Studi Cassinati, anno 2005, n. 2
di Sergio Saragosa
Dagli inizi del mese di febbraio del 1944, sulle colline che circondano la millenaria Abbazia di Montecassino, si erano susseguiti, da parte alleata, sanguinosi attacchi nel tentativo di aprire un varco nella poderosa Linea Gustav, ma senza alcun esito. Nel mese di marzo era in pieno svolgimento la terza battaglia di Cassino (15-24 marzo 1944), denominata in codice “Operazione Dickens”. Considerata la vanità degli attacchi e visto l’elevato numero delle vittime che restavano ammucchiate sulle rocce, preda di famelici ratti, il Generale neozelandese Freyberg, che al momento aveva il comando delle operazioni alleate nella zona di Cassino, e il suo ingegnere capo, Brigadiere Hanson, decisero di tentare un attacco con una colonna di carri armati sfruttando il tracciato di una antica mulattiera che dalla contrada Fonnone, nella zona ad ovest del villaggio di Caira, si arrampicava attraverso un percorso accidentato fino al lato occidentale dell’Abbazia. La prima parte della mulattiera è alquanto ripida, ma corta e subito dopo continua per un lungo tratto superando un leggero dislivello, fino al punto in cui attraversa il letto di un piccolo torrente, superato il quale inizia il tratto più faticoso e erto. Superato il punto in cui ha inizio il torrente del Dente, prosegue con un percorso abbastanza agibile fino alla gola che sovrasta la valle in cui sorgono i resti di Masseria Albaneta, oltre la quale procede anche in discesa per arrivare con un erto e breve pendio alla base delle mura dell’Abbazia di Montecassino. Oggi l’intero tracciato è percorribile, come prima della guerra, solo a piedi. Con i mezzi si puó sfruttare solo il tracciato che dal cimitero di guerra polacco arriva fino al monumento detto “il carro armato” e appena un po’ più oltre.
Dal primo marzo del ’44 iniziarono i lavori manuali per l’allargamento e il consolidamento della mulattiera che sulle mappe alleate era denominata “Cavendish Road” (strada, sentiero, scavato attraverso un terreno roccioso), ma per il superamento di tre sezioni di solido calcare e di molti pezzi di affioramento superficiale di roccia, dal giorno 6 dello stesso mese, si rese necessario l’uso di 2 bulldozer del tipo D4, di 1 del tipo D7 e di altri 2 del tipo D6, con compressori di rimorchio Worthington e Morris. Con l’impiego di questi mezzi, di 4 plotoni di scavatori e di 1700 libbre di esplosivo, protetti da cortine fumogene, dopo 6 giorni di estenuante e faticoso lavoro, a mezzogiorno dell’11 marzo, la mulattiera fu pronta per il transito di una colonna corazzata.
Alle ore 6,oo della mattina del 19 marzo 1944, giorno di S. Giuseppe, seguendo strade diverse da Caira e dalla contrada Monterotondo, al buio e non tutti in un’unica colonna per non correre il rischio di essere individuati dalle vedette tedesche e per poter contare sulla più completa sorpresa, 15 carri armati Sherman dello squadrone del 20° Regg.to corazzato neozelandese, 12 carri leggeri Stuart Honey del peso di 16 tonnellate, armati con un cannone calibro 37, una mitragliera pesante e una antiaerea, in dotazione alla compagnia “D” del 760° Batt.ne corazzato americano, 5 Stuart Honey dello squadrone da ricognizione della settima Brigata indiana e 3 cannoni semoventi, si trovarono all’imbocco della Cavendish Road, appena oltre il bivio della contrada Fonnone. Altre fonti parlano di 16 Sherman neozelandesi, di 3 Sherman e 5 Stuart indiani e di 16 Stuart americani.
Il comando di questa poderosa colonna corazzata fu affidato al Tenente Colonnello di artiglieria J.F. Ayde, che non aveva nessuna esperienza di combattimento con i carri. E questo fu il primo errore. I tre diversi gruppi di soldati alleati (americani, neozelandesi e indiani), inoltre, rispondevano solamente al proprio superiore, non conoscevano nei particolari il tracciato che i propri carri dovevano percorrere e, fatto più grave di tutti, non avevano appoggio di fanteria, essenziale in azioni di questo tipo. Anche a questo proposito ci sono versioni contrastanti. Alcuni testi raccontano che il Maggiore Neozelandese Barton richiese questo appoggio, ma che gli venne negato in quanto nessuno tra gli alleati aveva fanteria da impiegare nell’azione, che era impegnata negli assalti di quelle terribili giornate, mentre un’altra fonte dice che questa azione doveva essere sospesa e rinviata perché gli altri tentativi ad essa collegati, come la conquista e il consolidamento della Rocca Janula, erano falliti e quindi era inutile effettuare quel tentativo. Nessuno però inviò al comandante della colonna l’ordine di annullamento o qualcuno se ne dimenticò.
Dopo alcune ore impiegate per superare l’erta della gola del torrente del Dente, il tratto più difficile e che, in caso di avarie, non permetteva nemmeno l’inversione di marcia, la colonna si avviò verso la Masseria Albaneta, posta a metà circa tra la gola del torrente del Dente e l’Abbazia di Montecassino, fortificata adeguatamente dai tedeschi. La colonna era stata suddivisa in 2 gruppi: i carri neozelandesi, che procedevano in testa, dovevano prendere la Masseria Albaneta e proseguire quindi verso l’Abbazia, mentre gli altri, quelli americani e indiani, dovevano dirigersi alle spalle della stessa. Frattanto, procedendo nella valle sottostante la gola che sovrasta di poco la Masseria Albaneta, i carri incontrarono una zona minata e a 4 di essi saltarono i cingoli, restando immobilizzati nei crateri aperti dalle esplosioni. Fu a questo punto che qualcuno avvistò la colonna di carri e inviò un rapporto al Quartier Generale del 2° Batt.ne del 4° Regg.to Paracadutisti. Il Quartier Generale, come racconta R. Bohmler nel libro “Monte Cassino”, pensò ad uno scherzo, ma il Maggiore Grasshmel, esperto di cose di guerra, inviò in perlustrazione il Tenente Eckel per verificare la veridicità della comunicazione.
Frattanto al Comando di Regg.to l’attacco veniva confermato dal Tenente Meyer e iniziava il fuoco delle batterie tedesche sui carri che erano già arrivati nei pressi della Masseria Albaneta. Diradatosi il fumo prodotto dai numerosi colpi, i paracadutisti tedeschi notarono diversi carri armati immobilizzati o distrutti. Questa prima azione si svolse verso le 10,30 circa. Il Tenente Eckel, al quale si erano uniti il portaordini caporale Kammermann (Eckermann?) e un corrispondente di guerra, approfittò dello scompiglio creatosi. Il caporale che aveva portato con sé un’arma anticarro con tre munizioni, riuscì ad immobilizzare un altro carro. A questo punto 3 Sherman imboccarono il sentiero che portava all’Abbazia e che era stato reso transitabile nel mese di febbraio ai fuoristrada che dovevano rifornire la Settima Brigata indiana. Il Tenente Eckel, che aveva trovato tre mine Teller nei pressi della Masseria, correndo piegato riuscì a sopravanzare i carri e a piazzarle sullo stretto sentiero. Il primo carro, senza accorgersi di nulla, vi passò sopra e rimase bloccato dall’esplosione, impedendo il transito agli altri due. Intorno alla Masseria Albaneta infuriava intanto la battaglia e sia i carri in avaria sia quelli ancora intatti sparavano con tutte le armi in ogni direzione. Mentre i tiratori scelti tedeschi cercavano di centrare i periscopi dei carri per renderli inoffensivi, Eckel andò a prendere altre mine Teller, ma rimase ferito alla schiena. Ritornò comunque sul sentiero dove intanto gli altri due carri erano riusciti a spostare il primo rimorchiandolo con i cavi, balzò sul primo dei due, alzò la torretta, vi buttò dentro una mina innescata e si mise al riparo dietro una roccia in attesa dell’esplosione. Dietro di lui, prima dello scoppio, due soldati del carro fecero appena in tempo a saltare, mettendosi anch’essi in salvo. Altri paracadutisti che avevano assistito alle azioni di Eckel si buttarono allora nella mischia e resero inoffensivi diversi altri carri armati. La battaglia durò fino all’una del pomeriggio e poi i carri superstiti si rifugiarono oltre la gola sopra la Masseria, al riparo dai colpi dei mortai e dei tiratori scelti. Alle 17,30 arrivò l’ordine di ripiegamento giù fino a Caira. Il tentativo era fallito. Esso costò la vita a 6 soldati alleati, altri 19 rimasero feriti e 4 risultarono dispersi; 3 Sherman e 3 Stuart andarono distrutti, mentre 9 Sherman e 7 Stuart rimasero immobilizzati e poi fatti saltare dai paracadutisti tedeschi durante la notte.
Il 24 marzo, con un alto numero di perdite umane sia su un fronte che sull’altro, ma senza evidenti risultati positivi, terminava anche la terza battaglia di Cassino.
Certo è che l’intuizione di Freyberg di tentare l’aggiramento delle postazioni tedesche salendo con una colonna corazzata attraverso la Cavendish Road e cogliendole completamente di sorpresa fu una mossa eccellente. La sorpresa infatti fu totale perché nessuno pensava ad un attacco con i carri armati su quei dirupi e su quelle rocce e i paracadutisti tedeschi pensarono ad uno sfondamento della Lina Gustav. Anche i preparativi erano stati effettuati in modo encomiabile. Fu un grave errore invece non credere fermamente e completamente nella validità di quella azione, non affiancando a quella colonna di carri armati altre indispensabili forze che dovevano assicurarne la buona riuscita. Forse la Linea Gustav avrebbe ceduto esattamente due mesi prima e migliaia di vite umane sarebbero state sicuramente risparmiate.
Dopo un lungo periodo di tempo dedicato a riorganizzarsi, il giorno 11 maggio del 1944, gli alleati ripresero l’offensiva e scatenarono il quarto e ultimo attacco alla Linea Gustav, che vide impegnate nelle stesse zone della Cavendish Road le 2 divisioni polacche: la terza Carpazi e la quinta Kresowa. La prima era agli ordini del Gen.le B. Duck e la seconda agli ordini del Gen.le N. Sulik. Siccome entrambi ambivano ad essere prescelti per l’attacco definitivo all’Abbazia, il Gen. Anders decise di affidare la scelta alla sorte: a chi avesse pescato il fiammifero più corto tra due, sarebbe toccato di piegare a destra una volta raggiunta la Masseria Albaneta. Questo fiammifero fu preso da Sulik e fu quindi affidato alla Div. Carpazi e a Duck il compito di prendere Montacassino. Quest’ultima battaglia, protrattasi dall’11 al 18 maggio, prese il nome in codice di “Operazione Diadem”.
Nelle settimane precedenti l’inizio dell’attacco i polacchi non potettero mandare pattuglie in ricognizione per non rivelare ai tedeschi le intenzioni degli alleati, dovettero ammucchiare munizioni, viveri e medicinali di notte o sotto cortina fumogena e a questa operazione presero parte anche 5 compagnie italiane (4 someggiate e una di portatori). Fu necessario rendere di nuovo agibile ai mezzi pesanti e ai carri il primo chilometro della Cavendish Road e quest’ultimo compito fu assolto dal 10° Batt.ne Genio Polacco che operò sotto reti mimetiche e sotto cortina fumogena.
La mattina del 12 maggio 1944 la Cavendish Road brulicava di uomini e di mezzi e tra questi si notavano anche 5 carri armati Sherman. Giunti più o meno nella stessa zona della precedente battaglia, non ostante l’appoggio della fanteria e dei genieri che bonificavano il terreno, il tentativo fallì a causa della strenua resistenza dei paracadutisti tedeschi. Uno dei carri andò fuori strada e rimase bloccato, 2 furono immobilizzati dallo scoppio delle mine, un quarto ebbe il motore colpito e l’ultimo fu preso in pieno da una granata. Il capitano Orlowski cercò di far avanzare altri carri ma il fuoco di sbarramento lo impedì. Ai piedi della Cavendish Road, in
contrada Orsaia, era stato allestito un centro di primo soccorso e in quella tremenda settimana di maggio interminabili colonne di barellieri trasportarono giù per il roccioso sentiero centinaia di feriti e di morti.
Bisognò aspettare la mattina del 18 maggio per poter entrare finalmente nell’Abbazia di Montecassino ridotta precedentemente ad un cumulo di rovine.
A ricordo delle sanguinose battaglie combattute su quelle alture e a monito per le generazioni future, fu lasciato in quei luoghi, proprio nei pressi della gola che sovrasta Masseria Albaneta, uno dei carri armati che si arrampicarono sull’impervia mulattiera denominata Cavendish Road. Quel luogo è conosciuto ancora oggi come “ Il Carrarmato”.
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