Studi Cassinati, anno 2007, n. 2
di Emilio Pistilli
Non si viveva una vita tranquilla in Cassino a fine Seicento, quando la città si chiamava ancora S. Germano. Pare che, in assenza di qualsiasi ordine pubblico, le famiglie più in vista si riunissero in fazioni armate spadroneggaindo a suon di scoppettiate: scene di manzoniana memoria! Ma tutte vere e documentate. Nel 1693 S. Germano, con le sue quattro parrocchie, contava 3.227 abitanti.
Per comprendere meglio i fatti bisogna illustrare brevemente come funzionava in quel tempo il sistema della giustizia nella terra cassinese o Stato di S. Germano, come allora si definiva.
Fin dalla lontana donazione di terre e possedimenti fatta dal duca Gisulfo II a Montecassino nel 744, l’abate di Montecassino fu il signore unico ed incontestato del territorio, con tutti i poteri feudali, compresi quelli dell’amministrazione della giustizia, sia civile che criminale (penale diremmo oggi). Con l’arrivo in Italia di Carlo I d’Angiò, che inizialmente fu buon amico dell’abate Bernardo I Ayglerio, nel 1282 al monastero fu sottratta l’amministrazione della giustizia criminale nel distretto di S. Germano; pare per una ripicca contro l’abate, che aveva perorato la causa della pace tra le chiese di Roma e di Costantinopoli contro la volontà di re Carlo. La giustizia criminale (jus sanguinis) per vari secoli fu gestita direttamente dal re di Napoli, che la intestava a persone di sua fiducia: tra queste vanno ricordati il principe De Leyva ed il duca Francesco Tuttavilla. Gli intestatari nominavano come “capitani” della giustizia criminale in S. Germano persone solitamente forestiere.
Dunque con tale situazione i cittadini avevano a che fare con due diverse istituzioni giudiziarie: una abbaziale, con il “governatore” delle cause civili, ed una cosiddetta regia con il capitano in criminalibus.
Tra i continui tentativi del monastero di riappropriarsi della giurisdizione criminale e le frequenti intromissioni del capitano regio nella gestione anche delle cause civili, nonché nella riscossione dei relativi tributi, la città fu sempre esposta ad intemperanze, spesso impunite, di privati.
L’annosa questione si risolse solo tra il 1669 ed il 1674, quando, tramite la principessa Ippolita Palagano, moglie del principe di Cellammare, il monastero riacquistò la giustizia criminale per la somma di 34.000 ducati, riunificando, finalmente, le due giurisdizioni1.
Prima che ciò avvenisse, però, in città si viveva in clima da vero Far West: violenze ed omicidi erano all’ordine del giorno, i cittadini perbene avevano timore perfino di uscire per strada. Tutto questo ci viene ben descritto in una sottoscrizione pubblica di cittadini e chierici fatta il 28 agosto 1710 dinanzi al notaio Francesco Fantaccione da Castrocielo Palazzolo (giudice regio ai contratti Luzio Pellicchiari). Il documento – il cui scopo è chiaramente propagandistico – è troppo pittoresco per poterlo riassumere; vale la pena seguirlo, almeno nei tratti più significativi, nella trascrizione che ce ne fa il coevo archivista di Montecassino Erasmo Gattola2. Non tralascio neppure i nomi dei protagonisti perché si tratta di cognomi in gran parte ancora presenti in Cassino.
Il testo fu redatto nella sagrestia della chiesa di S. Germano in lingua volgare per una maggiore comprensione (“Vulgariter loquendo ob meliorem facti intelligentiam”). Presenti: il dottore sig. D. Emanuele Galasso arciprete, il dottore D. Livio Ranaldi arcidiacono, il sig. D. Giovanni Maria Suardi primicerio, il dottor sig. Benedetto Simeoni primicerio; inoltre i canonici: il sacerdote D. Agostino Rossini, il dottore D. Livio Roccosensi, D. Angelo Grimaldi, D. Domenico Antonio Martucci, D. Andrea Giorgitto, D. Giuseppe Armanno, D. Luzio Di Naccio e D. Giandomenico Lia; poi i semicanonici dell’insigne chiesa di S. Germano: D. Benedetto Riccardi, D. Antonio Di Tullio, D. Benedetto Cugino, D. Alessandro della Nunziata, D. Francesco di Juccia e D. Benedetto Reginosi.
«… tactis pectoribus more sacerdotali, spontaneamente in nostra presenza hanno attestato, e testificato, conforme per il presente atto attestano, e testificano, qualmente per quello, che hanno inteso da loro padri, avi, e antichi, e visto co proprii occhi, e toccato con mani, come un tempo, che la giurisdizzione criminale di detta città si riteneva, e esercitava dal signo Prencipe d’Ascoli, e poi dall’illustr. signor d. Francesco Tuttavilla3, in detta città di continuo succedevano tra cittadini di essa risse questioni omicidii, e molte famiglie di essa, che tiravano molti altri alla loro fazzione e partito, vivevano in aperte, e capitali inimicizie, e odii, e signanter quella di Marzella, Galasso, Grimaldi, Toppetta, Cafaro, con Riccardi, Carrozza, Cedrone, Torrioni, altri Riccardi, Massari, Aceti, Verdone, Patini, Villa, Tarsia, Roccosensi, Cicerone, Martucci, Panaccioni, Manfredi, Cavalieri, Belmonte, Naccio, Pittarone, e Truda, li quali famiglie, chi per dieci, e chi per venti anni almeno, vissero sempre con l’armi alle mani, andando ciascheduno di esse publicamente armato per la sudetta citta, e suo abitato con scoppetta, e altre armi da fuoco, con molti armizeri appresso, anzi in più volte si sono scoppettiati frà essi dentro la medema città con disturbo di tutta la cittadinanza, di modo che non si poteva pratticare da poveri cittadini ne di giorno ne di notte, per timore, che non s’incontrassero, e venissero alla peggio fra di essi, essendoché non vi era chi li riprendesse, o li facesse stare a segno, oltre i gran dispendii causati da ministri regii, che di continuo venivano per prendere informazione de loro eccessi».
Dopo la rappresentazione di tale scenario si viene al vero motivo del documento: dimostrare come la gestione della giustizia criminale da parte dell’abbazia abbia dato i buoni frutti. Ed infatti ecco il quadro idilliaco che viene descritto.
«… e solo da quarant’anni a questa parte, e da tutto il tempo, che la giurisdizzione criminale è pervenuta in potere del sacro monasterio di Montecasino sono cessati affatto gl’omicidi e inquietitudini, che sortivano per dette fazzioni civili, che si nudrivano in detta città a causa del zelo dell’illustr. Padri Abbati pro tempore, e monaci, quali con tutta vigilanza subito, che scorgono qualche disordine, e sconcerto de Cittadini, e baldanza di qualche malvivente, e scandaloso al publico, non mancano di porgere il riparo necessario con zelo, e carità di pastore, e anco del rigore della giustizia, come in effetto successe tra la famiglia Ponaro, e Antoni quali con due omicidii vicendevolmente sortiti, fieramente si erano aggravati, e subito li ridusse in pace; per la qual vigilanza e retta giustizia per grazia di Dio dal tempo suddetto di quarant’anni si e goduta, e al presente si gode una pace tranquilla, e tutti li cittadini anco delle sopramentionate famiglie, che nel passato erano in inimicizie, e odii vivono come tanti fratelli, che è quanto per la verità possono attestare, perche l’hanno inteso dire, l’hanno visto, e lo sanno come sopra etc.».
Firmano come testimoni: R. D. Marco Antonio Riccardi, R. D. Rocco de Tarsia, e il Cl. Giuseppe Roscietti tutti letterati della città, e D. Francesco Aceti di Piedimonte, e Tommaso Turco della terra di Palazzolo.
1 Per tutta la complessa questione si veda, per tutti, T. Leccisotti, La giurisdizione criminale Cassinese nel ‘700 – L’ultima intestazione nello Stato di S. Germano, estr. da “Atti della Accademia Pontaniana”, nuova serie, Vol. XI, anno accademico 1961-62; pagg. 25 (133-157); id. Note sulla giurisdizione di Montecassino, Voll. 2, Montecassino, Tipogr. Ingrac, 1971 e 1972.
2 E. Gattola, Accessiones ad historiam Abbatiae Cassinensis, voll. 2, Venetiis, Coleti, 1734, vol. 2° pag. 690.
3 Su Tuttavilla si veda E. Pistilli, Quando Cassino fu ducato, in Studi Cassinati, n. 1/2002, pag. 44 sgg.
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