Gli stupri di Lenola


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Studi Cassinati, anno 2003, n. 4

di Francesca Albani*         

La ricostruzione di quanto avvenne nel maggio del 1944 dei 43 comuni del basso Lazio toccati dal Corpo di Spedizione Francese sono state effettuate per lo più a livello locale. L’interesse della maggior parte dei lavori – raccolta di testimonianze, pubblicazione di diari ecc. – è stato centrato soprattutto su quanto accadde prima del passaggio francese, cioè dal settembre del 1943 all’aprile 1944 . Solo in tempi recenti la storiografia ufficiale ha cominciato ad occuparsi – dal punto di vista dei civili – della guerra di liberazione in questa zona. Attraverso l’utilizzo delle testimonianze dirette è stato costituito un archivio di memorie orali che coniugate alla documentazione conservata presso gli Archivi di Stato italiani e l’Archivio centrale dello Stato, consentono di comprendere meglio e più a fondo la molteplicità e le sfaccettature di questa guerra1.
L’interesse per la propria storia e la ricerca della propria identità hanno spinto il cittadini ed il Comune di Lenola ad effettuare una serie di pubblicazioni. In particolare una raccolta di testimonianze sul primo e devastante bombardamento del centro abitato del paese del 23 gennaio 1944, dal significativo titolo “Scarrupatu”. Inoltre il diario di un insegnante lenolese, Mariano Rosati, descrive la vita del piccolo centro durante quei tragici mesi. Il diario si ferma all’arrivo dei liberatori con un amaro ma breve cenno su quanto avvenne durante la liberazione. Infine una storia di Lenola, dalla preistoria in poi a cura di don Giulio Dominichini – a lungo rettore del Santuario della Madonna del Colle – dedica varie pagine al devastante passaggio del Corpo di spedizione francese.
I racconti di guerra sono stati tramandati in forma privata, il paese conserva memoria e coscienza di quanto accaduto, ma probabilmente pochi tra quanti hanno sofferto e subito quella violenza hanno parlato della ferocia e della vastità di quanto accadde. A distanza di 60 anni da quei fatti superando il livello locale di ricostruzione storica si cerca di restituire alla memoria collettiva del Paese uno degli aspetti dimenticati che molto hanno contribuito alla costituzione del nostro Stato democratico, soprattutto riconoscendo l’altissimo prezzo pagato dalla popolazione delle province di Littoria e Frosinone alla liberazione dal nazi-fascismo. Il comune di Lenola ha presentato domanda di assegnazione della medaglia d’oro al valor civile al ministero dell’Interno per le vittime degli stupri e dei saccheggi da parte dell’esercito coloniale francese. Circa 282 donne (dagli 11 agli 80 anni) furono selvaggiamente e ripetutamente stuprate, 18 uomini subirono la stessa sorte, 2 donne e 2 uomini furono uccisi, numerosi beni saccheggiati, il bestiame rubato solo per essere ucciso. Questi sono i casi denunciati alla pubblica autorità, molti sono stati taciuti. Lenola rimase fuori dal teatro bellico in una particolare situazione di “possibile convivenza” con i tedeschi fino al settembre del 1943. Nell’agosto dello stesso anno l’intera provincia di Littoria fu dichiarata zona di guerra, la comunicazione fu data alla popolazione tramite manifesti affissi sui muri2. Lenola divenne sede di un comando tedesco, fu attrezzato un ospedale per i feriti. Progressivamente la presenza tedesca aumentò. Nel mese di novembre cominciarono i rastrellamenti delle “SS” tedesche, come si apprende dalla relazione del sindaco di Lenola3:
“gli uomini si riversarono in montagna (e) sottoponendosi ad una vita errante di sacrifici e di stenti. In paese cominciarono i primi furti ed asportazioni sotto forma più o meno giustificata dagli occupanti… . A questa situazione la gente reagì nascondendo cibi e oggetti, ricorrendo a finti muri, murando le cisterne”.
Il 23 gennaio del 1944, in coincidenza con lo sbarco anglo-americano ad Anzio, Lenola venne bombardata4. Era una domenica mattina e molta gente era a messa al Santuario del Colle, fuori dal centro del paese. Così si legge in una pubblicazione locale5: “nel cielo si ode un rombo di aereoplani , come si era inteso molte volte; invece poco dopo un forte boato scuote cielo e terra. Dal piazzale del Colle il paese si vede oscurato da una densa nube di fumo e polvere: è il primo bombardamento aereo che distrugge la parte antica di Lenola, Sopra la Terra e tutta la zona di Vallefredda, dove morirono 56 persone”.
Il bombardamento provocò l’esodo della popolazione verso le montagne circostanti, alcuni abitanti avevano già predisposto sistemazioni di emergenza, altri si dovettero accontentare dei casolari o pagliai ancora liberi, oppure costruire capanne o ripari6.
“Dopo qualche giorno però il timore della perdita di viveri ed oggetti lasciati incustoditi, richiamò la popolazione in paese, la quale prima timidamente e poscia più decisamente, favorita dal non ripetersi dei bombardamenti, riprese a frequentare il centro urbano … Così si iniziarono ed assunsero forme pietose quelle incessanti colonne di donne che a spalle o con gerle in testa, attraverso un duro ed estenuante lavoro, effettuarono il trasporto totale, dal paese alle abitazioni di campagna, casolari e pagliai preesistenti e capanne rapidamente allestite, di viveri e beni privati già custoditi nel centro urbano … I tedeschi non disturbarono tali trasporti. O perché avessero interesse acché non sorgessero stati d’animo di disperazione o perché si lasciassero giocare dalle autorità locali; essi non solo rallentarono i rastrellamenti di persone e consentirono che pochi uomini a turno fossero rimasti in paese di notte a sorvegliare i beni privati nella fase di spostamento dal centro alla campagna, ma non operavano nemmeno negli ultimi giorni prelevamenti notevoli di animali da macello … Tali premesse sono necessarie per dimostrare che al momento dell’offensiva vittoriosa Alleata – Maggio 1944 – dall’ottanta al novanta per cento di beni privati e bestiame di ogni categoria, era stato salvato dalle requisizioni, furti o distruzione e che la quasi totalità era stata trasportata nelle montagne. Qui i beni erano al sicuro senza occultamenti perché i tedeschi, essendo privi di quadrupedi da trasporto si trovavano nell’impossibilità di requisire o comunque asportare oggetti di un certo volume o peso … Alle prime notizie dello sfondamento della linea Gustav… un senso di liberazione pervase gli abitanti … Molti uomini scendendo dai monti andarono incontro ai liberatori. Ma una grave delusione li attese”. L’aggressione dei liberatori “li costernò al punto da far perdere ogni capacità di difesa. Dopo il primo smarrimento il solo, unico scopo di ogni attività fu la protezione delle donne – ogni angolo angusto, ogni soffitta, ogni luogo recondito fu utilizzato per nasconderle, nessuno poté occuparsi d’altro; l’onore e talora come conseguenza la vita delle donne fu lo scopo supremo di ogni abitante di Lenola … Malgrado ciò circa 284 donne e 18 uomini furono violentati; 2 donne assassinate per aver resistito alle violentazioni; 2 donne morte in seguito ad emorragia provocata dalle numerose violentazioni avvenute successivamente senza interruzioni; moltissime rimaste minorate o per eccessivo numero di violentazioni o per malattie contagiose”7.
Il 22 maggio 1944 il fronte di guerra raggiunse Lenola. I tedeschi avevano cominciato da giorni a ritirarsi, dovevano raggiungere Roma attraverso la Casilina a nord di Lenola. Il passaggio dell’esercito tedesco in ritirata durò pochi giorni. Questo il racconto di Raffaele Albani, testimone dei fatti: “La sera precedente l’arrivo dei marocchini, una pattuglia tedesca in ritirata mi prese e si fece accompagnare verso Pastena. Una volta al bordo della “foresta sotto le Case di Ambrifi”, una vecchia frazione diroccata, era quasi buio, vidi un uomo, un pastore che conoscevo, i tedeschi gli volevano sparare pensando ad una avanguardia francese. Lo chiamai e lui rispose al mio saluto. I tedeschi lo lasciarono andare. Io studiavo tedesco a scuola. Il sottufficiale che comandava la pattuglia mi lasciò andare così tornai a casa. Arrivai alla casetta dei Pistola (era stata affittata già da tempo dalla mia famiglia) di notte, mia madre mi chiamava ad alta voce. Il tedesco mi aveva detto che sarebbero arrivati i “negri”, di nascondere le donne. Questo lasciò increduli i miei parenti, aspettavamo gli americani.
I giorni precedenti il 22 (data in cui arrivarono i francesi) eravamo quasi sempre al rifugio. Ci trovavamo sulla linea di cannoneggiamento, i proiettili passavano sopra le nostre teste scavalcando il monte Chiavino. Il rifugio era poco distante dalla casa, così ben nascosto che neanche le pattuglie tedesche di passaggio se ne erano accorte. Io ero uscito a prendere l’acqua, vidi una pattuglia tedesca che andava verso il Castagneto (direzione Pastena) e un soldato in tuta coloniale con un elmetto in testa, di pelle scura che si avvicinava alla casa dove stavamo noi. Vidi poi la padrona di casa, una donna anziana andare verso il soldato francese per indicargli la direzione presa dai tedeschi. L’algerino la fece sedere a terra e le chiese i soldi. Lei tirò fuori dal reggiseno un rotolo di banconote da mille, offrendogliene una. L’algerino sparò dei colpi di mitra vicino ai suoi piedi e glieli prese tutti, avviandosi verso il castagneto. Un altro soldato francese lo seguiva, poi si sentì un colpo … poco dopo portarono via il cadavere.
Il pomeriggio del 22 maggio lasciammo il rifugio e rientrammo nella casa, il cannoneggiamento era cessato. Arrivò una prima pattuglia di rastrellamento, credo fossero algerini perché i marocchini indossavano una specie di “accappatoio” a righe. Il piano terra della casa in cui mi trovavo era occupato da una famiglia di Fondi, dove i soldati si introdussero. Violentarono la domestica, una ragazza molto giovane, che dopo riusciva solo a dire “uhi Diu, uhi Diu …”. Tutti noi uomini – continua il racconto – che abitavamo al piano di sopra scendemmo, mentre i due soldati tentavano di prendere un’altra donna che gli fu strappata dalle mani. C’era una grande confusione e un improvviso affollamento, al piano di sopra intanto le donne erano state nascoste in una seconda stanza, e la porta fu mascherata con un armadio. Quando gli algerini salirono trovarono zia Celestina davanti all’armadio con le braccia aperte e la corona del rosario in mano che gli intimò di andare via. Loro se ne andarono.
Dopo questo episodio le cugine più giovani, erano almeno 13 o 14, furono nascoste nel sottotetto cui si accedeva attraverso una tavola del controsoffitto. Potevano stare sedute solo al centro dell’ambiente, mentre verso i lati della stanza potevano stare solo sdraiate. La stanza coperta dall’armadio era occupata dalle donne giovani ma sposate, mentre nella prima stanza c’erano con gli uomini le donne sposate più grandi. Subimmo varie visite da parte di diverse pattuglie, ci siamo salvati forse perché eravamo in molti, e molti di noi parlavano francese. Le ragazze non furono trovate”8.
All’indomani di questi tragici momenti fu chiesta al Comando francese una scorta per riportare le donne in paese. Purtroppo il militare rifiutò la scorta poiché – disse espressamente – era stata concessa “una franchigia” ai soldati marocchini. Così i componenti la numerosa famiglia rientrarono verso il Santuario del Colle tutti insieme: una colonna con le donne al centro e gli uomini di lato. Da un’altra testimonianza così si apprende9:
“Eravamo separati dal resto della famiglia, in una località chiamata Viciano, sul monte Chiavino, in direzione Vallecorsa. Il lancio di razzi luminosi – doveva essere la sera del 20 maggio – ci costrinse il mattino successivo a lasciare la casa, ci trovavamo sulla linea del fuoco alleato. Noi ragazze eravamo state istruite su come comportarci nel caso avessimo incontrato pattuglie alleate, dovevamo rimanere calme, probabilmente saremmo state perquisite. Durante il cammino verso la casa dei Pistola incontrammo altre persone che come noi si spostavano per sfuggire alle bombe. Parlottarono un po’ con gli uomini che si fecero subito scuri in volto, non dissero niente a noi, ma già circolava la notizia degli stupri delle truppe di colore, non erano americani. Dopo qualche ora di cammino durante la quale non ci si imbatté in nessuna pattuglia francese, arrivammo alla casa dei Pistola ad Ambrifi. Rimasi molto colpita dai visi scuri e preoccupati di Lello (mio padre) e Salvatore”10.
I combattimenti a Lenola durarono una giornata, il 22 maggio. Le retrovie tedesche si erano istallate nel Santuario della Madonna del Colle, il punto più alto del paese. Il comando era nel convento delle suore della Divina Misericordia, una mitragliatrice era piazzata sul campanile. Altri centri di resistenza dovevano essere piazzati in altre parti del paese, ma la descrizione contenuta in un diario di un giovanissimo ufficiale francese11 è molto vaga. Tuttavia il diario fornisce particolari sulla dislocazione delle tre divisioni che attaccavano da tre diverse direzioni. Dopo 6 ore di combattimenti, alle h. 19.00 viene attaccato anche il Santuario. I francesi fecero 67 prigionieri tedeschi, mentre da parte loro ci furono un morto e due feriti.
Esiste una cronaca delle ultime ore di permanenza dei tedeschi al Santuario lasciata da Madre Livia De Meo. Secondo il racconto della suora, dopo ore di bombardamento dell’artiglieria pesante francese (posizionata nella parte più bassa del paese), le suore insieme agli altri occupanti del Santuario (alcune orfane di cui avevano cura), si precipitarono all’annesso convento – divenuto centro di resistenza tedesca – allo scoppio di una bomba all’interno della chiesa. Così la descrizione della suora: “Il Maggiore, capo del presidio, illuminato da Te, Vergine Santa, cedette alle suppliche insistenti di una suora che spontaneamente si era offerta di mostrare in segno di resa, un drappo bianco sul piazzale ove infuriava la battaglia. Il fiero e rigido ufficiale tedesco era commosso e dando l’ordine di resa a un subalterno disse “accada quel che accada, noi tutti prigionieri; questa gente non deve morire. La bandiera bianca sventolò sul piazzale, il convento e la chiesa furono invase da truppe di colore al comando di ufficiali francesi”.
Anche l’ufficiale francese parla nel diario della resa finale dei tedeschi. È difficile dire quanto attendibile sia questo racconto degli avvenimenti; è vero che il convento era occupato dai tedeschi, che le suore, le bambine di cui si occupavano, e anche il vescovo di Gaeta, erano lì quel 22 maggio. C’è solo un accenno a quanto accadde dopo, così come solo qualche accenno viene fatto nel ricordato libro di memorie di guerra di Mariano Rosati. Nulla viene detto dall’ufficiale francese nel suo diario degli stupri di massa, della devastazione e del dolore lasciato dalle truppe coloniali francesi.
Gli stupri cominciano nel territorio di Lenola il 20 maggio (probabilmente ad opera di pattuglie in perlustrazione) vanno crescendo il 21 ed il 22 (giorno dell’arrivo del grosso della truppa francese), esplodono letteralmente il 23, 24 e 25 maggio, per poi diminuire dal 26 al 29 maggio12.
Il 23 maggio cominciano i rastrellamenti casa per casa, casolare per casolare, in cerca di tedeschi, armi, radio ecc. Ogni casa viene visitata più volte e ogni volta si ripete lo stesso scenario, gli uomini vengono separati dalle donne sotto la minaccia delle armi, vengono portate via, trasportate come cose, e violentate, spesso vengono stuprate sotto gli occhi dei mariti, padri, fratelli e figli. Le case vengono poi perquisite, tutto ciò che puó essere portato via viene preso, biancheria, soldi, cibo, bestiame, spesso la refurtiva veniva distrutta poco lontano dalle abitazioni. E questo si ripeté ad ogni passaggio di pattuglia; a volte non c’era neanche il tempo di rimettere a posto la casa.
A questo punto è necessario citare la relazione del questore di Littoria al Governo Militare Alleato del 10 agosto 1944: un elenco interminabile di stupri, rapine e ruberie lungo 20 pagine. Le donne di Lenola che presentarono regolare denuncia alle autorità furono 141. Nell’elenco, accanto ad ogni nome, una nota manoscritta a margine indica il numero preciso degli stupratori, quasi mai meno di cinque, per la maggior parte tra gli otto e i dodici, in un caso ben trenta soldati di colore. Ogni stupro viene sinteticamente circostanziato con data e località in cui si verificò. Molte erano le donne in stato di avanzatissima gravidanza. Una delle ragazze violentate era completamente livida e gridava “Le mazzate, le mazzate”. Un’altra, non appena incontrava dei soldati, si tirava su la gonna. Le testimonianze raccolte a riguardo da Gabriella Gribaudi nel citato articolo, mostrano la ferocia con cui avvenivano gli stupri, le percosse, il ripetersi senza fine delle violenze. Quello che colpisce di più è l’apparente gratuità di tanta ferocia. Sarebbe interessante indagare a fondo quanto in questi terribili eventi abbia giocato un ruolo determinante un certo risentimento razziale
La corrispondenza tra il generale comandante il Corpo di spedizione francese Juin e la Commissione Alleata di Controllo e le comunicazioni di servizio interne al Corpo di spedizione francese mostrano quanto grande fosse il risentimento francese nei confronti degli italiani. Mentre Juin invitava – sia pur malvolentieri – i suoi ufficiali a reprimere questi odiosi crimini, il generale Daffitte, capo della Prévoté (polizia militare francese), non riusciva a nascondere il suo fastidio e pregiudizio nei confronti degli italiani. Una sua comunicazione di servizio stabiliva le regole da seguire per la punizione dei crimini commessi dalle truppe marocchine. La locale Prévoté doveva immediatamente essere informata, la tempestività era essenziale. Di questa procedura dovevano essere messi a parte anche gli ufficiali alleati ed i Carabinieri italiani. Si sarebbero evitate così lungaggini assolutamente lesive alla soluzione del problema. I Carabinieri non avrebbero del resto perso tempo a lamentarsi con i loro capi, ma avrebbero tempestivamente contribuito alla punizione dei colpevoli.
Similare ostilità si ricava dai racconti dei testimoni di quegli eventi. Lenola era sede di un posto di polizia francese che rifiutò qualsiasi aiuto alla popolazione civile. Ci fu qualche sporadico caso di reazione finito in modo drammatico.
A Vallecorsa (il comune “liberato” subito dopo Lenola) quattro uomini dello stesso nucleo familiare, furono arrestati dalla Prévoté francese accusati di aver ucciso un soldato marocchino mentre questi cercava di violentare una ragazza loro parente. La documentazione in proposito è piuttosto confusa e la qualità del microfilm è decisamente scadente Gli uomini furono rinviati a giudizio dal Tribunale di Frosinone13. Ma, ci si chiede, quale possibilità di reazione esistesse, anche e soprattutto in termini psicologici, da parte di gente per lo più disarmata, sopraffatta e sorpresa dalla velocità ed atrocità degli eventi; e quali furono soprattutto le reazioni dell’esercito francese alla resistenza opposta dalla popolazione14. In quel momento non c’era alcuna possibilità.
Molte donne passarono i mesi, a volte gli anni successivi, attraverso lunghe cure mediche sia per le malattie veneree, sia per le conseguenze delle percosse subite come fratture ossee, ecchimosi estese. Il dr. Oreste Liguori, medico condotto di Lenola, descrive in questo modo la situazione sanitaria: “Nella terza decade del maggio scorso, con l’arrivo delle truppe di colore del corpo di spedizione francese si verificarono alcune centinaia di casi di violenza carnale in danno di persone appartenenti ad ambo i sessi e tutte le età”. Di queste “soltanto circa un centinaio di persone di ambo i sessi si è finora presentato alla visita di controllo … a tutti furono somministrati sulfamidici per la profilassi di malattie veneree. … Attualmente non si dispone di alcun preparato per la profilassi e cura delle malattie veneree e sifilitiche, mentre nuovi casi di blenorragia vengono riscontrati su persone di ambo i sessi e fra coniugi”15.
Luglio vide dunque una recrudescenza delle malattie veneree dovuta probabilmente anche al ritorno di militari o di civili dai campi profughi o al fatto che non tutte le persone violentate si recarono dal medico, quindi non ricevettero le cure necessarie. Sempre nello stesso mese ci furono alcuni casi di febbre tifoide come conseguenza della promiscuità in cui si viveva nei giorni immediatamente successivi al passaggio delle truppe marocchine. Il Santuario della Madonna del Colle divenne infatti il centro di raccolta e di primo soccorso per tutti. L’acqua era inquinata, molte cisterne erano andate distrutte. C’erano solo tre medici e un’ostetrica. Il Santuario era così pieno che era difficile trovare un posto comodo per dormire. Infine l’allagamento della piana di Fondi, da parte dei tedeschi in fuga, provocò un drammatico incremento della malaria. Sempre a luglio ’44 i casi furono 3000-3100 nella sola zona di Fondi, Monte S. Biagio, Terracina16. Qualche caso si verificò persino a Lenola .
La documentazione della Commissione Alleata di Controllo è arrivata all’Archivio centrale dello Stato da circa due anni ed è una fonte straordinaria per la ricostruzione della storia italiana dal ’43 al ’47, molto ricca anche dal punto di vista della storia locale. Il territorio fu suddiviso dagli americani per zone diverse, in cui i vari paesi erano riuniti in “groups”. Lenola faceva parte del “Formia group” che comprendeva 9 paesi (Minturno, Castelforte, Spigno, Formia, Gaeta, Itri, Fondi, Lenola, Campodimele). L’ufficiale americano responsabile di questi paesi afferma in un rapporto settimanale del 29 giugno ’44 di non essere stato ancora a Lenola, ma che un certo capitano Scafe gli avrebbe riferito che la gente sembrava avere per lo più “imaginary problems”, specie di tipo medico-sanitario, collegato a certe truppe francesi. L’intero rapporto non ha un tono amichevole nei confronti della popolazione, definita perlopiù pigra, i più pigri erano gli abitanti di Gaeta che erano anche i meglio nutriti, mentre gli abitanti di Campodimele (la cui popolazione fu deportata in massa dai tedeschi nei campi di concentramento in Emilia Romagna) oltre che pigri erano anche grassi, quindi – dice il rapporto – senza problemi. In ogni caso emerge la difficoltà dell’ufficiale a capire i reali problemi della popolazione. Sembrerebbe addirittura non essere al corrente degli avvenimenti che appena il mese precedente avevano sconvolto quella zona, mentre esistono – di contro – dettagliati rapporti che illustrano brevemente paese per paese storia, monumenti, miti17.
Lenola era, all’indomani della guerra, semidistrutta. Secondo il “Rapporto dalla zona devastata” redatto dal sindaco, una sorta di questionario inviato ai comuni, nessuna casa del paese poteva essere resa abitabile facilmente. Otto le case abitabili con interventi su tetti, tramezzi e infissi, solo 60 le persone che vi potevano trovare ricovero. Mancavano elettricità e gas perché le linee elettriche e la cabina di trasformazione erano state danneggiate. L’unico mulino del paese non poteva quindi funzionare. Molti erano i proiettili e le mine inesplose. Non c’era acqua, le cisterne erano state danneggiate. Solo il legno e il carbone vegetale non mancavano. Questa era la situazione al 13 novembre 194418.
Negli anni immediatamente successivi alla guerra, il Comando militare francese riconobbe alle popolazioni stuprate dai soldati del proprio Corpo di spedizione, il diritto a ricevere un indennizzo. Non volendo seguire in prima persona lo svolgimento delle pratiche i francesi incaricarono una società romana Restituire – creata a tale scopo – di seguire le pratiche, impartendo precise istruzioni. Essa doveva raccogliere le domande di indennizzo (trasmesse dai Comuni), verificare la veridicità dei fatti denunciati, e procedere al pagamento del risarcimento. In cambio del servizio tratteneva il 10 % su ogni quota. Quando il Comando Militare francese abbandonò l’Italia, tutta la gestione degli indennizzi ricadde sul ministero del Tesoro, Direzione Generale danni di guerra.
Per quanto riguarda gli indennizzi, Lenola non rientrò tra i comuni ai quali furono corrisposti.
Nel 1947, il ministero dell’Interno, direzione generale per l’amministrazione civile, concesse un sussidio alle persone violentate dai soldati marocchini. A Lenola furono concessi 2.000.000 di lire da distribuire alle vittime secondo criteri stabiliti dal Comune stesso, le donne nubili ricevettero 16.522 £; le donne sposate 8.522 £; gli uomini 5.022 £. È questo un capitolo molto complicato in cui rientra anche lo stato giuridico dello stupro rispetto agli altri danni di guerra.
Lo Stato italiano non ha ancora saputo trattare con giustizia i civili che soffrirono lo sfondamento della linea Gustav. Questa microstoria vuole essere un piccolo contributo alla ricostruzione degli avvenimenti, ricostruzione che sia lontana dalla retorica statale che ha taciuto le “piccole storie” di persone la cui “grande” sofferenza non ha ancora trovato voce sufficiente.

*Archivio Centrale dello Stato, Roma.

1 Daria Frezza, Cassino 1943-44: la memoria, Passato e presente, n. 61 gen. 2004; Un archivio per la memoria. La popolazione civile nel cassinate durante la seconda guerra mondiale, Studi Cassinati anno II n. 3-4, sett. 2002, pp. 197-208. Tommaso Baris, Sotto il giogo dei liberatori. Memoria individuale contro retorica pubblica: “guerra totale” e “liberazione” nel Lazio meridionale (1943-’44), Zapruder, sett. dic. 2003, pp. 9 – 26; Tra due fuochi. Esperienza e memoria della guerra lungo la linea Gustav, Laterza, Bari 2003. Gabriella Gribaudi, Le voci dissonanti della retorica nazionale e lo stereotipo dell’identità italiana, Genesis 1/1, 2002, pp. 234-242. Per quanto riguarda l’utilizzo delle fonti orali cfr. anche Alessandro Portelli, “L’ordine è già stato eseguito”, Roma, Le Fosse Ardeatine e la memoria, Donzelli, Roma 1999.
2 Archivio storico del comune di Lenola.
3 Archivio storico del comune di Lenola, “Relazione del sindaco di Lenola “ inviata al Comando Francese e alla Società Restituere, 8 ottobre 1947. Ringrazio particolarmente il dr. Sandro Rosato del comune di Lenola per avermi aiutata e indirizzata nella ricerca e per avermi riferito testimonianze da lui raccolte. Ha svolto un importante lavoro di ricerca sulla documentazione dell’archivio storico del Comune per supportare la richiesta di medaglia d’oro al valor civile al Ministero dell’interno. Ringrazio anche la Dott.ssa Carla Nardi per gli utili suggerimenti nella stesura finale.
4 Il 25 gennaio 2004 il comune di Lenola ha voluto ricordare quanto avvenne dal 23 gennaio in poi. È stata anche allestita una mostra storico-documentaria nella Biblioteca comunale del paese.
5 Giulio Domenichini, Storia e cronistoria di Lenola e del Santuario del Colle, s.l. 1988.
6 Lenola ospitava sfollati dalla zona circostante, persone provenienti soprattutto da Fondi che dista circa 12 Km, costrette a spostarsi una seconda volta. Tutti furono colti di sorpresa, nessuno pensava che Lenola sarebbe stata bombardata.
7 Archivio Storico del comune di Lenola, Relazione del sindaco, cit. 8 Testimonianza di Raffaele Albani, mio padre.
9 Testimonianza di Elisabetta Notarianni
10 Salvatore Pandozj, uno dei medici di Lenola che prestò soccorso alla popolazione nel Santuario della Madonna del Colle.
11 Si tratta dell’Aspirante Robert Desportes, comandante della 1a sezione della 4ª Compagnia del 2o Reggimento dei Tiratori marocchini di montagna. Desportes morì a 24 anni nell’ospedale di Monebelliard, in Francia, a novembre del 1944. Ha lasciato un diario di guerra di cui ho potuto vedere solo un riassunto effettuato da suo padre ed inviato al Rettore del Santuario della Madonna del Colle, attualmente conservato presso l’Archivio del Santuario.
12 ACS, ACC “Maroccans & French” , relazione del questore di Latina al Comando Militare alleato, 10 agosto 1944, bobina 228 sc. 7.
13 ACS, ACC, bob. Sc. , fasc. “Sacchetti et al.”.
14 ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1944-47, 19.10.33491
15 Archivio storico del comune, relazione dell’ufficiale sanitario di Lenola, dr. Oreste Liguori al Medico Provinciale di Littoria, 5 luglio 1944.
16 ACS, ACC, bob.1078 C, Sc.252. “Fondi, Itri, Monte S. Biagio, Terracina”
17 ACS, ACC, bob. 1078 c Scat 252 , fasc. “Itri, sperlonga, …”
18 Archivio storico del Comune, “Rapporto da zona devastata” del sindaco di Lenola,13 luglio 1944.

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