Studi Cassinati, anno 2004, n. 1/2
di Emilio Pistilli
L’epigrafe che ci segnala Giovanni Petrucci ci richiama un personaggio, Obultronius Cultellus, già noto all’epigrafia cassinate come Praefectus Fabrum o come Duumvir. Lo ritroviamo in quella riportata dal C.I.L., X1, 5188, in quella pubblicata per la prima volta da Antonio Giannetti nel 19711, in quella ritrovata da Gianfilippo Carettoni nel teatro di Casinum2.
La lettura corretta dell’iscrizione di Prepoie dovrebbe essere:
m · obvltronivs · cvltellvs
preaf · fabr · divi · clavdi
ivssv
caesaris · dedicavit
Mi conforta nella lettura l’illustre epigrafista finlandese Heikki Solin, che l’ha esaminata ai primi di giugno e che mi conferma, tra l’altro, essere inedita.
Ma una ulteriore conferma la si ritrova nella citata epigrafe n. 5188 del Corpus delle iscrizioni latine, attualmente collocata dinanzi al tribunale di Cassino, dove fu rinvenuta dopo la guerra e della quale ci siamo già occupati su Studi Cassinati3. Il
testo è identico ma cambia solo l’impaginato:
m · obvltronivs · cvltellvs · preaf · fabr
divi · clavdi · ivssv · caesaris · dedicavit
Un’altra caratteristica differenzia le due iscrizioni: mentre la seconda è la base o piedistallo di qualcosa, forse di una statua, e non presenta altre tracce di possibile testo, la prima è un blocco che all’origine era inserito in una struttura; lo dimostra la sua fattura: ben rifinita ed incorniciata la faccia anteriore, tagliate a squadro le facce laterali ma con la scalpellatura grezza, non lavorata la faccia posteriore; forse incorporata in una edicola, mentre manca tutto il testo iniziale perché abraso con scalpellatura.
Ma soffermiamoci su queste ultime due perché aprono spiragli di indagine molto interessanti.
L’epigrafe di Prepoie è stata ritrovata alla profondità di circa due metri, sotto uno strato di terreno in frana, a breve distanza, come già detto da Petrucci, dall’acquedotto romano di Valleluce, che in quella zona, forse, era predisposto per oltrepassare il fondovalle di Belmonte Castello per poi dirigersi verso Casinum. Sorge, a questo punto, il legittimo interrogativo: poteva il nostro reperto essere connesso con lo stesso acquedotto? Se così fosse potremmo immaginare che fosse inserito nella stessa muratura del condotto d’acqua, e a confermarlo ci sarebbero varie pietre di grosso taglio sommariamente squadrate sparse sul terreno circostante. Dunque l’Obultronius dell’epigrafe potrebbe aver avuto a che fare con l’acquedotto di Casinum. Peccato che la parte superiore dell’iscrizione sia stata asportata: si è trattato di una damnatio memoriae o dei preparativi per un riutilizzo? Che cosa dedicava il Nostro?
L’altra lapide che attualmente è visibile dinanzi al tribunale di Cassino, pur riportando, come già detto, l’identico testo (e solo quello), è un basamento, anch’esso destinato ad essere incorporato in una più grande struttura con la sola faccia anteriore visibile: ce lo conferma Filippo Ponari che per primo la vide affiorare nel 1876 dagli scavi per la nuova strada per Montecassino, a breve distanza dal teatro romano4. Verso la fine dell’Ottocento fu trasportata a Cassino per far parte di una raccolta epigrafica in un apposito museo da allestire, ma di cui non si è saputo più nulla e del quale si parlerà oltre5.
Lo stesso Ponari, però, in un secondo momento riferisce che il luogo del ritrovamento non era quello dell’originaria collocazione6.
Anche qui la domanda: cosa dedicava Obultronius? Se richiamiamo l’altra epigrafe ritrovata da Carettoni nel teatro romano riscontriamo due momenti diversi: in quella il Nostro era Duumviro, nelle altre era Prefetto dei Fabbri; in ogni caso rileviamo che il suo nome è legato al teatro, probabilmente ad opere di restauro, forse anche al mausoleo cosiddetto degli Ummidi, se si dà credito al Ponari, oppure all’acquedotto romano il cui sbocco era di poco più in alto.
Se proviamo ad esaminare l’ipotesi che Obultronio avesse avuto a che fare con l’acquedotto troviamo due possibili riscontri: la vicinanza dell’epigrafe di Prepoie all’acquedotto o ad una struttura ad esso collegata (condotta su piloni per superare il fondovalle o derivazione di acque per altra destinazione), e – perché no? – la vicinanza dell’altra al terminal dello stesso acquedotto in pieno centro urbano di Casinum, da dove potrebbe essere rotolata fino al luogo del suo ritrovamento.
Dunque per Obultronio, prefetto dei fabbri, abbiamo due iscrizioni: una con solo testo, in zona rurale, inserita in una struttura scomparsa ma a breve distanza dall’acquedotto romano, ritrovata quasi in situ, a parte la lieve traslazione a valle dovuta a fenomeni di smottamento; l’altra, identica come testo, su base di monumento, anch’essa fuori dal primitivo sito, dove era incastonata in una struttura, probabilmente nel luogo terminale dell’acquedotto, e di poco rotolata a valle.
Allora, se l’ipotesi ha senso, dobbiamo porre la domanda in questo modo: cosa aveva a che vedere Obultronio con l’acquedotto romano?
La data di costruzione dell’acquedotto va posta tra il 43 e 52 d. C.7, “comunque non più addietro dell’età dei Claudii”8.
Sul nome del costruttore gli storici sembrano essere tutti (o quasi tutti) d’accordo, ed è quello ricordato da una iscrizione rupestre posta nel bosco a nord del santuario di Casalucense, 100 metri al di sotto dell’acquedotto proveniente dalla contrada Campo, di Valleluce:
nvmphis · aeter
nis · sacrvm
ti · cl · praec · ligar
magonianvs · per
praecilivm · zoticvm
patrem · aqua · indvxit
Un’altra epigrafe, scomparsa ormai da vari secoli e segnalata nella chiesa di Valleluce, ricorda un certo Albinus che aveva condotto l’acqua fino a Casinum per 15 miglia9.
Dunque dovremmo astenerci dalla tentazione di attribuire la paternità dell’opera al nostro Obultronio. E lo faremo.
Tuttavia non va trascurata una tesi, degna di ogni attenzione ma passata fin’ora inosservata, secondo la quale il personaggio dell’epigrafe di Casalucense nulla ha a che vedere con l’acquedotto di Valleluce. Stiamo parlando dello studio dell’ing. Giovanni Picano, L’acquedotto romano di Cassino, uscito postumo nel 1995 ma elaborato attorno agli anni Cinquanta10. Se ne riporta qui appresso un breve stralcio che puó far molto riflettere e al quale rinvio a sostegno di quanto andrò dicendo.
Intanto ritengo che la questione: “chi ha costruito l’acquedotto di Valleluce”, sia posta in maniera fuorviante, perché per un’opera del genere non è corretto parlare di un unico autore: c’è sempre da distinguere tra chi l’ha eseguita materialmente (oggi diremmo l’impresa edile), chi l’ha commissionata e chi l’ha finanziata. Dunque c’è spazio per l’esecutore, per il magnate che ha messo a disposizione i capitali e per l’imperatore che ne ha ordinato la realizzazione. Nelle nostre epigrafi troviamo il nome del costruttore, un certo Albinus, segnalato nel luogo di prima captazione, e l’imperatore committente, che è Tiberio Claudio; se escludiamo il personaggio dell’iscrizione di Casalucense, che sembra essere tutt’al più un esecutore materiale (“aquam induxit”) – non sappiamo se dell’intera opera o di una sua derivazione o di tutt’altra cosa, a seconda delle tesi –, manca il nome del “magnate” o politico che ha messo a disposizione il capitale occorrente per l’opera. Dunque se vogliamo dare un senso alle epigrafi rinvenute nei pressi dell’acquedotto (mi riferisco a quelle di Obultronius Cultellus) non possiamo prescindere dalla possibilità che il personaggio che ci manca fosse proprio quello in esse citato; e qui mi contraddico sull’impegno di non attribuire alcuna paternità al Nostro. Infine va osservato che per un’opera così imponente una dedica all’imperatore committente non poteva assolutamente mancare e tale dedica manca nella iscrizione di Casalucense e forse anche in quella scomparsa di Valleluce, mentre è ben presente nelle due del nostro Obultronio. Inoltre per magnificare l’artefice di tale colossale opera c’era bisogno di scolpire la dedica su una roccia distante dalla stessa, anziché fare una decorosa lapide da inserire in bella vista a ridosso dell’acquedotto come si è sempre usato fare? E infatti le due epigrafi obultroniane non sono semplici iscrizioni rupestri ma epigrafi inserite in strutture murarie che, proprio per la loro dedica, dovevano avere una notevole importanza ed imponenza. Ora, mentre per quella proveniente dal centro urbano di Casinum si potrebbe ipotizzare l’appartenenza a qualunque altra struttura, cosa si puó dire di quella di Prepoie, lontana da qualsiasi costruzione di un certo rilievo, se si esclude il vicino acquedotto?
Se accantoniamo le ipotesi e le domande senza risposte certe, dobbiamo ritenere per fermo che un certo Marcus Obultronius Cultellus, il cui nome è riportato su almeno 4 epigrafi, dovette essere personaggio di tutto rilievo nella Casinum romana del I secolo d. C., nella quale ricoprì le cariche di Duumvir e di Praefectus Fabrum. Si trattò certamente di un personaggio facoltoso che godette probabilmente dei favori dell’imperatore. Poi qualcuno più esperto di chi scrive potrà fare ricerche approfondite sul Nostro.
A conclusione vorrei sottolineare l’importanza del ritrovamento di Prepoie proprio per le questioni che esso solleva. E in considerazione di ciò rivolgo un appello affinché non si rimuova l’epigrafe dal luogo del suo ritrovamento. Mi giunge notizia che da parte della Soprintendenza archeologica sia stata espressa la volontà di collocarla presso la sede comunale di Sant’Elia Fiumerapido: questo è il mezzo più sicuro perché col tempo si perda il legame con il contesto d’origine, come già è accaduto con la più volte ricordata epigrafe del tribunale di Cassino. Mi si dirà che resteranno le carte, le relazioni ufficiali a parlare, ma rispondo che quelle resteranno nei sepolcri della Soprintendenza romana dove sarà molto difficile poter accedere. Ritengo che la cosa più saggia da fare, vista la mole del manufatto, sia quella di sistemarlo in loco in modo da consentirne la conservazione ed imponendone la salvaguardia e la custodia al proprietario del fondo.
1 In “Atti” Accad. Naz. dei Lincei, 1971, “Rendiconti”, Cl. Scienze mor., stor., filol., Vol. XXVI, fasc. 5-6 (maggio-giugno 1971), pag. 439 e Tav. VI, fig. 33: m obul[tronius], rinvenuta a Montecassino tra le macerie sotto la biblioteca. Giannetti attribuisce allo stesso personaggio anche la n. 2, a pag. 432 dello stesso fascicolo, ma inspiegabilmente: [i]ussu Caesaris dedicavit.
2 G. Carettoni, Il teatro romano di Cassino, estr. da Notizie degli scavi, anno 1939, fasc. 4-6, Roma 1940, pag.126: DIVO AVGVSTO / sacrvm / l · sonteivs · l · f / [fl]orvs / m · obvltro[nius] / m · f · cvltel[lus] / i i · vi[ri] / ex … vm … . Allo stesso personaggio il Carettoni riferisce anche quella del C.I.L., X1, n. 5189: [pr]aef · Fabr, cfr. Casinum, Ist. St. Romani, 1940, pag. 29, n. 16.
3E. Pistilli, Scritti inediti di Filippo Ponari, “Studi Cassinati”, a. II, n. 2 (giu. 2002), pagg. 106-107.
4 Studi Cassinati, loc. cit.
5 E. Pistilli, Cassino 1878: alla ricerca di un museo fantasma, L’Inchiesta, IV, 27 (4 luglio 1999), pag. 16; vd. qui pag. 33.
6 Ponari fa presumere che potesse avere attinenza con la cosiddetta tomba degli Ummidi: “… pare che faccia parte della costruzione della maniera etrusca di cui un monumento è quello che qui va sotto il nome di mausoleo degli Ummidi …”
7 Vd. Sabatino di Cicco, L’acquedotto romano da Valleluce a Cassino, Cassino 1995, pag. 4.
8 G. Carettoni, Casinum, cit., pag. 109.
9 Ibid.
10 Giovanni Picano, L’acquedotto romano di Cassino. Antichità romane in S. Elia Fiumerapido, Pontone, Cassino 1995.
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