NOTIZIARIO ARCHEOLOGICO


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Studi Cassinati, anno 2001, n. 3

Il porto del Garigliano a Mortola
di Sara Marandola
Interessandomi ultimamente al sito archeologico di Rocca d’ Evandro (CE), più precisamente in località “porto” nella frazione Mortola, sul Garigliano, mi sono arrivati nelle mani documenti che registrano resoconti fatti da un’archeologa della Sovrintendenza di Napoli, la dottoressa Chiosi, e insieme i progetti dell’architetto Giuseppe Bruno.
Un rigo attira la mia attenzione: “… sono pochissimi gli esempi di questo tipo scavati e nessuno
di questi in Campania”.
La prima documentazione sul ritrovamento del sito ci giunge dal lontano 5 mag­ gio 1993; ma questa ci dice che le prìme indagini sono state fatte nel ’92. In ogni pagina si legge l’entusia­ smo per l’anomalia dello scavo, rispetto agli altri di tutta la regione. La Gaspe­retti, della Sovrintendenza di Napoli, diceva allora che era l’unico attivo su tutto il Garigliano. Si tratta di un’ area riservata alla produ­zione e imbarco di anfore vinarie che venivano esportate su vasto raggio, oltre che utilizzate in zona. Il luogo è un pianoro allu­vionale ricco di materie prime, di terre fertili, di vegetazione, dì sole, ma soprattutto di acqua, fonte di vita e di ricchezza. Di ric­chezza, per gli antichi, creando un porto e dando vita ad un commercio fluviale, proprio come fecero i liberti della potente famiglia dei Luccei, tra il II secolo a. C. e il I secolo d. C.
Si stanziarono infatti sulla riva sinistra del Garigliano, e qui trovarono tutto per produrre ed esportare e loro anfore vinarie.
Al momento della scoperta ne sono state rinvenute decine e decine oltre alle fornaci per la produzione. La prima tappa di questi commercianti era il vicino porto di Minturno. Nel ’94 su “Il Mattino”, un articolo: “Garigliano, archeologia sommersa”, sottotitolo: “continuano gli scavi della Sovrintendenza”. Ora siamo nel 2001, gli scavi si sono interrotti in quegli anni. Quello di “Porto” è di nuovo un sito archeologico “sommerso”? Eppure grandi e immediati, nella loro necessità, erano i progetti che aveva fatto l’architetto Bruno. Il progetto è completo in tutti i particolari, già dal luglio 1995. Ma forse proprio da quell’anno lo scavo è stato abbandonato. Certo non dico di voler vedere già pronto il “Parco archeologico ambientale” di Rocca d’Evandro. Si conoscono i limiti, o meglio le difficoltà della nostra regione, tuttavia ritengo sia opportuna la ripresa dei progetti con l’auspicio che qualcosa, di tanto, si faccia, non solo per un fatto culturale ma anche per avere un punto di riferimento turistico in più nel comprensorio di Rocca d’Evandro, già ricco di testimonianze del passato, prima fra tutte lo storico castello, che l’Amministrazione comunale ha acquistato da privati e già in parte ristrutturato, confermando le già conosciute doti di sensibilità per ciò che è storia, tradizione e cultura.
Sara Marandola ex carducciana studentessa di archeologia alla Sapienza di Roma  


Lettera A: l’area del recente scavo
Lettara B: la probabile isula
L’insula di Varrone

Linsula di cui parla Marco Terenzio Varrone nel “De re rustica” descrivendo la sua villa in Casinum pare si possa collocare nella zona dei recenti ritrovamenti della probabile uccelliera in località Mastronardi, già ampiamente illustrati nella relazione pubblicata sul mensile Presenza Xna di ottobre scorso. Secondo quella ipotesi l’insula sarebbe localizzata tra il braccio ovest del fiume Gari che delimita ad occidente la proprietà “Terme Varroniane” e l’altro braccio (“altera amnis”) che vi si innesta a sud della stessa proprietà. Un canale, ora interrato – ma che è stato riconosciuto dai tecnici della costruenda condotta idrica comunale che lavora in zona –, taglia trasversalmente i due bracci prima della loro confluenza determinando, in tal modo, un isolotto vero e proprio.
L’ubicazione sarebbe confermata dalla descrizione dello stesso Varrone che la pone a valle dell’area dell’uccelliera, in fondo ad un tratto di 280 metri della sua proprietà (che su quel lato comprendeva, oltre l’uccelliera, anche il museum).
A conferma ulteriore giunge, grazie alla ricordata relazione su Presenza Xna, la segnalazione dell’avv. Gaetano Mastronardi – la cui famiglia è proprietaria da tempo immemorabile di un fondo nell’area delle “Terme”, verso il confine occidentale – secondo la quale la zona della confluenza dei due fiumi è da sempre denominata “isola”. Quando, infatti, dovevano indicare quell’area, ricorda il Mastronardi, dicevano in vernacolo cassinate: “abbàllë a l’ìsula”.

Cassino: una vecchia strada al Quinto Ponte

di Emilio Pistilli
In località Quinto Ponte, sotto i piloni della superstrada Atina Formia, il giorno 10 dicembre scorso, è stato riportato alla luce un breve tratto di strada ciottolata, fiancheggiata, sul lato orientale, da due spessi muri paralleli, distanti tra loro un paio di metri. Il muro interno si sovrappone al bordo del ciottolato. Il complesso, sito a circa m. 1.20 di profondità rispetto al piano di campagna, ha un andamento nord est-sud est e sembra voler dirigersi trasversalmente verso l’attuale fiume Rapido, mentre la parte a monte si perde sotto la strada Casilina. Si ha l’impressione che si tratti di una canalizzazione delle acque provenienti dalle falde dell’Aquilone – forse il vecchio corso del Rio Ascensione – che si è sovrapposta alla sede stradale dismessa perché interrata dalle frequenti e spesso violente alluvioni. L’epoca sembra quella medievale.
Non è da escludere che abbia attinenza con “un ingresso o forma di acque di un rivo che corre per la strada pubblica sopra S. Bartolomeo di S. Germano” cui si accenna in un documento del 1342 in Archivio di Montecassino (I Regesti dell’Archivio, 11, n. 4416).
I resti dovranno certamente ricollegarsi ad analoghi allineamenti murari segnalati al di là della Casilina, nel suolo di un vecchio e demolito mulino, che ha lasciato il posto ai piloni della superstrada.
Pare comunque certo che sia la strada che il canale andavano a confluire nel fiume Vilneo, il cui corso è stato sostituito in tempi abbastanza recenti dal canale collettore di fondovalle, che oggi chiamano nuovo Rapido. Per completezza di informazione va detto che il corso storico del Rapido fino all’ultima guerra bordeggiava la città lungo l’attuale via Varrone per gettarsi nelle acque del Gari a valle di via Arigni, mentre quello del Vilneo è ampiamente documentato nel secolo XIX, anche col nome di Vinio, a ridosso della cappella della Madonna di Loreto, località odierna detta Quinto Ponte.
Se la notizia del 1342 su riportata è pertinente si puó affermare che quel tratto di via selciata venuto oggi alla luce fosse l’antica via S. Bartolomeo, lungo la quale pare vi fossero delle concerie; il protettore dei conciatori è proprio S. Bartolomeo. Una cappella a lui dedicata sorgeva all’intermo dell’attuale cimitero che da lui prende il nome.
Intanto la Soprintendenza Archeologica del Lazio ha ordinato il fermo dei lavori per la condotta fognaria ed ha fatto eseguire tutti i rilievi fotografici e grafici di rito sotto la supervisione dell’arch. Silvano Tanzilli, direttore del locale Museo Archeologico Nazionale, assistito dall’archeologa Raffaella Di Paolo.

 

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