Studi Cassinati, anno 2007, n. 1
di Alessandrina De Rubeis
Questa pagina di storia riguarda un civile, Vincenzo Piselli, arrestato dai nazi-fascisti e deportato in Germania, a Dachau, dove trovò la morte.
Chiamato da tutti “Pasquale” (come il defunto nonno paterno) e ricordato ancora con questo nome, Vincenzo Piselli era nato a San Donato Val Comino il 22 giugno 1910.
Lavorava al seguito del suo carissimo amico, Nazzareno Cedrone, il quale aveva una bottega artigianale di fabbro ferraio e lattoniere, in via Duomo. I due prestavano manodopera anche nella vicina Chiesa Madre per i lavori di quotidiana manutenzione e prassi.
Le testimonianze orali raccolte
– La cognata, signora Cesidia Leone, vedova Piselli, nata a San Donato Val Comino, il 17 novembre 1919:
“All’epoca dei fatti, ero fidanzata con Donato, fratello più giovane di Vincenzo. Lo arrestarono in casa, mentre stava cenando, e insieme con lui c’erano due o tre militari siciliani, fuggiaschi. Furono condotti tutti alla Casa del Fascio, poi ad Alvito. Andai anch’io con la madre e una zia di Vincenzo a chiedere sue notizie; lui non lo vedemmo, ma ci dissero che presto lo avrebbero rilasciato. Non fu così. Sapemmo che, in seguito ad una spiata, il Comando Tedesco era venuto a conoscenza del fatto che Vincenzo, ogni giorno, aveva portato da mangiare ai militari inglesi nascosti nelle zone montane di San Marcello e della Vorga. Io so che questo compito gli era stato affidato dall’abate, d. Donato Di Bona. Passato del tempo, uno dei siciliani, sopravvissuto a Dachau, ritornò per portare la notizia della morte di Vincenzo. La famiglia fece celebrare il funerale nella Chiesa Madre e il rito fu officiato proprio dall’abate”.
Ho chiesto alla signora Cesidia se sapesse con quali scorte alimentari l’abate provvedeva al sostentamento dei militari fuggiaschi, ma non ricorda.
– La signora Clelia Mazzola: “Non arrivava nessun tipo di aiuto alla parrocchia durante il periodo della guerra. Gli aiuti arrivarono dopo. Io so che l’abate, anche se aveva un modo di fare burbero, interveniva puntualmente, con gli aiuti a lui possibili, in ogni situazione di bisogno materiale, ma non voleva mai comparire in prima persona. In quel periodo, tante famiglie aiutammo spontaneamente i militari nascosti. C’era miseria per tutti, ma quel po’ che si riusciva a racimolare lo si divideva con loro. Anche una mia zia, Maria Loreta Mazzola, che abitava nella zona del Santuario, rischiò la vita perché portò puntualmente da mangiare a quanti si erano rifugiati tra i boschi, dietro la Torre. A guerra finita, abbiamo ricevuto l’attestato di gratitudine da parte delle Forze Alleate”.
– Il signor Federico Cedrone, fratello di Nazzareno:
“All’epoca dei fatti ero quindicenne e, malgrado la differenza d’età tra me, Nazzareno (1913) e Pasquale, trascorrevo gran parte del mio tempo nella bottega. ‘Quel pomeriggio’ andammo a fare una passeggiata a San Marcello, nella zona detta ‘La Croce’; improvvisamente, vedemmo sbucare due aerei angloamericani, a due code, che presero a mitragliare tutta la zona alta del paese. Quando fu possibile ritornare giù, andammo nella bottega e vi rimanemmo finché non fece buio. Poi Pasquale se ne tornò a casa. La mattina seguente si sparse la voce che, proprio quella sera, i nazi-fascisti lo avevano arrestato. Non ricordo la data, ma durante il mitragliamento erano morte cinque persone; quindi, vi si può risalire”.
– La signora Mela Cellucci: “Era il 21 aprile 1944; ero bambina ma, dalle voci concitate dei miei familiari, capii che era successo qualcosa di grave. Corsi con loro fino alla zona di San Paolo, ‘a quell’ Fenizia’, e quando arrivammo, la scena fu orribile: cinque persone a terra, tre morte e due agonizzanti. Mio padre, Donato Cellucci, stava coperto già con un lenzuolo, ma io lo sollevai e vidi il suo volto sfigurato. Tra i morti c’erano anche il patrigno di mio padre, un fratello di questi, una donna e un altro uomo”.
– Il signor Domenico Cardarelli, “Memmo”: “Stavano facendo la maggese per la semina delle patate; erano: Donato Cellucci, Domenico Cellucci, Francesco Cellucci, Pasqualina Leone, Antonio Leone; la madre del povero Donato stava dentro il casolare e per questo si salvò”. Poi mostra un santino in memoria, nel quale si legge: “Donato Cellucci, S. Donato Val di Comino 5-5-1909; 21-4-1944. Era sul lavoro quando un mitragliamento aereo spezzava la sua giovane vita. Dal cielo veglia sui tuoi cinque figli”. “La mia famiglia si prese cura di due inglesi” ricorda il signor Memmo “e per Natale li aiutammo a vestirsi da civili perché vollero partecipare con noi alla messa di mezzanotte. A fine guerra, oltre all’attestato di gratitudine, abbiamo ricevuto anche una somma in denaro di 18.000 lire, con la quale potemmo riparare la nostra abitazione rovinata dai bombardamenti”.
– La signora Pasqualina Perrella: “Vincenzo Piselli era un giovane distinto, molto magro, gentile, cattolico praticante. L’ultima volta che lo vidi fu ad Alvito, alle ultime case, nella direzione di Vicalvi. Ero in cerca di mio fratello Donato, rastrellato anche lui, insieme con altri. Vincenzo e il compaesano Olimpio Cardarelli, erano intenti a scavare delle buche profonde perché, come lui stesso mi disse, lì doveva essere allestito un piccolo cimitero tedesco. E si preoccupò per la sorte di mio fratello, sollecitandomi a cercarlo anche altrove, prima che fosse troppo tardi”.
Dachau, 7 marzo 1945
Per ricordare cosa fosse Dachau, basti leggere il diario di Jean Bernard, pfarrerblock 25487.
Nell’orrore di quel campo di eliminazione, dove si entrava come uomini e si veniva trasformati in numero, concluse la sua breve e umile vita Vincenzo Piselli. Nella registrazione della sua morte si legge: “Il giorno sette del mese di marzo dell’anno millenovecentoquarantacinque è deceduto in Germania: Dachau – campo di eliminazione, alle ore non accertate, in età di trentaquattro anni, il Piselli Vincenzo appartenente non militare, nato il 22 giugno 1910 a San Donato Val di Comino (Frosinone), residente a San Donato Val di Comino – Largo Lago (Frosinone), figlio di fu Costantino e di Cardarelli Loreta, celibe. Il suddetto Piselli Vincenzo è morto in seguito ad esaurimento e sevizie (in deportazione) ed è stato sepolto-cremato nello stesso campo”. (F.to La Commissione Interministeriale, Roma, 3 dicembre 1952).
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