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Studi Cassinati, anno 2008, n. 4
Le associazioni, in particolare quelle culturali, agiscono, si sa, all’insegna del volontariato: ciò che tiene assieme i soci e li stimola all’attività sociale è unicamente la passione. Ciò comporta, quasi sempre, sacrifici di vario genere, non esclusi quelli economici. Spesso le quote di iscrizione non sono sufficienti per finanziare le iniziative, e allora si ricorre allo sponsor o al mecenate, quando si ha la fortuna di trovarli.
Ma l’esigenza che in genere le associazioni avvertono costantemente è la disponibilità di una sede sociale dove incontrarsi e dove conservare gli strumenti di lavoro e l’archivio. È l’eterna, raramente soddisfatta, aspirazione: una sede, infatti, ha dei costi, che vanno dal fitto mensile alle spese di gestione (luce, telefono, pulizie, ecc.). Per poterli sopportare le associazioni dovrebbero mutarsi in imprese, il che andrebbe a cozzare contro lo spirito di volontariato di cui si parlava prima.
E allora che fare?
Quando la nostra associazione, il CDSC, dieci anni fa iniziò la propria attività si ebbe la fortuna di trovare un imprenditore (oggi nostro socio benemerito) che ci ospitò in un suo locale commerciale (in via Riccardo da S. Germano a Cassino) non ancora utilizzato. Ma la fortuna non durò a lungo perché per ragioni immaginabili si dovette abbandonare quella sede; tuttavia la buona sorte non ci abbandonò; un altro imprenditore – anch’egli socio benemerito, che però da qualche tempo ci ha dolorosamente lasciati – ci offrì generosamente un suo garage, piccolo ma utile, sul cui ingresso avremmo potuto scrivere, emulando Ariosto, “parva sed apta mihi”. Ma poi crescemmo, diventammo numerosi, dunque dovemmo abbandonare quel piccolo locale. Da allora andammo raminghi a riunirci nelle salette dei bar, in casa di soci, in sale di fortuna messe a disposizione dall’amico imprenditore, dalla biblioteca comunale di Cassino, dall’Amministrazione provinciale, dalla parrocchia, dal museo Historiale. Ma questo solo per le riunioni del direttivo o le assemblee dei soci. Il nostro archivio? I nostri computers? La nostra biblioteca? Sono sparsi tra le abitazioni dei soci, con i disagi di organizzazione e di fruizione che si possono facilmente immaginare.
Questo quadro credo sia identico per molte altre associazioni.
Allora la domanda non puó che essere: “Possibile che le amministrazioni comunali, che si vantano di promuovere la cultura, non trovano un ‘buco’, una stanza, un’aula scolastica dismessa, una soffitta in cui ospitare, non dico la singola associazione, ma almeno quelle più rappresentative, anche se in coabitazione?”
Eppure spesso gli amministratori ricorrono ai servigi dei sodalizi locali o, quanto meno, offrono la loro sponsorizzazione (quasi sempre gratuita) alle varie iniziative pubbliche, facendo bella mostra di sé alle inaugurazioni o conferenze.
Non siamo tra quelli che lamentano in continuazione la mancanza di contributi pubblici a sostegno delle iniziative delle associazioni; tuttavia chiediamo che i pubblici amministratori prendano coscienza dell’utilità, ma che dico! della necessità di favorire la nascita e assicurare la sopravvivenza di libere associazioni che lavorano nel campo sociale, sia esso dell’assistenza, sia della promozione culturale. È in questo che si rivela la vitalità e il grado di civiltà di una comunità organizzata.
Il recupero, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio culturale non è (non deve essere) un semplice optional per una pubblica amministrazione, ma è uno dei doveri primari che va ad affiancarsi alla gestione delle varie problematiche dell’organizzazione sociale.
Bisogna capovolgere l’impostazione mentale secondo cui l’assessorato alla Cultura di un comune o di una provincia è un peso morto per le finanze pubbliche e per questo lo si utilizza solo per un contentino politico ad un personaggio di secondo piano. Un assessore alla Cultura, in realtà, dovrebbe essere un abile organizzatore di eventi (spettacoli, convegni, conferenze, scambi culturali, pubblicazioni), un punto di riferimento per ogni cittadino (giovane o anziano) che non voglia trascorrere la propria vita tra casa e lavoro, un geloso custode di tradizioni e un promotore di immagine della propria comunità amministrata.
Il nostro territorio è una fucina di iniziative culturali; si puó dire che non passi giorno senza che vi sia una conferenza, la presentazione di un libro, un concerto, una mostra; e tutto ciò con sacrifici e sforzo economico di privati. Caro amministratore, non ti sembra poco onorevole presenziare a queste iniziative senza aver mosso un dito perché avessero buon fine, ma recitando il ruolo della mosca cocchiera?
Ognuno di quegli eventi, infatti – molto spesso hanno rilevanza sociale –, è solo la parte terminale di una lunga e complessa fase organizzativa.
Ora non si chiedono finanziamenti ai pubblici amministratori, perché il più delle volte, per fortuna, si trovano sponsors privati che si fanno carico dei costi, ma almeno l’aspetto logistico, quello di un luogo dove incontrarsi, dove lavorare, dove fissare un recapito, quello sì che puó essere offerto, e a costi zero per le casse pubbliche: una sola sede puó ospitare più associazioni affini.
Occorre solo un po’ di buona volontà, ma anche questa non la si trova se prima non c’è sensibilità e … intelligenza!
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