria nostra, sarà pure la nostra felicità materiale e morale …»; Ibidem.
25 La prima legge elettorale del Regno d’Italia, approvata con Regio decreto del 1° gennaio 1861, prevedeva che entrassero a far parte del corpo elettorale, oltre a una serie di categorie, i cittadini maschi di 25 anni di età, in grado di leggere e scrivere e con un censuo annuo di 40 lire, anche se «la condizione di saper leggere e scrivere sancita dalla legge»?risultò, comunque, «priva di significato effettivo» in quanto «nessun tipo di controllo [era] previsto per la verifica dell’esistenza di questi requisiti». Sulla base di tali condizioni il numero degli elettori complessivi rappresentava, nelle prime votazioni nazionali, circa il 2% della popolazione (mentre i votanti rappresentavano in genere il 50-60% degli aventi diritto); cfr. Piretti Maria Serena, Il caso italiano, in Id. (a cura di), I sistemi elettorali in Europa tra Otto e Novecento, Gius. Laterza, Roma 1997, p. 229. L’allargamento del corpo elettorale, dovuto al graduale abbassamento del livello censitStato e poteri.

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