Storie di guerra nel Cassinate L’AVVENTURA DI MARIETTONE

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Studi Cassinati, anno 2005, n. 4

di Annamaria Arciero 

Ottobre 1943. Nella contrada S. Lucia di Cervaro, i tedeschi ci stavano già da prima dell’8 settembre: girovagavano su monte Trocchio, con fare misterioso agli occhi della gente semplice, la quale, se pure a malincuore, si sforzava di trattarli da amici, perché sapeva che doveva manifestare amicizia nei loro confronti, fingendo, s’intende, ché le purghe fasciste avevano funzionato durante il ventennio precedente anche lì! Ma, dopo l’8 settembre, la situazione era cambiata radicalmente.
La gente di S. Lucia lo scoprì bruscamente proprio quel giorno, non però dall’annunzio della firma dell’armistizio! Anzi fu proprio quello che procurò poi il disinganno!
Ebbra di gioia, appena sentite le campane e la radio festanti, la popolazione si era radunata e aveva deciso che bisognava andare a Cervaro in processione a ringraziare la Madonna de’ Piternis, festeggiata proprio in quella data nel paese. Era lampante che fosse un miracolo della Madonna!
E così una lunga processione si snodò per la strada che conduceva alla Casilina, attraversata la quale, iniziava la salita che conduceva a Cervaro. Ma alla Sordella, a metà strada, incontrarono un uomo che pedalava trafelato, come ansioso di dare notizie: – Tornate alle vostre case e cercate di nascondere tutto quello che potete: biancheria, roba da mangiare, animali … i tedeschi si sono scatenati: ora sono nostri nemici!
Annichiliti dalla paura, consci di averli in casa i nemici, uomini, donne e bambini corsero alle proprie abitazioni a … preparare nascondigli per la “roba”, come chiamavano, – alla maniera di Mazzarò della novella verghiana, – le povere cose guadagnate col sudore della fronte.
Chi murò le casse di biancheria – la dote delle “figlie femmine” – in un sottoscala; chi seppellì in una grossa buca, scavata frettolosamente, la macchina per cucire – la preziosa Singer, unica “macchina” posseduta anche in campagna –, chi ideò i nascondigli più ingegnosi per le bestie, al fine di fregare il nemico: i maiali furono calati nel pozzo, su una specie di zattera sospesa alle funi, le galline quasi murate, le mucche nascoste da pareti di tavole e paglia nelle stalle, le cibarie mimetizzate tra scarti, fascine, botti …
Ma i tedeschi scoprirono presto le furbizie tutte contadine e così le mucche furono sequestrate, i maiali stanati grugnendo nelle campagne – sic! I soldati giravano nei campi grugnendo e le povere bestie … rispondevano! –, il pollame, gli ovini e qualsiasi altra cosa, su cui posavano gli occhi, requisiti … E purtroppo gli occhi si posarono pure sui giovanotti e sugli uomini forti.
Li cercavano nelle case o per strada e li usavano come portantini al loro servizio, vuoi per portare cassette di munizioni su Trocchio, vuoi per scavare buche o tagliare le chiome degli ulivi … vuoi per scannare e sezionare gli animali sequestrati. E, se non c’era niente da fare, pur di fiaccarne il fisico e il morale, agli uomini, facevano caricare un grosso sasso sul petto e li portavano in montagna: forse pensando di tenerli così lontani dalla tentazione di qualche attentato.
Molte famiglie si erano organizzate anche a nascondere i giovanotti e le ragazze: avevano scavato una grossa buca, l’avevano foderata e ricoperta di tavole, e su queste avevano disposto delle fascine oppure delle cassette piene di terra con piantine e semenzai, come un orto. E qui si nascondevano le ragazze, i giovanotti, gli uomini che erano tornati dalla guerra dopo lo sbandamento seguito all’otto settembre. Altre famiglie, al momento dell’arrivo del pericolo, facevano salire lestamente la gioventù sul granaio, cui si accedeva da una scala puntata su una botola; arrivati su, si tiravano la scala, chiudevano la botola e … sparivano nel silenzio assoluto.
Solo una popolazione di anziani e bambini era visibile ai tedeschi! Mario D’Aguanno, quantunque diciottenne, non si era potuto nascondere, però.
Era un giovanottone alto, – suo padre era stato corazziere! –, robusto, tanto che era chiamato Mariettone da tutti e non certo per disprezzo. Era primo di quattro figli, di cui tre sorelle; la più piccola era appena undicenne; il padre aveva dovuto abbandonare il servizio a Roma perché colpito da una paralisi progressiva, che non gli aveva lasciato nemmeno la forza di sollevare le palpebre: per vedere implorava “Apritemi gli occhi!” Il suo apporto era quindi insostituibile in famiglia e, per di più, i tedeschi lo conoscevano bene perché, già da prima dell’otto settembre, il comando era a dieci metri dalla sua abitazione, proprio lì, agli “Auanni”, un agglomerato di case dove tutti si chiamano D’Aguanno.
Quella mattina di ottobre i tedeschi lo requisirono per portare un grosso tegame, pieno di fumanti bistecche di maiale, ai soldati che stavano installando la radio ricetrasmittente su monte Trocchio, in località Santö Francisco, situata a sella d’asino, sulla parte più bassa del monte, da dove lo sguardo e la vista spaziano da est a ovest senza ostacoli. Non furono particolarmente severi i tedeschi: lo fecero lavorare sì, senza sosta, a scavare buche, segare chiome intere di olivi per destinate a nascondere le loro postazioni, però gli offrirono da mangiare e quella bistecca di maiale, gustata con famelica avidità, fu la prima cosa che annunciò alla mamma quando ritornò a casa nel pomeriggio. Era stanco e andò a riposarsi sul granaio, relativamente tranquillo: in fondo le sorelle vivevano seminascoste, abbruttite da stracci, fuliggine, sporcizie e … pidocchi, temutissimi dagli schifiltosi tedeschi; il padre infermo era conosciuto dai soldati che stazionavano là vicino e lui era sempre disponibile a dare una mano, per tenerseli buoni, s’intende.
Ma …, c’erano tedeschi e tedeschi, – diceva la gente!–: ossia i tedeschi più umani, quelli che dovevano ubbidire per forza ai comandi superiori, e i tedeschi convinti, quelli cresciuti alla scuola hitleriana del superuomo e della violenza. Forse, quel pomeriggio di ottobre, furono proprio questi ultimi ad arrivare all’improvviso, armati e furiosi … “come cani ‘nguastiti”, a spalancare a calci le porte, a sondare col mitra l’interno delle stanze, tra le grida impaurite e soffocate delle donne, al piano terra … al primo piano … in un crescendo di terrore e di angoscia.
– Mario … caman!… – erano le uniche parole che la mamma e le sorelle e la gente capivano, in quel fiume di parole sconosciute, ma dal suono spaventoso e preoccupante. Lo scovarono, alfine, e Mario non ebbe nemmeno il tempo di allacciarsi le scarpe. Minacciandolo col mitra, continuarono a spingerlo giù per le scale, biascicando incomprensibili parole tedesche, che suonavano come imprecazioni rabbiose e cupe. Lo spinsero su una camionetta e partirono alla volta dei Cacchioli, sulla via Appia, all’altezza della strada che conduce alla Pietà. Qui era piazzata la contraerea tedesca.
Mario, nell’incoscienza dei suoi diciott’anni, era convinto che si trattasse di un malinteso, che presto si sarebbero resi conto, i tedeschi, che di lui si potevano fidare, che era “amico”, o, almeno, innocuo. E così, quando si sentì chiedere, con fare indagatorio: – Tu, Mario, ami Mussolini o Badoglio? – Rispose prontamente – Mussolini – e credette che l’equivoco fosse ormai risolto: sapeva bene che doveva rispondere così, ipocritamente certo, ma era l’unico modo per salvarsi la vita, ché, con i tedeschi non si ragionava, specie che ora si sentivano traditi.
Ma arrivò secca, come una staffilata, la risposta – No, tu ami Badoglio! Caput!
Caput! La parola più temuta, più conosciuta … più tremenda che un tedesco potesse pronunciare! È proprio vero che la grande storia passa anche sulla pelle degli umili!
Come tramortito, incredulo, si sentì caricare sul sidecar, quasi un pacco di cui ci si debba liberare.
– Chist’ më uót’ accìdë! – pensò in preda alla paura, sentendosi protagonista, suo malgrado, di un episodio di rappresaglia. Ancora oggi, quando lo racconta, Mario riconosce che la paura gli attanagliava la gola, che piangeva, che implorava … che cercava di ricorrere a tutti i mezzi per salvarsi, anche mostrarsi piagnucolone e pauroso! In fin dei conti era un ragazzo, e non certo cresciuto nell’amore per la dignità, il coraggio, la coerenza o la fierezza!
Lo fecero scendere poco dopo, in un boschetto tra la strada e la ferrovia, e cominciarono a spingerlo nel folto della vegetazione. Mario, però, aveva notato che quei due soldati avevano un solo mitra: se lo sentiva ogni tanto che gli sfiorava il braccio. Cominciò a meditare la fuga, a tentare il tutto per tutto …, tanto lo avrebbero ucciso comunque! Fingendo di inciampare, si tolse le scarpe, così sarebbe potuto fuggire meglio, poi, quando sentì che il mitra del soldato era vicino al suo braccio, lanciò un urlo:
-Madooonna della Pietàààà …
Più che un urlo era un’invocazione di intervento divino, e, nello stesso tempo di accompagnamento all’azione, come quello di Rocki o di Rambo nei film di oggi, ma, fatto sta che il tedesco armato rimase un attimo interdetto e di questo approfittò Mario: in un batter d’ occhio gli strappò di mano il mitra e glielo puntò contro.
Ora che i ruoli si erano invertiti, avevano paura entrambi: i soldati, perché erano sotto tiro e … Mario, perché quel mitra certo non lo sapeva usare! Cercando di non far trapelare il suo timore, anzi mostrando sicurezza e spavalderia, Mario cominciò a indietreggiare e, arrivato a una certa distanza, si girò di scatto e incominciò a correre. Sentì che gli lanciavano una bomba a mano, tra grida concitate e rabbiose, ma la fortuna era ormai dalla sua: la bomba non scoppiò! E corse … corse …, scalzo e sanguinante, senza avvertire spine o pietre aguzze sotto i piedi. In un fosso vicino alla ferrovia si disfece dell’arma e proseguì fino a casa, ansioso più che mai di tranquillizzare i familiari. Il racconto della sua avventura passò di bocca in bocca in tutta la contrada e da tutti l’epilogo fu ritenuto opera dell’intervento divino. Lui, Mariettone, ne è stato sempre convinto.
Scappò ancora, scampò ancora varie volte a pericoli mortali, fu sfollato in Calabria e alla fine si riunì alla sua famiglia e, quando finalmente, dopo anni di duro lavoro in Venezuela, si è costruita una dignitosa e bella casa nella sua contrada, ha inserito, nel muro di cinta, una cappelletta alla Madonna della Pietà. Non per ostentare devozione, ma per “far sapere” a tutti la sua riconoscenza alla Madonna, quasi un invito alla fede e alla fiducia nel divino.

 

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