L’Elephas Antiquus Italicus di Pignataro Intermana


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Studi Cassinati, anno 2009, n. 1
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di Erasmo Di Vito

Quali siano le motivazioni, ambientali, casuali o altre, per le quali i ritrovamenti significativi di resti di Elephas Antiquus Italicus siano concentrati in un sito ben preciso in territorio di Pignataro Interamna non sono ben chiarite; certamente, nel Quaternario, epoca in cui vissero questi animali, il centro ed il sud dell’Italia costituivano un habitat particolarmente favorevole per queste specie che, oggi, vivono in Asia ed Africa.
Per la datazione temporale dell’esemplare rinvenuto nel 1949, nel podere di cui all’epoca era proprietario Vincenzo Tiseo, di Saverio, ed attualmente conservato nel Museo Paleontologico di Napoli (nella foto), ci si attiene alle analisi a suo tempo effettuate dal prof. Livio Trevisan, dell’Istituto Geologico di Pisa, per conto degli studiosi Geremia D’Erasmo e della dott.ssa Maria Moncharmont Zei, che lo avevano rinvenuto, isolato e prelevato1.
Trevisan utilizzò la tecnica del fluoro, nuovissima in quel periodo, al termine della quale, nella relazione, datata 1 novembre 1955, scriveva che i resti rinvenuti appartengono ad un animale vissuto nell’interglaciale Riss-Wurmiano, in quanto “il grado di trasformazione da idrossiapatite in fluoroapatite è maggiore rispetto alle ossa rinvenute nell’agro pontino (datate nell’anaglaciale Wurmiano) e minore che nel campione dell’E. Antiquus Italicus di Fonte Campanile di Viterbo (interglaciale Mindel-Rissiano).
Ed il valore osservato per l’elefante di Pignataro è notevolmente spostato verso il termine più recente dell’intervallo sopra indicato”.
L’esame osteologico dei resti dell’animale rinvenuto a Pignataro Interamna consente di stabilire che si tratta, appunto, di un Elephas Antiquus Italicus, simile a due crani rinvenuti nello stesso giacimento di Pignataro nel 1926 ed in quello di Fonte Campanile (VT) nel 1941 e alle due specie ancora viventi in India ed Africa, anche se i rinvenimenti laziali possono essere assimilati più all’elefante asiatico che africano.
Si tratta di un individuo ancora giovane, non ancora completamente sviluppato, di sesso femminile, come l’altro esemplare rinvenuto sempre a Pignataro nel 1926 e custodito nel Museo Paleontologico di New York, mentre quello di Fonte Campanile, più robusto e dalla dentatura più massiccia, era di sesso maschile.
Il rinvenimento del 1949 costituì un decisivo passo in avanti per lo studio di questi esemplari in quanto trattasi del cranio rinvenuto meglio conservato, tanto che si auspicò immediatamente la speranza di acquisire il fossile.
Ed infatti, il 15 aprile del 1950, dopo aver raggiunto un accordo economico con il signor Vincenzo Tiseo “dopo lunghe e laboriose trattative”, iniziarono i lavori di recupero procedendo “allo scavo e all’isolamento di esso, al rafforzamento sul posto con ripetute spalmature di silicato sodico, ad uno speciale imballaggio e al successivo trasporto a Napoli”.
Il cranio fu rinvenuto a circa venti metri dal luogo ove giaceva il fossile del 1926, a circa sette metri dai margini della collina.
Era coperto da quasi un metro di ghiaia franata successivamente al rinvenimento e presentava le difese (zanne) fratturate in quattro parti.
Giaceva in posizione orizzontale parzialmente inclinato, facendo pensare ai paleontologi che gli animali fossero “scesi a bagnarsi in un bacino melmoso e poi affondati nella sabbia e nel fango, dopo aver cercato di tenere in alto la testa e la proboscide per respirare il più a lungo possibile”.
Nel cranio sono ben visibili le cavità orbitali, la cavità centrale dei fori nasali da cui originava la proboscide e le due difese (zanne).
Probabilmente il frequente rinvenimento di crani nelle grotte siciliane e dell’Antica Grecia, che evidenziavano la grande cavità centrale, stimolò la fantasia empirica che alimentò miti e leggende, come quella di Polifemo, nell’Odissea.
Ultimato il recupero la cassa contenente il fossile “venne sollevata mediante la gru di un carro-attrezzi, appositamente richiesto e fornito gentilmente dall’UNRRA CASAS di Pontecorvo, mercè l’interessamento della Soprintendenza ai Monumenti di Roma I”; quindi deposto su un “camion (cortesemente fornito dall’Acquedotto di Napoli)…. Lo scarico avvenne con scivolamento su tavole e rulli, dal camion nelle sale del Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli”.
Si tratta dell’unico cranio completo ed in discreto stato di conservazione, infatti, il primo cranio, quello rinvenuto a Pignataro nel 1926 e custodito a New York, andò in buona parte distrutto e ricostruito sulla scorta di fotografie e disegni; il secondo, quello di Fonte Campanile, pur avendo ben conservata la regione frontale presentava la porzione basale completamente sbriciolata.
Presenta una lunghezza massima (dal vertice del cranio alla punta della zanna sinistra) di 222 cm ed una larghezza massima del cranio pari a 63 cm.
Le difese sono lunghe 125 cm, la destra, e 84, la sinistra; la differenza di lunghezza non è ascrivibile alla rottura della sinistra ma ad una temporanea differenza di crescita riconducibile alla giovane età dell’esemplare.
Grazie ai rinvenimenti di Pignataro Interamna, in particolare questo del 1949, e di Fonte Campanile, fu possibile studiare con relativa certezza la natura e le caratteristiche della presenza di questa razza elefantina di cui, grazie anche ai rinvenimenti isolati di molteplici denti ed ossa, si ritiene vasta la diffusione, durante il Quaternario antico e medio, in tutte le vallate fluviali dell’Appennino.
L’esemplare puó essere osservato nel Museo di Paleontologia dell’Università di Napoli (orario di apertura al pubblico ogni giorno dalle 9.00 alle 13.00, il lunedì ed il giovedì anche dalle 15.00 alle 17.00; 1.50 euro per i minori e 2.50 gli adulti il costo del biglietto).

1 “Il cranio giovanile di Elephas Antiquus Italicus di Pignataro Interamna, nella Valle del Liri”, memoria di Geremia D’Erasmo e Maria Moncharmont Zei , Rend. Acc. Sc. fis. e mat., s. 3ª, vol. III, n. 6, adun. del 5 nov. 1955

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