La tragedia del secondo conflitto mondiale e le responsabilità dei protagonisti


Print Friendly, PDF & Email

 

Studi Cassinati, anno 2006, n. 3

di Emilio Pistilli*

Uno sguardo retrospettivo. L’immane tragedia del secondo conflitto mondiale e le responsabilità dei protagonisti, errori ed omissioni degli storici. La distruzione di Montecassino e Cassino, ignota a gran parte del mondo, fu un atto criminale di guerra o un passaggio obbligato per l’ottenimento della pace? I liberatori anglo-americani vanno glorificati?

È possibile che nove mesi di guerra lungo un fronte nel quale combatterono e morirono soldati di tutto il mondo, sul quale furono esplosi forse un milione di tonnellate di esplosivi, con centinaia di migliaia di morti, tra militari e civili, con la rovina totale di decine e decine di paesi, con la distruzione del più importante complesso monastico del mondo, siano passati inosservati agli occhi degli storici della seconda guerra mondiale?
Purtroppo è possibile, anche se incredibile. Basta sfogliare alcune delle opere più importanti scritte da specialisti di ogni paese per rendersi conto che il massimo spazio riservato alla battaglia di Cassino per lo sfondamento della Linea Gustav non supera la mezza pagina (salvo qualche eccezione); alcuni storici addirittura non fanno comparire nei loro resoconti nomi come “Cassino”, “Montecassino”, “Linea Gustav”. Per tutti si vedano le opere fondamentali del tedesco Andreas Hillgruber (La seconda guerra mondiale1), e del francese Michel Henri (Storia della seconda guerra mondiale, in due volumi2), oppure l’italiano Giorgio Bonacina, che, nel libro Le bombe dell’Apocalisse3, tra i grandi e piccoli bombardamenti alleati in Italia, “dimentica” quelli di Cassino e Montecassino. Addirittura l’inglese Martin Gilbert (La grande storia della seconda guerra mondiale, 900 pagine4), il biografo di Churchill, tra le poche righe riservate all’argomento, trova lo spazio per affermare che l’abate di Montecassino fu ucciso nel bombardamento dell’abbazia: grossa corbelleria, questa, che fa il paio con l’affermazione di Enzo Biagi, secondo cui l’abate Diamare durante il bombardamento del monastero era al sicuro altrove.
Non sono in grado di dire se si sia trattato di semplice incapacità a documentarsi da parte degli storici oppure di sistematica opera di rimozione della memoria di quello che è stato un imperdonabile misfatto della civiltà occidentale. Posso comprendere gli Inglesi, che avvertono il peso della responsabilità nella decisione di abbattere il monastero di Montecassino – per questo motivo chiesero il ritiro dal commercio del breve lavoro di Herbert Bloch, The Bombardement of Monte Cassino, del 1973: in esso risultava estremamente chiara la responsabilità britannica, riconosciuta anche dagli stessi reduci inglesi della battaglia –, ma non posso capire i Tedeschi, che nella difesa della Linea Gustav scrissero pagine di autentico eroismo e di alto valore strategico ed ebbero anche il merito del salvataggio di gran parte dei tesori di cultura di Montecassino; non posso comprendere gli Americani, che negli innumerevoli tentativi di sfondamento del fronte di Cassino con la loro 5ª Armata persero 107.000 uomini, senza contare quelli dell’8ª Armata; non posso comprendere i Francesi, che con il loro corpo di spedizione persero 10.000 soldati.
Come si vede quella della battaglia di Cassino (10 settembre 1943 – 18 maggio 1944) è una storia tutta da scrivere. Soprattutto è una storia da correggere. La questione dell’opportunità del bombardamento di Montecassino è stata ampiamente discussa ed ormai chiarita, viste le dichiarazioni del generale Clark, comandante della 5ª Armata USA, il quale ha affermato, con molta chiarezza, che l’operazione fu un gravissimo errore, anche strategico.
Naturalmente in questa riflessione prescindo dalla copiosa letteratura monografica sulla battaglia di Cassino – o di Montecassino come da qualche tempo si va scrivendo – ; però anche questa contribuisce a rendere maggiormente inspiegabile l’oblio della storiografia “ufficiale”.
Eppure la scelta di radere al suolo Montecassino, Cassino e tanti altri nostri paesi rientra in una logica che, nella seconda guerra mondiale, ha interessato l’intero pianeta, che, anzi, proprio da questi luoghi ha preso le mosse.
Ci si chiede, infatti, quali ragioni di strategia e di superiori esigenze militari possono giustificare bombardamenti di città inermi, bombardamenti risultati poi controproducenti per gli stessi distruttori. È il caso di Cassino, rasa al suolo il 15 marzo 1944, dopo l’abbattimento della superiore abbazia, avvenuto il 15 febbraio precedente: tra le macerie dell’una e dell’altra trovarono ottima collocazione le batterie tedesche.
Si dirà ancora che, se anche si trattò di un errore, fu comunque un episodio isolato.
No. Non fu proprio così. Se si scorrono le cronache e gli archivi militari delle nazioni combattenti scopriamo cose forse insospettate, ma certamente inaudite. Basta prendere alcuni dati, a caso, senza la pretesa della sistematicità nella loro ricerca (ma sarebbe il caso che qualcuno cominciasse a farlo).
Bombardamenti aerei organizzati (cioè non casuali) subirono tutte le maggiori città d’Italia, da Milano a Treviso, da Rimini a Pisa, a Terni, da Roma a Napoli, a Cagliari, da Foggia a Reggio Calabria, da Messina a Catania a Palermo; quest’ultima ne porta ancora visibili i segni.
I bombardamenti voluti dall’Air Chief Marshal Sir Hartur Harris, ai cui ordini era il “Bomber command” britannico, erano del tipo “area-bombing”, cioè destinati a colpire tutta una vasta area attorno ad obiettivi militari specifici con la conseguenza implicita dell’annientamento di intere superfici urbane e col solo obiettivo di atterrire il nemico e sollevare le popolazioni5. Questo tipo di attacchi segnò indelebilmente i maggiori centri urbani italiani. Qualche esempio.
Genova fu sottoposta a quel tipo di fuoco aereo molte volte, in particolare il due settembre del 1941, il 24 e 25 ottobre dell’anno successivo, ancora il 7 ed il 13 novembre dello stesso anno e l’8 agosto del ‘43, solo per ricordare i più violenti.
Torino tra il 18 novembre e l’11 dicembre del 1942, in seguito a bombardamenti aerei, si ritrovò con 2.000 case distrutte o irreparabilmente danneggiate, tra cui molti importanti palazzi storici; altre violente incursioni subì il 4 febbraio del ‘43, il 13 luglio, l’8, il 13, il 16 e 17 agosto, sempre del 1943.
Milano fu gravemente colpita il 24 ottobre del ‘42, e, nel 1943, il 14 febbraio, l’8 e 13 agosto, con 6-700 morti, 160.000 senzatetto, 4.000 case distrutte, 4.000 danneggiate; nei tre giorni successivi fu colpito il Duomo e distrutto il teatro La Scala.
Dopo i bombardamenti di ferragosto del ‘43 fu messa da parte la teoria dell’Area-bombing per dare il via ai cosiddetti bombardamenti di precisione o “selective-bombing” voluti dai generali della U.S.A.A.F. (United States Army Air Forces) Carl Spaatz, Ira Eaker e Jimmy Doolittle. L’intento era solo ipocritamente diverso: colpire con estrema precisione soltanto gli obiettivi militari; i risultati furono del tutto simili ai precedenti.
Diamo un’occhiata a cosa accadde in quegli anni fuori dei confini d’Italia.
Cominciarono i tedeschi, con gli aerei della Luftwaffe, a seminare distruzione e morte sulle città inermi – anche se i precedenti storici risalgono al secolo precedente Varsavia, bombardata dall’aviazione tedesca il 1° settembre 1939, fu quasi totalmente distrutta, la popolazione fu sterminata o deportata.
Si puó ricordare il bombardamento di Rotterdam da parte della Wehrmacht il 14 maggio 1940: 980 furono i morti e 78.000 i senzatetto. In realtà il bombardamento non fu particolarmente violento (97 tonnellate di esplosivo, contro le quasi mille di Cassino nel marzo del ‘43): il disastro fu causato dall’esplosione di una fabbrica di margarina il cui olio bollente si riversò sulle strade appiccando il fuoco dovunque. Va precisato che la città, assediata dalla Wehrmacht, fu invitata ad arrendersi, altrimenti sarebbe stata bombardata. La resa fu accettata solo quando già un centinaio di aerei Heinkel erano in volo; furono immediatamente richiamati, ma 57 di essi non furono raggiunti dalla comunicazione e portarono a termine la tragica missione.
Ancora i tedeschi seminarono distruzione e morte sul suolo d’Inghilterra, in particolare su Londra nell’autunno 1940, poi il 18 aprile 1941, con la più massiccia incursione tedesca sulla capitale inglese; inoltre nel marzo 1944 con bombe ancora su Londra, Hull, l’Inghilterra del nord-est e il Galles del sud: vennero uccisi 279 civili. Il 25 novembre 1944 un missile tedesco “V2” cadde sul grande magazzino Woolworth a Deptfort (Londra) uccidendo 160 acquirenti.
Nell’autunno del ‘44 i “V2” fecero centinaia di vittime ad Anversa.
Ma l’operazione di maggior portata strategica e propagandistica i tedeschi la effettuarono sulla cittadina industriale inglese di Coventry. La notte tra il 14 e il 15 novembre del 1940 oltre 400 bombardieri tedeschi lanciarono sulla città 450 tonnellate di bombe esplosive, incendiarie e a scoppio ritardato: in dieci ore la Gran Bretagna perse tra il 20 e 30% del suo potenziale industriale aeronautico; dunque missione perfettamente riuscita. Si creò il verbo “coventrizzare” con il significato di “annientare”.
Gli inglesi appresero la lezione e la misero in pratica da maestri. Nella primavera del 1942 lanciarono ripetute offensive terroristiche su Colonia, su Amburgo ed innumerevoli altre città tedesche. Su Berlino nel mese di dicembre 1943 caddero 50.000 tonnellate di bombe che seminarono di rovine 28 chilometri quadrati e fecero un milione di senzatetto.
Nel 1943 conobbero gli effetti dell’area-bombing Lubecca, Rostock, Brema, Stoccarda, Norimberga, solo per ricordarne alcune.
Nel 1944 fu la volta di Lipsia (febbraio), di Kiel (16 novembre) con 3.475 morti.
Tra gli obiettivi industriali a subire le maggiori sofferenze, a partire dal 1943, fu il bacino della Ruhr a causa delle numerosissime istallazioni industriali. Poi Schweinfurt, presso Francoforte (fabbrica di cuscinetti a sfere, ottobre), Lorient (base di sommergibili), Ploesti (impianti petroliferi, 1944).
Nel marzo 1944 i bombardieri inglesi lanciarono sulla Germania 27.000 tonnellate di bombe; in particolare su Stoccarda, Francoforte, Essen, Norimberga e Berlino (27 marzo); nel corso di queste incursioni furono utilizzate per la prima volta bombe da 1.300 chilogrammi.
Da segnalare ancora: 24 aprile 1944, bombardamento su Rouen con 600 caduti; 31 ottobre 1944: Aarhus, Danimarca (quartier generale della Gestapo): uccisi 150 tedeschi e 20 danesi; 4 dicembre 1944, su richiesta di Sir Arthur Harris, comandante dei bombardieri inglesi, furono ripresi gli attacchi con bombe incendiarie sulle città tedesche: 2.000 tonnellate di bombe incendiarie furono lanciate su Heilbronn: furono uccisi 7.147 civili; 13 febbraio 1945, Dresda, 135.000 morti (più che a Hiroshima): “si verificarono scene atroci, i cadaveri si carbonizzavano in un mare di fuoco, ammassi di sangue, carni e ossa indicavano che grappoli umani si erano confusi assieme alla ricerca di un illusorio riparo. Il tutto praticamente senza perdite per gli attaccanti” (M. Henri, cit.).
Infine vale la pena ricordare il martirio delle città giapponesi di Tokyo, con i suoi oltre 100.000 morti (9/10 marzo 1945), e Osaka, che nel 1945 subì una distruzione superiore a quella di Hiroshima.
E perché non chiudere questa rassegna (ripeto: fatta a caso, dunque solo estremamente sommaria) dei bombardamenti “di precisione” anglo-americani effettuati con le bombe atomiche?
Hiroshima, distrutta per l’80% da una bomba al plutonio sganciata dalla fortezza volante americana Enola Gay, proveniente dall’isola di Tinian, alle ore 8,15 del 6 agosto 1945: rasi al suolo 12 Km2 della città, 140.000 morti, compresi quelli per le radiazioni.
Nagasaki, bombardata la mattina del 9 agosto successivo, alle ore 11, con un’altra bomba al plutonio lanciata da una fortezza volante B-29 americana: i morti furono poco meno di 50.000; va rilevato che Nagasaki fu bombardata al posto di Kokura perché su questa città gravavano nubi che impedivano la visuale: erano le istruzioni date al pilota.
Un bilancio definitivo dei morti nella seconda guerra mondiale non è mai stato stilato, né lo sarà mai: come contare i milioni di civili anonimi, donne, bambini, vecchi, caduti sotto le bombe in ogni parte del mondo?
Solo per dare un’idea delle dimensioni distruttive del conflitto ho raccolto alcune valutazioni, che vanno, però, considerate con alto margine di errore per difetto.
Hillgruber ci fornisce i seguenti dati: Unione Sovietica, 20 milioni di morti; Gran Bretagna, 386.000; USA, 259.000.
Gilbert è più dettagliato: Unione Sovietica, 10 milioni di soldati caduti in azione, 3.300.000 uccisi dopo essere stati fatti prigionieri, 7 milioni di civili morti; Germania, 3.250.000 soldati e 3.600.000 civili morti; Giappone, un milione di militari e due milioni di civili; Polonia, 6 milioni, di cui 3 milioni ebrei; Jugoslavia, oltre un milione e mezzo dopo l’occupazione tedesca; ad essi Gilbert aggiunge gli ebrei, oltre i 3 milioni in Polonia altri 3 milioni nel resto di Europa; calcola un totale di oltre 46 milioni di morti.
Secondo le valutazioni di Sir Charles Webster e del Dr. Noble Frankland (The Strategic Air Offensive against Germany 1939-1945, consultabile presso gli archivi ufficiali britannici), solo in Germania 39 tra le più importanti città subirono distruzioni dal 50 al 94%. Tra queste non figura Berlino, che fu distrutta solo per un terzo, nonostante avesse ricevuto il maggior numero di tonnellate di bombe (quasi 45.000) rispetto a qualunque altra città al mondo.
Infine Bonacina calcola: “A Milano i bombardamenti aerei produssero circa 3 metri cubi di macerie per abitante, ma a Monaco tale proporzione fu di 7 metri cubi, a Berlino di 15, a Colonia di 37, a Dresda di 51”.
Sulla base di questi frettolosi e spesso improbabili dati andrebbero riconsiderati i giudizi espressi dalla storiografia ufficiale del dopoguerra, che ha decisamente assolto i vincitori e condannato gli aggressori: ma, si sa, la storia la scrivono i vincitori. Attenzione, però, qui non si vuole assolvere nessuno, tantomeno i nazi-fascisti che misero a ferro e fuoco il mondo intero e perpetrarono il più odioso e vergognoso delitto ai danni dell’umanità con l’eccidio degli ebrei.
Tuttavia, come abitante di queste contrade, non mi sentirei di definire a cuor leggero “liberatori” coloro che nel nome – e forse col pretesto – della libertà hanno sperimentato le più distruttive armi mai concepite dall’uomo sulle popolazioni civili inermi.
Alla luce di quanto fin qui detto forse non c’è poi tanto da meravigliarsi se Cassino e Montecassino vengono spesso ignorati: furono solo due episodi di non rilevante interesse. Per Churchill, infatti, il fronte della Linea Gustav ebbe solo valore strumentale: servì a tenere impegnati i tedeschi fuori dell’Europa centrale per preparare e consentire lo sbarco in Normandia: non mi risulta che egli avesse tanto a cuore il bene di noi Italiani. Così si spiega anche il mancato “scavalcamento” del fronte sulla costa adriatica a nord di Pescara, dove, invece, se lo attendevano i tedeschi: lo studioso Gerhard Schreiber, dell’Ufficio Storico delle Forze Armate Tedesche, autore di opere fondamentali sulla 2ª g. m. – Ex Capitano di Fregata della Bundesmarine (marina federale tedesca) e collaboratore scientifico del Militärgeschichtliches Forschungsamt (ufficio storico dell’esercito tedesco) di Friburgo, consulente tecnico al processo contro Priebke (Fosse Ardeatine), perito al processo contro Lehnig-Emden (eccidio di Caiazzo), parla di “occasioni mancate” che, invece, avrebbero potuto evitare “quella battaglia di logoramento tra Cassino e Mignano, condotta tatticamente – a parte i mezzi moderni impiegati – nello stile della prima guerra mondiale”; ma non chiarisce se le occasioni furono mancate per incapacità strategica degli alleati o per scelte legate al quadro internazionale delle operazioni belliche. In questo secondo caso si tratterebbe di inaudito cinismo, perfettamente in linea, comunque, con la strategia dell’area-bombing.
La questione rimane tuttavia aperta: quanta gratitudine debbono gli abitanti di queste terre, all’intervento del “Liberatori” alleati? Si possono considerare liberatori coloro che per portare la libertà distruggono strade, case, città, monumenti insigni, famiglie e quanto di più caro si possa avere? Si dirà che le ragioni della guerra (non voluta certamente dalla popolazione civile) impongono sacrifici anche molto cruenti. È, questo, un argomento scottante che rischia di radicalizzare posizioni contrastanti, ponendo da una parte i fautori della necessità del sacrifico in nome della libertà, e dall’altra i difensori degli aggressori. Ma non è così, non deve essere così; tanto più che coloro che difendono quel tipo di intervento degli alleati, oggi si schierano nettamente contro l’intervento degli anglo-americani in Iraq, adducendo le stesse ragioni di coloro che recriminano e condannano i bombardamenti indiscriminati sulle città e sulla popolazione civile di allora. Il giudizio storico, si sa, varia a seconda dei tempi e delle convinzioni politiche di chi lo esprime.
Un dibattito su tale questione non porterebbe da nessuna parte: le ragioni di chi ha subíto non possono essere le stesse di chi ha “visto” da lontano.
La verità è una sola: le guerre non hanno mai risolto con giustizia i problemi tra popoli.

* Rielaborazione di un mio articolo pubblicato sul mensile “Presenza Xna”, gennaio 1998.
1 Laterza, 1995.
2 Mursia, 1997.
3 Fabbri, 1973.
4 Mondadori 1990.
5 Per la questione “area bombing” si rinvia a: Grayling, A. C. Among the Dead Cities, New York: Walker Publishing Company Inc. (2006) e Gene Dannen, International Law on the Bombing of Civilians, in “www.dannen.com”; ivi bibliografia sull’argomento.

(603 Visualizzazioni)