Lo storico Livio Visionario, poeta o fanatico della romanità?


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Studi Cassinati, anno 2008, n. 4

di Emilio Pistilli

L’affidabilità di Livio
Nel mio libro “Aquilonia in San Vittore del Lazio”1 evidenziai la stupefacente concordanza tra la descrizione di Livio ed i luoghi di S. Vittore; concordanza, sottolineai, che puó addirittura apparire sospetta perché pone una questione che vale la pena affrontare: come faceva Livio a descrivere con tanta precisione la battaglia e i luoghi, a distanza di oltre 260 anni2, come se fosse stato presente a quegli avvenimenti?
Alcuni storici hanno definito Livio più poeta che storico, volendo con questo affermare che egli non è da prendere alla lettera.
Si potrebbe rispondere semplicisticamente che non si comprende come Livio possa essere affidabile in taluni casi e non degno di attenzione in tal’altri; non si comprende come si possa essere storiografo affidabile e nello stesso tempo visionario.
Guido Vitali nella sua prefazione alla Storia di Roma3 dice del Nostro: “Assai più che uno storico nel significato vero e proprio del termine, egli è dunque un narratore di storia”. E forse questa è la definizione più giusta dal momento che nell’opera liviana ritroviamo fatti realmente accaduti accanto a leggende ampiamente diffuse nel mondo romano; lo stesso Livio, con molta correttezza intellettuale dice di sé: “Quei fatti accaduti prima o durante la fondazione di Roma, adorni di poetiche favole piuttosto che di sicura documentazione storica, io non penso né a confermarli né a confutarli”4.
Di certo non si puó affermare che Livio abbia fatto tesoro delle intuizioni di Polibio, storico di razza, il quale sosteneva che compito dello storico non è quello di stupire il lettore con artifici retorici o con fatti prodigiosi, ma limitarsi ad esporre i fatti, anche i più insignificanti, secondo verità5. Tuttavia va dato atto a Livio che non si è inventato nulla, anzi per certi versi dobbiamo essergli grati per averci tramandato tante leggende che fanno parte ormai del bagaglio culturale del nostro popolo. Un appunto gli si puó muovere: fu storico di parte, perché storico di Roma; caricò di enfasi le gesta delle legioni romane; quando evidenziò l’eroismo dei nemici fu solo per attribuire maggior valore ai soldati di Roma. Ma per fare ciò non aveva bisogno di inventarsi personaggi e circostanze: gli era sufficiente far pronunciare un certo discorso ad un console o ad un tribuno oppure decantarne le doti umane e militari, o celebrarne i trionfi ingigantendo i bottini di guerra.
A parte questi aspetti, che possono considerarsi marginali, va evidenziato che quelle che sono esagerazioni attribuite a Livio sono in realtà esagerazioni delle sue fonti, specialmente quelle coeve ai fatti narrati: quelle sì avevano interesse a manipolare la descrizione degli avvenimenti a scopi propagandistici.
Le fonti di Livio
Le fonti del Nostro, oltre al più volte da lui citato Fabio Pittore6 – che a sua volta si rifaceva a Geronimo di Cardia7, a Callia di Siracusa8, a Timeo di Tauromenio9 e ad altri storici greci – , si sa, furono quelle ancora reperibili negli archivi romani dei suoi tempi, e cioè gli acta pubblici e privati, i Libri e i Commentarii magistratuum10, gli Annales maximi11, i Fasti calendarii12, Fasti triumphales13, le opere degli annalisti, le iscrizioni incise su colonne, su templi, su tombe, le laudationes funebres14. Accanto a queste bisogna porre le relazioni scritte in tempo reale dai segretari o scribi prezzolati che i condottieri si portavano appresso perché decantassero le loro gesta e magnificassero le loro virtù; insomma qualcosa come gli odierni inviati speciali al fronte; lo scopo era di tutta evidenza: solo in parte una forma di vanità e di vanagloria, molto, invece, un’operazione di propaganda elettorale per le imminenti elezioni a Roma, dove con le cariche pubbliche spesso si costruivano ingenti fortune.
Tali relazioni non sono giunte fino a noi ma, conoscendo l’eccezionale modernità dei Romani in questo genere di cose, non possiamo dubitare della loro esistenza e tanto meno che ve ne fossero ancora al tempo di Livio, il quale non si lasciò sfuggire l’occasione di utilizzarle, talvolta integralmente.
Così si puó spiegare l’eccezionale corrispondenza tra i fatti e i luoghi, cosa che si verifica molto spesso nel racconto liviano.
Gli avvenimenti, per concludere, sono visti sempre e soltanto dalla parte dei Romani, mentre le cose accadute tra le file dei nemici sono quasi sempre narrate da disertori o spie.
In considerazione di tutto ciò credo che Tito Livio meriti un po’ più di rispetto come storico, specialmente dagli storici odierni che per le loro ricerche non possono che ricorrere ai documenti ed alle fonti al momento disponibili, così come faceva, appunto, lo storico di Roma.

1 Comune di San Vittore del Lazio 2003, pag. 89.
2 Livio iniziò la sua opera tra il 29 e 27 a. C.
3 Lib. I, pag. XV, Zanichelli, Bologna 1970.
4 “Quae ante conditam condendamve urbem poeticis magis decora fabulis quam incorruptis rerum gestarum monumentis traduntur, ea nec adfirmare nec refellere in animo est”, Praefatio, pagg. 4/5.
5 Nato a Megalopoli attorno al 203 a.C., morto nel 120, fu lo storico greco del mondo mediterraneo, occupandosi in particolare della nascita della potenza della Repubblica Romana. La sua testimonianza storica è importante soprattutto per la conoscenza degli eventi legati alla seconda e terza guerra punica.
6 Fabio Pittore, 260 a.C. circa – 190 a.C., scrisse gli Annales verso la fine del III secolo a.C. e narrò la storia di Roma da Enea fino alla battaglia di Canne (216 a. C.). Della sua opera ci restano solo pochi frammenti oltre le notizie tramandateci da Dionigi di Alicarnasso, contemporaneo di Augusto e autore di “Antichità romane”, opera che va dalla nascita di Roma fino all’inizio della Prima guerra punica.
7 Vissuto fra il 350 ed il 260 a. C. Fu il primo, secondo Dionigi di Alicarnasso, ad occuparsi della storia di Roma: trattò il periodo tra la morte di Alessandro (323 a.C.) e quella di Pirro (272 a.C).
8 Callia di Siracusa, visse tra il IV ed il III secolo a.C. La sua Storia di Agatocle, in 22 libri, nella quale esaltava la figura del tiranno, è andata completamente perduta.
9 Timeo di Tauromenio, 350 a.C. circa – Siracusa, 260 a.C. circa. Le sue Storie, in 38 libri, di cui ci sono rimasti 164 frammenti fino al 289, narravano le origini dell’Occidente greco e costituirono la principale fonte per Diodoro Siculo.
10 I Libri e i Commentarii sacerdotali erano documenti ufficiali dei collegi sacerdotali pervenutici direttamente, spesso in frammenti, e dovevano consistere, per lo più, in solenni formule religiose e prescrizioni rituali scritte in forma di carmina. I Commentarii, invece, erano interpretazioni e commenti di carattere giuridico.
11 Annales maximi o Annales Pontificis Maximi erano una sorta di archivi pubblici, che annotavano gli eventi più importanti. Il pontefice massimo li esponeva presso la sua abitazione, in modo che tutti potessero prenderne visione. Secondo Cicerone (De orat. 2, 52) partivano dall’inizio della storia di Roma ed erano scritti su tabulae dealbatae (tavolette di legno sbiancate con la calce), che venivano poi conservate negli archivi del collegio; in essi il pontifex maximus annotava i nomi e le gesta dei consoli e degli altri magistrati degni di essere ricordati.
12 Fasti calendarii, organizzati dal pontifex maximus, erano calendari che regolavano la vita dei cittadini.
13 Fasti triumphales, erano anch’essi annotazioni dei trionfi o degli avvenimenti importanti.
14 Le laudationes funebres, che i parenti dei defunti pronunciavano nel Foro; venivano custodite negli archivi di famiglia.

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