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Studi Cassinati, anno 2007, n. 4
di Giuseppe Marchetti*
Premessa – Alle ore 5,30 antimeridiane del 12 febbraio 1883 nasce a Patrica, in provincia di Frosinone, Licinio Refice. Fu iscritto al n° 7 del registro comunale dei nati di quell’anno. Sei giorni dopo la nascita, il 18 febbraio, era battezzato nella sua parrocchia, la Collegiata di S. Pietro Apostolo, al quale furono imposti i nomi di Licinio, Goffredo, Clinio, Elpidio.
Una “scintilla divina” era riposta nell’animo del giovane Licinio; e come si sarebbe accesa di quell’ardore del quale saranno pervase tutte le sue musiche?
Non i grandi avvenimenti musicali e teatrali, privilegio delle grandi città, non fastose cerimonie liturgiche delle grandi Basiliche, ma forse solo il coro della Parrocchia….la Banda cittadina….saranno stati gli elementi rivelatori di quella “scintilla divina”. Era il 29 ottobre 1894 quando il giovane Refice varcò la soglia del Seminario di Ferentino. Passate le ferie estive a Patrica, entrò al Leoniano di Anagni nell’ottobre 1898, era il secondo anno dalla fondazione del Collegio voluto da Leone XIII.
Il 17 luglio 1905 si laurea in Sacra Teologia. Rimane in Collegio, com’era consuetudine, fino al 31 luglio, giorno della ricorrenza di S. Ignazio ed il 6 agosto è ordinato Diacono. Lascia definitivamente il Leoniano il giorno 15.
Ultima nota caratteristica del Collegio è la seguente: studia in Roma a perfezionarsi nella Musica Sacra sotto la disciplina e magistero dei migliori maestri.
Da questo momento, Refice ha due importanti traguardi da raggiungere: l’ordinazione sacerdotale ed il Diploma di Composizione.
Al Regio Liceo di Santa Cecilia, dopo l’esame, la Commissione dichiara: “In seguito al risultato della votazione l’alunno Refice Licinio, avendo ottenuto l’idoneità in ogni singola materia dell’intero programma è dichiarato meritevole del Diploma di Licenza nella scuola di Composizione, e avendo conseguito con la media di punti dieci, inoltre la Commissione aggiudica la “Menzione speciale” del Ministero dell’Istruzione Pubblica”.
Dal vescovo Domenico Bianconi ottiene la dispensa dell’età, con l’anticipo di circa 18 mesi sul compimento del ventiquattresimo anno ed il 23 settembre 1905, nella Cattedrale di Ferentino, fu dal medesimo ordinato Sacerdote.
Ancora due importanti traguardi; ottiene nel 1910, la nomina di Direttore della Cappella Liberiana di S. Maria Maggiore e Docente di Ordinario di Armonia, Strumentazione e Critica Musicale alla Scuola Superiore di Musica Sacra
Nella riforma di Pio X nella Musica Sacra, rispolverata del decadentismo teatrale in ambiente ecclesiale, oltre alla pletora dei riformisti dalla Scuola di Ratisbona all’Italia, il terzetto romano Basilicale, Perosi alla Sistina, Casimiri alla Lateranense e Refice alla Liberiana, fu indicato come il più valido, nei suoi tre indirizzi congeniali ai tre musicisti, che in realtà hanno lasciato traccia indelebile e falsariga per i compositori italiani e stranieri, fino alla svolta neomodale o d’indirizzo del Vaticano II.
Tutto l’iter compositivo reficiano marcia su due traiettorie, modale gregoriana e tonale cromatica da Wagner a Max Reger, con una nuova spazialità pancromatica e pantonale tipicamente reficiana.
Refice fu innovatore nella Musica Sacra dopo il Motu Proprio e come raccontava lui stesso, incaricato di purgare le Scholae parrocchiali e religiose, faceva piangere le suore perché strappava, davanti ai loro occhi, la musica sacra del periodo verdiano, che invadevano le chiese; erano musiche di Pitoni, Capocci, Tabanelli, Meluzzi … musiche troppo teatrali, non liturgiche.
Fu innovatore per la riesumazione del Canto Gregoriano, riportandolo sul valore originale e come fonte di ispirazione e di tematica sia in componimenti sacri religiosi, sia nelle composizioni teatrali; come diceva un suo alunno: “meno male che abbiamo un Maestro che ha portato il gregoriano sul palco”.
Nella musica sacra, Perosi ferma la propria spinta teatrale in chiesa, tornando alla scuola di Ratisbona, piuttosto omofona, ma pur sempre diatonica; in Refice, sempre nella musica sacra, il ritmo rimane piuttosto moderato, discreto, senza essere teatrale. Però allarga la propria visualità, la spazialità armonica pantonale, spostando altrove il suo punto focale; in lui troviamo con frequenza accavallamenti sonori, o meglio giustapposizioni accordali, intreccio e sovrapposizione di diversi temi, con notevole capacità contrappuntistica e armonica.
Refice non va oltre; ha sempre detto anche ai suoi allievi: io mi fermo a Debussy, oltre il quale gli sembrava esagerato la ricerca del nuovo. Refice era consapevole che non si poteva più dialogare con le sette note, di qui la sua apertura al sistema debussyano esatonale doppio, seguendo in parte la guida di Hugo Wolf. E sovente ripeteva: bisogna tornare al DO maggiore! Questa frase ricorda un aforisma di G. Verdi quando scrisse al Florimo: torniamo all’antico: sarà un progresso. Ed a giornalisti e critici che gli chiedevano dove attingesse i temi delle sue musiche, Refice rispondeva: Dio solo è creatore, noi compositori siamo come le api, ci fermiamo sui fiori più belli …
oratori e opere liriche
Possiamo dividere l’iter compositivo del Maestro Refice in tre periodi.
Il primo periodo, tra il 1910 ed il 1920, decennio nel quale verranno alla luce i suoi primi Oratori. Quello del Diploma di Composizione, “Chananaea” del 1910, quindi “La vedova di Naim” del 1912, purtroppo smarrito e “Maria Maddalena” del 1914, ma eseguito solo nel 1917 all’Augusteo ed al Pontificio Istituto di Musica Sacra. Di questa imponente “Trilogia Biblica” in un Prologo e tre Parti, fu eseguito solo il Prologo e la seconda Parte, unitamente al grande “Stabat Mater”, diretti dallo stesso Refice.
Nel 1919, sempre all’Augusteo, ma diretto da Bernardino Molinari, il quarto Oratorio, “Martyrium Agnetis Virginis”, in due Parti, su testo latino del gregorianista Abate Paolo Maria Ferretti, la traduzione in italiano per il programma di sala fu opera di Mons. Enrico Salvadori.
A questi Oratori, tutti in latino, per soli, coro e orchestra, vorrei aggiungere “Emmaus”, anche se composto nel 1931: esclusa una sola Parte di “Maria Maddalena, non furono mai eseguiti, quindi completamente sconosciuti. Quali le cause?
Della “Chananaea” completamente strumentata, al Liceo Musicale di Santa Cecilia, fu eseguita la sola parte finale, il noto “Exulta et lauda”, peraltro già composto l’anno precedente, e di questo se ne lamentarono i critici: “Nel congratularci col M° Falchi per l’ottimo e promettentissimo suo allievo, vorremo che l’illustre maestro, che cura tanto l’istituto da lui diretto, tenesse in considerazione il desiderio che ieri sentimmo sorgere da molte parti, quello cioè che nei saggi del prossimo anno scolastico sia dedicata un’intera audizione agli alunni di composizione; in tal modo potranno presentarci lavori complessi e il pubblico potrà formarsi un concetto più esatto del valore degli alunni e di quanto l’arte puó attendere da ciascuno di loro”.
“La vedova di Naim” come già detto, è andato smarrito, di “Emmaus”, del quale abbiamo solo la riduzione per canto e piano, Refice dirà di accingersi alla strumentazione, ma non riuscirà a realizzarla per i molteplici impegni.
Il secondo periodo, tra il 1920 ed il 1940 è il più fecondo ed importante. Ormai gli Oratori si erano spinti oltre il loro carattere, e molti critici dichiararono che Refice, diversamente dal Perosi, era pronto per il “teatro”. Solo se avesse avuto un buon libretto, avrebbe dato sfogo al suo estro. Negli ultimi episodi evangelici era emersa una tale drammaticità, perché Refice ha sempre davanti a sé il “teatro”.
Licinio Refice nasce a Patrica il 12 febbraio 1883; il giorno seguente 13 febbraio, muore Riccardo Wagner. Consentitemi di dire che si sono conosciuti “idealmente” per un giorno, che l’uno abbia passato il “testimone” all’altro, perché Refice sarà affascinato dal grande musicista tedesco. Fu visto spesso a passeggio o in carrozzella per Roma con lo spartito del “Tristano e Isotta” sottobraccio, e per questo fu perfino chiamato in Vicariato.
Il 21 giugno 1912, festa di S. Luigi, nella Chiesa di S. Ignazio, fu eseguita la sua prima Messa “Cantate Domino canticum novum” per coro a 4 voci virili ed organo. Chi era presente riferì di aver ascoltato una composizione densa di cromatismi, dissonanze, perfino stile wagneriano…
La notizia sparsasi nell’ambiente musicale, particolarmente in quello del genere sacro, suscitò vibrate proteste, e la composizione fu additata come uno “scandalo farisaico”, soprattutto perché il suo autore era un sacerdote e per di più insegnante di estetica musicale.
Padre Angelo De Santi, Preside della Scuola di Musica Sacra, che tanta stima aveva per il giovane Refice, fu costretto a sollevarlo dall’incarico dell’insegnamento, nominando una commissione con i Professori del Liceo di Santa Cecilia. Primo fra tutti il suo Maestro della Classe di Fuga, Stanislao Falchi, insieme con il Prof. Giovanni Sgambati, al Maestro Gallignani che tuttavia non espressero un giudizio negativo, esortandolo contemporaneamente a moderare i tentativi di “cantare al Signore in … modi nuovi”.
Refice fece sparire la composizione, tornò sui suoi passi infondendo nelle nuove musiche una più profonda spiritualità, maggior linearità di idee. Non più contorti pensieri e ardue strutture armoniche: semplicità e consonanza.
Alcuni critici, dopo aver ascoltato all’Augusteo “Maria Maddalena”, lo invitarono a redimersi dal colosso alemanno. Ma se in queste musiche traspare il Wagner pagano, c’è soprattutto la religiosità di Refice, che umilmente accettò i consigli, facendo sparire la Messa con la quale invitava a cantare al Signore in “modo nuovo”.
Nel 1921, per il VI centenario della morte di Dante Alighieri, Ravenna lo invita a dirigere la sua nuova cantata drammatica “Dantis poëtae transitus”. Finalmente, nel 1922, per Refice si apre quella strada tanto desiderata. che lo porterà nei più importanti Teatri italiani e stranieri. Il poeta romano Emidio Mucci, che sarà il suo autore preferito, gli offre in 54 cartelle dattiloscritte, un libretto dal titolo “Santa Cecilia”, che Refice accettò con travolgente entusiasmo, apportando alcune correzioni al testo ed alle didascalie. Durante il periodo estivo, nel raccolto Monastero di S. Maria del Monte presso Cesena, iniziò la stesura dell’opera.
Era suo desiderio che fosse rappresentata nell’Anno Santo del 1925, ma le speranze di Refice, dopo quasi un decennio di ostacoli, si realizzarono solo nell’Anno Santo Straordinario del 1934.
Tra il 1932 e il 1933 scompare, e non a caso, dal titolo dell’opera la parola “Santa”. Infatti, Refice soleva ripetere: “la Cecilia è una rappresentazione sacra in tre atti, ma sul taglio dell’opera lirica vera e propria”. Era un modo nuovo di concepire un ritorno alla Rappresentazione Sacra, intendendo in tal modo di concorrere in maniera efficace ad un’azione educativa, ma soprattutto a rafforzare l’idea religiosa nelle masse attraverso l’efficacia delle rappresentazioni sceniche, vivificate dalla musica.
Nel 1926, per il VII centenario della morte di S. Francesco, Refice torna all’Oratorio, questa volta in italiano, su testo di Emidio Mucci: “Trittico Francescano”. Nel mese di maggio del 1925, Refice si era ritirato nella superba Abbazia di Montecassino, nella quale con i monaci benedettini poté godere del loro raccoglimento, della loro preghiera, rivivendo, se pur per breve tempo, quella che dopo l’ordinazione sacerdotale era stato il suo desiderio: farsi benedettino. Qui viene alla luce la prima parte del Trittico.
L’esecuzione, sotto la direzione di Refice, avvenne il 3 ottobre nella Cattedrale di S. Ruffino in Assisi presenti circa duemila persone. Subito dopo la prima parte il pubblico si liberò dalla tensione con un caloroso applauso che divenne interminabile al termine dell’oratorio, rivolto soprattutto a Refice e a Mucci.
L’Oratorio avrà la fortuna di essere eseguito in gran parte d’Italia e d’Europa. Refice per oltre sei anni è impegnato nella direzione del “Trittico”; dopo Assisi, due volte a Praga, Vienna, Amsterdam, Reggio Emilia, Roma, Torino, Treviso…
Compone ancora un Oratorio, “La Samaritana”, per il II Congresso Eucaristico Internazionale ad Aquisgrana, tradotto in tedesco. A Roma, protagonista del medesimo Oratorio, in italiano, Claudia Muzio, che da oltre un ventennio dominava la scena lirica mondiale, e che sarà il 15 febbraio 1934 protagonista di “Cecilia” al Teatro Reale dell’Opera di Roma, con ben otto repliche, sotto la direzione di Edoardo Vitale. E nello stesso anno al Teatro Colon di Buenos Aires in Argentina, dove Refice fu autorizzato dal Nunzio Apostolico Eugenio Pacelli, a dirigere l’opera.
Per i suoi Oratori e per questa prima Opera Lirica, Refice aveva ottenuto sempre i migliori solisti, sia quelli dediti alla musica oratoriale, sia quelli lirici. Su di loro imponeva tutta la sua autorità, comprese le masse orchestrali e corali. Ne è conferma una frase nell’ultima lettera ai familiari, da Rio de Janeiro, prima della “Cecilia” che non potrà mai dirigere: “7 settembre 1954… la Tebaldi stupenda, il tenore Soler, un po’ strillone, ma lo ridurrò a più miti consigli”.
1935 – La “Cecilia” torna nuovamente al Teatro Reale dell’Opera di Roma, e Refice è il primo sacerdote a salire su quel podio per dirigere un’Opera Lirica, con un permesso particolare. Poi nuovamente in America, al Teatro Municipale di Rio de Janeiro, sempre protagonista Claudia Muzio.
A Como, dopo appena quattro anni, nel 1938, la “Cecilia” raggiunge la 100ª rappresentazione con il soprano Augusta Oltrabella (dopo la morte della Muzio). L’anno precedente Emidio Mucci aveva proposto a Refice un nuovo libretto, e nasce la seconda Opera Lirica, “Margherita da Cortona”, che va in scena il 1° gennaio 1938 al Teatro alla Scala di Milano, Direttore Franco Capuana, protagonista Augusta Otrabella. Refice aveva raggiunto il massimo Teatro Lirico del mondo!
Toscanini, tornato dal volontario esilio americano e conosciute le sue Opere, una volta disse: Refice sarebbe il più grande operista vivente se non fosse per quella veste.
Il terzo periodo, dal 1944 al 1945, vede Refice impegnato quasi totalmente da tournées in America del Nord, per oltre sei mesi, che gli procurò l’esonero da Maestro di Cappella di S. Maria Maggiore. Nel 1946 all’Auditorium Angelicum di Milano fu eseguito “L’Oracolo”, Mistero per solo, coro e orchestra. Di questa esecuzione non conosciamo quali furono gli interpreti ed il direttore. Una ricerca personale presso l’Angelicum non ebbe alcun risultato. Sappiamo solo da una lettera di Augusta Oltrabella al Maestro, che egli l’ascoltò per radio mentre era a Montecatini e che non ne era rimasto molto soddisfatto, e concludeva che dagli applausi, le era sembrato avesse ottenuto un ottimo risultato.
L’8 marzo 1947, Refice era stato invitato a presenziare la “Cecilia”, rappresentata al Teatro Nacional di S. Carlos a Lisbona.
Alla presenza di numerosissimo pubblico, del Corpo Diplomatico, del rappresentante della Nunziatura Apostolica, il Presidente della Repubblica, Juan F. Carmona, al termine del secondo atto, conferisce a Refice il grado di “Commendador da Ordem Militar de Santiago da Espada”.
Di tale massima onorificenza portoghese, era stato insignito poco più di duecento anni prima, un altro italiano, il più virtuoso dei clavicembalisti, Domenico Scarlatti, dal Re Giovanni V, che lo aveva fatto venire da Roma per dirigere la Cappella Reale.
Ed ecco quanto ci riferisce la giornalista Olga Berardi, dopo essere andata a trovare il Maestro di ritorno dal Portogallo:
“Successore di Alessandro Scarlatti, dopo due secoli, come Maestro di Cappella a Santa Maria Maggiore, Refice succede al figlio Domenico Scarlatti dopo due secoli e mezzo nell’alta decorazione portoghese il cui collare splendido di smalti e d’oro è lì sul tavolo accanto alle insegne di un’altra altissima decorazione…”: quella di “Cappellano Conventuale ad honorem” del Sovrano Militare Ordine di Malta, conferitagli a Roma poco meno di un anno prima, il 27 marzo 1946.
Quindi due volte in Spagna, Irlanda e per la quarta volta in America sempre con attività direttoriale che gli lasciava ben poco spazio alla composizione.
Una seconda esecuzione del “L’Oracolo”, presente Refice, si svolse ad Assisi il 4 ottobre 1948, nella Basilica di S. Maria degli Angeli, sotto la direzione di Tullio Serafin, interpreti il mezzosoprano Miriam Pirazzini ed il baritono Rolando Panerai.
Poi una esecuzione della “Margherita da Cortona” al Teatro S. Carlo di Napoli.
Tra le innumerevoli testimonianze di stima gli giunse graditissima quella di Don Luigi Sturzo:
2 maggio 1949
Caro Maestro leggo il successo avuto al San Carlo per la Margherita da Cortona e me ne compiaccio vivamente con te e con tutti coloro che amano la musica vera, bella, perenne della nostra Italia.
Cordialmente Sturzo
Ma l’attesa maggiore per Refice era la “Cecilia” al Gran Teatro del Liceo di Barcellona, che lo riportava nuovamente in Spagna, Protagonista il giovanissimo soprano Elena Rizzieri.
Anche a Città del Messico, il 12 dicembre 1952, l’Arcivescovo Martinez aveva pregato il Maestro di comporre una cantata che esaltasse Maria de Jesùs, nata a Puebla nel 1597 che, fattasi suora, condusse una vita di sacrificio e di santità. Refice si rivolse ad Emidio Mucci che si dedicò alla stesura di un libretto in lingua spagnola dal titolo; “El Lirio de Puebla” (Il giglio di Puebla), concepito in un Preludio d’orchestra, Prologo e 5 Episodi. Personaggi: la recitante, Maria de Jesùs, la Santissima Virgen, coro (tutte voci femminili) e grande orchestra.
Refice, dopo aver letto il libretto, pregò Mucci di farne una versione in italiano, che gli sarebbe stata più consona. Dal 2 al 28 agosto scrisse un “canovaccio” del “Lilium Crucis”, questo, infatti, era il nuovo titolo del Mistero. Ma la strumentazione avverrà molto tempo dopo: la partitura reca la data d’inizio il 30 Nov. 1950 Anno Santo.
Al rientro a Roma, dalla Spagna, Refice trova la lettera dell’Arcivescovo di Guadalajara, del 31 maggio 1952, che lo informa sull’esito della Messa che aveva inviato in Messico, e prosegue:
31 maggio 1952
Ill.mo e Rev.mo Monsignore,
… Come le avevo annunciato, ieri sera è stata eseguita la sua opera “El Lirio de Puebla” al Teatro Degollado di questa città. Era presente l’Eccell.mo Arcivescovo di Puebla, molti Eccell.mi Prelati e tutto il Teatro pieno. Allego anche la critica del “El Informador” ed io le posso assicurare che l’opera è stata moto gradita; tutti gli esperti l’hanno giudicata di grande valore artistico; è stata molto applaudita e verrà ripetuta perché molte persone hanno chiesto di ascoltarla.
Come da suo desiderio le invio questa notizia a Barcellona che se non dovesse riceverla le rimetto una copia a Roma.
Felicitandomi con la S. V. Ill.ma e Rev.ma per la sua preziosa opera, sono grato di ripetermi
suo aff.mo in Cristo N. S.
+ Josè Caribi
Era la prima esecuzione del Mistero “Lilium Crucis” (titolo originario “El Lirio de Puebla”), composto da un Preludio orchestrale, un Prologo e sei Episodi. Primi interpreti:
Maria di Gesù: Ernestina Hevia del Puerto
La Vergine SS.: Conchita de los Santos
Coro di voci bianche e Orchestra Sinfonica di Guadalajara, Direttore Abel Eisenberg.
Per la Stagione 1951-52 alla Sala del Conservatorio “S. Pietro a Majella” con l’Orchestra e Coro “Alessandro Scarlatti” di Napoli, Refice dirige un concerto di sue musiche:
Preludio (da “La Samaritana”)
Le Stimmate (Episodio sinfonico dal “Trittico Francescano”)
Lilium Crucis (prima esecuzione in Italia)
Esecutori del Mistero:
Maria di Gesù: Luisa Vincenti
La Vergine SS.: Maria Teresa Massa Ferrero
La recitante: Elena Da Venezia
Preparatrice del Coro: Emilia Gubitosi
La critica non fu molto favorevole, particolarmente della nuova e originale composizione.
Per il Concilio Plenario Siculo, il Presidente della Regione Siciliana, aveva pregato Refice di dirigere una concerto di sue musiche adatte alla circostanza, compreso il suo ultimo lavoro. Refice programmò, per essere eseguito il 22 giugno al Teatro Massimo di Palermo, nella prima parte: Preludio da “La Samaritana” e “Le Stimmate” (finale sinfonico dal “Trittico Francescano”). Nella seconda, il “Lilium Crucis”, con le medesime interpreti di Napoli:
Maria di Gesù: Luisa Vincenti
La Vergine SS.: Maria Teresa Massa Ferrero
La recitante: Elena Da Venezia
Orchestra del Teatro Massimo e Coro dell’Ass. “Alessandro Scarlatti” di Napoli, preparato da Emilia Gubitosi.
La lettera di un critico, anche se con un certo ritardo, rassicurò Refice su quella esecuzione:
Palermo 10–7–1952
Illustre Maestro
La sua lettera mi è giunta graditissima. Sono contento che la mia recensione sul suo concerto palermitano l’abbia lasciato soddisfatto. Il suo “Lilium Crucis” è veramente un’opera musicale di altissima ispirazione artistica e religiosa e di profonda spiritualità. Mi reputo fortunato, quindi, se, attraverso il giornale “L’Ora del popolo” avrò potuto esattamente esprimere l’intima e sincera commozione che l’esecuzione di tale sua mirabile composizione ha suscitato in me ed in tutti gli ascoltatori.
Sperando d’incontrarla ancora e di riascoltare altra sua bella musica, voglia gradire i sensi della mia viva ammirazione.
suo Elio Di Gloria
Fu operata anche una registrazione discografica per conto della Colosseum Records di New York, unitamente al Preludio de “La Samaritana” ed all’ultima parte sinfonica del “Trittico Francescano”.
Nell’ultimo anno di vita il Maestro, prima di partire per Rio de Janeiro, nel raccolto studio di Patrica, compone il solo primo atto di quella che doveva essere la sua terza Opera Lirica: “Il Mago”.
Il libretto gli era stato dato da Mucci fin dal 1945, traendo il soggetto da una tragedia del poeta spagnolo del XVII secolo, Don Pedro Calderon de La Barca, “El Magicien”. L’interruzione di quest’ultimo lavoro, coincide con l’ultimo viaggio in Brasile per dirigere la “Cecilia” e l’interruzione della vita di Refice sul podio.
Una morte nobile, nell’espletamento di quella missione che era stata la molla vitale di tutta la sua vita; una morte che desidererebbe ogni artista, ogni musicista; quasi un completamento ideale di chi tutto ha dedicato all’arte.
Un premio che non spetta a tutti; forse un privilegio di uomini eletti come Licinio Refice.
* Biografo di Licinio Refice, è autore del volume “Licinio Refice. La vita e le opere”, Arti Grafiche Tofani, Alatri 2000.
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