San Pietro Infine: l’alluvione fa scoprire resti archeologici

 

Studi Cassinati, anno 2002, n. 3/4

di Maurizio Zambardi

Una paurosa alluvione si è abbattuta sul territorio di San Pietro Infine lo scorso 22 settembre, procurando numerose frane, crolli di muri ed ingenti danni: un pastore ha addirittura perso oltre trecentosessanta pecore, annegate o perché trascinate via dall’impetuosa corrente di un rio.

Resti della fornace di epoca romana. Sullo sfondo è visibile Monte Sambùcaro (Foto di Maurizio Zambardi)

Nuvole cariche di pioggia sono infatti arrivate dalle spalle di Monte Sambucaro e si sono scaricate abbondantemente specie nella parte

Foto n. 1 Resti murari relativi ad una abitazione di epoca romana. (Foto di Maurizio Zambardi)

più bassa delle sue pendici. Nella parte ovest di Sambucaro un fiume di acqua si è riversato nel Vallone Inferno e in quello del Ceraso, portando a valle, oltre a terra e a pietre, anche massi di notevole dimensione, che fortunatamente si sono arrestati nel cambiamento di pendenza proprio a ridosso della Masseria De Rossi, mentre ad est della montagna l’acqua si è riversata sulla Strada Statale Variante Annunziata Lunga, creando ingenti danni sia alle colture che alla carreggiata.
L’impetuosità delle acque, che hanno profondamente smosso la terra, ha tuttavia portato alla luce – proprio in queste località – i resti archeologici di un’abitazione risalente al periodo romano, molto probabilmente una villa rustica, e – a un centinaio di metri da quest’ultima – i resti di una grossa fornace, anch’essa risalente al periodo romano.
L’area del ritrovamento, posta in lieve pendenza, si trova ad ovest del paese, quasi a confine con il territorio di San Vittore del Lazio, nei pressi di Via Veccere. L’azione di dilavamento ha creato una sorta di trincea di scavo, riportando alla luce resti di muri ed un piccolo ambiente rivestito con intonacato impermeabile, probabilmente parte di una piccola vasca o di un impluvio di un atrio. Inoltre l’area è ricoperta da una grande quantità di ceramica, appartenente sia a tegole, quali embrici e coppi, che a contenitori vari. Sono riconoscibili orli ed anse di anfore, coperchi e tegami da cucina, molta ceramica a vernice nera e sono inoltre visibili frammenti di intonaco e malta utilizzata per la muratura.
La grossa fornace venuta alla luce nelle adiacenze dell’antica abitazione presenta invece una calotta emisferica, che è al momento visibile solo nella sua forma circolare di base: un anello di circa venticinque centimetri di spessore ed un diametro di circa quattro metri e mezzo. Il materiale utilizzato è il “cocciopesto”, un tipo di malta impiegata sia come impermeabilizzante per vasche sia come struttura refrattaria per forni. Nella parte esterna della calotta è tuttora ben evidente l’annerimento causato dal fumo della cottura.
Allo stato attuale la struttura si presenta ripiena di pietrame di varia pezzatura, dal che si potrebbe supporre il suo utilizzo come fornace per calce (che nel dialetto locale è detta calecara), ma in realtà si tratta molto probabilmente di una fornace per mattoni. Le pietre in essa contenute potrebbero essere state messe dai contadini nell’intento di chiudere la buca, di cui forse ignoravano la funzione, o per ripulire il terreno dal pietrame. I ritrovamenti sono stati immediatamente segnalati alla Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta.

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