Studi Cassinati, anno 2005, n. 1
di Assunta Pelliccio
Nel Regno di Napoli l’industria della carta risale almeno all’XI secolo, furono probabilmente gli amalfitani, grazie ai loro vasti rapporti commerciali ad importare e a diffondere le tecniche di lavorazione monopolizzando per molti anni il mercato cartaceo grazie all’alta qualità del loro prodotto, ma il mancato ammodernamento dei metodi di fabbricazione e la richiesta di un prodotto più economico portarono al tramonto del loro primato. Tutte le cartiere del regno di Napoli mostravano infatti nei primi anni dell’800 una situazione di grande arretratezza: la qualità della carta era mediocre a causa della fabbricazione basata ancora su metodi manuali; negli stessi anni il settore cartario non poté non subire il contraccolpo dei disordini politici di quegli anni.
L’introduzione della fabbricazione della carta nella valle del Liri fu dovuta alla presenza di fiumi – il Liri, il Rapido, il Fibreno – che erano ricchi di acque purissime, particolarmente adatte alla lavorazione della carta; agli abitanti della zona non restò che assimilare il procedimento di lavorazione della carta già sperimentato dagli amalfitani e perfezionato dai fabrianesi; la prima cartiera della zona del Liri risale infatti al 1516 e fu fondata a S. Elia Fiumerapido su commissione dell’Abbazia di Montecassino che voleva rendere più autonomo il suo operoso scriptorium anche dal punto di vista della produzione dei supporti.
A partire da questo primo insediamento industriale furono molte le cartiere che nacquero nel nostro territorio: la cartiera di Carnello ed una seconda a S. Elia tra il 1519 e il 1591; la cartiera dell’Anitrella a Monte S. Giovanni Campano intorno al 1777 e quella di Sora nel 1796. Altre cartiere che possono essere ritenute storiche vengono fondate e iniziano la produzione nel periodo che va dal 1812 con quella del Fibreno a Isola Liri fino alla Cartiera Tersigni a Fontana Liri nel 1896.
Un posto importante in questo elenco spetta alla cartiera Bartolomucci, nel territorio del comune di Picinisco, in una località oggi denominata “Borgo Castellone” che chiaramente ad essa deve il nome.
Le prime notizie storiche su questo impianto ci indicano come la sua fondazione sia avvenuta nel 1630 ca, su un progetto specifico voluto dal duca di Alvito, Francesco Gallio; ma bisogna attendere l’inizio del XIX secolo per avere altre indicazioni, che testimoniano un suo ampliamento sull’onda del successo imprenditoriale della contemporanea Cartiera del Fibreno a Isola Liri.
L’opificio in esame deve aver subito cominciato a dare buoni frutti, visto che nel primo quarto del XIX secolo i proprietari fratelli Bartolomucci iniziano complessi ed onerosi lavori di ampliamento dell’opificio costruendo un edificio di tre piani, lungo 130 palmi, largo 30 e alto 60.
Lo stabilimento aveva macchine dell’ultima generazione con le quali venivano prodotti più di venti diversi tipi di carta, per la cui vendita era stato acquistato un magazzino (fondaco) al centro di Napoli.
Esistevano anche delle abitazioni per i 64 operari (32 donne e 32 uomini) che venivano istruiti da personale francese, che alloggiava anch’esso nella cartiera, ed anche per il direttore dello stabilimento Lorenzo Montgolfier, della famiglia dell’inventore dell’aerostato.
Nel 1828 a causa della distanza dalla strada consolare che richiedeva trasporti costosi delle materie a dorso di mulo, i Bartolomucci chiedono la costruzione di una strada da Picinisco ad Atina; questi lavori di miglioramento hanno il loro punto più alto quando la cartiera Bartolomucci diventa fornitrice del Ministero degli Interni e viene ritenuta la migliore cartiera del Regno delle Due Sicilie.
Questo stato di cose in cui la produzione procede in modo più che soddisfacente fino al 1870 circa, quando una metà della proprietà Bartolomucci viene acquistata dai Visocchi, proprietari della cartiera di Atina; questa nuova doppia proprietà sembra dare ulteriore linfa alla cartiera, che tra il 1876 e il 1890 occupa 90 operai e non riesce a soddisfare tutte le richieste del mercato.
Negli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo, sull’onda di quanto avveniva in Europa si cominciarono ad adottare materie prime nuove per l’Italia come la pasta di legno e la cellulosa1 che resero necessario un radicale rinnovamento delle tecnlogie a cui non tutte le imprese si trovarono preparate. L’ammodernamento interessò soprattutto il Nord Italia, dove si trovavano cartiere e risorse e dove i consumi erano particolarmente sostenuti; forse anche per queste cause la Cartiera Bartolomucci nel 1896 inizia un lento ma inesorabile declino, tanto che occupa solo 10 operai a fronte dei 90 di pochi anni prima. Nel 1906 i Bartolomucci lasciano la proprietà cedendo ai Visocchi l’altra metà dello stabilimento.
La storia della nostra cartiera arriva ai giorni nostri quando, nel 1984, viene rilevata da privati, e i suoi locali, compreso il mulino di pertinenza, vengono convertiti in appartamenti. La conversione ne ha probabilmente evitato la perdita, poiché oggi, diventata una residenza, viene conservata e curata dai proprietari.
I documenti cui si fa cenno nel titolo, si inseriscono cronologicamente circa alla metà di questa storia chiarificandone le fasi di insediamento e costruzione. La data della loro redazione si inserisce in maniera emblematicamente coerente con lo sviluppo storico della Cartriera, che intorno al 1870 vede la cessione di metà della proprietà da parte dei Bartolomucci ai Visocchi: è più che probabile quindi che, in vista della vendita, si sia effettuato un rilevamento ed una planimetria da allegare all’atto di vendita.
Si tratta di due planimetrie: la Pianta della Cartiera Granili e sue Adiacenze (Fig. 1) e la Pianta del terreno denominato S. Lucia 2 dei Signori Fratelli Bartolomucci in Picinisco (Fig. 2), redatte in scale diverse 3, ma che si combinano tra loro a formare la descrizione dell’intera proprietà.
Possiamo datare questi elaborati con estrema precisione, dal timbro che annulla la marca da bollo del valore di lire 4 su cui appare l’effige di Vittorio Emanuele II al 20 ottobre 1868 che entrambe le piante riportano.
Altro elemento comune sono le tre firme che compaiono in calce, probabilmente dei tecnici che effettuarono il rilevamento ed il disegno delle due proprietà: Giuseppe de Nicola, Francesco Coccoli e Raffaele Danese.
La grafica è estremamente interessante ed in alcuni particolari di grande raffinatezza: basti fare cenno alla minuta descrizione dei vari tipi di piantumazione, disegnati in maniera precisa e puntuale, senza dimenticare un raffinatissimo trattamento delle ombre applicato sia alle essenze più alte che a quelli più basse
Notevole la cura dei particolari, anche i più semplici e umili, come nell’esempio riportato nella figura 3, ingrandimento di una porzione della tavola intera, in cui è possibile individuare accanto alla “Villa Palazzata” indicata con la Lettera D: “9.Torre in fabbrica per palombara”. “10.Casotto in legno pel giardiniere”, “11.Capannaccio di legno per rimessa di animali”, “8.Casetta in fabbrica per liscivia”.
Altro elemento che viene chiarito dall’analisi del documento è che il corpo di fabbrica che oggi chiude il complesso e che appare all’estrema sinistra della foto 4b all’epoca ancora non esisteva, mentre al suo posto il complesso era delimitato da un semplice muro; come pure l’attuale nucleo centrale, visibile nella foto 4a come il corpo più alto, e sono quindi entrambi da ascrivere al periodo immediatamente successivo alla redazione degli elaborati, quello del massimo sviluppo dello stabilimento, tra il 1870 e il 1890.
In conclusione questi due elaborati grafici, sono testimoni preziosi sia per la definizione e puntualizzazione dei metodi di rappresentazione di quello scorcio del XIX secolo, ma anche e soprattutto per chiarificare e rendere manifesta la ricostruzione del passato di questo territorio e per tutelarne la memoria storica.
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