LA SOMMOSSA POPOLARE DEL 1909


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Studi Cassinati, anno 2001, n. 3

di Duilio Ruggiero

Vecchia veduta di Castelforte

Nel 1909 un inconsulto moto popolare incendiò tutte le carte del Comune di Castelforte distruggendo completamente anche l’Archivio, che dopo gli avvenimenti del 1799[i]era stato in parte faticosamente ricostruito.
Le autorità superiori già da alcuni anni cercavano di imporre inutilmente un retto agire all’amministrazione comunale di Castelforte.
Con decreto del Sottoprefetto di Formia in data 5 giugno 1907 veniva affidato al dott. Francesco D’Alema, segretario di prefettura, l’incarico di eseguire una inchiesta sull’amministrazione.
Il Commissario, eseguito un sopralluogo il 10.6.1907 con relazione del 26 luglio successivo, aveva illustrato al Sottoprefetto del Circondario la situazione amministrativa del Comune.
Nel far rilevare le difficoltà della sua missione “derivate dal disordine indescrivibile di quell’Ufficio Comunale, ed alla mancanza in Castelforte di un vero partito di opposizione che avesse facilitato il suo compito”, fa presente che “la nota predominante, l’unica anzi, dell’indirizzo amministrativo del Comune di Castelforte, è una suprema trascuraggine, un completo abbandono di

Affresco del pittore Cosimo Porchetta nella sala del Consiglio Comunale che ricorda il 1799

tutti gli affari, mirabilmente favoriti dalla negligenza dell’Ufficio Comunale, ridotto nella più grande anarchia. Nessuno interessamento per la cosa pubblica, si trascurano tutti gli adempimenti prescritti dai più elementari ai più vitali per l’esistenza della civica azienda”.
Malgrado i continui richiami e solleciti non si ottenne alcun miglioramento nel funzionamento degli Uffici e dell’Amministrazione.
L’8 maggio 1909 il signor Domenico Tiseo rimette al Sottoprefetto di Formia la “relazione inerente il lavoro di riordino dell’amministrazione comunale di Castelforte” di cui aveva ricevuto specifico incarico alcuni mesi prima. Il lavoro è suddiviso in cinque parti: nella prima parte viene tracciato il piano finanziario. Nella seconda parte è trattata la materia dei tributi locali, provvedendo ad un rimaneggiamento delle tariffe vigenti ed alla imposizione della tassa famiglia mai applicata. Nella terza è trattata la questione della divisione del territorio col comune di SS. Cosma e Damiano[ii]. Nella quarta viene richiamata la questione del demanio comunale e nella quinta tutte le altre varie questioni da tener presenti nel lavoro di riordinamento.
In una lettera dell’11 maggio 1909, il commissario richiamava l’attenzione del Prefetto sul fatto che nella relazione destinata alla pubblicità “non erano contenuti certi apprezzamenti che sono sempre dannosi quando conducono allo inasprimento delle tasse e quando si ha bisogno per ragioni di prudenza, di preparare le masse ad una sensibile pressione tributaria”.
Il Consiglio Comunale di Castelforte composto da D’Orvé Michele (sindaco), Forte Filippo, Fusco Osman, Duratorre Antonio, Cinquanta Erasmo, Gaveglia Giovanni, Aloia Giuseppe, Irace Luigi, Orlandi Ferdinando, Angelucci Vincenzo, Caracciolo Onorato, Cimino antonio, Rossi Tommaso, De Camillis Giuseppe, Ciorra Alessandro, Ciorra Vincenzo, Cimino Raffaele, Rossi Servio, nella seduta straordinaria del 6 aprile 1909 accolse tutte le proposte contenute nella relazione riservandosi di tradurle successivamente in atto con le necessarie deliberazioni. Nell’anno precedente si era già dimesso dalla carica il consigliere De Camillis Giuseppe; era poi deceduto Rossi Servio ed era decaduto dalla carica Ciorra Vincenzo.
Presentate le dimissioni dalla carica di Sindaco, da parte del sig. D’Orvé Michele, queste vennero respinte dal Consiglio con deliberazione del 6 agosto 1909.
Il Consiglio riunito il giorno 11 successivo nelle persone dei consiglieri presenti (Forte Filippo – Fusco Osman – Duratorre Antonio – Cinquanta Erasmo – Gaveglia Giovanni – Aloia Giuseppe – Irace Luigi – Orlandi ferdinando – Angelucci Vincenzo – Forte Giuseppe – Cimino Raffaele) si dimette per solidarietà col Sindaco.
Era in carica da circa due mesi quando esplosero disordini in paese, in parte anche già preannunciati. Infatti alcuni giorni prima del 22 novembre correva voce in paese che bisognava incendiare il Comune, “dove comandavano i Baroni“.
Nella mattinata del 22 novembre 1909, dal rione Capo di Ripa, una ventina di persone, in maggioranza donne e giovani, precedute da un ragazzo che aveva infilato ad un bastone una bandiera rossa, si avviarono verso la sede comunale. I primi dimostranti partiti dal Vicinato di Mosca (l’attuale via Toti), percorsero via Capo di Ripa (l’attuale via Diaz), e giunti alla località Chianca, invece di dirigersi subito verso la via dove era ubicato il Municipio, svoltarono per il rione S. Rocco, il Lavo (l’attuale via Toselli) e imboccarono di nuovo via Capo di Ripa proseguendo infine verso il comune. Durante il giro che fece per il paese, il corteo divenne man mano sempre più numeroso e quando i dimostranti giunsero di fronte al Municipio erano una massa imponente che occupava tutto il tratto di strada di via Risorgimento e di via Roma, antistante il fabbricato Fusco dove erano ubicati gli Uffici Comunali. Erano uomini, donne e bambini che cadenzavano il passo battendo con le mani una pietra contro l’altra. Durante l’avvicinamento al Comune si accodarono molte altre persone, donne, uomini, ragazzi e ragazze sino a diventare oltre un centinaio, che ugualmente battevano una contro l’altra le pietre tenute in pugno.
La gente raccolta in via Risorgimento (l’attuale via A. Fusco) di fronte alla sede municipale e quella assiepata nel tratto di via antistante che portava alla Muraglia (l’attuale via Roma), costituiva ormai una massa rumorosa e turbolenta che gridava «Vogliamo giustizia, abbasso le tasse, vogliamo i ruoli».
L’Amministrazione comunale si era dimessa il 6 agosto precedente, aveva lasciato il potere proprio con la scusa di non voler applicare le tasse (era questa una delle ragioni da essa addotte perché non seppe o non volle addossarsi il compito dell’inasprimento ed un giusto rimaneggiamento dei ruoli).
Correva voce che si doveva applicare anche “la tassa sulle galline”, che forse voleva essere una battuta ma che invece esasperò la popolazione, in maggioranza costituita da povera gente.
Gli uffici comunali occupavano il primo piano del fabbricato del medico Matteo Fusco, alla Via Risorgimento, località volgarmente conosciuta come “sotto li fuossi” dove allora si teneva anche il mercato.
Al pianterreno era ubicata l’esattoria comunale, in quel giorno chiusa. Al piano secondo abitava la famiglia del segretario comunale Edoardo Capolino, padre di numerosa prole.
Il Commissario Prefettizio, che già si trovava nel Comune, avvertito del frastuono e delle grida che salivano dalla strada e saputo del motivo di quella riunione, interessò il Vice Brigadiere dei Carabinieri che in quel momento era nel suo ufficio, per invitare alcuni dei dimostranti a salire in Comune per esporre i loro desideri.
Il Sottufficiale ritornò per riferire che volevano salire tutti. Allora il Commissario discese tra la folla per cercare di calmarla “assicurando che dalla sua opera non si dovevano aspettare che giustizia, ma che intanto avrebbero dovuto rispettare l’ordine”
La folla in quel momento si era ingrossata maggiormente e si stringeva sempre più intorno al Commissario che ad un tratto si vide spintonato verso il portone d’ingresso del Comune, davanti al quale si erano schierati il Vice Brigadiere ed un carabiniere, due guardie forestali e due guardie campestri (Carlo Di Massa, conosciuto come Carlitto, e Salvatore Mignano).
Mentre alcuni dimostranti discutevano con il Commissario Prefettizio, dalla casa di Giuseppe Testa (alias Giacchettone) i fratelli Aniello ed Oscar D’Orvé, figli del Sindaco dimissionario, annotarono molti nomi dei presenti alla dimostrazione e la sera stessa li consegnarono ai carabinieri.
Durante la discussione tra il Commissario e la folla, dall’abitazione del Segretario Capolino, un figlio di questi riversò una bacinella di acqua sui dimostranti e contemporaneamente dalla casa Testa venne lanciata una pietra che colpì il carabiniere.
Mentre si prestava soccorso al ferito alcuni dimostranti tentavano di forzare il portone. Nello stesso tempo Celestino Tibaldi fu Bernardino (che il 29 marzo 1944 veniva ucciso da una granata), arriva con una lunga scala di legno che viene appoggiata alla parete della casa e dalla quali alcuni individui salgono sul balcone del primo piano e poi dall’interno spalancano il portone attraverso il quale molti dimostranti si precipitano per le scale ed invadono gli uffici. Dai balconi vengono gettati sulla strada tutte le carte, i registri ed i mobili del Comune, compresi quelli dello Stato Civile. Si salvarono solo le carte e gli atti della tesoreria e contabilità, poiché si trovavano in locale diverso, anche se nello stesso fabbricato.
Nella via, da certo Federico Coviello, che in quel momento sopraggiungeva di ritorno dai Monti di Suio, con un fiammifero venne appiccato fuoco al mucchio di carte, di registri ed ai mobili. Il fuoco divampò violento ed in poco tempo venne distrutta ogni cosa.
La folla penetrata negli uffici rispettò solo il Crocifisso, il quadro del Re e la Bandiera.
Quando si spense il fuoco sulla strada, la folla si incolonnò dietro la bandiera nazionale presa nel Comune e portata dal giovane Giovanni Coviello e percorse le vie del paese in silenzio; arrivata innanzi alla caserma dei carabinieri (allora sistemata nell’attuale casa Duratorre) vi abbandonò la bandiera e si sciolse (erano le ore 13,30).
Non venne usata alcuna violenza nei confronti del Commissario Prefettizio e delle forze dell’ordine che avevano spiegato resistenza ed azione persuasiva nel tentativo di frenare l’insurrezione della folla. Si racconta che il segretario comunale temendo per la sua incolumità evitò di apparire alla folla fuggendo attraverso i tetti del fabbricato adiacente.
Il capitano dei carabinieri era stato appena avvertito dal comandante della locale stazione, informò dell’accaduto il Sottoprefetto di Formia e partì per Castelforte con cinque militari. Provvedeva inoltre, nello stesso giorno, a rinforzare la caserma di Castelforte con 18 altri carabinieri.
Il Sottoprefetto inviò subito a Castelforte il delegato di P.S. sig. De Andreis e dispose la partenza con il primo treno da Gaeta di una compagnia di soldati che giunse sul luogo verso la sera.
E la stessa sera del 22 novembre il funzionario di P.S. con l’arma dei carabinieri, iniziò le indagini per individuare gli istigatori e gli autori dei gravi fatti accaduti.
Nella notte tra il 22 e il 23 furono operati 11 arresti tra cui due donne: Crescenza di Vita Giovannantonio e Francasca Polidoro (Pandolfo).
Appena si sparse la voce dei primi arresti, nella notte stessa la maggior parte dei sospettati prese la via della montagna ed in molti si rifugiarono nella località Grisano in tenimento di Coreno Ausonio.
La mattina del 23 gli arrestati, con uno sciarabacco (carretto coperto di tendone), vennero tradotti a Minturno e rinchiusi nel carcere mandamendale.
Il 24 vennero denunziati all’autorità giudiziaria gli arrestati e quelli individuati che si erano resi irreperibili, in tutto 61 persone (nella costituzione di parte civile figurano invece 78 nominativi).
Tra gli arrestati ci furono Ciro Simeone (considerato il più acceso), Celestino Tibaldi, D’Aprano Simeone, Salvatore Mallozzi, Di Spirito Francesco, soprannominato Cipeccia. Alcuni, tra gli indiziati, per evitare i rigori della legge, espatriarono clandestinamente e non fecero più ritorno in Italia.
Il 23 novembre, all’indomani dei moti, si recò a Castelforte il Pretore di Minturno ed il giorno 24 vi si recarono il Procuratore del Re ed il Giudice Istruttore del Tribunale di Cassino. (In quell’epoca Castelforte rientrava nella giurisdizione di Cassino).
L’autorità considerò la sollevazione improvvisa e spontanea, ma è certo che dalla sezione socialista, ubicata nel Rione dell’Annunziata nel fabbricato Gallucci (angolo con la via Sellitti) erano state in continuazione formulate critiche ed insinuazioni persistenti contro l’Amministrazione Comunale.
La relazione del Sottoprefetto di Formia in data 24 novembre parla di un panno rosso alla testa dei “rivoltosi”, mentre si sa che nelle prime ore del 22 novembre nella bottega del sarto Francesco Di Marco, ubicata alla via Capo di Ripa nel fabbricato degli eredi Di Nardo, era stata confezionata una vera bandiera rossa. Ma bisogna tener presente che forse concorreva ad aumentare il malumore e l’animosità della gente di Castelforte il risentimento verso gli amministratori che sino a poco tempo prima avevano gestito il potere. Infatti dopo gli avvenimenti del 1894-95[iii] la vecchia classe dirigente si era installata nuovamente alla vetta del potere locale amministrativo.
Espressione di alcune famiglie, diversi consiglieri erano invischiati negli abusi demaniali che la popolazione ben conosceva desiderando che finissero tutti i favoritismi da essi disinvoltamente e con protervia praticati.
Le dimissioni del Consiglio Comunale aveva voluto essere una scappatoia per sfuggire alle gravi responsabilità di decine e decine di anni di cattiva amministrazione, di abusi, di sperpero.
Il 28 ottobre 1909, il Commissario Prefettizio Tiseo aveva notificato che le elezioni generali per la ricostituzione del Consiglio Comunale, dovevano aver luogo il 14 novembre, alle ore 9, nel locale detto Teatro S. Carlo.[iv]
Ma esse, dopo questi avvenimenti, furono rinviate e fissate per il 5 dicembre. In seguito le elezioni vennero nuovamente sospese e si tennero solamente il 6 febbraio 1910.
Intanto il Commissario Prefettizio Delegato della temporanea Amministrazione del Comune di Castelforte, legale rappresentante del Comune stesso, “essendo stato ammesso nella qualità indicata al beneficio del gratuito patrocinio con decreto presidenziale del 19 gennaio 1910”, in data 9 febbraio si presenta presso la Cancelleria del Tribunale di Cassino ed alla presenza del Vice Cancelliere “dichiara di volersi costituire, come col presente atto, ai conseguenti effetti di legge, si costituisce parte civile nel procedimento penale contro:
1° – Ragonese Salvatore d’Ignoti; 2° – Ferro Alessandro di Salvatore; 3° – Simeone Ciro di Antonio; 4° – Di Spirito Francesco fu Donato; 5° – Di Spirito Angelo fu Donato; 6° – Casale Francesco fu Domenico; 7° – Simeone Giovanni di Antonio; 8° – Valente Erasmo di Gaspare; 9° – Ianniello Domenico di Antonio; 10° – De Vito Crescenzo fu Giovanni; 11° – Ianniello Filomena fu Francesco; 12° – Ionda Filippo fu Gaetano; 13° – Biferale Domenicantonio fu Costantino; 14° – Mallozzi Salvatore fu Domenico; 15° – Mignano Vincenzo di Giuseppe; 16° – Trionfo Cristina di Pietro; 17° -Zonfrillo Teresa fu Antonio; 18° – Ciorra Raffaele di Vincenzo; 19° – Camillo Mattia di Vincenzo; 20° – Valente Salvatore di Gaspare; 21° – D’Aprano Salvatore di Antonio; 22° – Vecchio Vincenzo di Antonio; 23° – Ambroselli raffaele fu Angelo; 24° – Coviello Pasquale fu Raimondo; 25° – Casale Antonio fu Salvatore; 26° – Casale Filippo di Antonio; 27° – Vecchi Crescenza di Agostino; 28° – Mignano Maria fu Tommaso; 29° – Mignano Teresa fu Tommaso; 30° – Coviello Giovanni Carmine di Luigi; 31° – Stabile Tommaso fu Erasmo; 32° – Paliotta Angela fu Luigi; 33° – Tucciarone Pasquale di Francesco; 34° – Cassetta Gelsomina di Francesco; 35° – Cardillo Maria di Onorio; 36° – D’Aprano Angelina di Vincenzo; 37° – Mignano Rosa di Francesco; 38° – Rosato Giuseppe fu Donato; 39° – Di Mare Filomena fu Saverio; 40° – Ragonese Dama di Raffaele; 41° – Rosato Caterina fu Donato; 42° – Ciorra Giuseppe di Filippo; 43° – Tucciarone Michelina fu Antonio; 44° – Rosato Federico fu Giuseppe; 45° – Coletta Giuseppe fu Giuseppe in Tucciarone; 46° – Di Spirito Celestino di Raffaele; 47° – Mazzante Angelo fu Raffaele; 48° – Testa Domenico di Pietro; 49° – Tucciarone Antonio di Francesco; 50° – Zonfrillo Pasqualina fu Antonio; 51° – Pandolfo Celestino fu Luigi; 52° – Tibaldi Maria fu Domenico; 53° – D’Aprano Luigi di Vincenzo; 54° – Forte Pasquale fu Domenico; 55° – Di Stefano Pasquale fu Domenico; 56° – Polidoro Francesca fu Raffaele; 57° – Di Cola Angelina fu Vincenzo; 58° – Polidoro Giuseppe fu Vincenzo; 59° – Di Nardo Francesca fu Giuseppe; 60° – Forlino Angela; 61° – Coviello Michele; 62° – Tibaldi Antonia; 63° – Giuliano Paolina; 64° – Fuscone Pasqualina; 65° – Ruggiero Angela; 66° – Di Cola Pasqualina; 67° – Di Tano Orazio; 68° – Vecchio Giuseppe; 69° – Vecchio Pasquale; 70° – Gagliardi Antonio; 71° – Tucciarone Luigi; 72° – D’Aprano Raffaele di Carlo; 73° – Tucciarone Caterina; 74° – Tucciarone Luigi; 75° – Rosato Francesco; 76° – Mignano Alessandra; 77° – Vecchio Vincenzo; 78° – Di Marco Francesca.
Il Legale del Comune con domicilio in Cassino era l’avvocato Emilio di Giovanni.
La notifica di costituzione di parte civile venne notificata il 18 febbraio 1910 dall’Ufficiale Giudiziario di Minturno alla signora Di Cola Pasqualina (uno degli imputati).
Le elezioni per la ricostituzione del Consiglio Comunale, dopo il periodo di gestione commissariale e dopo i vari rinvii furono tenute il 6 febbraio 1910.
Furono vinte dalla lista capeggiata da Giacomo Fuso che in precedenza si era battuto contro l’amministrazione D’Orvé. Comprendeva per la maggior parte uomini nuovi, quasi tutti del ceto popolare con solo qualche esponente del ceto medio.
I consiglieri eletti risultano:
1) Fusco Giacomo di Francesco n. il 4 settembre 1871, possidente, voti 142; 2) Rossi Raffaele fu Gregorio n. il 5 ottobre 1878, possidente, voti 139 (socialista)[v]; 3) Rossi Tommaso fu Gregorio n. il 10 febbraio 1881, agrimensore, voti 137 (socialista); 4) Grimaldi Raffaele fu Luigi n. il 13 settembre 1845, agricoltore, voti 134 (della frazione Suio); 5) Polidoro Marcantonio fu Nicola n. il 28 dicembre 1851, agricoltore, voti 134; 6) D’Aprano Raffaele fu Carlo n. il 14 marzo 1874, negoziante, voti 133; 7) Gallucci Giuseppe fu Erasmo n. il 19 marzo 1852, agricoltore, voti 133; 8) Vecchio Francesco fu Giovanni n. il 18 marzo 1858, guardia P.S. a riposo, voti 133; 9) Di Mare Raffaele fu Filippo n. l’8 dicembre 1849, agricoltore, voti 133; 10) Testa Carlo fu Filippo n. il 26 settembre 1860, agricoltore, voti 138; 11) Di Marco Salvatore fu Domenico n. il 18 ottobre 1867, agricoltore, voti 132; 12) Valente Salvatore fu Gaspare n. il 30 novembre 1864, contadino, voti 131 (imputato sommossa); 13) Ciorra Vincenzo fu Pasquale n. il 16 settembre 1859, tabaccaio, voti 130 (della frazione Suio); 14) Cimino Raffaele fu Nicola n. il 15 gennaio 1860, agricoltore, voti 128 (della frazione Suio); 15) Ciorra Giuseppe fu Gennaro n. il 20 giugno 1873, agricoltore, voti 110; 16) Cinquanta Luigi fu Vincenzo n. il 12 giugno 1887, studente, voti 52 (socialista); 17) Russo ilippo di Giuseppe n. il 30 gennaio 1875, agricoltore, voti 128; 18) Perrone Vincenzo fu Francesco n. il 20 febbraio 1849, calzolaio, voti 17; 19) Fusco Vincenzo di Antonio n. il 17 novembre 1873, contadino, voti 13 (della frazione di Suio); 20) Russo Vincenzo fu Filippo n. il 16 aprile 1865, agricoltore, voti 8.
Il Commissario Prefettizio, nella relazione (11.2.1910) al ricostituito Consiglio Comunale tra l’altro dice:
«Durante la mia gestione……mi sono studiato di attuare, in tutti i loro dettagli, le proposte in essa contenute; ma disgraziatamente, il concetto altamente sociale e umanitario, a cui aspiravo, nello esclusivo interesse della classe povera, il sistema di tassazione, venne malamente interpretato ed il popolo si ribellò. L’ardore che io ho messo nel salvare le finanze comunali, mi ha procurato, forse dei dolori, ma mi è di conforto ora la coscienza di aver compiuto il mio dovere, anche quando, rimasto solo sulla breccia al momento in cui la folla incosciente stava per distruggere il suo Stato Civile evitai con la parola e con gli atti, un eccidio».
Il Consiglio Comunale nella seduta del 26 aprile 1810 “autorizza il Sindaco a confermare la costituzione di parte civile eseguita dal Commissario Prefettizio e di nominare un avvocato che sostenga le ragioni del Comune nella causa penale a carico degli imputati dei moti del 22 novembre 1909“.
La delibera viene approvata ad unanimità dai sette consiglieri votanti dei quindici presenti.
Si sono astenuti dal prendere parte alla deliberazione i consiglieri:
1) Valente Salvatore; 2) Rossi Tommaso; 3) Cimino Raffaele; 4) Rossi Raffaele; 5) Di Mare Raffaele; 6) Ciorra Giuseppe; 7) Ciorra Vincenzo; 8)Russo Filippo, quasi tutti legati da vincoli di parentela con gli imputati.
I consiglieri Rossi Tommaso e Rossi Raffaele dichiarano “che essi del gruppo socialista si astengono non solamente per la disposizione contenta nell’art. 191 della legge Comunale e Provinciale, ma bensì perché essi non sono contrari ad alcuna rivoluzione”.
Il Sottoprefetto di Formia in data 8 maggio 1910 informa il Prefetto della deliberazione “è raccolta la dichiarazione di una esigua minoranza che suona incosciente spregio al fondamento delle istituzioni vigenti e cioè quella dei consiglieri Rossi Raffaele e Rossi Tommaso che hanno manifestato di non aderire alla costituzione di parte civile perché come socialisti non sono contrari ad alcuna rivoluzione”.
Il Sottoprefetto inoltre rappresentava la possibilità di perseguire gli stessi anche con la decadenza della carica, ma la questione non ebbe alcuno prosieguo.
La difesa degli imputati venne sostenuta da tre avvocati indicati dal partito socialista, i cui esponenti locali Giuseppe Tipaldi, Romano Armando e Tamburrino Ercole (tutti di SS. Cosma e Damiano) venivano indicati dalla voce pubblica come i sobillatori del movimento.
Gli imputati vennero tutti assolti dal Tribunale di Cassino.
Si viveva in un periodo in cui, quasi ciclica, di tanto in tanto una metastasi maligna colpisce il nostro Comune che di Castelforte oltre che paese povero fa un povero paese.

[i] D. Ruggiero, La Pasqua Castelfortese del 1799, Ediz. Caramanica, Scauri, 1999.
[ii] Era già in atto la vertenza territoriale sulla zona cosiddetta promiscua tra i due Comuni.
[iii] D. Ruggiero, Gli avvenimenti dell’ultimo decennio dell’800 a Castelforte, in corso di stampa.
[iv] Era una vecchia chiesa sconsacrata ed adibita a teatro. È andata distrutta dalla guerra e sorgeva dove attualmente è ubicata la Caserma dei
Carabinieri.

[v] Le annotazioni fra parentesi sono del Vice Prefetto di Formia.

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