Studi Cassinati, anno 2005, n. 2
di Giovanni Petrucci
La Fontana sorgeva nel luogo più importante e caratteristico del paese e contribuì a determinare la scelta per il nuovo insediamento di Sancto Helia dopo che i Saraceni nell’anno 866, sotto il comando del loro re di Bari, Sedoan, saccheggiarono la chiesa di S. Elia Vecchio e le case che certamente sorgevano all’intorno.
L’abate Mansone (986-996), nel proseguire l’opera dell’abate Aligerno (948-985), curò intorno al 9901 il ripopolamento delle terre di Sancto Helia, invitando da altre regioni famiglie di colononi con patti agrari formulati secondo le direttive del suo predecessore, affinché rimettessero a coltura le terre abbandonate e restaurassero la chiesa; in tale occasione ci fu la fondazione del nuovo castrum e la scelta cadde sull’attuale poggio più in alto e più sicuro per il nuovo insediamento, in quanto all’Abate stava a cuore anche la difesa della popolazione; per questo motivo completò le fortificazioni della rocca Janula nella vicina San Germano2.
L’ubicazione del nuovo centro fu certamente felice sia per la sicurezza da eventuali altre scorrerie, sia perché si trovava in mezzo a terreni fertili, irrigui, solcati da molti ruscelli, dal Rio Valleluce e dal fiume Rapido; questo assicurò la vita della popolazione, specialmente con le molteplici attività che vi sorsero col passar degli anni. Diciamo allora che S. Elia deve la sua vita principalmente agli abati di Montecassino e al fiume, come su un piano diverso l’Egitto fu un dono del Nilo3.
E la Fontana divenne il fulcro della vita del paese, il luogo più importante, un vero centro di attrattiva, in quanto le donne oltre ad attingere l’acqua, vi potevano appurare notizie fresche sugli avvenimenti della giornata.
Nei paraggi sorgevano le abitazioni degli ortolani, dai quali esse si recavano per gli acquisti quotidiani delle verdure, sempre fresche e proprio allora approntate in ceste e lasciate a lavare nell’acqua corrente.
Abbiamo notizie che fin dal 1251 vi doveva essere un mulino4, forse ubicato proprio nei pressi del lavatoio pubblico; negli Statuti del 1559 fra i quattro mulini elencati vi è proprio quello della Fontana5: lo documenta inoltre una foto del 1915; questo venne poi spostato ad un centinaio di metri più a sud; c’è chi ricorda ancora una scritta che era a lato della porta: Mulino di S. Biagio. Aveva una immensa aia all’ingresso, dove le massaie, dopo aver lavato il grano, lo lasciavano ad asciugare e sostavano in attesa del turno della molitura.
A cinquanta passi, verso il Rapido, era l’entrata dell’opificio Picano, dove intorno agli anni 1850 lavoravano oltre 150 operai, i quali durante la seconda grande guerra mondiale si ridussero ad una trentina.
Alla Fontana le donne si recavano con la caratteristica cannata di terracotta, panciuta, dai manici ricurvi terminanti all’apertura e dal beccuccio. La portavano poggiata sulla testa per mezzo di un cercine e camminavano elegantemente in equilibrio, a volte anche senza sorreggerla con le mani.
Nello spiazzo antistante alle vasche era un cubo di muratura alto circa un metro, sul quale esse ponevano la cannata per poi poggiarla da sole e senza l’aiuto dell’amica sulla testa.
Venne in certo modo abbandonata nel 1932, quando fu costruito l’acquedotto comunale con otto fontanini a getto continuo per il paese, ma restò il grande lavatoio, fabbricato con ingegnosità e a regola d’arte, di quasi dieci metri di lunghezza e dodici vasche, in ciascuna delle quali, per mezzo di un semplice sistema di canalizzazione, scorreva sempre acqua limpida; in verità per lavare i panni le massaie santeliane disponevano anche delle rive del Rapido, dalla Cartiera fino al Ponte degli Sterponi, nei luoghi dove la corrente era più bassa e meno vorticosa.
Gli abitanti della zona sud del paese vi arrivavano utilizzando l’uscita di Via Gradelle; gli altri, molto più numerosi, passavano per la Portella. Questa porta oggi non ha più importanza, ma un tempo era al centro della vita cittadina e per la sua strada era un via-vai di gente che si recava ad attingere acqua.
Probabilmente la Fontana è stata sempre uguale e si presentava come ancora era era fino ad un cinquantennio fa: appariva con un fondale, a protezione dei punti di captazione, alto oltre due metri e lungo circa dodici; tale superficie era ed è divisa da quattro pilastri di pietra; nella parte centrale vi è un fornice formato da nove pietre bugnate, coperto da uno sportello di ferro sgangherato; cannelle di ferro del diametro di alcuni centimetri versavano acqua gelida in quattro vasche.
Nel corso dei secoli, come si comprende dal documento riportato in nota, certamente vi saranno stati eseguiti lavori di manutenzione; probabilmente quelli di sistemazione definitiva vennero compiuti intorno al 18206.
Ma da alcuni decenni è in abbandono tutto: nel lavatoio, cui è stato demolita la copertura, scorre in abbondanza l’acqua ed è impossibile sostarvi; le quattro vasche, che per tanti secoli hanno dissetato i Sanrteliani, sono completamente ostruite da rovi ed inaccessibili; vi è addossata un’area di parcheggio che ostruisce l’entrata.
Non era possibile, ci chiediamo, lasciare lo spiazzo di un tempo, anzi migliorarlo per le auto? Sembra che in paese non si avverta interesse per le cose del passato.
Ed a questo punto corre l’obbligo di ricordare un detto di Nonna Caterina: Le fontane non bisogna mai intorbidarle, perché arriva un tempo che dovrai andarci a bere!
1 Pantoni A., Un Ponte romano presso Sant’Elia Fiumerapido, in “Archeologia”, Roma, 1969, p. 151: il Pantoni fissa al 990 il trasferimento di S. Elia nella località più a nord; tale ipotesi va condivisa pienamente: “Il trasferimento in posizione più elevata avvenne per motivi di maggiore sicurezza, intorno all’anno 990, ad opera dell’abate Mansone di Montecassino, da cui dipendeva anche S. Elia”.
2 Leone Ostiense, Chronica Monasterii Casinensis, Ed. H Hoffmann, in M.G.H., Scriptores, II, 13, CDMS, ibidem, p. 192: “Hic abbas [Manso abbas] fecit libellum quibusdam nostratibus iuxta tenorem abbatis Aligerni et posuit eos circa sanctum Heliam, ut et ipsam ecclesiam a barbariis destructam restaurarent et terras in circuitu eius iuxta terminos statutos excolerent… ”
3 Lanni M., ibidem, p. 12: “La scelta del sito, ove venne fondata la terra, fu buona e per essere atto a fortificarsi, e per la salubrità dell’aria e per la comodità delle acque”.
Gattola E., Ad historiam abbatiae Cassinensis, II, ibidem, p. 749: “Oppidum S. Eliae in amaeno tumulo situm, primum ab Ignoto Cassinensi circa saeculum nonum memoratur, atque anno 1057 a Victore II in Diplomate, quod in Dissertatione I dabimus”.
4 Regesti Bernardi I Abbatis Casinensis fragmenta, cura et studio D. Anselmi Mariae Caplet, Romae, MDCCCLXXXX, d. n. 193 del 10 gennaio 1251: “… vendit terram… iuxta domum et hortum presbyteri Iacobi et formam aquae, quae labitur ad molendinum Mauri… ”
5 Statuti del 1559, in Archivio di Montecassino, capitolo 62
6 Archivio di Stato di Caserta, Intendenza Borbonica, affari comunali, busta n. 2586, ex pacco 1474. I lavori descritti vennero eseguiti in base ai rilievi e alla progettazione dell’ing. Luigi de Medici del 21 settembre 1819; nella relazione si legge: “L’unica Fontana di S. Elia ove la Popolazione và a provvedersi di acqua per i bisogni della vita, merita di essere riformata, onde preservarla dalle immondezze da cui attualmente è ingombra; … l’unica acqua sorgiva di cui possa farsi uso, nasce sotto al terreno degli eredi di Baldassarre D’Agostino prossimo al Comune, che tosto si dirama in più ruscelli, ed indi attraversando la strada pubblica … va a scaricarsi nel fiume chiamato Rapido … che anima molte macchine … che scaricano delle sudicezze” perciò sarebbe opportuno “riunire quelle varie vene di acqua e scaricarle dentro una vasca”.
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