Sulla via Francigena alle falde del monte Trocchio con la confraternita di San Giacomo

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Studi Cassinati, anno 2008, n. 3

di Anna Maria Arciero

Il 25 agosto dell’anno scorso camminavo nei pressi di casa mia, per via Belvedere, che cinge come in un abbraccio le falde di monte Trocchio, e mi son sentita dire da un simpatico gruppo di marciatori accaldati ed euforici che quella era “la Via Francigena”.
Incuriosita – la sola etimologia della parola non mi bastava – ho chiesto spiegazioni e ho appurato tante di quelle notizie, che mi piace renderne partecipi i lettori, sicura di far cosa gradita a quanti si interessano della storia del territorio.
Il gruppo di marciatori erano i pellegrini della Confraternita di San Giacomo di Compostella, con sede a Perugia, che erano partiti da Roma una decina di giorni prima ed erano diretti a Monte S. Angelo-Bari, dove contavano di arrivare per la festa di San Nicola, il santo amico dei pellegrini, dopo un viaggio di 23 giorni.
La via Francigena storicamente è la via che viene dalla Francia ed era percorsa in Italia per arrivare fino ai porti pugliesi, transitando per Roma, dai pellegrini diretti in Terrasanta.
“Bisogna precisare” mi ha detto il priore della Confraternita per l’Emilia Romagna, Monica D’Atti, “che non esisteva una via privilegiata, ma piuttosto un fascio di vie, in genere le antiche strade lasciate dai romani. Dove questi percorsi non li conducevano alla meta, o rischiavano di allungare l’iter, i pellegrini andavano “per ager”, ovvero per campagne e traversi, cercandosi la strada migliore e tenendo presenti i fattori naturali (alluvioni, smottamenti di terreno) o i fattori umani (guerre, epidemie, briganti) o i fattori devozionali (presenza di santuari, reliquie, uomini in fama di santità.)”
Arrivavano a Roma percorrendo la via Cassia e giungevano sulle alture di Monte Mario, allora chiamato Mons Gaudii, Monte della Gioia, per l’emozione vivissima che la vista della città procurava e anche perché quel panorama annunciava la fine di un viaggio pieno di disagi e di pericoli.
Da Roma seguivano le direttrici offerte dal sistema delle vie consolari romane: la via Appia conduceva a Capua, dove iniziava il prolungamento che attraversava Benevento, Eclana e Venosa, giungeva a Taranto e proseguiva per Brindisi.
Anche i nostri pellegrini della Confraternita di S. Giacomo di Compostella – si diventa confratelli dopo aver compiuto il viaggio a piedi a Santiago de Compostela, in Spagna, circa 2500 km da Roma e tre mesi di cammino! – sono usciti dalla capitale per la via Appia, e poi hanno cercato di seguire le tracce dei pellegrini medievali con un percorso devozionale: Veroli, dove è sepolta la madre di S. Giacomo, e Montecassino, dove hanno sostato davanti alla tomba di S. Benedetto e S. Scolastica. Da qui, appunto cercando la strada non solo più breve per Mignano Montelungo, ma anche lontana dal traffico intenso “sia per sicurezza che per piacevolezza”, si sono avviati quasi “per ager”: via Palombara per uscire da Cassino, via Campo di Monaci, che punta dritta verso Monte Trocchio, via Foresta, che attraversa un centro abitato, via Fontana dei Banditi, che sale su fino a sfociare in via Belvedere, per congiungersi con via Fontanarosa, e poi via Macerine, via Moscuso … e poi ancora vie campestri, seguendo più o meno la ferrovia, fino a Mignano Montelungo, dove era programmata la sosta.
La vista di questi pellegrini ha un che di emozionante che non lascia indifferente nessuno. Zaino leggero in spalla, bastone da tracking e un’espressione serena e distesa sul viso testimoniano lo spirito di essenzialità che li anima, il dialogo con se stessi e con gli altri che certamente li sostiene, la condivisione che li porta a sperimentare l’ospitalità povera di un tempo e il fascino di un pellegrinaggio che li lega con vero spirito cristiano. Monica D’Atti li chiama “quelli con gli occhi pieni di cielo, di sole e di vento che, lentamente e faticosamente, cercano di arrivare in fondo al loro cammino”.
Ma per chiunque li veda passare, che siano sull’Appia Antica o su via Belvedere o su un viottolo di campagna, è lampante che quello è soprattutto un cammino interiore.

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