1799 – L’eccidio di San Lorenzo ad Isola del Liri: 533 cittadini trucidati dalle truppe transalpine* Una strage incredibilmente ignorata


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Studi Cassinati, anno 2006, n. 1

di Eugenio Maria Beranger 

Il 12 maggio 1799 lo storia della Media Valle del Liri conobbe una delle sue pagine più tristi: la strage perpetrata da militari francesi contro gli inermi abitanti di Isola del Liri in gran parte raccolti nella Parrocchiale di San Lorenzo per la celebrazione della Pentecoste.
Si tratta di un episodio incredibilmente ignorato dalle pagine dei libri scolastici di testo, dimenticato nella toponomastica cittadina della Provincia di Frosinone e nella stessa Isola dove, se non vado errato, soltanto una semplice e modesta epigrafe marmorea menziona l’efferato episodio. Essa fu posta a destra dell’entrata della Collegiata dedicata a S. Lorenzo in occasione del primo centenario dell’evento e così recita:

“Il dì 12 maggio 1799
qui caddero massacrati
dalle milizie francesi
533 cittadini
il popolo isolano
nel giorno del centesimo
anniversario
pose”. 

La chiesa di S.Lorenzo oggi

Il testo è concluso da una corona di alloro sulla quale si adagia una fiaccola, simbolo della vita, inclinata ed in via di spegnimento e da un crocifisso.
Sette anni fa, in occasione del secondo centenario della strage S. Lorenzo fu dotata di una seconda campana nella quale si legge:
“L’Amministrazione Comunale, il Comitato del SS.mo Crocifisso, i Cittadini di Isola del Liri nel Bicentenario dell’Eccidio fanno voti che i rintocchi gravi di questa Campana, che ogni sera romperanno il silenzio del nostro paese, ricordino la tragedia che si consumò nella Chiesa di San Lorenzo Martire ed auspicano che simili gesta di crudele empietà non abbiano più a ripetersi. I 464 uomini, le 70 donne, i 9 sacerdoti e i 100 forestieri trucidati, attraverso la nostra memoria gridano: MAI PIU’, MAI PIU’, MIA PIÙ’
.In seguito alla proclamazione della Repubblica Partenopea, avvenuta a Napoli il 22 gennaio 1799, il 12 febbraio venne firmato l’armistizio di Sparanise con il quale la Corte Napoletana fu costretta a pagare 2 milioni e mezzo di ducati per riparazioni delle spese di guerra.
I sei mesi della Repubblica Partenopea determinarono in varie zone del nostro Meridione un vero e proprio periodo di anarchia durante il quale, come riferisce Anna Maria Rao, ebbero sovente grande possibilità di espressione i dissidi e gli odi personali o tra clan familiari.
In tale contesto di grande confusione nel Circondario di Sora, emerse, per acume politico e statura morale, la figura del vescovo mons. Agostino Colajanni che, insieme ad un non meglio identificato mastrogiurato della cittadina lirina, propose il 22 febbraio ai cittadini riunitisi in piazza Santa Restituta di nominare Gaetano Mammone capo insorgente, cioè responsabile della resistenza antifrancese, proposta che fu accolta tra l’entusiasmo comunitativo.
Da un manoscritto, un tempo posseduto dal rag. Vincenzo Basile di Sora ed in parte utilizzato da Achille Lauri, sappiamo che il Mammone così si rivolse alla folla dopo la sua designazione:
“Sono contento del comando che mi date; però pensate che io, per l’amore che porto a Casa reale, sarò terribile coi nemici del nostro Sovrano. Vi avverto: voi siete in tempo di nominare un altro. Io so dove sta il puzzo: vi sarà pena la testa: lo vedrete! -[ed il popolo di rimando], taglia! taglia! morte ai giacobini!’”.
Il Mammone, in breve, organizzò le truppe “a massa” e, tra i suoi più stretti collaboratori, ebbe Valentino Alonzi, detto Chiavone, nativo della Selva di Sora, nonno dell’altro e più celebre Chiavone, protagonista del brigantaggio antiunitario.
Gli uomini di Mammone imperversarono, così, per Sora devastando proprietà e riducendo in carcere quanti sospettati di idee filo-francesi. Per ricostruire il clima di quei giorni è utile leggere un passo di una non meglio specificata cronaca cittadina letta e, forse anche posseduta, da Achille Lauri.
Egli così ricorda:
“Erano tempi in cui nessuno era più sicuro né della roba, né della persona, né dell’onore, né della verginità. Perciò non parrà ridicolo ad alcuno che un Sorano ricco, Orazio Nola, calzasse le cioce per essere ben visto dai villani, ai quali spesso offriva il vino delle sue cantine”.
In quei tempi riesplosero o si resero più acuti anche campanilismi tra Sora ed Isola Liri e Sora e Veroli, centro ove Giovanni Battista Franchi e la Guardia Nazionale si erano abbandonati a numerosi arresti contro i fedeli al pontefice. Il Franchi, inoltre, l’11 marzo 1799 si mosse contro Sora conquistando Castelluccio, odierna Castelliri, e puntando verso Isola. Ma, nei pressi di Castelluccio, la Guardia Nazionale venne, dapprima, contenuta e, quindi, indotta alla ritirata dalle masse di Mammone.
Tredici giorni dopo i Verulani e contingenti francesi si ripresenteranno a Castelluccio ed all’Isola, il cui “palazzo regio” fu a lungo cannoneggiato. Ma, per la seconda volta, l’intervento del Mammone si rivelò determinante e le truppe gallo-romane dovettero, dapprima, togliere l’assedio e, quindi, precipitosamente far ritorno alla loro base di partenza.
Il ruolo altamente strategico di Sora, posta a controllo delle comunicazioni con l’Abruzzo tramite la Valle di Roveto e con il Molise, spinse i francesi ad inviare al confine con il Regno un contingente di ben 1.000 uomini. Di fronte a tale massa di armati Antonio Cipriani, comandante di Isola di Sora, decise di arrendersi senza opporre resistenza alcuna. Ma, pochi giorni dopo, Mammone, dopo essersi accampato sulle alture circostanti, fu in grado di riconquistare la cittadina. Entrato in Isola il capomassa fece arrestare il Cipriani, prontamente trasferito nelle carceri di Sora, designando al suo posto il fedele Valentino Alonzi.
Il peso militare del Mammone, che poteva contare su circa 6.000 uomini male armati ma decisi a tutto, lievitava di giorno in giorno e, di certo, si accrebbe con la partecipazione all’assedio di Altamura, il centro pugliese che capitolò il 10 maggio 1799.
Sempre in questo giorno 13.000 soldati francesi, che risalivano la Penisola per portare soccorsi all’armata impegnata nel Nord, puntarono su San Germano, odierna Cassino. Una parte di essi ascese al sacro Monte devastando e spoliando scientificamente l’Abbazia di Montecassino imitati in ciò, dopo la loro partenza, da non pochi cassinati. Tale episodio ricorda quanto accaduto in occasione della seconda Guerra mondiale dopo che i valorosi paracadutisti tedeschi, più noti come “sorci verdi”, ebbero completato la loro ritirata.
Procedendo nel loro cammino i militari transalpini, due giorni dopo, raggiunsero Isola. Gli ufficiali che li guidavano mandarono, con l’intento di chiedere libertà di passaggio, due dragoni a parlamentare con gli insorgenti. I due furono presi a fucilate ed uccisi. Immediata e durissima fu la reazione dei Galli che, avuta facilmente ragione della debole resistenza costituita dalla Porta Napoli, entrarono nell’interno dell’abitato macchiandosi di un strage efferata, peraltro, non nuova nelle tradizioni militari francesi.
Ovviamente gli uomini di Mammone, che in breve diverrà comandante di tutte le forze della Provincia di Terra di Lavoro, inferiori per mezzi, uomini e, tatticamente, del tutto impreparati allo scontro, ripiegarono verso le alture di Sora per partecipare poi alla liberazione di Napoli.
Conosciamo, grazie alla preziosa testimonianza di Pietro Colletta, i nomi dei due responsabili della strage: il generale di brigata Vatrin ed il comandanate Olivier, mentre l’abate Ferdinando Pistilli, autore della Descrizione storico filologica delle antiche e moderne città e castelli esistenti accosto de’ fiumi Liri e Fibreno, nato ad Isola del Liri ed ivi defunto nel 1834, ci fornisce interessanti particolari sull’episodio: i pochi superstiti si salvarono dopo aver sfidato la violenza della corrente del secondo ramo del Liri essendo stati tagliati tutti i ponti sul fiume fatta eccezione per quello della Porta di Napoli da dove, peraltro, erano penetrati i transalpini.
Tra gli uccisi vi erano 100 stranieri e non poche donne nonostante il comandante francese avesse dato ordine di non infierire sulle stesse.
Per due giorni la città fu sottoposta a ferro e fuoco ed i pochi superstiti “si dispersero in vari luoghi, particolarmente in Pescosolido, dove la carità ospitale caratterizzò que’ paesani”.
Giuseppe Nicolucci, canonico vicario della Parrocchiale, nel Liber Renatorum, ricorda come
“Le vedove superstiti fuggirono atterrite, seminude e più morte che vive, alcune a Sora, altre ad Arpino, altre in località vicine, e qui partorirono”.
Va ricordato che al Nicolucci, morto nel 1816, si deve il restauro dell’edificio di culto realizzato nel 1800 e che si dovette aspettare il 9 maggio 1999 perché la chiesa fosse riconsacrata da padre Luca Brandolini. Il religioso, invero, attribuì la strage alla stupidità tattica di Gaetano Mammone dimenticando l’ovvia superiorità sul campo di un esercito regolare rispetto a formazioni dedite alla guerriglia.
Strettamente legata all’eccidio di Isola è la profanazione dell’abbazia di Casamari del 13 maggio durante il quale le orde francesi uccisero sei monaci, il cui martirio è immortalato in una lunga epigrafe marmorea, visibile entrando sul lato destro dell’edificio di culto.
Il dato storico ci obbliga ad alcune riflessioni. È mai possibile che a 207 anni dall’avvenimento ora ricordato il fenomeno dell’Insorgenza non abbia o quasi dignità storica nel nostro Paese? E perché è poi ancora così difficile ammettere che gli italiani, al pari di tutti gli altri popoli del Vecchio Continente, non si schierarono compattamente con il regime napoleonico?
Personalmente credo che l’occupazione transalpina in Italia abbia determinato in tutta la Penisola la nascita di una percezione particolare: quella cioè che non si tratti di un’invasione tradizionale ma di un evento che pose di fronte due mondi contrapposti. È un’Italia che dal Trentino alla Calabria difende la cultura dei propri padri, la propria religione, i propri costumi. È un’Italia, invero, divisa in varii Stati ma sostanzialmente unita nel sentire, già due decenni prima dell’inizio dei moti risorgimentali.
Perché poi ignorare o sottovalutare le violenze perpetrate dai francesi che depauperarono le nostre risorse finanziarie ed impunemente saccheggiarono il nostro patrimonio storico-artistico arrecando allo stesso danni irreparabili certamente ben più gravi di quelli registrati nel secondo conflitto mondiale?
Per concludere, l’Insorgenza è, a mio avviso, un fenomeno di difesa dell’integrità nazionale dei vari Stati preunitari della nostra penisola durante il quale si saldò una forte alleanza interclassista e si esaltò il diritto di ogni popolo di opporsi ad un ogni tipo di invasione.

Stralcio della relazione letta il 25 febbraio 2006 a Roccasecca in occasione del Convegno “Le vicende del 1799 nell’alta Terra di Lavoro” organizzato dall’Associazione “Le Tre Torri”.

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