Studi Cassinati, anno 2002, n. 3/4
IL RAPIDO, lunedì 7 gennaio 1946 (anno II n. 1), pag. 4
Come ricostruire Cassino
Se veramente dovrà essere ricostruito Cassino con la certezza di dare alloggio alle migliaia di sinistrati che, purtroppo, ancora vagano per tutte le città d’Italia come mendicanti, bisogna bandire per sempre tutte le chiacchiere fatte finora e collocare nel museo delle cose inutili i vari progetti che vanno sotto il nome di “piani regolatori”, mentre nulla di più sregolato è stato mai concepito.
L’ultimo piano regolatore, quello approvato1, relega la costruenda città nella parte più insana della vasta zona disponibile e mentre verrebbe a distruggere le più fertili terre ortilizie di Cassino, metterebbe in serio imbarazzo l’onesto costruttore che si troverebbe insidiato da un sottosuolo per nulla consistente e cedevole.
Per poter costruire in quella zona prescelta occorrerebbe adottare le fondazioni a platea od a pozzo, non potendosi adottare per la comune fondazione continua se non ad ampia sezione in modo da poter consentire all’inadatto sottosuolo di poter sopportare una pressione non superiore alla limitata sua scarna resistenza.
Saremmo quindi costretti ad adottare i tipi di fondazione più costosi che di molto assottiglierebbero le somme che il Governo potrà mettere a disposizione.
Chi è di Cassino sa bene che tutta la zona pianeggiante, specialmente ai lati della Casilina e del Viale Dante è la più umida e bassa e potrebbe servire, tutt’al più alla costruzione di qualche quartiere industriale della città, sia per la vicinanza alla stazione ferroviaria che per l’agevolezza del traffico.
Ma la vera città dovrebbe sorgere in parte ove già essa esisteva prima della distruzione, senza poetici divieti derivati da esagerate velleità archeologiche.
L’allineamento: palazzo del Barone – Casa Pegazzani – Palazzo Danese – Casa Capogrosso – Casa Ranaldi al Corso e Casa Terenzio – Casa Mastronola – Casa Fiorentino ecc. alla via Riccardo sino al rione Carceri, potrebbe seguire il limite dell’area della costruenda città, oltre il quale rimarrebbe, come è attualmente, l’ampio rione Monte a ricordo dell’antica Città, con i ruderi appariscenti anche a grande distanza, distribuiti su tutta la zona collinosa alle falde della Janula, in un superficie a forma di un mezzo cono il cui vertice è costituito dai resti di quello che fu il più grandioso tempio Benedettino.
Non ricordo in quale quotidiano sia apparso un articolo che invocava il rispetto delle macerie e faceva intendere che la città sarebbe stata recintata perché si impedisse l’accesso persino ai proprietari delle case distrutte.
È noto intanto il saccheggio che si è praticato e che ancora si pratica in larga scala con l’asportazione persino delle pietre; ma un provvedimento di quello invocato dall’articolista di cui si è fatto cenno non darebbe neppure la possibilità ai sinistrati proprietari, di poter ricuperare i relitti della distruzione che potrebbero rappresentare in un prossimo domani il prezioso materiale per poter economicamente ricostruire la propria casa.
Non si puó dire che l’asportazione di quel materiale da parte dei legittimi proprietari viene ad impoverire l’apocalittico quadro di quella raccapricciante distruzione.
Conservando la parte collinosa della zona del Monte, alla quale si associa la Rocca Janula ed a monte l’abbazia, troppi segni rimarrebbero ancora a testimoniare il cataclisma della più orrenda e totale distruzione causata dalla guerra! Basta una croce per imporre il raccoglimento e la preghiera, come basta una parte sola della povera Cassino scomparsa per far intendere la più spaventosa catastrofe.
Il piano regolatore approvato è grandioso nella concezione ma è inattuabile, mentre ne occorre uno più modesto che potrà consentire con poca spesa di riedificare in gran parte l’antica città distrutta, utilizzando tutto il recuperabile e sfruttando le solide fondazioni già esistenti in una zona adatta che, a partire dal limite inferiore del “Monte”, come si è detto, si estende sino all’allineamento: ex Tubercolosario – ex Campo Sportivo – Palazzo Miele già Ristorante Risorgimento, potendosi anche estendere detta linea più oltre, ma senza troppo inoltrarsi nella zona acquitrinosa compresa tra la Casilina e la strada ferrata.
Questa per sommi capi l’idea; al tecnico capace ed onesto sia affidata l’attuazione del progetto della nuova città che dovrà sorgere, con la certezza che tutti i cittadini di Cassino troveranno logica, pratica e giusta questa proposta2.
Ma parallelamente alla costruzione delle case dovrà praticarsi, con ritmo sempre crescente e senza interruzione, la bonifica idraulica che lascia ancora molto a desiderare, senza la quale Cassino, anche con belle e numerose case sarà inabitabile. Solo così, in breve tempo e con la massima economia, sarà possibile ricostruire Cassino e dare alle migliaia di profughi un tetto, senza la lusinga dei grandiosi edifici che fanno bella mostra soltanto su di un pezzo di carta.
Agostino Tari
scrittore, poeta, ingegnere
1 Era stato redatto il 1° luglio 1945 dai proff. Giuseppe Nicolosi e Concezio Petrucci e approvato dal ministro dei Lavori Pubblici con decreto n. 895 del 16 ottobre dello stesso anno.
2 Un nuovo piano di ricostruzione fu elaborato dal prof. Giuseppe Nicolosi ed approvato il 21 novembre 1946 con decreto ministeriale n. 2843.
Cenni sui Piani di Ricostruzione e Regolatore di Cassino
di Emilio Pisitilli
Nell’estate del 1944 l’amministrazione provvisoria comunale, composta dal neo sindaco Gaetano Di Biasio e dal vice sindaco Tancredi Grossi, di nomina prefettizia, dovette provvedere alle più urgenti necessità di coloro che tornavano alla propria terra, ma si pose anche il problema di cosa si dovesse fare di tutte quelle rovine e di come si dovesse procedere per la ricostruzione.
Circolarono le idee più disparate. Ci fu chi, come già detto, voleva la pura e semplice ricostruzione; altri propendevano per lo spostamento in luogo più salubre e più a ridosso della direttrice stradale Roma Napoli (zona Colosseo); un giornalista americano suggerì di recintare le rovine e lasciarle a perenne memoria dello scempio bellico; ciò, naturalmente, si conciliava con la seconda ipotesi. Finì per prevalere una soluzione intermedia: l’abbandono del sito della città medioevale a ridosso di Rocca Janula (per ragioni ambientali) e l’utilizzo del nuovo impianto stradale dell’ultimo piano regolatore prebellico.
Un primo piano di ricostruzione fu elaborato dai tecnici del Genio Civile di Cassino secondo le norme indicate dal decreto luogotenenziale del 1° marzo 1945, n. 154, per le zone danneggiate dalla guerra [si veda l’allegato]. Quel piano, ideato sul tipo dell’accampamento romano, non piacque agli amministratori di Cassino, per cui se ne fece uno nuovo che prevedeva l’ubicazione della città in zona contigua all’antica sede; questo fu redatto il 1° luglio 1945 dai proff. Giuseppe Nicolosi e Concezio Petrucci e approvato dal ministro dei Lavori Pubblici con decreto n. 895 del 16 ottobre dello stesso anno. Il piano prevedeva il vincolo di non edificabilità sulle macerie della città per lasciarle a ricordo della grande battaglia, ma dovette attenersi a particolari norme dettate dal Comitato del Provveditorato alle OO.PP. del Lazio. Tra queste vale la pena ricordare l’art. 5: “I corpi di fabbrica corrispondenti alle abitazioni in serie lineare potranno essere a tre o a quattro piani secondo le indicazioni del piano di ricostruzione; le altezze massime corrispondenti saranno di m. 11.50 e di 15.50. […] Sono vietati i seminterrati e gli scantinati. Sono vietati risvolti e corpi di fabbrica formanti angolo. Non sono consentite sopraelevazioni parziali nemmeno se arretrate. Tutti gli appartamenti dovranno avere la doppia esposizione e conseguentemente il necessario riscontro d’aria. Nei corpi di fabbrica con andamento est-ovest si avrà cura di disporre in ogni appartamento i vani delle scale, le cucine, i bagni al nord, le camere da letto e gli ambienti di soggiorno a sud. Le scale, i gabinetti e i bagni dovranno essere direttamente illuminati. Nel caso che i corpi di fabbrica siano perpendicolari alle strade pubbliche l’accesso alle scale sarà effettuato per mezzo di strade private.
L’art. 6, tra l’altro, prescriveva che le costruzioni per abitazione isolate o abbinate non potessero avere più di due piani fuori terra e che il rapporto superficie coperta – lotto non fosse superiore ad un ottavo.
Infine l’art. 7 prevedeva che gli edifici pubblici e gli istituti religiosi avessero cortili con superficie minima equivalente almeno all’altezza del fabbricato.
Ho riportato queste norme per far comprendere come l’esigenza del “comfort” ambientale (case non molto alte ed ampi spazi circostanti) fosse alla base del piano; purtroppo tali esigenze non trovarono riscontro perché quel piano di ricostruzione fu cestinato per dar luogo ad uno nuovo firmato dal solo Nicolosi ed approvato dal Consiglio comunale il 10 maggio 1946 (n. 54 bis). La seconda edizione del piano fu determinata, oltre che da una situazione di fatto non contemplata nel precedente, dalla volontà di consentire ai privati di rifarsi la casa sulle fondazioni del fabbricato distrutto ed al comune di utilizzare la vecchia rete stradale per un risparmio economico. Furono respinte le opposizioni presentate dalle famiglie Petrarcone, Masia, Di Mambro, De Falco e Colucci, Abate, da Amerigo Rongione, Giuseppe Poggi, Mario Marchegiani, Eugenio Cocomello, Aurelio Malatesta, Roberto Tamburrino e dalla badia di Montecassino tramite il suo amministratore Tommaso Nasta. L’approvazione definitiva si ebbe con il decreto ministeriale n. 2843 del 21 novembre 1946 a firma del ministro Romita.
Il piano non ebbe vita facile per le numerose varianti, più volte richieste e spesso concesse, motivate dalla necessità di prendere atto della nuova situazione edilizia di fatto esistente: fabbricati privati ricostruiti sul vecchio sito senza le dovute autorizzazioni, complessi di case per senzatetto, edifici pubblici di proprietà dello Stato; si ravvisava, inoltre, la necessità di dare ascolto alle richieste di quei cittadini di Cassino che, essendo sfollati in altre città all’epoca della redazione del piano, non ebbero la possibilità di presentare le proprie opposizioni. Quest’ultima motivazione, però, anche se fondata, consentì una certa libertà d’azione per la manomissione del progetto urbanistico originario, il che diede adito alle inevitabili accuse di favoritismi.
Fu proprio attraverso le varianti che si consentì l’edificabilità nelle aree vincolate per motivi archeologici, come i ruderi della guerra (ritenuti di “nessun interesse archeologico”), che si consentì la costruzione di una inutile strada sulle pendici della Rocca Janula (la “panoramica”), motivata dalla necessità di facilitare la visita delle rovine (variante n. 4 del 1950). Sempre nel 1950 si volle rimuovere il vincolo a non costruire su un’area di 8.000 mq. al centro della città, destinata alla ricostruzione del cinema teatro; le motivazioni furono: l’esistenza di un’analoga struttura già realizzata dalla famiglia Miele e la necessità di restituire alla edificabilità a carattere intensivo quella zona del centro urbano (variante n. 7). Furono ridotte le aree destinate alle nuove scuole elementari ed all’asilo infantile lungo la ex via Conte (oggi in via D’Annunzio).
Infine alle norme edilizie fu aggiunto un articolo 20 che recitava: “Lo spazio di isolamento tra fabbricati che si ricostruiscono nel sito preesistente e che si fronteggiano per non oltre metri lin. 15.00 è ridotto a larghezza minima di ml. 5.00”. Questa aggiunta servì, evidentemente, a ridare l’assetto di tipo medioevale ad alcune zone del nuovo centro urbano.
Ma non tutto si svolse a norma del piano di ricostruzione, sia per gli abusi edilizi dei privati, sia per le forzature del pubblico: esempio notevole fu la collocazione del nuovo edificio postale in maniera difforme al piano di Nicolosi: fu accostato al palazzo di Giustizia (creando il vicolo che conosciamo) per ottenere l’allineamento al palazzo comunale: ebbe a lamentarsene lo stesso Nicolosi in una lettera al sindaco Malatesta (1 agosto 1952), invitandolo, tuttavia a “non propagandare la notizia e a far approvare dal Consiglio la soluzione che già aveva avuto il consenso”, ritenendo più facile fare accettare le future varianti.
Questa era l’aria che tirava in quegli anni. Così abbiamo visto sparire tutte le tracce della Cassino medioevale, l’antica torre campanaria, i ruderi della bella chiesa del Carmine, il nero basolato di viale Dante.
Su una situazione urbanistica ormai consolidata e difficilmente modificabile e, forse, irrimediabilmente insanabile fu redatto un piano regolatore generale tra gli anni 1975 e 1977 a firma dell’urbanista De Santis e approvato definitivamente dal Consiglio comunale con delibera n. 12/10 del 19 luglio 1977.
Il nuovo piano di ricostruzione redatto dal prof. Giuseppe Nicolosi operò l’abbandono del sito della Cassino medioevale sulle pendici del colle Janulo, ridotto ad un ammasso di rovine, e, utilizzando inizialmente lo schema del piano regolatore dell’anteguerra, spostò la nuova città in pianura lungo gli assi viarî di via Casilina, via Napoli, viale Dante e via XX Settembre.
LA LEGGE N. 154 DEL 1 MARZO 1945
Art. 1. Allo scopo di contemperare nei paesi danneggiati dalla guerra le esigenze inerenti ai più urgenti lavori edilizi con la necessità di non compromettere il razionale futuro sviluppo degli abitati, i Comuni, che saranno compresi negli elenchi da approvarsi dal Ministro per i lavori pubblici, dovranno, nel termine di tre mesi dalla relativa notificazione, adottare un piano di ricostruzione.
La spesa occorrente per la compilazione di detti piani sarà a carico dello Stato, nell’importo riconosciuto ammissibile dal Ministero dei lavori pubblici.
[omissis]
Art. 2. Il piano di ricostruzione, che ha efficacia di piano particolareggiato, dovrà indicare:
a) le reti stradali e ferroviarie;
b) le aree da assegnare a sede di edifici di culto, di uffici e servizi pubblici e a spazi di uso pubblico;
c) le zone destinate a demolizioni, ricostruzioni, riparazioni e costruzioni di edifici e quelle sottoposte a vincoli speciali;
d) le zone che fuori del perimetro dell’abitato sono destinate all’edificazione perché riconosciute necessarie per la ricostituzione dell’aggregato urbano;
e) le caratteristiche delle zone di cui alle lettere c) e d).
(234 Visualizzazioni)