EDITORIALE


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Studi Cassinati, anno 2006, n. 1

La verità StoricaAl tempo degli anni spensierati del liceo un compagno di classe era solito chiedere: “quanto fanno due più due?”; alla risposta, ovvia: “fanno quattro!” egli correggeva: “no, fanno cinque”; subito dopo aggiungeva: “se ce ne aggiungi un altro”. Con ciò voleva affermare, non senza ironia, che qualsiasi scienza, anche la più esatta come la matematica, è esposta a varie interpretazioni o falsificazioni.
Al di là del paradosso va confermata, purtroppo, la difficoltà di trovare tutti inequivocabilmente consensienti su qualsiasi questione, specialmente se si tratta di argomenti soggetti a vari punti di vista. È il caso della ricerca storica.
Checché se ne dica negli ambienti accademici, dove si è soliti “adornare” il lavoro di indagine storica con l’appellativo di “ricerca scientifica”, va rilevato come l’esame dei fatti del passato si presti a diverse chiavi di lettura a seconda dell’impostazione culturale e filosofica (ma anche alla buona fede!) di chi fa indagine. Se poi lo studioso ha una tesi da dimostrare è addirittura inevitabile che nella ricostruzione degli eventi ometta degli elementi per porne in rilievo altri che diano conforto alla tesi di partenza: quanti fatti storici sono completamente ignorati nei manuali scolastici e perfino nelle pubblicazioni scientifiche?
Che dire, poi, di quelle categorie di pensiero, politico, economico, sociale, culturale, che determinano un ben preciso modo di interpretare gli eventi e i loro protagonisti? Ha senso parlare di storici di sinistra o di destra? A rimetterci è sempre la verità. Un esempio. Gli avvenimenti del 1799, di cui si parla ampiamente in questo numero, nonostante la loro autenticità documentata, sono letti e interpretati a seconda dei pregiudizi (sic!) di chi li analizza. Il periodo francese che seguì (1806-1815) fu una sopraffazione della cultura popolare del meridione d’Italia (oltre che del regime borbonico) o piuttosto una ventata di modernità nelle strutture sociali dell’epoca?
Analogamente, la presenza nazista sul territorio del Cassinate nel 1943/44, di cui anche si tratta nelle pagine a seguire, fu foriera soltanto di vessazioni e violenze contro la popolazione civile o si trattò di “normali” condizioni di stato di occupazione da parte di quelle truppe? Ancora, l’intervento degli eserciti alleati sulle nostre contrade fu la felice liberazione dalla tirannìa nazista o fu la tragedia immane della distruzione?
Posta così la questione, e senza scomodare gli illustri teorizzatori in materia, dobbiamo concludere che l’obiettività dello storico e l’universalità del suo giudizio sono una chimera: come puó, infatti, uno storico scrollarsi di dosso la sua cultura e la sua impostazione mentale?
Un modo ci sarebbe per giungere alla tanto agognata “verità”: lo storico dovrebbe essere animato solo dalla onesta voglia di conoscere i fatti del passato e non di giudicarli; i giudizi e le valutazioni lasciamole alla critica storica, che è altra cosa rispetto alla ricerca. .

e. p.

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