Cervaro/Foresta: la stele del Martirologio


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Studi Cassinati, anno 2007, n. 3

di Anna Maria Arciero

È venuto a mancare da poco Raffaele Marrocco, amato e rispettato da tutti perché uomo buono, idealista puro, che ha combattuto per un sogno che sembrava irrealizzabile e l’ha realizzato. Mi vengono in mente due versi di Goethe, che gli si addicono: “Tutto quello che puoi fare, o sognare di poter fare, incomincialo. Il coraggio ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso.’’ (Wolfgang J. Goethe).
Il desiderio “audace” di Raffaele era un monumento ai caduti e alle vittime civili della guerra – ben quarantadue tra morti per crolli, bombe, mine, malaria – nella contrada di Foresta, una zona cervarese ai piedi del versante nord-ovest di monte Trocchio, che tanto ha dato in termini di sofferenza e lutti e tragedie nel travagliato periodo bellico e post-bellico. Nonostante fosse una persona semplice, senza una cultura alle spalle che gli desse il giusto supporto all’iter da seguire, divenuto presidente dell’associazione ex-combattenti di Foresta, tanto ha fatto e tanto ha detto che è riuscito nel suo intento: da circa vent’anni a Foresta, in un sito ameno immerso nel verde di querce secolari, una stele con scolpiti i nomi delle vittime sta a ricordare i disvalori della guerra.
E Raffaele di valori se ne intendeva. Durante il conflitto mondiale era stato a combattere in Libia, in qualità di sergente e come tale si era sempre sentito responsabile per la vita dei suoi soldati, che trattava con grande spirito di fraternità. A Tripoli una volta si era anche incontrato con suo fratello Anello, in una giornata ricordata da entrambi sempre con grande emozione. Non si vedevano da due anni e avevano festeggiato l’avvenimento dividendosi un’arancia, “l’arancia più buona che avessero mai mangiato”: il sapore è rimasto indelebile per sessant’anni nei loro cuori.
Avevano tanto da raccontarsi i due fratelli: Anello gli parlò della sua vita militare con il carismatico Rommel, “la volpe del deserto”, e Raffaele del pericolo scampato nel terribile incidente, quando il suo camion colpito cadde in fiamme nel burrone, ma lui, che stringeva tra le gambe una cassetta piena di bombe a mano, si salvò, raccomandandosi a S. Antonio, della cui intercessione non ha mai dubitato. Una foto di quel giorno di loro due militari fa bella mostra di sé in casa di Anello, che ne è orgoglioso come di un fatto strabiliante e forse, in effetti, lo è, ché non accade di sovente che in guerra ci si incontri con i familiari. Poi però non si videro più, anche se entrambi finirono in campi di prigionia inglese.
Ricordo Raffaele, con la voce rotta dall’emozione e gli occhi umidi, nella cerimonia di commemorazione del 25 aprile 2005, esprimere con parole semplici, sgrammaticate ma tenere, perché uscivano dal cuore, la gioia per aver realizzato il sogno di veder ricordate e onorate le vittime innocenti della crudeltà della guerra, con un monumento imperituro. Su quel monumento il nome di Raffaele Marrocco è scritto in piccolo. Ma è grande nel cuore di quanti conobbero il suo gran cuore.

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